mercoledì 13 settembre 2023

L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA E' UN BLUFF SEPARATISTA

Sul numero di Luglio del bimestrale “Su la testa”, interamente dedicato ad articoli sul perchè è doveroso contrastare ogni Autonomia differenziata, un articolo del nostro Presidente, Natale Cuccurese, dal titolo: “L’autonomia differenziata è un bluff separatista”.


Natale Cuccurese*

L’Autonomia differenziata non è coerente con la piena attuazione della legge Calderoli di applicazione del federalismo fiscale. La legge 42 prevede il superamento della spesa storica attraverso i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni), da sempre in attesa di attuazione. Il punto resta quello di superare la spesa storica, cioè un criterio che danneggia i cittadini governati da amministratori inefficienti o presunti tali, dato che spesso, ma questo nessuno mai lo sottolinea, meno hanno speso per i servizi solo a causa di una sperequata distribuzione territoriale delle risorse.

L’Autonomia differenziata crea una corsia preferenziale solo per le regioni ricche che faranno un’autonomia accelerata senza definizione dei Lep. Nei fatti si stanno costruendo tre nuove regioni a statuto speciale, agendo al di fuori della legge Calderoli del 2009. Infatti, a proposito di rispetto della Costituzione, la corretta procedura prevista dall’art. 116 della Costituzione chiude con la frase: ”nel rispetto dell’art 119 e della legge del 2009 (che prevede appunto fondi perequativi mai definiti)” e rimanda poi all’art 117 dove si parla dei diritti di cittadinanza che devono essere garantiti allo stesso livello su tutto il territorio nazionale, previa definizione dei Lep, cosa mai avvenuta, che si vuole ancora rinviare e che è già costata al Mezzogiorno oltre 840 miliardi di euro (Eurispes – Rapporto Italia 2020). Verrebbe così affermata la fine di quanto previsto nella prima parte della Costituzione, e cioè cittadini italiani tutti con gli stessi diritti, per cedere il posto a una “doppia cittadinanza”, di serie A e di serie B. Ma non è solo un problema di “Nord Vs Sud” come alcuni vogliono far intendere, visto che anche all’interno dello stesso territorio regionale ci saranno territori, e quindi cittadini, favoriti o sfavoriti. Per esempio, territori montani Vs città.  Si verrebbero così a costituire “micro-repubbliche” regionali con a capo “governatori” con pieni poteri che potranno decidere su un ventaglio di materie amplissimo: dalla sanità alle strade e autostrade, alle centrali idriche, alla scuola etc. Un anticipo del presidenzialismo prossimo venturo nazionale, che è alla base dello scambio fra Lega e FdI e che prevede appunto l’Autonomia differenziata in cambio del presidenzialismo. Nessuno però si chiede chi risponderà del carico del debito pubblico.

Gli “errori di calcolo” renderanno non sostenibile il debito pubblico statale

Infatti, anche ammettendo l’ipotesi dell’esistenza di un residuo fiscale, vi sarebbe un palese errore di calcolo in quanto non si terrebbe conto del fatto che una parte della differenza di quanto versato all’erario rispetto a quanto trasferito dallo Stato alle Regioni ritornerebbe sul territorio regionale in forma di pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico posseduti dai soggetti residenti in quelle regioni. In ultima analisi, il rischio contenuto nell’attuazione del terzo comma dell’art. 116 non sarebbe soltanto quello politico di una possibile rottura dell’Unità nazionale, ma anche quello, ben più concreto, di rendere non più sostenibile il debito pubblico statale a causa della riduzione dei flussi di cassa di livello statale. Non basta infatti determinare un Lep se poi non ci sono le risorse per garantire quel fabbisogno. In questo consiste il bluff leghista.

