domenica 31 ottobre 2010

29/10/2010 - Servizio del Tg1 delle 20 :Gaeta contro Formia sul Risorgimento


http://www.youtube.com/watch?v=oj5lc6X6PpU

29/10/2010 - Servizio del Tg1 delle 20 sulla manifestazione organizzata a Gaeta il 6 novembre 2010 di protesta contro le celebrazioni per i 150 anni di unità d'Italia. Interviste a Gigi Di Fiore, autore del saggio "Gli ultimi giorni di Gaeta - l'assedio che condannò l'Italia all'unità" edito da Rizzoli, ed al sindaco di Gaeta, Antonio Raimondi.

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http://www.youtube.com/watch?v=oj5lc6X6PpU

29/10/2010 - Servizio del Tg1 delle 20 sulla manifestazione organizzata a Gaeta il 6 novembre 2010 di protesta contro le celebrazioni per i 150 anni di unità d'Italia. Interviste a Gigi Di Fiore, autore del saggio "Gli ultimi giorni di Gaeta - l'assedio che condannò l'Italia all'unità" edito da Rizzoli, ed al sindaco di Gaeta, Antonio Raimondi.

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1860: l'Unità d'Italia e la strage di Roseto Valfortor



Il 7 novembre 1860 cinque inermi cittadini, tra cui 3 ragazzi ventunenni ed un ex soldato borbonico padre di famiglia, vengono trucidati dai garibaldini solo perché rei di essere simpatizzanti borbonici

Roseto V., 26.10.2010 - Ci hanno raccontato e continueranno a raccontarci a scuola solo balle! In poche righe, in libri confezionati ad hoc, si racconta e si “decanta” che “l’unificazione d’Italia” avvenne grazie alla “spedizione dei mille”, con l’incontro di Garibaldi e Vittorio Emanuele a Teano e con il “plebiscito”. Tutto qui? Ed il resto, la verità storica, quella che da anni è venuta fuori? Tutto tace… I libri, quelli confezionati ad hoc, non ne devono parlare. Né c’è altro da aggiungere!
Tra ricerche ed approfondimenti su quella che comunemente viene definita “unità d’Italia” – per la quale si ha anche il “coraggio” di festeggiare facendo finta che al Sud nulla sia successo – non passa giorno che dalle carte degli archivi spuntano documenti relativi ad avvenimenti e fatti – che la storiografia ufficiale e chi ha interesse a non far conoscere, volutamente ignora – a dir poco raccapriccianti! Una terra ed un popolo furono messi a ferro e fuoco da invasori stranieri senza scrupoli e sottoposti alle più disparate angherie che«gli untori servitori del mendacio: storiografi e giornalisti, ciucci e venduti» preferiscono non raccontare, salvo alcuni casi: stragi di massa, esecuzioni sommarie con esposizione di teste di cadaveri in gabbie, interi paesi incendiati, ragazzi e ragazze seviziati ed uccisi, ruberie generali, fucilazione di minorenni appellati col nome di “briganti”, farsa del plebiscito e quant’altro, hanno fatto dei “liberatori” del Popolo delle Due Sicilie quello che, circa un secolo dopo, hanno compiuto i nazifascisti in Italia: infamia e vergogna!
A Roseto Valfortore, in provincia di Foggia, quindi in ”Italia”, si è compiuta una di queste infamie vergognose, una storia poco conosciuta apparsa anche in un “Romanzo Storico” dell’illustre Prof.Don Michele Marcantonio, “Abbasso la guerra, ossia tre passi a ponente”, 1983 (Ed. Italia Letteraria, MI). Della storia che si sta per raccontare, riferita a cinque cittadini di Roseto Valfortore, mi ero già procurato gli atti di morte per descriverne la loro dolorosa vicenda quando ho ritrovato il libro di Don Michele che lui stesso mi regalò anni addietro agevolandomi il compito. La storia – realmente successa, e gli atti di morte ne sono la testimonianza (portano tutti la stessa data, stesso giorno e stessa ora) – racconta di cinque cittadini rosetani di cui l’autore di un «manoscritto» ne fornisce alcune sommarie generalità: «COTTURO Giuseppeantonio, terza elementare, una sorella di 29 anni; FARACE Liberato, analfabeta, due sorelle, una di 12 e una di 23 anni; SBROCCHI Vito, 1º anno di agraria, moglie di anni 36 e figlia di anni 15; MARRONE Leonardo, terza elementare, sorella di anni 21; ZITA Nunziantonio, perito agrario con diploma conseguito presso la cattedra di Roseto, poi soppressa dai piemontesi, e il fratello di Giuseppeantonio, quinta elementare, una sorella di anni 20, sposata con Donato Sbrocchi».
I cinque sacrificati cittadini di Roseto Valfortore vengono accusati dal “galantuomo” don Vito Capobianco, fratello del sindaco, come“reazionari” e di essere “dei franceschielli”, cioè fedeli al Re Francesco II di Borbone. «I vermi e le lumache appaiono dopo la bufera: i liberali e i mazziniani ricomparvero solo ora – si legge nel libro di Marcantonio –garantiti da scorta armata. Le carte fanno i nomi: don Vito, il figlio don Noè, Luigi Basso e Donato Cascioli. Il primo (don Vito Capobianco) aveva preparato la nota delle famiglie da punire esemplarmente». Sommariamente giudicati da un “tribunale” composto da garibaldini, senza alcuna colpa, i cinque martiri rosetani vengono condannati a morte mediante fucilazione. L’esecuzione avvenne il 7 novembre 1860 alle ore 23:00. Lascio parlare il manoscritto di Don Michele Marcantonio.

Siamo orfani di patria?

«(…) I cinque vennero allineati lungo il muro che guardava alla torretta, di fronte al plotone. L’aria rigida, la pioggia, che ora con furia, il vento, fatto ora cattivo, che tempestava il viso dei condannati con bordate d’acqua gelida e dura come grossi grani di sabbia, e, forse, il contenuto di quel biglietto consigliarono il generale a far presto, a sbrigarsi». Il generale di cui si parla è, udite, udite, Liborio Romano, (omonimo del “vigliacco e traditore che vendette il Sud al Piemonte”), garibaldino e comandante della Legione Peucetia.
«Nell’estremo tentativo di muovere a pietà don Liborio, tre dei condannati, cioè Giuseppe Cotturo, Vito Sbrocchi e Leonardo Marrone, s’inginocchiarono nel fango:
– Pietà! Siamo innocenti!
Parole e lacrime alla pioggia e al vento che mugghiava nella siepe e sui tetti.
– Pietà di noi! –, fece Nunzio.
Il quinto, più di là che di qua (è Liberato Farace, 22 anni appena, ferito a morte presso la propria abitazione dalle camicie rosse) era ricaduto in un’assenza totale e si teneva ritto al muro come un tronco senza vita. Il sergente rizzava in alto la sciabola come un ricurvo dito d’acciaio guardando fisso il generale. Il sacerdote, adempiuto il suo alto e pietoso ufficio, s’era nascosto nel vano di quel cunicolo-fogna. Don Liborio parlottava con don Vito, quasi estraneo, senza neppur guardare.
Il sergente non batteva ciglio.
Ecco…
Il generale fece con l’indice un cenno distratto, quasi meccanico.
La sciabola piegò verso terra.
Fuoco!
I primi tre, a partire dall’angolo, caddero fulminati.
Al quarto un secondo colpo.
Il quinto, Liberato Farace, indenne.
Il fuciliere di grazia esplose su di lui il terzo e il quarto colpo. Solo quest’ultimo spinse fuori da quel giovane corpo il lieve alito di vita residuo.
Nel tratto dalle Coste al suo palazzo don Vito assaporò tutta la voluttuosa ebbrezza di quel trionfo. Entrò insieme col generale nel suo caseggiato e ne uscì dopo un quarto d’ora. Si strinsero la mano sul portone e don Liborio ripartì subito. Don Vito non fece in tempo a chiudere, che il parroco era comparso come un fantasma sulla soglia, con sul volto lo sdegno più vivo e amaro. Poiché il Capobianco voleva sfuggirgli, lo afferrò per un braccio e lo schiaffeggiò con queste parole:
– Nel cielo c’è un Dio che vendica le lacrime dei deboli. Maledetta la generazione dell’uomo che sparge il sangue innocente! Parola di Dio!
Ritornò sulle Coste a fianco dei suoi caduti. Li coprì col suo mantello. Restò a vegliarli fino al mattino con il rosario in mano, ritto sotto il gelo della coltre bianca novembrina.
Al collo dell’ultimo martire, Liberato Farace, un abitino del Carmine, forato da una pallottola, tamponava la ferita».
Dulcis in fundo, «don Liborio pretese dal popolo rosetano una taglia di ducati 5.035, oltre 240 per il mantenimento della forza».

Cinque croci di legno

Nel 1861 l’amministrazione comunale di Roseto Valfortore fece installare cinque croci di legno poggiate sul muro, lungo il quale erano stati allineati e fucilati i cinque martiri. Quando questo suolo venne concesso ai privati per la costruzione delle case, lo scalpellinoLorenzo Bozzelli, nel 1910, di propria iniziativa, murerà su quella costruzione con una lapide, data e croce il ricordo di quel massacro.
Una pagina drammatica e nello stesso tempo commovente quella appena descritta, che riporta alla luce come fu fatta “l’unità d’italia” al Sud: con il sangue degli innocenti, con il silenzio dei “vincitori” …e con gli spot! Ah, quante “ombre” su questa “unità d’italia”, altro che…! Mentre in queste ore, ahimè!, nel vesuviano, “Italia”, in una sorta di “guerra civile”, uomini, ragazzi, ragazze e “donne vulcaniche” si apprestano a decretare quello che probabilmente sarà il funerale del 150º tra incendi del tricolore e al grido di «siamo orfani di patria!». A’ sùpala nin tene uocchie e vere, nun tene recchie e sente!
Allego i certificati di morte (leggi); vengono tutti contrassegnati dalla nobile professione di contadino i cinque cittadini rosetani vittime, sacrificate dalla mano feroce dei conquistatori garibaldini. La speranza è che il sindaco, la giunta ed il consiglio comunale di Roseto Valfortore vogliano erigere una lapide a ricordo di quei martiri che dopo 150 anni gridano ancora giustizia!
All’elenco dei cinque sacrificati bisogna aggiungere anche il nome diGiuseppe Zita, fratello di Nunzio Antonio, di anni trenta, ucciso durante un rastrellamento dei garibaldini il 6 novembre del 1860 (tra gli atti di morte allegati).
In chiusura, voglio rendere omaggio al grande Angelo Manna – che solo citarlo mi rende orgoglioso di essere meridionale – con il suo memorabile messaggio rivolto ai ragazzi del Sud, pubblicato periodicamente sulla rivista “Due Sicilie”.

«Ragazzi del Sud!»

«L’unificazione italiana ci costò, in poco più di dieci anni, un milione di morti, tutti uccisi a tradimento, e ci costò, in meno di un secolo, e sempre a tradimento, ventisei milioni di emigranti!
Ed ha le meningi imbottite di puttanate, l’Italia!
Ad imbottirgliele sono stati e sono i nord-dipendenti politicanti del Sud, gli eredi dei pragmatici e immorali traditori del fatal sessanta.
E sono stati e sono gli untori servitori del Mendacio: gli storiografi e i giornalisti, ciucci e venduti.
Ma noi abbiamo un dovere da compiere. Una Mamma offesa, tradita, maltrattata, calunniata e in catene sta chiamando dal 1860 i suoi figli attorno alle sue piaghe fisiche e morali che ormai l’hanno ridotta allo stremo.
È possibile che nessuno di essi ne oda il rantolo, che giorno dopo giorno si fa sempre più forte, e accorra al suo capezzale?».


Fonte:Il Frizzo


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Il 7 novembre 1860 cinque inermi cittadini, tra cui 3 ragazzi ventunenni ed un ex soldato borbonico padre di famiglia, vengono trucidati dai garibaldini solo perché rei di essere simpatizzanti borbonici

Roseto V., 26.10.2010 - Ci hanno raccontato e continueranno a raccontarci a scuola solo balle! In poche righe, in libri confezionati ad hoc, si racconta e si “decanta” che “l’unificazione d’Italia” avvenne grazie alla “spedizione dei mille”, con l’incontro di Garibaldi e Vittorio Emanuele a Teano e con il “plebiscito”. Tutto qui? Ed il resto, la verità storica, quella che da anni è venuta fuori? Tutto tace… I libri, quelli confezionati ad hoc, non ne devono parlare. Né c’è altro da aggiungere!
Tra ricerche ed approfondimenti su quella che comunemente viene definita “unità d’Italia” – per la quale si ha anche il “coraggio” di festeggiare facendo finta che al Sud nulla sia successo – non passa giorno che dalle carte degli archivi spuntano documenti relativi ad avvenimenti e fatti – che la storiografia ufficiale e chi ha interesse a non far conoscere, volutamente ignora – a dir poco raccapriccianti! Una terra ed un popolo furono messi a ferro e fuoco da invasori stranieri senza scrupoli e sottoposti alle più disparate angherie che«gli untori servitori del mendacio: storiografi e giornalisti, ciucci e venduti» preferiscono non raccontare, salvo alcuni casi: stragi di massa, esecuzioni sommarie con esposizione di teste di cadaveri in gabbie, interi paesi incendiati, ragazzi e ragazze seviziati ed uccisi, ruberie generali, fucilazione di minorenni appellati col nome di “briganti”, farsa del plebiscito e quant’altro, hanno fatto dei “liberatori” del Popolo delle Due Sicilie quello che, circa un secolo dopo, hanno compiuto i nazifascisti in Italia: infamia e vergogna!
A Roseto Valfortore, in provincia di Foggia, quindi in ”Italia”, si è compiuta una di queste infamie vergognose, una storia poco conosciuta apparsa anche in un “Romanzo Storico” dell’illustre Prof.Don Michele Marcantonio, “Abbasso la guerra, ossia tre passi a ponente”, 1983 (Ed. Italia Letteraria, MI). Della storia che si sta per raccontare, riferita a cinque cittadini di Roseto Valfortore, mi ero già procurato gli atti di morte per descriverne la loro dolorosa vicenda quando ho ritrovato il libro di Don Michele che lui stesso mi regalò anni addietro agevolandomi il compito. La storia – realmente successa, e gli atti di morte ne sono la testimonianza (portano tutti la stessa data, stesso giorno e stessa ora) – racconta di cinque cittadini rosetani di cui l’autore di un «manoscritto» ne fornisce alcune sommarie generalità: «COTTURO Giuseppeantonio, terza elementare, una sorella di 29 anni; FARACE Liberato, analfabeta, due sorelle, una di 12 e una di 23 anni; SBROCCHI Vito, 1º anno di agraria, moglie di anni 36 e figlia di anni 15; MARRONE Leonardo, terza elementare, sorella di anni 21; ZITA Nunziantonio, perito agrario con diploma conseguito presso la cattedra di Roseto, poi soppressa dai piemontesi, e il fratello di Giuseppeantonio, quinta elementare, una sorella di anni 20, sposata con Donato Sbrocchi».
I cinque sacrificati cittadini di Roseto Valfortore vengono accusati dal “galantuomo” don Vito Capobianco, fratello del sindaco, come“reazionari” e di essere “dei franceschielli”, cioè fedeli al Re Francesco II di Borbone. «I vermi e le lumache appaiono dopo la bufera: i liberali e i mazziniani ricomparvero solo ora – si legge nel libro di Marcantonio –garantiti da scorta armata. Le carte fanno i nomi: don Vito, il figlio don Noè, Luigi Basso e Donato Cascioli. Il primo (don Vito Capobianco) aveva preparato la nota delle famiglie da punire esemplarmente». Sommariamente giudicati da un “tribunale” composto da garibaldini, senza alcuna colpa, i cinque martiri rosetani vengono condannati a morte mediante fucilazione. L’esecuzione avvenne il 7 novembre 1860 alle ore 23:00. Lascio parlare il manoscritto di Don Michele Marcantonio.

Siamo orfani di patria?

«(…) I cinque vennero allineati lungo il muro che guardava alla torretta, di fronte al plotone. L’aria rigida, la pioggia, che ora con furia, il vento, fatto ora cattivo, che tempestava il viso dei condannati con bordate d’acqua gelida e dura come grossi grani di sabbia, e, forse, il contenuto di quel biglietto consigliarono il generale a far presto, a sbrigarsi». Il generale di cui si parla è, udite, udite, Liborio Romano, (omonimo del “vigliacco e traditore che vendette il Sud al Piemonte”), garibaldino e comandante della Legione Peucetia.
«Nell’estremo tentativo di muovere a pietà don Liborio, tre dei condannati, cioè Giuseppe Cotturo, Vito Sbrocchi e Leonardo Marrone, s’inginocchiarono nel fango:
– Pietà! Siamo innocenti!
Parole e lacrime alla pioggia e al vento che mugghiava nella siepe e sui tetti.
– Pietà di noi! –, fece Nunzio.
Il quinto, più di là che di qua (è Liberato Farace, 22 anni appena, ferito a morte presso la propria abitazione dalle camicie rosse) era ricaduto in un’assenza totale e si teneva ritto al muro come un tronco senza vita. Il sergente rizzava in alto la sciabola come un ricurvo dito d’acciaio guardando fisso il generale. Il sacerdote, adempiuto il suo alto e pietoso ufficio, s’era nascosto nel vano di quel cunicolo-fogna. Don Liborio parlottava con don Vito, quasi estraneo, senza neppur guardare.
Il sergente non batteva ciglio.
Ecco…
Il generale fece con l’indice un cenno distratto, quasi meccanico.
La sciabola piegò verso terra.
Fuoco!
I primi tre, a partire dall’angolo, caddero fulminati.
Al quarto un secondo colpo.
Il quinto, Liberato Farace, indenne.
Il fuciliere di grazia esplose su di lui il terzo e il quarto colpo. Solo quest’ultimo spinse fuori da quel giovane corpo il lieve alito di vita residuo.
Nel tratto dalle Coste al suo palazzo don Vito assaporò tutta la voluttuosa ebbrezza di quel trionfo. Entrò insieme col generale nel suo caseggiato e ne uscì dopo un quarto d’ora. Si strinsero la mano sul portone e don Liborio ripartì subito. Don Vito non fece in tempo a chiudere, che il parroco era comparso come un fantasma sulla soglia, con sul volto lo sdegno più vivo e amaro. Poiché il Capobianco voleva sfuggirgli, lo afferrò per un braccio e lo schiaffeggiò con queste parole:
– Nel cielo c’è un Dio che vendica le lacrime dei deboli. Maledetta la generazione dell’uomo che sparge il sangue innocente! Parola di Dio!
Ritornò sulle Coste a fianco dei suoi caduti. Li coprì col suo mantello. Restò a vegliarli fino al mattino con il rosario in mano, ritto sotto il gelo della coltre bianca novembrina.
Al collo dell’ultimo martire, Liberato Farace, un abitino del Carmine, forato da una pallottola, tamponava la ferita».
Dulcis in fundo, «don Liborio pretese dal popolo rosetano una taglia di ducati 5.035, oltre 240 per il mantenimento della forza».