Per esempio, è stato calcolato che la perdita per lo Stato, limitatamente alle sole regioni del Nord, sarebbe di 112 miliardi all’anno. È quanto resterebbe a Lombardia, Veneto ed Emilia se il 90% di Irpef, Ires e Iva non fosse versato allo Stato.
Il Tesoro si troverebbe ad avere 112 miliardi di euro in meno, secondo stime pubblicate dalla stessa Regione Veneto sul sito dedicato all’Autonomia differenziata, e 190 miliardi, secondo i calcoli elaborati qualche tempo fa dal presidente della Svimez. La differenza sta nel fatto che, nel secondo caso, i conteggi hanno tenuto conto anche dei contributi previdenziali oltre che delle tasse.
La sola Lombardia ha un gettito Iva di oltre 21 miliardi, un gettito Irpef di 36 miliardi e uno Ires di 12 miliardi. Quanta parte potrà essere devoluta? Secondo gli stessi conteggi del portale dell’Autonomia del Veneto, la spesa regionalizzata in Lombardia è di 42 miliardi, nel Veneto di 18 miliardi, in Emilia Romagna di 17 miliardi. Il punto centrale rimane la dinamica delle entrate. Nell’anno zero si può trasferire una somma pari a quella spesa dallo Stato. Ma che succede poi negli anni successivi se il gettito aumenta? L’extra a chi spetterebbe, allo Stato o alla Regione? E se il gettito diminuisce? Domande senza risposta…

Interessante a tale proposito la provocazione sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, portata dal ministro Calderoli e Zaia, in merito ad alcune dichiarazioni di sabato 3 dicembre 2022 sul “Gazzettino” dove il ministro affermava che, paradossalmente, ad alcune Regioni, specie al Sud, forse converrebbe restare con la spesa storica per non rimetterci: “Una volta noti, sarà l’occasione per chiedere i Lep o per non chiederli. E io temo che per molti sarà così”, ha detto Calderoli. Non a caso, Zaia ha lanciato la provocazione: “Una volta definiti i Lep, si scriva in una norma che vanno obbligatoriamente applicati, perché io sono convinto che qualcuno si rifiuterà”,

Dal che si evince, come da tempo ripetiamo, che più che i mai definiti LEP bisognerebbe domandare e definire i LUP, e cioè i Livelli Uniformi delle Prestazioni, perché con i Lep l’asticella da parte di chi governa potrebbe essere collocata così in basso, e le cifre relative essere così miserabili, da renderli inutili, fino addirittura a fare preferire la spesa storica, come dice Zaia, che come è noto su moltissime materie è pari a ZERO! Non a caso, lo stesso Zaia, dichiarava al “Corriere della Sera” di lunedì 6 dicembre 2022: “Usciamo dalla narrazione che tutti siamo uguali”. Il che rende bene l’idea di cosa bolle in pentola.

Un motivo in più per ribadire a questi “statisti” che la Costituzione afferma che tutti gli italiani devono avere gli stessi diritti. Se invece la Costituzione non è più in vigore e di conseguenza il patto di cittadinanza non è più valido ce lo facciano sapere, così ci attrezziamo di conseguenza.

La storia recente

Nel maggio scorso è poi scoppiato un giallo: il Servizio Bilancio del Senato ha documentato come l’Autonomia regionale differenziata porti, nei fatti, alla fine dell’attuale stato unitario. L’abnorme decentramento di funzioni e risorse finanziarie creerà appunto enormi problemi al bilancio dello Stato e al finanziamento dei servizi nelle altre regioni, più povere, che imploderebbero anche per impossibilità dello stato ad assicurare i LEP. E’ un documento ufficiale pubblicato sul sito del Senato e diffuso sui social. Poi degradato dopo furiose polemiche a bozza da verificare.

Come reagiranno i 20 milioni di cittadini del Mezzogiorno di fronte a simili modalità, addirittura peggiorative rispetto alle attuali?! Ecco perché dire che il Paese è a rischio balcanizzazione non è assolutamente un artificio lessicale, ma stringente attualità. 

Che l’Autonomia differenziata sulle 23 materie oggi gestite dallo Stato possa essere concessa a tutte le 15 regioni ordinarie è soltanto un bluff. L’autonomia la può ottenere soltanto il Nord. Ormai il re è nudo. A certificarlo, a poche settimane dal “giallo” precedente, è stato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio che a fine giugno ha depositato in Commissione Affari Costituzionali del Senato un documento che per la prima volta ha provato a rispondere compiutamente a una domanda centrale del progetto autonomista: quali Regioni hanno davvero abbastanza capienza di gettito per gestire in proprio i servizi che oggi dispensa lo Stato? Più sono ricchi i cittadini, più tasse versano, più facile sarà ottenere l’autonomia e gestire le materie perché l’aliquota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. In altri termini, per alcuni territori, cioè tutte le Regioni del Sud e diverse del Centro, l’autonomia rischia di essere troppo cara e non se la possono permettere. 

Ultimo colpo di scena, al momento in cui scrivo: la critica all’Autonomia differenziata viene dalla stessa struttura chiamata a porne le basi e cioè dalla “mini costituente”, il Comitato per la definizione dei Lep (CLEP), composta da membri nominati da Calderoli e scelti in modo preponderante al Centro Nord, molti dei quali già da tempo fortemente orientati a favore dell’Autonomia differenziata. Il tutto con il Parlamento completamente tagliato fuori. Persino da questa Commissione giungono critiche con una lettera pubblica di quattro influenti membri che han presentato le dimissioni: “è discriminatoria, va riportata sui binari definiti dalla nostra Costituzione. Il criterio della spesa storica crea diseguaglianze e le risorse sono un’incognita”. Il che fa capire come il rischio per l’unità dello Stato sia più che mai reale. 

L’Autonomia differenziata è un progetto liberista che mette in pericolo l’unità stessa del Paese. Chi si accoda a queste richieste si assume interamente, e a futura memoria, la responsabilità della possibile, e certo non auspicabile, “balcanizzazione” del Paese non appena i cittadini di alcune aree, non solo del Mezzogiorno, si accorgeranno di essere di serie B, cioè con meno diritti e soggetti a una sorta di apartheid economico. C’è chi lavora per vedere lentamente morire la Repubblica parlamentare nata dalla Resistenza e l’unità del Paese, mentre i dati Istat degli ultimi anni pongono in evidenza come i divari territoriali e sociali da anni si stiano sempre più approfondendo. Del tutto illusorio pensare che qualche Regione possa “salvarsi da sola”, se non si affrontando i nodi d’insieme del Paese. 

Fortunatamente, nel maggio scorso, i giornali hanno riportato il giudizio negativo dei cittadini, anche del Nord, sul disegno di legge di riforma voluto dal governo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra Nord e Sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole. Se (finalmente) informati, i cittadini capiscono bene la fregatura che il partito unico delle privatizzazioni vuole rifilargli. Ma ciò che spicca è che anche la maggioranza di chi abita al Nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni cosiddette virtuose a prescindere dalla localizzazione geografica. In conclusione un progetto divisivo, da avversare e respingere senza esitazioni.


* Natale Cuccurese – Presidente nazionale del Partito del Sud, Consigliere Comunale e dell’Unione per Sinistra Unita a Quattro Castella (RE), dove risiede. Meridionalista progressista, collabora con siti e giornali d’informazione politica.


Link: https://www.sulatesta.net/lautonomia-differenziata-e-un-bluff-separatista/



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Sul numero di Luglio del bimestrale “Su la testa”, interamente dedicato ad articoli sul perchè è doveroso contrastare ogni Autonomia differenziata, un articolo del nostro Presidente, Natale Cuccurese, dal titolo: “L’autonomia differenziata è un bluff separatista”.


Natale Cuccurese*

L’Autonomia differenziata non è coerente con la piena attuazione della legge Calderoli di applicazione del federalismo fiscale. La legge 42 prevede il superamento della spesa storica attraverso i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni), da sempre in attesa di attuazione. Il punto resta quello di superare la spesa storica, cioè un criterio che danneggia i cittadini governati da amministratori inefficienti o presunti tali, dato che spesso, ma questo nessuno mai lo sottolinea, meno hanno speso per i servizi solo a causa di una sperequata distribuzione territoriale delle risorse.