Cinque croci di legno

Nel 1861 l’amministrazione comunale di Roseto Valfortore fece installare cinque croci di legno poggiate sul muro, lungo il quale erano stati allineati e fucilati i cinque martiri. Quando questo suolo venne concesso ai privati per la costruzione delle case, lo scalpellinoLorenzo Bozzelli, nel 1910, di propria iniziativa, murerà su quella costruzione con una lapide, data e croce il ricordo di quel massacro.
Una pagina drammatica e nello stesso tempo commovente quella appena descritta, che riporta alla luce come fu fatta “l’unità d’italia” al Sud: con il sangue degli innocenti, con il silenzio dei “vincitori” …e con gli spot! Ah, quante “ombre” su questa “unità d’italia”, altro che…! Mentre in queste ore, ahimè!, nel vesuviano, “Italia”, in una sorta di “guerra civile”, uomini, ragazzi, ragazze e “donne vulcaniche” si apprestano a decretare quello che probabilmente sarà il funerale del 150º tra incendi del tricolore e al grido di «siamo orfani di patria!». A’ sùpala nin tene uocchie e vere, nun tene recchie e sente!
Allego i certificati di morte (leggi); vengono tutti contrassegnati dalla nobile professione di contadino i cinque cittadini rosetani vittime, sacrificate dalla mano feroce dei conquistatori garibaldini. La speranza è che il sindaco, la giunta ed il consiglio comunale di Roseto Valfortore vogliano erigere una lapide a ricordo di quei martiri che dopo 150 anni gridano ancora giustizia!
All’elenco dei cinque sacrificati bisogna aggiungere anche il nome diGiuseppe Zita, fratello di Nunzio Antonio, di anni trenta, ucciso durante un rastrellamento dei garibaldini il 6 novembre del 1860 (tra gli atti di morte allegati).
In chiusura, voglio rendere omaggio al grande Angelo Manna – che solo citarlo mi rende orgoglioso di essere meridionale – con il suo memorabile messaggio rivolto ai ragazzi del Sud, pubblicato periodicamente sulla rivista “Due Sicilie”.

«Ragazzi del Sud!»

«L’unificazione italiana ci costò, in poco più di dieci anni, un milione di morti, tutti uccisi a tradimento, e ci costò, in meno di un secolo, e sempre a tradimento, ventisei milioni di emigranti!
Ed ha le meningi imbottite di puttanate, l’Italia!
Ad imbottirgliele sono stati e sono i nord-dipendenti politicanti del Sud, gli eredi dei pragmatici e immorali traditori del fatal sessanta.
E sono stati e sono gli untori servitori del Mendacio: gli storiografi e i giornalisti, ciucci e venduti.
Ma noi abbiamo un dovere da compiere. Una Mamma offesa, tradita, maltrattata, calunniata e in catene sta chiamando dal 1860 i suoi figli attorno alle sue piaghe fisiche e morali che ormai l’hanno ridotta allo stremo.
È possibile che nessuno di essi ne oda il rantolo, che giorno dopo giorno si fa sempre più forte, e accorra al suo capezzale?».


Fonte:Il Frizzo


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sabato 30 ottobre 2010

Gaeta asserragliata contro l'Unità d'Italia - articolo di Gigi Di Fiore su "Il Mattino"






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Fonte: Il Mattino del 29 ottobre 2010

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Fonte: Il Mattino del 29 ottobre 2010

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Spazzatura e tumori in Campania lo scandalo del registro che non c’è

Nella regione più devastata d'Italia non esiste l'unico strumento accettato dai tribunali per mettere in relazione le malattie tumorali con la presenza di discariche e sversatoi abusivi

Il registro dei tumori della regione Campania non è mai stato attivato. Per le strade di Terzigno ancora oggi la gente scende in strada in protesta contro l’apertura di una nuova discarica, ma nella regione dell’infinita emergenza rifiuti e degli sversamenti abusivi di fanghi tossici dimostrare una correlazione tra malattie e inquinamento non è possibile.

La scoperta del vuoto è merito di un meticoloso lavoro di ricerca fatto da Vittoria Operato, avvocato e consulente giuridico dell’Isde (Associazione Internazionale Medici per l’Ambiente). Uno strumento come il registro dei tumori è fondamentale per mettere in relazione, attraverso studi ufficiali, gli incrementi di casi di cancro con l’esposizione a ipotetici fattori di rischio.

In altre parole, senza il registro è impossibile stabilire una relazione, valida in tribunale, tra un’impennata di tumori su un certo territorio e la presenza nei paraggi di una discarica o di un sito di smaltimento di rifiuti tossici. A nulla servono sotto il profilo legale gli studi di scienziati indipendenti o le analisi epidemiologiche condotte da medici ed esperti che si battono contro l’inquinamento ambientale nella Regione. Può fare testo solo il registro tumori. Che in quasi tutte le regioni esiste. Ma non nella terra devastata dalla più grave emergenza rifiuti del dopoguerra, dove le cave hanno ingoiato per decenni le scorie delle fabbriche del Nord, dove quotidianamente si scoprono casi di inquinamento delle falde acquifere, e dove la spazzatura viene bruciata impunemente per strada lungo i vialoni dell’hinterland napoletano, sprigionando quantità industriali di diossine, come testimoniato da decine di video messi in rete dall’associazione “La Terra dei Fuochi”.

Quel poco che c’è è soltanto un registro ridotto. Copre solo 35 comuni del napoletano e la provincia di Salerno. Ne sono fuori comuni ad alto rischio come quelli dell’area giuglianese e dell’intera provincia di Caserta, devastate da una serie di sversatoi fuorilegge. Su sei milioni di campani, il registro ne copre meno di un milione. Ma non solo. Per carenze di risorse e a causa di software primordiali, dal 2007 fatica nel produrre dati utilizzabili, proprio in coincidenza con lo scoppio di alcune delle più gravi emergenze spazzatura (estate 2007 – dicembre-gennaio 2007-2008).

Quanto sarebbe necessario un registro più completo lo dimostrano i pochi dati disponibili, definiti “agghiaccianti”. Come ricorda l’avvocato Operato, “nel 2007 il tumore al colon-retto in Campania, reputato tumore ‘sentinella’ per tastare il polso all’incremento del tasso di incidenza tumori correlati all’inquinamento ambientale, raggiunge quota 3500 annui (10 nuovi casi al giorno”.

Del resto, che il registro in funzione fosse insufficiente di fronte all’emergenza rifiuti, fu proprio lagiunta Bassolino a scriverlo in una delibera del 17 luglio 2007, la numero 1293. “Nella Regione Campania, in relazione anche all’attuazione dei programmi legati alla risoluzione delle problematiche derivate dalla gestione dei rifiuti, è necessario ed improcrastinabile pianificare lo sviluppo di attività di sanità pubblica e sorveglianza epidemiologica dello stato di salute della popolazione, attraverso il potenziamento delle strutture ad esse dedicate, dotandole di risorse umane e strumentali adeguate”. E ancora: “Allo stato attuale in Campania non esiste un sistema di sorveglianza integrato salute-ambiente tale da consentire rapide valutazioni in campo di tutela della popolazione da rischi ambientali”.

Di qui la scelta di stanziare con la delibera 1293 circa 2 milioni e mezzo di euro per “ampliare la quota di popolazione coperta da registri tumori, in particolare estendendo l’osservazione allaprovincia di Caserta e all’intera provincia di Napoli”. Peccato che di quei fondi si siano perse le tracce. Lo ammettono candidamente l’ex assessore regionale alla Sanità AngeloMontemarano e il consigliere per la sanità del Governatore Stefano Caldoro, il parlamentareRaffaele Calabrò. Il registro tumori di fatto non c’è. E’ documentato in una delibera del commissario straordinario dell’Asl Napoli 3, datata 3 marzo 2010: “Tale finanziamento aggiuntivo – si legge – non ha trovato però, ancora al momento, posto nelle previsioni di spesa della Regione per gli anni 2008 e 2009, per cui non è al momento possibile programmare il potenziamento del registro tumori”.

Con quali conseguenze? “Devastanti – afferma la Operato – perché di fatto ha bloccato in un pantano senza vie d’uscita i risarcimenti connessi ai procedimenti penali già avviati in Campania per i reati di disastro ed epidemia colposa e riferite alle gestioni criminali di discariche abusive, alle modalità oscure di gestione delle stesse discariche legali e alle attività illecite di tumulazione e sversamento incontrollati di rifiuti tossici che appestano le falde acquifere e le coltivazioni ortofrutticole”.

A cominciare dall’inchiesta sui veleni della discarica di Pianura, per la quale il pm Stefania Budaha chiesto l’archiviazione. Motivazione? E’ impossibile stabilire un rapporto tra i casi di morte di cancro e gli sversamenti illegali dei fanghi e dei rifiuti tossici compiuti per oltre vent’anni nel buco nero della periferia napoletana. Gli avvocati Giovanni Copertino e Valerio De Maio, che seguono 22 parti lese tra parenti delle vittime e l’onlus Oceanus, hanno proposto opposizione per riaprire le indagini, il ricorso verrà discusso a novembre. Ma non è solo una questione di processi e risarcimenti: ”Questo accertamento scientifico mancato – afferma la Operato a proposito del registro tumori – avrebbe potuto orientare diversamente le scelte di politica ambientale sulla localizzazione delle discariche e degli inceneritori in termini di distanza rispetto ai luoghi residenziali ad alta densità abitativa”.


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Nella regione più devastata d'Italia non esiste l'unico strumento accettato dai tribunali per mettere in relazione le malattie tumorali con la presenza di discariche e sversatoi abusivi

Il registro dei tumori della regione Campania non è mai stato attivato. Per le strade di Terzigno ancora oggi la gente scende in strada in protesta contro l’apertura di una nuova discarica, ma nella regione dell’infinita emergenza rifiuti e degli sversamenti abusivi di fanghi tossici dimostrare una correlazione tra malattie e inquinamento non è possibile.

La scoperta del vuoto è merito di un meticoloso lavoro di ricerca fatto da Vittoria Operato, avvocato e consulente giuridico dell’Isde (Associazione Internazionale Medici per l’Ambiente). Uno strumento come il registro dei tumori è fondamentale per mettere in relazione, attraverso studi ufficiali, gli incrementi di casi di cancro con l’esposizione a ipotetici fattori di rischio.

In altre parole, senza il registro è impossibile stabilire una relazione, valida in tribunale, tra un’impennata di tumori su un certo territorio e la presenza nei paraggi di una discarica o di un sito di smaltimento di rifiuti tossici. A nulla servono sotto il profilo legale gli studi di scienziati indipendenti o le analisi epidemiologiche condotte da medici ed esperti che si battono contro l’inquinamento ambientale nella Regione. Può fare testo solo il registro tumori. Che in quasi tutte le regioni esiste. Ma non nella terra devastata dalla più grave emergenza rifiuti del dopoguerra, dove le cave hanno ingoiato per decenni le scorie delle fabbriche del Nord, dove quotidianamente si scoprono casi di inquinamento delle falde acquifere, e dove la spazzatura viene bruciata impunemente per strada lungo i vialoni dell’hinterland napoletano, sprigionando quantità industriali di diossine, come testimoniato da decine di video messi in rete dall’associazione “La Terra dei Fuochi”.