L’Autonomia differenziata crea una corsia preferenziale solo per le regioni ricche che faranno un’autonomia accelerata senza definizione dei Lep. Nei fatti si stanno costruendo tre nuove regioni a statuto speciale, agendo al di fuori della legge Calderoli del 2009. Infatti, a proposito di rispetto della Costituzione, la corretta procedura prevista dall’art. 116 della Costituzione chiude con la frase: ”nel rispetto dell’art 119 e della legge del 2009 (che prevede appunto fondi perequativi mai definiti)” e rimanda poi all’art 117 dove si parla dei diritti di cittadinanza che devono essere garantiti allo stesso livello su tutto il territorio nazionale, previa definizione dei Lep, cosa mai avvenuta, che si vuole ancora rinviare e che è già costata al Mezzogiorno oltre 840 miliardi di euro (Eurispes – Rapporto Italia 2020). Verrebbe così affermata la fine di quanto previsto nella prima parte della Costituzione, e cioè cittadini italiani tutti con gli stessi diritti, per cedere il posto a una “doppia cittadinanza”, di serie A e di serie B. Ma non è solo un problema di “Nord Vs Sud” come alcuni vogliono far intendere, visto che anche all’interno dello stesso territorio regionale ci saranno territori, e quindi cittadini, favoriti o sfavoriti. Per esempio, territori montani Vs città.  Si verrebbero così a costituire “micro-repubbliche” regionali con a capo “governatori” con pieni poteri che potranno decidere su un ventaglio di materie amplissimo: dalla sanità alle strade e autostrade, alle centrali idriche, alla scuola etc. Un anticipo del presidenzialismo prossimo venturo nazionale, che è alla base dello scambio fra Lega e FdI e che prevede appunto l’Autonomia differenziata in cambio del presidenzialismo. Nessuno però si chiede chi risponderà del carico del debito pubblico.

Gli “errori di calcolo” renderanno non sostenibile il debito pubblico statale

Infatti, anche ammettendo l’ipotesi dell’esistenza di un residuo fiscale, vi sarebbe un palese errore di calcolo in quanto non si terrebbe conto del fatto che una parte della differenza di quanto versato all’erario rispetto a quanto trasferito dallo Stato alle Regioni ritornerebbe sul territorio regionale in forma di pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico posseduti dai soggetti residenti in quelle regioni. In ultima analisi, il rischio contenuto nell’attuazione del terzo comma dell’art. 116 non sarebbe soltanto quello politico di una possibile rottura dell’Unità nazionale, ma anche quello, ben più concreto, di rendere non più sostenibile il debito pubblico statale a causa della riduzione dei flussi di cassa di livello statale. Non basta infatti determinare un Lep se poi non ci sono le risorse per garantire quel fabbisogno. In questo consiste il bluff leghista.

Per esempio, è stato calcolato che la perdita per lo Stato, limitatamente alle sole regioni del Nord, sarebbe di 112 miliardi all’anno. È quanto resterebbe a Lombardia, Veneto ed Emilia se il 90% di Irpef, Ires e Iva non fosse versato allo Stato.
Il Tesoro si troverebbe ad avere 112 miliardi di euro in meno, secondo stime pubblicate dalla stessa Regione Veneto sul sito dedicato all’Autonomia differenziata, e 190 miliardi, secondo i calcoli elaborati qualche tempo fa dal presidente della Svimez. La differenza sta nel fatto che, nel secondo caso, i conteggi hanno tenuto conto anche dei contributi previdenziali oltre che delle tasse.
La sola Lombardia ha un gettito Iva di oltre 21 miliardi, un gettito Irpef di 36 miliardi e uno Ires di 12 miliardi. Quanta parte potrà essere devoluta? Secondo gli stessi conteggi del portale dell’Autonomia del Veneto, la spesa regionalizzata in Lombardia è di 42 miliardi, nel Veneto di 18 miliardi, in Emilia Romagna di 17 miliardi. Il punto centrale rimane la dinamica delle entrate. Nell’anno zero si può trasferire una somma pari a quella spesa dallo Stato. Ma che succede poi negli anni successivi se il gettito aumenta? L’extra a chi spetterebbe, allo Stato o alla Regione? E se il gettito diminuisce? Domande senza risposta…

Interessante a tale proposito la provocazione sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, portata dal ministro Calderoli e Zaia, in merito ad alcune dichiarazioni di sabato 3 dicembre 2022 sul “Gazzettino” dove il ministro affermava che, paradossalmente, ad alcune Regioni, specie al Sud, forse converrebbe restare con la spesa storica per non rimetterci: “Una volta noti, sarà l’occasione per chiedere i Lep o per non chiederli. E io temo che per molti sarà così”, ha detto Calderoli. Non a caso, Zaia ha lanciato la provocazione: “Una volta definiti i Lep, si scriva in una norma che vanno obbligatoriamente applicati, perché io sono convinto che qualcuno si rifiuterà”,

Dal che si evince, come da tempo ripetiamo, che più che i mai definiti LEP bisognerebbe domandare e definire i LUP, e cioè i Livelli Uniformi delle Prestazioni, perché con i Lep l’asticella da parte di chi governa potrebbe essere collocata così in basso, e le cifre relative essere così miserabili, da renderli inutili, fino addirittura a fare preferire la spesa storica, come dice Zaia, che come è noto su moltissime materie è pari a ZERO! Non a caso, lo stesso Zaia, dichiarava al “Corriere della Sera” di lunedì 6 dicembre 2022: “Usciamo dalla narrazione che tutti siamo uguali”. Il che rende bene l’idea di cosa bolle in pentola.

Un motivo in più per ribadire a questi “statisti” che la Costituzione afferma che tutti gli italiani devono avere gli stessi diritti. Se invece la Costituzione non è più in vigore e di conseguenza il patto di cittadinanza non è più valido ce lo facciano sapere, così ci attrezziamo di conseguenza.

La storia recente

Nel maggio scorso è poi scoppiato un giallo: il Servizio Bilancio del Senato ha documentato come l’Autonomia regionale differenziata porti, nei fatti, alla fine dell’attuale stato unitario. L’abnorme decentramento di funzioni e risorse finanziarie creerà appunto enormi problemi al bilancio dello Stato e al finanziamento dei servizi nelle altre regioni, più povere, che imploderebbero anche per impossibilità dello stato ad assicurare i LEP. E’ un documento ufficiale pubblicato sul sito del Senato e diffuso sui social. Poi degradato dopo furiose polemiche a bozza da verificare.

Come reagiranno i 20 milioni di cittadini del Mezzogiorno di fronte a simili modalità, addirittura peggiorative rispetto alle attuali?! Ecco perché dire che il Paese è a rischio balcanizzazione non è assolutamente un artificio lessicale, ma stringente attualità. 

Che l’Autonomia differenziata sulle 23 materie oggi gestite dallo Stato possa essere concessa a tutte le 15 regioni ordinarie è soltanto un bluff. L’autonomia la può ottenere soltanto il Nord. Ormai il re è nudo. A certificarlo, a poche settimane dal “giallo” precedente, è stato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio che a fine giugno ha depositato in Commissione Affari Costituzionali del Senato un documento che per la prima volta ha provato a rispondere compiutamente a una domanda centrale del progetto autonomista: quali Regioni hanno davvero abbastanza capienza di gettito per gestire in proprio i servizi che oggi dispensa lo Stato? Più sono ricchi i cittadini, più tasse versano, più facile sarà ottenere l’autonomia e gestire le materie perché l’aliquota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. In altri termini, per alcuni territori, cioè tutte le Regioni del Sud e diverse del Centro, l’autonomia rischia di essere troppo cara e non se la possono permettere. 

Ultimo colpo di scena, al momento in cui scrivo: la critica all’Autonomia differenziata viene dalla stessa struttura chiamata a porne le basi e cioè dalla “mini costituente”, il Comitato per la definizione dei Lep (CLEP), composta da membri nominati da Calderoli e scelti in modo preponderante al Centro Nord, molti dei quali già da tempo fortemente orientati a favore dell’Autonomia differenziata. Il tutto con il Parlamento completamente tagliato fuori. Persino da questa Commissione giungono critiche con una lettera pubblica di quattro influenti membri che han presentato le dimissioni: “è discriminatoria, va riportata sui binari definiti dalla nostra Costituzione. Il criterio della spesa storica crea diseguaglianze e le risorse sono un’incognita”. Il che fa capire come il rischio per l’unità dello Stato sia più che mai reale. 

L’Autonomia differenziata è un progetto liberista che mette in pericolo l’unità stessa del Paese. Chi si accoda a queste richieste si assume interamente, e a futura memoria, la responsabilità della possibile, e certo non auspicabile, “balcanizzazione” del Paese non appena i cittadini di alcune aree, non solo del Mezzogiorno, si accorgeranno di essere di serie B, cioè con meno diritti e soggetti a una sorta di apartheid economico. C’è chi lavora per vedere lentamente morire la Repubblica parlamentare nata dalla Resistenza e l’unità del Paese, mentre i dati Istat degli ultimi anni pongono in evidenza come i divari territoriali e sociali da anni si stiano sempre più approfondendo. Del tutto illusorio pensare che qualche Regione possa “salvarsi da sola”, se non si affrontando i nodi d’insieme del Paese. 