Quel poco che c’è è soltanto un registro ridotto. Copre solo 35 comuni del napoletano e la provincia di Salerno. Ne sono fuori comuni ad alto rischio come quelli dell’area giuglianese e dell’intera provincia di Caserta, devastate da una serie di sversatoi fuorilegge. Su sei milioni di campani, il registro ne copre meno di un milione. Ma non solo. Per carenze di risorse e a causa di software primordiali, dal 2007 fatica nel produrre dati utilizzabili, proprio in coincidenza con lo scoppio di alcune delle più gravi emergenze spazzatura (estate 2007 – dicembre-gennaio 2007-2008).

Quanto sarebbe necessario un registro più completo lo dimostrano i pochi dati disponibili, definiti “agghiaccianti”. Come ricorda l’avvocato Operato, “nel 2007 il tumore al colon-retto in Campania, reputato tumore ‘sentinella’ per tastare il polso all’incremento del tasso di incidenza tumori correlati all’inquinamento ambientale, raggiunge quota 3500 annui (10 nuovi casi al giorno”.

Del resto, che il registro in funzione fosse insufficiente di fronte all’emergenza rifiuti, fu proprio lagiunta Bassolino a scriverlo in una delibera del 17 luglio 2007, la numero 1293. “Nella Regione Campania, in relazione anche all’attuazione dei programmi legati alla risoluzione delle problematiche derivate dalla gestione dei rifiuti, è necessario ed improcrastinabile pianificare lo sviluppo di attività di sanità pubblica e sorveglianza epidemiologica dello stato di salute della popolazione, attraverso il potenziamento delle strutture ad esse dedicate, dotandole di risorse umane e strumentali adeguate”. E ancora: “Allo stato attuale in Campania non esiste un sistema di sorveglianza integrato salute-ambiente tale da consentire rapide valutazioni in campo di tutela della popolazione da rischi ambientali”.

Di qui la scelta di stanziare con la delibera 1293 circa 2 milioni e mezzo di euro per “ampliare la quota di popolazione coperta da registri tumori, in particolare estendendo l’osservazione allaprovincia di Caserta e all’intera provincia di Napoli”. Peccato che di quei fondi si siano perse le tracce. Lo ammettono candidamente l’ex assessore regionale alla Sanità AngeloMontemarano e il consigliere per la sanità del Governatore Stefano Caldoro, il parlamentareRaffaele Calabrò. Il registro tumori di fatto non c’è. E’ documentato in una delibera del commissario straordinario dell’Asl Napoli 3, datata 3 marzo 2010: “Tale finanziamento aggiuntivo – si legge – non ha trovato però, ancora al momento, posto nelle previsioni di spesa della Regione per gli anni 2008 e 2009, per cui non è al momento possibile programmare il potenziamento del registro tumori”.

Con quali conseguenze? “Devastanti – afferma la Operato – perché di fatto ha bloccato in un pantano senza vie d’uscita i risarcimenti connessi ai procedimenti penali già avviati in Campania per i reati di disastro ed epidemia colposa e riferite alle gestioni criminali di discariche abusive, alle modalità oscure di gestione delle stesse discariche legali e alle attività illecite di tumulazione e sversamento incontrollati di rifiuti tossici che appestano le falde acquifere e le coltivazioni ortofrutticole”.

A cominciare dall’inchiesta sui veleni della discarica di Pianura, per la quale il pm Stefania Budaha chiesto l’archiviazione. Motivazione? E’ impossibile stabilire un rapporto tra i casi di morte di cancro e gli sversamenti illegali dei fanghi e dei rifiuti tossici compiuti per oltre vent’anni nel buco nero della periferia napoletana. Gli avvocati Giovanni Copertino e Valerio De Maio, che seguono 22 parti lese tra parenti delle vittime e l’onlus Oceanus, hanno proposto opposizione per riaprire le indagini, il ricorso verrà discusso a novembre. Ma non è solo una questione di processi e risarcimenti: ”Questo accertamento scientifico mancato – afferma la Operato a proposito del registro tumori – avrebbe potuto orientare diversamente le scelte di politica ambientale sulla localizzazione delle discariche e degli inceneritori in termini di distanza rispetto ai luoghi residenziali ad alta densità abitativa”.


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venerdì 29 ottobre 2010

Su "La Gazzetta dello Sport": ITALIA UNITA, IN LIBRERIA VA UNA STORIA DIVERSA. Con intervista a Gigi Di Fiore.




Per leggere fare click sull'immagine


Fonte:Gazzetta dello Sport del 28/10/2010 pag. 37
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Fonte:Gazzetta dello Sport del 28/10/2010 pag. 37
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Callipo Pippo intervistato da Franco Calderone 27 10 2010 Pizzo Calabro


http://www.youtube.com/watch?v=hn8m3IPPdNQ
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http://www.youtube.com/watch?v=hn8m3IPPdNQ

giovedì 28 ottobre 2010

Dopo i fondi Fas anche gli Incentivi 488 spostati da Sud a Nord

Di Valerio Rizzo

Dopo i fondi Fas anche gli Incentivi 488 spostati da Sud a Nord

ROMA – Ancora non sono finite le polemiche per i famosi fondi Fas, i fondi europei per lo sviluppo del Mezzogiorno, che il governo ha spostato da sud a nord per finanziare grandi opere ed aziende settentrionali e addirittura per pagare le multe sulle quote latte degli allevatori veneti.



Ma ecco che scoppia un nuovo caso: stiamo parlando dei cosiddetti “incentivi 488” chiamati così poiché prendono il nome dalla legge che li ha generati.
Tali aiuti economici furono rinnovati dal Governo Prodi, nel 2008, che introdusse anche un controllo governativo sulla spesa.
Questi fondi, destinati al Sud, per un totale di 150 milioni, dovevano servire per sviluppare e incentivare l’industria meridionale, e invece hanno preso tutt’altra direzione!
Il governo ha deciso di destinarli non solo all’industria del Nord, ma anche per il finanziamento dell’industria bellica degli armamenti.
Le regioni che riceveranno questo “regalo” sono la Lombardia e il Veneto.
Ma cosa è successo? Il 4 maggio del 2010, il giorno in cui il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, aveva lasciato il suo incarico a causa dello scandalo sulla casa al Colosseo, firmò anche di fretta e furia tale decreto che poi fu regolarmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 settembre scorso.
Perché sottrarre questi fondi che erano stati destinati allo sviluppo del Mezzogiorno?
Pino Aprile nel suo libro “Terroni” parla continuamente di fondi e investimenti che da 150 anni vengono dirottati nelle regioni del Centro-Nord a discapito del Sud; l’interrogativo è: siamo sicuri che convenga alla “Padania” separarsi dal resto del Paese?

Fonte:Infooggi
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Di Valerio Rizzo

Dopo i fondi Fas anche gli Incentivi 488 spostati da Sud a Nord

ROMA – Ancora non sono finite le polemiche per i famosi fondi Fas, i fondi europei per lo sviluppo del Mezzogiorno, che il governo ha spostato da sud a nord per finanziare grandi opere ed aziende settentrionali e addirittura per pagare le multe sulle quote latte degli allevatori veneti.



Ma ecco che scoppia un nuovo caso: stiamo parlando dei cosiddetti “incentivi 488” chiamati così poiché prendono il nome dalla legge che li ha generati.
Tali aiuti economici furono rinnovati dal Governo Prodi, nel 2008, che introdusse anche un controllo governativo sulla spesa.
Questi fondi, destinati al Sud, per un totale di 150 milioni, dovevano servire per sviluppare e incentivare l’industria meridionale, e invece hanno preso tutt’altra direzione!
Il governo ha deciso di destinarli non solo all’industria del Nord, ma anche per il finanziamento dell’industria bellica degli armamenti.
Le regioni che riceveranno questo “regalo” sono la Lombardia e il Veneto.
Ma cosa è successo? Il 4 maggio del 2010, il giorno in cui il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, aveva lasciato il suo incarico a causa dello scandalo sulla casa al Colosseo, firmò anche di fretta e furia tale decreto che poi fu regolarmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 17 settembre scorso.
Perché sottrarre questi fondi che erano stati destinati allo sviluppo del Mezzogiorno?
Pino Aprile nel suo libro “Terroni” parla continuamente di fondi e investimenti che da 150 anni vengono dirottati nelle regioni del Centro-Nord a discapito del Sud; l’interrogativo è: siamo sicuri che convenga alla “Padania” separarsi dal resto del Paese?

Fonte:Infooggi
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Opinioni su Terzigno


Riportiamo i pensieri puntuali e da noi condivisi di Beppe Grillo, del nostro Segretario Organizzativo Enzo Riccio, di Andrea Balìa del PdSud Napoli e pienamente sposati e sottoscritti anche dal nostro Segretario Nazionale Beppe De Santis.