Fortunatamente, nel maggio scorso, i giornali hanno riportato il giudizio negativo dei cittadini, anche del Nord, sul disegno di legge di riforma voluto dal governo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra Nord e Sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole. Se (finalmente) informati, i cittadini capiscono bene la fregatura che il partito unico delle privatizzazioni vuole rifilargli. Ma ciò che spicca è che anche la maggioranza di chi abita al Nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni cosiddette virtuose a prescindere dalla localizzazione geografica. In conclusione un progetto divisivo, da avversare e respingere senza esitazioni.


* Natale Cuccurese – Presidente nazionale del Partito del Sud, Consigliere Comunale e dell’Unione per Sinistra Unita a Quattro Castella (RE), dove risiede. Meridionalista progressista, collabora con siti e giornali d’informazione politica.


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martedì 1 agosto 2023

ELEZIONI EUROPEE: UN FRONTE UNITARIO DI SINISTRA E’ NELL’INTERESSE DEL MEZZOGIORNO

COMUNICATO STAMPA

Il Consiglio Direttivo Nazionale del Partito del Sud-Meridionalisti Progressisti ribadendo la necessità di una non più procrastinabile costituzione d'un soggetto politico unitario di Sinistra, al fine di costruire l’alternativa antiliberista, ambientalista, femminista, antifascista, pacifista, anticapitalista e meridionalista, utile a formare una fronte popolare per opporsi con forza alle destre fasciste, razziste, secessioniste e liberiste oggi al governo in Italia e in forte avanzata in tutta Europa, prende atto con rammarico che ancora in troppi, anche nella sinistra d’alternativa, paiono non essere consapevoli che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno dandogli voce e rappresentanza mettendolo fra i temi fondanti della agenda politica, già a partire dalle prossime elezioni europee. 

Impossibile procedere ancora a fari spenti mentre fra poco meno di un anno si svolgeranno elezioni decisive per le sorti del Paese tutto e del Mezzogiorno in particolare, con precise scadenze da rispettare. Bisogna sempre ricordare che anche “quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.

Per tutti questi motivi il Consiglio Direttivo ha deciso all’unanimità di raccogliere l’appello del Partito Comunista Italiano, con cui da tempo sono attive positive interlocuzioni, per la costituzione di una lista plurale. Appello di cui condividiamo i temi, a partire dalla ricerca di una soluzione di pace in Ucraina e nel Mondo e contro ogni deriva bellicista, dalla critica all’Unione Europea delle banche e delle lobby che con le sue politiche ordoliberiste e di austerità alimenta nuovi fascismi in Europa, come dimostrato anche dalla vergognosa equiparazione fra nazismo e comunismo ad opera del Parlamento europeo nel 2019, e dal contrasto all’Autonomia Differenziata. Accogliamo inoltre molto favorevolmente il richiamo alla Questione Meridionale, senza approfondire la quale non è possibile capire, tantomeno spiegare compiutamente ai cittadini, a cosa mira veramente l’Autonomia Differenziata.

Resta inteso che, come sempre, siamo disponibili a formare una fronte popolare unitario più ampio e coeso possibile, ma sempre nel reale rispetto delle pari condizioni, anche di visibilità e dignità, di tutte le componenti e nella assoluta condivisione dei temi in forma non settaria, per creare una piattaforma comune con tutte quelle soggettività che condividono l’urgenza di lavorare in forma aperta alla costruzione di un percorso plurale per l’alternativa sociale, culturale e politica ai poli e agli schieramenti politici oggi esistenti al fine di lavorare unitariamente, pur nel rispetto delle singole identità, per saldare e dare visibilità a tutte le lotte, al fine di portare nel prossimo Parlamento Europeo una voce di contrasto alle politiche antipopolari fino ad oggi perseguite dall’Unione, ben rappresentate in Italia dal Governo Meloni con il recente attacco alle classi più deboli tramite la cancellazione del Reddito di Cittadinanza.

Siamo infine pronti ad accogliere e a collaborare con tutti quei meridionalisti progressisti che vogliano procedere senza ricercare facili scorciatoie sulla strada di un reale cambiamento, partendo dalla riscossa del Sud.


Il Consiglio Direttivo Nazionale del Partito del Sud




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COMUNICATO STAMPA

Il Consiglio Direttivo Nazionale del Partito del Sud-Meridionalisti Progressisti ribadendo la necessità di una non più procrastinabile costituzione d'un soggetto politico unitario di Sinistra, al fine di costruire l’alternativa antiliberista, ambientalista, femminista, antifascista, pacifista, anticapitalista e meridionalista, utile a formare una fronte popolare per opporsi con forza alle destre fasciste, razziste, secessioniste e liberiste oggi al governo in Italia e in forte avanzata in tutta Europa, prende atto con rammarico che ancora in troppi, anche nella sinistra d’alternativa, paiono non essere consapevoli che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno dandogli voce e rappresentanza mettendolo fra i temi fondanti della agenda politica, già a partire dalle prossime elezioni europee. 

Impossibile procedere ancora a fari spenti mentre fra poco meno di un anno si svolgeranno elezioni decisive per le sorti del Paese tutto e del Mezzogiorno in particolare, con precise scadenze da rispettare. Bisogna sempre ricordare che anche “quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.

Per tutti questi motivi il Consiglio Direttivo ha deciso all’unanimità di raccogliere l’appello del Partito Comunista Italiano, con cui da tempo sono attive positive interlocuzioni, per la costituzione di una lista plurale. Appello di cui condividiamo i temi, a partire dalla ricerca di una soluzione di pace in Ucraina e nel Mondo e contro ogni deriva bellicista, dalla critica all’Unione Europea delle banche e delle lobby che con le sue politiche ordoliberiste e di austerità alimenta nuovi fascismi in Europa, come dimostrato anche dalla vergognosa equiparazione fra nazismo e comunismo ad opera del Parlamento europeo nel 2019, e dal contrasto all’Autonomia Differenziata. Accogliamo inoltre molto favorevolmente il richiamo alla Questione Meridionale, senza approfondire la quale non è possibile capire, tantomeno spiegare compiutamente ai cittadini, a cosa mira veramente l’Autonomia Differenziata.

Resta inteso che, come sempre, siamo disponibili a formare una fronte popolare unitario più ampio e coeso possibile, ma sempre nel reale rispetto delle pari condizioni, anche di visibilità e dignità, di tutte le componenti e nella assoluta condivisione dei temi in forma non settaria, per creare una piattaforma comune con tutte quelle soggettività che condividono l’urgenza di lavorare in forma aperta alla costruzione di un percorso plurale per l’alternativa sociale, culturale e politica ai poli e agli schieramenti politici oggi esistenti al fine di lavorare unitariamente, pur nel rispetto delle singole identità, per saldare e dare visibilità a tutte le lotte, al fine di portare nel prossimo Parlamento Europeo una voce di contrasto alle politiche antipopolari fino ad oggi perseguite dall’Unione, ben rappresentate in Italia dal Governo Meloni con il recente attacco alle classi più deboli tramite la cancellazione del Reddito di Cittadinanza.

Siamo infine pronti ad accogliere e a collaborare con tutti quei meridionalisti progressisti che vogliano procedere senza ricercare facili scorciatoie sulla strada di un reale cambiamento, partendo dalla riscossa del Sud.


Il Consiglio Direttivo Nazionale del Partito del Sud




domenica 9 luglio 2023

ANCHE A CASSINO L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA

 Di Antonio Rosato

L'italia ripudia la guerra. Ma si calpesta la costituzione come fosse carta igienica. Per questo motivo il Partito del Sud ha aderito alla fiaccolata per la pace a Cassino (FR) organizzata dal comitato art.11. Manifestazione riuscitissima con interventi vari.

Ma menziono solo due parole dette dal Vescovo di Cassino che ha dato il via alla fiaccolata. "Non c'è tifo per uno o per l'altro, ne bisogna pensare che uno deve vincere sull'altro. Le morti dei giovani 18enni hanno pari dignità siano essi russi siano essi ucraini. Ci vuole una pace giusta immediata. No armi e ha condannato l'Europa che manda armi invece di prodigarsi per la pace.