“Ogni Nazione al tramonto ha i suoi simboli, qualcosa che ne rappresenta l'epitaffio. L'Italia ha la spazzatura e i manganelli. Le due parole più frequenti nel nostro lessico quotidiano. Quando ci ricorderemo della dissoluzione della Seconda Repubblica sentiremo il puzzo delle discariche e rivedremo il sangue dei manifestanti. A Terzigno e a Boscoreale vengono inseguiti con i manganelli dei cittadini italiani. A picchiare uomini e donne con le mani alzate non sono pericolosi extracomunitari e neppure camorristi, ma persone pagate dagli italiani per difendere quegli stessi uomini e donne. Le discariche, trasformate in un problema di ordine pubblico, derivano in realtà da corruzione, cattiva amministrazione, menefreghismo totale del territorio da parte dei politici. Di tutti i politici... ogni distinzione a questo punto tra un Bersani e un Berlusconi, tra un De Luca e un Caldoro, è una presa per il culo. La raccolta differenziata e il riciclaggio delle materie prime, acqua, vetro, plastica e l'utilizzo del resto per il compostaggio non è impossibile, semplicemente non lo si vuole fare. Non sono i campani a puzzare, ad essere incivili, ma il Parlamento, il governo, la Regione Campania, la Confindustria degli inceneritori.
Costi quel che costi si sverserà, si manganellerà.” (Beppe Grillo)

“l'intreccio perverso tra incapacità amministrative ed interessi politico-camorristici-imprenditoria del nord ha fatto precipitare Napoli e la sua provincia in questo baratro senza fine. Destra e sinistra hanno fallito, Bassolino ha fallito e Berlusconi ha fallito, Caldoro ha fallito e la Jervolino ha fallito. Impregilo ha fallito. Diciamolo chiaramente, questo problema ha un'origine antica di almeno 20 anni ed una lunga schiera di colpevoli, tra politici di ogni colore, industriali, commissari e "tecnici".
la ricetta di "discariche ed inceneritori" e' fallita, l'avevamo detto in passato che non era la soluzione "strutturale" del problema, come hanno capito da tempo in tutti i paesi avanzati e come del resto raccomanda la stessa Unione Europea con la politica delle 3 R (Riduzione, Riciclaggio, Riutilizzo), ma e' stata sempre giustificata dalla logica dell' "emergenza", una logica perversa che da un lato impedisce una progettazione seria ed una politica di raccolta differenziata e dall'altro favorisce industriali del Nord coi loro interessi nel campo degli inceneritori, dalla Marcegaglia ad Impregilo fino alla A2A lombarda...
E se nel 1860 si mandarono dei criminali come Cialdini a sparare anche su vecchi, donne e bambini, a bruciare paesi, a sterminare centinaia di migliaia di meridionali con la scusa di "dover debellare il triste fenomeno del brigantaggio"...oggi si manganella contro un popolo che manifesta pacificamente, si sparano lacrimogeni ad altezza uomo, si massacra "in nome della legge", in nome della "ragion di Stato"! Ma perchè "la legge" , "lo Stato" , in questo paese dei "fratelli d'Italia" è sempre contro il popolo del Sud??? Come faranno i figli di quelle persone sanguinanti ad avere "fiducia", ad avere "il senso dello Stato"???
Noi del PdSud che ci consideriamo eredi di quei nostri briganti di ieri, siamo anche a fianco dei "briganti" di oggi di Terzigno che chiedono solo di poter avere una vita normale e di non dover convivere con due discariche puzzolenti (la seconda, ancora da realizzare, sarà nel Parco Naturale del Vesuvio!!!), di non assistere alla crescita di malattie tumorali e al triste destino di essere sempre la discarica del resto del paese che non vuole e che non sa vedere.” (Enzo Riccio)

B & C : Bertolaso, Berlusconi, Bassolino, Caldoro, Cosentino. Ovvero Buffoni e Cialtroni. Come prendere in giro un popolo, passarsi la palla su di un problema di una gravità inaudita : la salute della povera gente messa a rischio dalla scellerata gestione del problema rifiuti. Terzigno è l’ultima tappa di questo percorso diabolico.
Ci conforta un credo ed una speranza : resta poco tempo a questi signori (sic!) prima che un Sud degnamente rappresentato politicamente non “spazzi” ( e questa volta mai termine fu più tristemente più appropriato!) definitivamente le nostre terre dalle loro nefaste presenze! (Andrea Balìa)

Beppe De Santis Segretario Nazionale del Partito del Sud
Andrea Balìa Responsabile Regionale Campania Partito del Sud

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Riportiamo i pensieri puntuali e da noi condivisi di Beppe Grillo, del nostro Segretario Organizzativo Enzo Riccio, di Andrea Balìa del PdSud Napoli e pienamente sposati e sottoscritti anche dal nostro Segretario Nazionale Beppe De Santis.

“Ogni Nazione al tramonto ha i suoi simboli, qualcosa che ne rappresenta l'epitaffio. L'Italia ha la spazzatura e i manganelli. Le due parole più frequenti nel nostro lessico quotidiano. Quando ci ricorderemo della dissoluzione della Seconda Repubblica sentiremo il puzzo delle discariche e rivedremo il sangue dei manifestanti. A Terzigno e a Boscoreale vengono inseguiti con i manganelli dei cittadini italiani. A picchiare uomini e donne con le mani alzate non sono pericolosi extracomunitari e neppure camorristi, ma persone pagate dagli italiani per difendere quegli stessi uomini e donne. Le discariche, trasformate in un problema di ordine pubblico, derivano in realtà da corruzione, cattiva amministrazione, menefreghismo totale del territorio da parte dei politici. Di tutti i politici... ogni distinzione a questo punto tra un Bersani e un Berlusconi, tra un De Luca e un Caldoro, è una presa per il culo. La raccolta differenziata e il riciclaggio delle materie prime, acqua, vetro, plastica e l'utilizzo del resto per il compostaggio non è impossibile, semplicemente non lo si vuole fare. Non sono i campani a puzzare, ad essere incivili, ma il Parlamento, il governo, la Regione Campania, la Confindustria degli inceneritori.
Costi quel che costi si sverserà, si manganellerà.” (Beppe Grillo)

“l'intreccio perverso tra incapacità amministrative ed interessi politico-camorristici-imprenditoria del nord ha fatto precipitare Napoli e la sua provincia in questo baratro senza fine. Destra e sinistra hanno fallito, Bassolino ha fallito e Berlusconi ha fallito, Caldoro ha fallito e la Jervolino ha fallito. Impregilo ha fallito. Diciamolo chiaramente, questo problema ha un'origine antica di almeno 20 anni ed una lunga schiera di colpevoli, tra politici di ogni colore, industriali, commissari e "tecnici".
la ricetta di "discariche ed inceneritori" e' fallita, l'avevamo detto in passato che non era la soluzione "strutturale" del problema, come hanno capito da tempo in tutti i paesi avanzati e come del resto raccomanda la stessa Unione Europea con la politica delle 3 R (Riduzione, Riciclaggio, Riutilizzo), ma e' stata sempre giustificata dalla logica dell' "emergenza", una logica perversa che da un lato impedisce una progettazione seria ed una politica di raccolta differenziata e dall'altro favorisce industriali del Nord coi loro interessi nel campo degli inceneritori, dalla Marcegaglia ad Impregilo fino alla A2A lombarda...
E se nel 1860 si mandarono dei criminali come Cialdini a sparare anche su vecchi, donne e bambini, a bruciare paesi, a sterminare centinaia di migliaia di meridionali con la scusa di "dover debellare il triste fenomeno del brigantaggio"...oggi si manganella contro un popolo che manifesta pacificamente, si sparano lacrimogeni ad altezza uomo, si massacra "in nome della legge", in nome della "ragion di Stato"! Ma perchè "la legge" , "lo Stato" , in questo paese dei "fratelli d'Italia" è sempre contro il popolo del Sud??? Come faranno i figli di quelle persone sanguinanti ad avere "fiducia", ad avere "il senso dello Stato"???
Noi del PdSud che ci consideriamo eredi di quei nostri briganti di ieri, siamo anche a fianco dei "briganti" di oggi di Terzigno che chiedono solo di poter avere una vita normale e di non dover convivere con due discariche puzzolenti (la seconda, ancora da realizzare, sarà nel Parco Naturale del Vesuvio!!!), di non assistere alla crescita di malattie tumorali e al triste destino di essere sempre la discarica del resto del paese che non vuole e che non sa vedere.” (Enzo Riccio)

B & C : Bertolaso, Berlusconi, Bassolino, Caldoro, Cosentino. Ovvero Buffoni e Cialtroni. Come prendere in giro un popolo, passarsi la palla su di un problema di una gravità inaudita : la salute della povera gente messa a rischio dalla scellerata gestione del problema rifiuti. Terzigno è l’ultima tappa di questo percorso diabolico.
Ci conforta un credo ed una speranza : resta poco tempo a questi signori (sic!) prima che un Sud degnamente rappresentato politicamente non “spazzi” ( e questa volta mai termine fu più tristemente più appropriato!) definitivamente le nostre terre dalle loro nefaste presenze! (Andrea Balìa)

Beppe De Santis Segretario Nazionale del Partito del Sud
Andrea Balìa Responsabile Regionale Campania Partito del Sud

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La Campania si sta "incendiando" e il Procuratore Mancuso difende i manifestanti di Terzigno


La Campania si sta La Campania si sta

Di Valerio Rizzo

NAPOLI – I riflettori dei media nazionali sembrano essersi spenti sulla crisi dei rifiuti di Terzigno. Ormai non fa più notizia, poiché da qualche giorno vi è una calma surreale, si tende più a dare risalto alle novità di “gossip del terrore” su Avetrana oppure alle solite polemiche politiche sui vari “Lodi”.
Al contrario, media indipendenti, comitati, gruppi musicali campani stanno facendo in rete un tam-tam continuo di informazioni.


Facebook è il protagonista di questa protesta e diffusione di notizie, nella “bacheca” di una giornalista free-lance, Roberta Lemma, c’è un continuo aggiornamento di notizie provenienti direttamente dalla Rotonda di Terzigno, la zona simbolo della lotta dei cittadini.
Ma non solo, anche molti artisti stanno scendendo in campo e hanno indetto per il 1° novembre la protesta musicale e artistica per il paese campano.
Inoltre numerosi comitati cittadini hanno organizzato per il 30 ottobre una grande manifestazione generale contro le discariche nel Parco Nazionale del Vesuvio.
Nel documento si legge: “i 18 comuni vesuviani si incontreranno dopo le 17 alla rotonda in via Panoramica a Terzigno”, parteciperanno i sindaci e le associazioni di Boscotrecase e Boscoreale.
L’intento dei promotori è di costruire un presidio permanente che tenga alta l'attenzione sul problema campano.
La Campania dunque ribolle e molti sono pronti a giurare che da decenni non si vedeva un fermento così.
Intanto mentre il ministro Prestigiacomo butta benzina sul fuoco affermando che si deve aprire la seconda discarica, al contrario il Procuratore Generale di Nola, che ha la competenza su Terzigno, Paolo Mancuso, durante un’intervista a Repubblica afferma: “"Sono esasperati, basta con la provincializzazione del ciclo dei rifiuti, nel resto della regione ci sono spazi enormi e poco abitati utili per lo scopo" e poi aggiunge: “Cava Sari è allo stremo. Cava Vitiello non è pronta e non lo sarà prima di molto tempo. Allo stato attuale è solo uno dei buchi più grandi d’Europa. Non so come mai, pur essendo stata individuata da quasi due anni, non abbia ancora ricevuto un solo intervento di trasformazione. L’Europa ci dice che Terzigno non è più una soluzione, che bisogna cercare altrove. Il sottosegretario Bertolaso è certo di dimostrare che le informazioni su cui è fondato quel giudizio sono sbagliate. Spero e credo che riuscirà a dimostrarlo; il problema è che invece non credo che la cittadinanza, stanca com’è, sia disposta ad aprirgli nuovo credito”.
Mancuso, ex capo dell’anticamorra e profondo conoscitore del territorio, alla domanda del giornalista di Repubblica: “Se lei vivesse lì, cosa farebbe?” ha risposto: “Io penso che quella gente sia esasperata. Penso che non ne può più. Penso che due enormi discariche in un piccolo paese non siano sopportabili per nessuno”. Parole di giudice!

Fonte:Infooggi

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La Campania si sta La Campania si sta

Di Valerio Rizzo

NAPOLI – I riflettori dei media nazionali sembrano essersi spenti sulla crisi dei rifiuti di Terzigno. Ormai non fa più notizia, poiché da qualche giorno vi è una calma surreale, si tende più a dare risalto alle novità di “gossip del terrore” su Avetrana oppure alle solite polemiche politiche sui vari “Lodi”.
Al contrario, media indipendenti, comitati, gruppi musicali campani stanno facendo in rete un tam-tam continuo di informazioni.


Facebook è il protagonista di questa protesta e diffusione di notizie, nella “bacheca” di una giornalista free-lance, Roberta Lemma, c’è un continuo aggiornamento di notizie provenienti direttamente dalla Rotonda di Terzigno, la zona simbolo della lotta dei cittadini.
Ma non solo, anche molti artisti stanno scendendo in campo e hanno indetto per il 1° novembre la protesta musicale e artistica per il paese campano.
Inoltre numerosi comitati cittadini hanno organizzato per il 30 ottobre una grande manifestazione generale contro le discariche nel Parco Nazionale del Vesuvio.
Nel documento si legge: “i 18 comuni vesuviani si incontreranno dopo le 17 alla rotonda in via Panoramica a Terzigno”, parteciperanno i sindaci e le associazioni di Boscotrecase e Boscoreale.
L’intento dei promotori è di costruire un presidio permanente che tenga alta l'attenzione sul problema campano.
La Campania dunque ribolle e molti sono pronti a giurare che da decenni non si vedeva un fermento così.
Intanto mentre il ministro Prestigiacomo butta benzina sul fuoco affermando che si deve aprire la seconda discarica, al contrario il Procuratore Generale di Nola, che ha la competenza su Terzigno, Paolo Mancuso, durante un’intervista a Repubblica afferma: “"Sono esasperati, basta con la provincializzazione del ciclo dei rifiuti, nel resto della regione ci sono spazi enormi e poco abitati utili per lo scopo" e poi aggiunge: “Cava Sari è allo stremo. Cava Vitiello non è pronta e non lo sarà prima di molto tempo. Allo stato attuale è solo uno dei buchi più grandi d’Europa. Non so come mai, pur essendo stata individuata da quasi due anni, non abbia ancora ricevuto un solo intervento di trasformazione. L’Europa ci dice che Terzigno non è più una soluzione, che bisogna cercare altrove. Il sottosegretario Bertolaso è certo di dimostrare che le informazioni su cui è fondato quel giudizio sono sbagliate. Spero e credo che riuscirà a dimostrarlo; il problema è che invece non credo che la cittadinanza, stanca com’è, sia disposta ad aprirgli nuovo credito”.
Mancuso, ex capo dell’anticamorra e profondo conoscitore del territorio, alla domanda del giornalista di Repubblica: “Se lei vivesse lì, cosa farebbe?” ha risposto: “Io penso che quella gente sia esasperata. Penso che non ne può più. Penso che due enormi discariche in un piccolo paese non siano sopportabili per nessuno”. Parole di giudice!

Fonte:Infooggi

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mercoledì 27 ottobre 2010

I fondi per l’industria? Dal Sud vanno a Nord

Un decreto governativo sposta gli incentivi «488»
per finanziare imprese settentrionali e armamenti

Di Emanuele Imperiali

NAPOLI - Serviranno perfino per finanziare l’industria bellica degli armamenti. Un terzo degli oltre 150 milioni di euro stanziati dalla legge 488 per le agevolazioni alle imprese nelle aree meridionali e mai utilizzati dal ministero dello Sviluppo Economico sono stati destinati a quest'obiettivo, legittimo per carità, ma che nulla ha a che vedere con le politiche per il Sud. E gli altri 100? Circa cinquanta sono stati attribuiti alla programmazione negoziata nelle aree del Centro Nord. Il rimanente terzo non ha una esplicita destinazione di spesa, ma sarebbe stato suddiviso tra fondi per le televisioni locali e perfino per piccoli interventi nelle zone del Veneto e della Lombardia. Spulciando tra i decreti pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale ne è spuntato, infatti, uno dal titolo criptico «Accertamento delle economie derivanti da rinuncia e revoche di iniziative imprenditoriali agevolate dalla legge 488 e destinazione per finalità di cui alla legge 237». Che vuol dire fuori dal burocratese? La legge 237 del 1993 aveva avuto una copertura finanziaria fino al 2001 e doveva essere rifinanziata: dove pescare le risorse necessarie? Il 4 maggio del 2010, giorno delle dimissioni del ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola ( nella foto in alto) per la nota vicenda della casa di Roma, l’esponente governativo, prima di fare il trasloco dal palazzone di via Veneto, firma le ultime carte accatastate sulla sua scrivania. Tra queste c’è il decreto in oggetto, che, però, verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale molto dopo, il 17 settembre, quando l’interim del dicastero è nelle mani di Silvio Berlusconi. L’interrogativo è: perché sottrarre questi fondi che erano stati destinati allo sviluppo del Mezzogiorno alla loro naturale finalità, magari, spostandoli ad altri capitoli di spesa finalizzati ai territori meridionali, rimasti nel frattempo a secco? Primo tra tutti i crediti d’imposta per nuovi investimenti o per occupazione aggiuntiva. Una misura che fu introdotta dal Governo di centro sinistra ma che ha sempre trovato una positiva accoglienza anche negli ambienti del centro destra: tutti convinti che, a differenza delle vecchie agevolazioni monetarie della 488, che prestavano il fianco a discrezionalità decisionali e in molti casi si sono rivelate inutili, se non addirittura fuorvianti perchè finiti nelle mani di falsi imprenditori, i crediti d’imposta funzionino molto meglio. Sia perchè si tratta di strumenti automatici, sia perchè sono immediatamente utilizzabili dalle imprese con l’annuale denunzia dei redditi, sia perchè mirati a chiari ed inequivocabili obiettivi di crescita, come sono gli investimenti aggiuntivi nelle aree meridionali e la creazione di nuova occupazione nei territori del Sud. La vecchia legge 488, invece, aveva finito per dirottare verso le zone in via di sviluppo fiumi di denaro che, come molte indagini delle Guardia della Finanza e della stessa Commissione europea hanno messo in luce, o sono stati spesi per finalità che non avevano alcuna valenza produttiva, o addirittura hanno ingrassato la malavita organizzata. Eppure, come ricordano gli economisti de lavoce.info che hanno analizzato a lungo i conti dello Stato e ilmodo in cui le risorse pubbliche sono spesso spostate da un capitolo di spesa a un altro, c’è una norma contenuta nella Finanziaria 2008, messa a punto dal Governo Prodi, che aveva disposto il monitoraggio annuale dei soldi rimasti derivanti dalle revoche di vecchi incentivi, allora ammontanti a 785 milioni.


Fonte:Corriere del Mezzogiorno


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Un decreto governativo sposta gli incentivi «488»
per finanziare imprese settentrionali e armamenti

Di Emanuele Imperiali

NAPOLI - Serviranno perfino per finanziare l’industria bellica degli armamenti. Un terzo degli oltre 150 milioni di euro stanziati dalla legge 488 per le agevolazioni alle imprese nelle aree meridionali e mai utilizzati dal ministero dello Sviluppo Economico sono stati destinati a quest'obiettivo, legittimo per carità, ma che nulla ha a che vedere con le politiche per il Sud. E gli altri 100? Circa cinquanta sono stati attribuiti alla programmazione negoziata nelle aree del Centro Nord. Il rimanente terzo non ha una esplicita destinazione di spesa, ma sarebbe stato suddiviso tra fondi per le televisioni locali e perfino per piccoli interventi nelle zone del Veneto e della Lombardia. Spulciando tra i decreti pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale ne è spuntato, infatti, uno dal titolo criptico «Accertamento delle economie derivanti da rinuncia e revoche di iniziative imprenditoriali agevolate dalla legge 488 e destinazione per finalità di cui alla legge 237». Che vuol dire fuori dal burocratese? La legge 237 del 1993 aveva avuto una copertura finanziaria fino al 2001 e doveva essere rifinanziata: dove pescare le risorse necessarie? Il 4 maggio del 2010, giorno delle dimissioni del ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola ( nella foto in alto) per la nota vicenda della casa di Roma, l’esponente governativo, prima di fare il trasloco dal palazzone di via Veneto, firma le ultime carte accatastate sulla sua scrivania. Tra queste c’è il decreto in oggetto, che, però, verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale molto dopo, il 17 settembre, quando l’interim del dicastero è nelle mani di Silvio Berlusconi. L’interrogativo è: perché sottrarre questi fondi che erano stati destinati allo sviluppo del Mezzogiorno alla loro naturale finalità, magari, spostandoli ad altri capitoli di spesa finalizzati ai territori meridionali, rimasti nel frattempo a secco? Primo tra tutti i crediti d’imposta per nuovi investimenti o per occupazione aggiuntiva. Una misura che fu introdotta dal Governo di centro sinistra ma che ha sempre trovato una positiva accoglienza anche negli ambienti del centro destra: tutti convinti che, a differenza delle vecchie agevolazioni monetarie della 488, che prestavano il fianco a discrezionalità decisionali e in molti casi si sono rivelate inutili, se non addirittura fuorvianti perchè finiti nelle mani di falsi imprenditori, i crediti d’imposta funzionino molto meglio. Sia perchè si tratta di strumenti automatici, sia perchè sono immediatamente utilizzabili dalle imprese con l’annuale denunzia dei redditi, sia perchè mirati a chiari ed inequivocabili obiettivi di crescita, come sono gli investimenti aggiuntivi nelle aree meridionali e la creazione di nuova occupazione nei territori del Sud. La vecchia legge 488, invece, aveva finito per dirottare verso le zone in via di sviluppo fiumi di denaro che, come molte indagini delle Guardia della Finanza e della stessa Commissione europea hanno messo in luce, o sono stati spesi per finalità che non avevano alcuna valenza produttiva, o addirittura hanno ingrassato la malavita organizzata. Eppure, come ricordano gli economisti de lavoce.info che hanno analizzato a lungo i conti dello Stato e ilmodo in cui le risorse pubbliche sono spesso spostate da un capitolo di spesa a un altro, c’è una norma contenuta nella Finanziaria 2008, messa a punto dal Governo Prodi, che aveva disposto il monitoraggio annuale dei soldi rimasti derivanti dalle revoche di vecchi incentivi, allora ammontanti a 785 milioni.


Fonte:Corriere del Mezzogiorno


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La denuncia di Padre Alex Zanotelli su Terzigno, dall'Infedele del 25-10-2010


http://www.youtube.com/watch?v=6TnjSivMlPA

La denuncia di Padre Alex Zanotelli su Terzigno, dall'Infedele del 25-10-2010:
"...tanto di cappello direi alle mamme vulcaniche che hanno inventato di tutto per gridare la loro voglia di vivere, che lottano per i loro figli e il futuro di quella terra... io voglio ringraziare il popolo dei paesi vesuviani perché finalmente ha riportato a galla il bubbone dei rifiuti che noi viviamo a Napoli... l'80% in più dei tumori... Bertolaso è parte del problema che deve essere risolto..."


http://www.youtube.com/watch?v=F2xKfresEro&feature=sub


http://espresso.repubblica.it/dettagl...

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http://www.youtube.com/watch?v=6TnjSivMlPA

La denuncia di Padre Alex Zanotelli su Terzigno, dall'Infedele del 25-10-2010:
"...tanto di cappello direi alle mamme vulcaniche che hanno inventato di tutto per gridare la loro voglia di vivere, che lottano per i loro figli e il futuro di quella terra... io voglio ringraziare il popolo dei paesi vesuviani perché finalmente ha riportato a galla il bubbone dei rifiuti che noi viviamo a Napoli... l'80% in più dei tumori... Bertolaso è parte del problema che deve essere risolto..."


http://www.youtube.com/watch?v=F2xKfresEro&feature=sub


http://espresso.repubblica.it/dettagl...

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La mia C.A.S.A. nel progetto C.A.S.E.

Di Giusi Pitari

Costata la bellezza di 2700 Euro a metro quadro (più o meno) la mia casa non è affatto di lusso. Non che la volessi, anzi, ma sapere di averne lasciata una, causa terremoto, che ne valeva (prezzo di mercato, non di costo) circa 2000 (sempre a metro quadro), con rifiniture di pregio e tutti i confort, mi rende nervosa. Specie se penso che chi mi legge può prendermi per una che si lagna, che non ha capito la tragedia o, peggio, che non meritava di avere questo appartamento.
Ancora più nervosa divento, quando leggo che qui a L’Aquila si è compiuto un miracolo, quando l’unico miracolo che si è riusciti a fare è stato far credere che ci sia stato veramente.
Oggi pubblico alcune foto che riguardano la mia (????) C.A.S.A.
La prima vi fa vedere come, per entrare a casa si può usare anche il balcone. La scala di legno, infatti, è facilmente “percorribile” e altrettanto lo sono i nostri balconi, assolutamente insicuri se in casa si hanno bambini o … persone depresse [:-))].
Le seconde due riguardano sempre i balconi della mia palazzina che sono tutti di legno, ancorati ai muri esterni con le viti che potete ammirare nella prima foto. Nella seconda foto c’è qualcosa che non va: la piastra di acciaio si sta staccando dal muro. L’ho segnalato, ma nessuno è venuto a controllare.

Segue l’interno della mia (???) C.A.S.A. con le infiltrazioni di acqua all’ingresso e al bagno (le tre foto seguenti). A volte l’acqua gocciola copiosa (per fortuna acqua pulita). Ho segnalato da tempo questo difetto, ma nulla, ancora nulla.

Sempre nel bagno (che è cieco) ho la bellezza di 5 faretti. I due sovrastanti lo specchio non funzionano. A nulla è servito il cambio delle lampadine. Quando ho ricevuto la visita degli elettricisti (rigorosamente non aquilani) mi hanno detto che non c’è nulla da fare: i bagni sono prefabbricati e sono stati calati nella struttura dell’appartamento.

Il quadro elettrico che riguarda quei faretti è stato murato, quindi è inaccessibile.
In cucina, dopo soli 30 giorni, è saltata l’accensione elettrica dei fornelli, anche lì ho segnalato, ma non c’è nulla da fare.

Per evitare di avere odori di cucina in casa devo tenere la cappa aspirante sempre in funzione, persino se non cucino: gli odori dei vicini arrivano dritti dritti nella mia sala-cucina dove, peraltro, dorme mio figlio. In estate ho staccato la spina del frigorifero per sbrinarlo e non sono riuscita a reinserirla: il frigo è attaccato al muro e la spina è parzialmente coperta dal frigo stesso. Mi sono arrangiata con una connessione volante. Alcuni tecnici son venuti, più volte, a casa a rinforzare le viti che tengono appesi al muro i pensili della cucina: in ultimo hanno inchiodato alla base degli stessi una barra di acciaio. In alcuni appartamenti, infatti, i suddetti pensili si sono staccati improvvisamente, il che non è esattamente ciò che ci si aspetta da una cucina nuova e nemmeno da una vecchia.

Riguardo invece l’esterno ho da segnalare che non è stato montato l’impianto fotovoltaico. Avevano cominciato lo scorso anno, poi nevicò e andarono via.
Sulle scale (che sono all’aperto, praticamente) di tutta fretta è stata montata una tettoietta, perchè alla prima gelata, le scale sono divenute uno scivolo di ghiaccio (nella foto la tettoietta, appunto):
In ultimo una chicca: la foto seguente è una sedia [di Silvio :-) )] che sta in balcone. Sui balconi piove perchè sono fatti di stecche di legno con fessure: così a me piove l’acqua dopo che ha lavato i balconi dell’appartamento di sopra. E l’acqua che piove è marrone, come vedete. Immaginate i panni stesi se improvvisamente piove!!
Per informazioni dettagliate leggete qui : vi troverete i costi del progetto C.A.S.E., dettagliati e vi accorgerete che ci hanno persino fornito i portachiavi e che le cassette per le lettere dovrebbero anch’esse essere di lusso (non allego foto per decenza):

Un miracolo, un vero miracolo!!
In ultimo: le mie lamentele riguardano lo sperpero di soldi, la decisione calata dall’alto di dotarci di questi appartamenti ridisegnando il territorio, nostro malgrado. Per il resto devo ritenermi fortunata: ci sono ancora persone senza tetto e migliaia di cittadini che non riescono a rientrare nelle proprie case anche se i danni, causati dal terremoto, non sono stati propriamente ingenti.


Fonte: 6 Aprile.it

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L'Aquila dimenticata

Dopo il sisma dispersione e depressione. Lo psicologo: «Troppi suicidi e psicofarmaci»

Da lunedì 25 ottobre a venerdì 29 ottobre: ogni giorno on line su Corriere.it una puntata del videoreportage su L'Aquila realizzato dal giornalista Ruben H.Oliva. Un viaggio per capire a che punto siamo con la ricostruzione da quel 6 aprile del 2009 che portò morte e distruzione. Un viaggio per cogliere umori, sensazioni, speranze e delusioni.


L'AQUILA - Domenico ti fulmina con lo sguardo mentre cammina sul cumulo di macerie in cui un tempo c’era Tempera, il suo paese. Non si è ancora rassegnato, ma l’esperienza di questi ultimi diciotto mesi gli ha fatto perdere ogni fiducia nello stato italiano. Don Giovanni Gatto, parroco di Tempera, mentre racconta come sia riuscito a salvarsi per miracolo, indica con tristezza la montagna di pietre ed erbacce che ha presso il posto della sua chiesa.

Lungo le statali che avvolgono l’Aquila, i cartelli con i nomi di paesi e borghi fantasmi sono tanti. Basta abbandonare l’asfalto e inoltrarsi lungo strade sterrate per assistere ad uno spettacolo agghiacciante, diventato ormai normale. Poltrone, televisori, resti di bagni e cucine, spuntano tra i detriti per raccontare come un tempo in questi luoghi c’era la vita. Il signor Maurizi, orgoglioso proprietario del albergo ristorante “La cabina” di Castelnuovo, si è dovuto costruire a spese sue una baracca di legno sul bordo della strada. Il nuovo e precario bar si chiama «La cabina 2» e dista pochi passi dai resti della struttura precedente. Ora Maurizi tira a campare immerso nei debiti: il sima ha raso al suolo i sacrifici di tre generazioni d’emigranti in america e in Germania.

Benvenuti ad un Aquila di cui tanto si è parlato e poco si è visto, diventata drammatico bottino della politica. Nel centro storico della città abruzzese, ci si aspetta di vedere o sentire l’assordante rumore di ruspe o il movimento di camion e gru. Invece niente, un silenzio innaturale ti accompagna mentre cammini nei vicoli di quello che rimane del bellissimo centro storico.

Le new town, piccoli quartieri di case nuove, costruite a peso d'oro, stonano con il paesaggio circostante. Chi ha avuto la fortuna di finire in questi quartieri inizia a intuire che ci dovrà rimanere, se tutto va bene, almeno 30 anni. Le case consegnate personalmente dal premier Berlusconi, appena ci si entra, appaiono molto diverse da come le abbiamo viste in televisione. Sono piccole e di mura sottili. Come spiega un terremotato «dopo mesi in tenda pure una baracca ti sarebbe sembrata una reggia».

L’Aquila appare molto diversa da quella mostrata fin ora. Le macerie non sono state rimosse, la gente vive in un clima d’angoscia crescente. Il numero dei morti, dei suicidi, dei divorzi e dell’uso di psicofarmaci è aumentato nel silenzio generale. Il dottor Alessandro Sirolli, direttore del centro psichiatrico diurno dell’Asl 1 dell’Aquila non ha dubbi: «Ci nascondono le cifre del disastro umano» racconta. Gli effetti distruttivi sulla psiche umana, dopo il sisma e lo stato di crisi, sono stati devastanti.

Di ricostruzione non se ne parla più né in consiglio regionale né tra la gente. La speranza è ridotta al lumicino mentre un secondo inverno è alle porte. Un dramma umano che si svolge lontano anni luce dalle aule parlamentari e dalle sedi dei partiti. La sensazione è che l’Aquila, questo pezzo d’Italia, sia stata rimossa dall’immaginario collettivo e che il cartello posto all’ingresso di una delle centinaia di baracche di legno in cui trascorrere quel poco di vita sociale che ancora rimane - dove si legge «questa è l’Italia del si salvi chi può» - non sia frutto del qualunquismo quanto piuttosto la fotografia di una realtà con cui dovremmo fare i conti per molti decenni.

Ruben H Oliva


Fonte:Corriere della Sera


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Di Giusi Pitari

Costata la bellezza di 2700 Euro a metro quadro (più o meno) la mia casa non è affatto di lusso. Non che la volessi, anzi, ma sapere di averne lasciata una, causa terremoto, che ne valeva (prezzo di mercato, non di costo) circa 2000 (sempre a metro quadro), con rifiniture di pregio e tutti i confort, mi rende nervosa. Specie se penso che chi mi legge può prendermi per una che si lagna, che non ha capito la tragedia o, peggio, che non meritava di avere questo appartamento.
Ancora più nervosa divento, quando leggo che qui a L’Aquila si è compiuto un miracolo, quando l’unico miracolo che si è riusciti a fare è stato far credere che ci sia stato veramente.
Oggi pubblico alcune foto che riguardano la mia (????) C.A.S.A.
La prima vi fa vedere come, per entrare a casa si può usare anche il balcone. La scala di legno, infatti, è facilmente “percorribile” e altrettanto lo sono i nostri balconi, assolutamente insicuri se in casa si hanno bambini o … persone depresse [:-))].
Le seconde due riguardano sempre i balconi della mia palazzina che sono tutti di legno, ancorati ai muri esterni con le viti che potete ammirare nella prima foto. Nella seconda foto c’è qualcosa che non va: la piastra di acciaio si sta staccando dal muro. L’ho segnalato, ma nessuno è venuto a controllare.

Segue l’interno della mia (???) C.A.S.A. con le infiltrazioni di acqua all’ingresso e al bagno (le tre foto seguenti). A volte l’acqua gocciola copiosa (per fortuna acqua pulita). Ho segnalato da tempo questo difetto, ma nulla, ancora nulla.

Sempre nel bagno (che è cieco) ho la bellezza di 5 faretti. I due sovrastanti lo specchio non funzionano. A nulla è servito il cambio delle lampadine. Quando ho ricevuto la visita degli elettricisti (rigorosamente non aquilani) mi hanno detto che non c’è nulla da fare: i bagni sono prefabbricati e sono stati calati nella struttura dell’appartamento.

Il quadro elettrico che riguarda quei faretti è stato murato, quindi è inaccessibile.
In cucina, dopo soli 30 giorni, è saltata l’accensione elettrica dei fornelli, anche lì ho segnalato, ma non c’è nulla da fare.

Per evitare di avere odori di cucina in casa devo tenere la cappa aspirante sempre in funzione, persino se non cucino: gli odori dei vicini arrivano dritti dritti nella mia sala-cucina dove, peraltro, dorme mio figlio. In estate ho staccato la spina del frigorifero per sbrinarlo e non sono riuscita a reinserirla: il frigo è attaccato al muro e la spina è parzialmente coperta dal frigo stesso. Mi sono arrangiata con una connessione volante. Alcuni tecnici son venuti, più volte, a casa a rinforzare le viti che tengono appesi al muro i pensili della cucina: in ultimo hanno inchiodato alla base degli stessi una barra di acciaio. In alcuni appartamenti, infatti, i suddetti pensili si sono staccati improvvisamente, il che non è esattamente ciò che ci si aspetta da una cucina nuova e nemmeno da una vecchia.

Riguardo invece l’esterno ho da segnalare che non è stato montato l’impianto fotovoltaico. Avevano cominciato lo scorso anno, poi nevicò e andarono via.
Sulle scale (che sono all’aperto, praticamente) di tutta fretta è stata montata una tettoietta, perchè alla prima gelata, le scale sono divenute uno scivolo di ghiaccio (nella foto la tettoietta, appunto):
In ultimo una chicca: la foto seguente è una sedia [di Silvio :-) )] che sta in balcone. Sui balconi piove perchè sono fatti di stecche di legno con fessure: così a me piove l’acqua dopo che ha lavato i balconi dell’appartamento di sopra. E l’acqua che piove è marrone, come vedete. Immaginate i panni stesi se improvvisamente piove!!
Per informazioni dettagliate leggete qui : vi troverete i costi del progetto C.A.S.E., dettagliati e vi accorgerete che ci hanno persino fornito i portachiavi e che le cassette per le lettere dovrebbero anch’esse essere di lusso (non allego foto per decenza):

Un miracolo, un vero miracolo!!
In ultimo: le mie lamentele riguardano lo sperpero di soldi, la decisione calata dall’alto di dotarci di questi appartamenti ridisegnando il territorio, nostro malgrado. Per il resto devo ritenermi fortunata: ci sono ancora persone senza tetto e migliaia di cittadini che non riescono a rientrare nelle proprie case anche se i danni, causati dal terremoto, non sono stati propriamente ingenti.


Fonte: 6 Aprile.it

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L'Aquila dimenticata

Dopo il sisma dispersione e depressione. Lo psicologo: «Troppi suicidi e psicofarmaci»

Da lunedì 25 ottobre a venerdì 29 ottobre: ogni giorno on line su Corriere.it una puntata del videoreportage su L'Aquila realizzato dal giornalista Ruben H.Oliva. Un viaggio per capire a che punto siamo con la ricostruzione da quel 6 aprile del 2009 che portò morte e distruzione. Un viaggio per cogliere umori, sensazioni, speranze e delusioni.


L'AQUILA - Domenico ti fulmina con lo sguardo mentre cammina sul cumulo di macerie in cui un tempo c’era Tempera, il suo paese. Non si è ancora rassegnato, ma l’esperienza di questi ultimi diciotto mesi gli ha fatto perdere ogni fiducia nello stato italiano. Don Giovanni Gatto, parroco di Tempera, mentre racconta come sia riuscito a salvarsi per miracolo, indica con tristezza la montagna di pietre ed erbacce che ha presso il posto della sua chiesa.

Lungo le statali che avvolgono l’Aquila, i cartelli con i nomi di paesi e borghi fantasmi sono tanti. Basta abbandonare l’asfalto e inoltrarsi lungo strade sterrate per assistere ad uno spettacolo agghiacciante, diventato ormai normale. Poltrone, televisori, resti di bagni e cucine, spuntano tra i detriti per raccontare come un tempo in questi luoghi c’era la vita. Il signor Maurizi, orgoglioso proprietario del albergo ristorante “La cabina” di Castelnuovo, si è dovuto costruire a spese sue una baracca di legno sul bordo della strada. Il nuovo e precario bar si chiama «La cabina 2» e dista pochi passi dai resti della struttura precedente. Ora Maurizi tira a campare immerso nei debiti: il sima ha raso al suolo i sacrifici di tre generazioni d’emigranti in america e in Germania.

Benvenuti ad un Aquila di cui tanto si è parlato e poco si è visto, diventata drammatico bottino della politica. Nel centro storico della città abruzzese, ci si aspetta di vedere o sentire l’assordante rumore di ruspe o il movimento di camion e gru. Invece niente, un silenzio innaturale ti accompagna mentre cammini nei vicoli di quello che rimane del bellissimo centro storico.

Le new town, piccoli quartieri di case nuove, costruite a peso d'oro, stonano con il paesaggio circostante. Chi ha avuto la fortuna di finire in questi quartieri inizia a intuire che ci dovrà rimanere, se tutto va bene, almeno 30 anni. Le case consegnate personalmente dal premier Berlusconi, appena ci si entra, appaiono molto diverse da come le abbiamo viste in televisione. Sono piccole e di mura sottili. Come spiega un terremotato «dopo mesi in tenda pure una baracca ti sarebbe sembrata una reggia».

L’Aquila appare molto diversa da quella mostrata fin ora. Le macerie non sono state rimosse, la gente vive in un clima d’angoscia crescente. Il numero dei morti, dei suicidi, dei divorzi e dell’uso di psicofarmaci è aumentato nel silenzio generale. Il dottor Alessandro Sirolli, direttore del centro psichiatrico diurno dell’Asl 1 dell’Aquila non ha dubbi: «Ci nascondono le cifre del disastro umano» racconta. Gli effetti distruttivi sulla psiche umana, dopo il sisma e lo stato di crisi, sono stati devastanti.

Di ricostruzione non se ne parla più né in consiglio regionale né tra la gente. La speranza è ridotta al lumicino mentre un secondo inverno è alle porte. Un dramma umano che si svolge lontano anni luce dalle aule parlamentari e dalle sedi dei partiti. La sensazione è che l’Aquila, questo pezzo d’Italia, sia stata rimossa dall’immaginario collettivo e che il cartello posto all’ingresso di una delle centinaia di baracche di legno in cui trascorrere quel poco di vita sociale che ancora rimane - dove si legge «questa è l’Italia del si salvi chi può» - non sia frutto del qualunquismo quanto piuttosto la fotografia di una realtà con cui dovremmo fare i conti per molti decenni.

Ruben H Oliva


Fonte:Corriere della Sera


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