Noi del Circolo Partito del Sud - Sud Pontino Ribelle eravamo presenti sia fisicamente con con l'adesione alla manifestazione che è terminata sotto Rocca Janula rasa al suolo dalla seconda guerra mondiale.

E un urlo di pace non poteva che levarsi da Cassino città martire che conosce molto bene cosa è la guerra.
















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 Di Antonio Rosato

L'italia ripudia la guerra. Ma si calpesta la costituzione come fosse carta igienica. Per questo motivo il Partito del Sud ha aderito alla fiaccolata per la pace a Cassino (FR) organizzata dal comitato art.11. Manifestazione riuscitissima con interventi vari.

Ma menziono solo due parole dette dal Vescovo di Cassino che ha dato il via alla fiaccolata. "Non c'è tifo per uno o per l'altro, ne bisogna pensare che uno deve vincere sull'altro. Le morti dei giovani 18enni hanno pari dignità siano essi russi siano essi ucraini. Ci vuole una pace giusta immediata. No armi e ha condannato l'Europa che manda armi invece di prodigarsi per la pace.

Noi del Circolo Partito del Sud - Sud Pontino Ribelle eravamo presenti sia fisicamente con con l'adesione alla manifestazione che è terminata sotto Rocca Janula rasa al suolo dalla seconda guerra mondiale.

E un urlo di pace non poteva che levarsi da Cassino città martire che conosce molto bene cosa è la guerra.
















L’ACQUA È VITA E NON SI TOCCA!!!

Di Antonio Luongo

L'acqua è sotto attacco! 
È ormai questione di giorni e sarà privatizzata. 

Il governo Meloni ha iniziato a picconare le conquiste democratiche degli italiani, contrastando apertamente la decisione di 26 milioni di italiani che nel 2011 stabilirono via referendum che la gestione dell'acqua dovesse essere pubblica e mantenersi fuori dal mercato. 

Ora il governo nazionale ha stabilito che i Comuni non possono gestire Aziende Speciali. Esattamente come Abc Napoli azienda idrica del Comune di Napoli. 
Un modo per distruggere dall'alto l'impianto che aveva reso possibile a Napoli l'attuazione del referendum e la pubblicizzazione della gestione. 

Ovviamente nel silenzio del sindaco ombra Manfredi, che sembra non avere alcun interesse nel garantire un futuro alla città, ma solo a non dare fastidio e completare un soggiorno indolore e dorato a Palazzo San Giacomo. Ora esce allo scoperto anche il presidente della Regione Campania De Luca . 

Dopo anni a costruire trappole e magheggi come la legge n. 15 del 2015 sul riordino del ciclo delle acque e la creazione dell'Ente Idrico Campano, che hanno lentamente privato ABC di autonomia e agibilità, ora cade ogni velo. 
Le ultime dichiarazioni aprono ufficialmente ai privati anche per Napoli e la nostra Regione. 
Apertura che nega ogni evidenza e ogni buon senso, laddove nelle zone sotto questo tipo di gestione la speculazioni sta già svuotando le tasche dei cittadini. 
E purtroppo sarà sempre peggio, con un cambiamento climatico che sta alterando il ciclo ordinario delle acque e condannando enormi territori alla siccità e alla perdita di acqua potabile. 

Per anni io ed altri pochi consiglieri abbiamo fatto da diga agli attacchi di privatizzazione dell’acqua, in seno al consiglio dell'Ente Idrico. 
Da soli, in autonomia, senza sponde parlamentari rispetto ad un disegno criminale che ha tanti padri e tanti tifosi. 
Purtroppo più la crisi avanza, più tanti politici e tanti partiti seguono la strada più facile, quella della lobby degli interessi finanziari, in questo caso incarnata dalle multinazionali dei servizi energetici come Gori, Veolia, Suez, Acea, A2A, Hera, ecc. 

Il danno fatto alla Democrazia, ai Diritti e per essere concreti, al costo della vita che danneggia la gente comune e soprattutto le fasce più deboli viene nascosto. 

Noi, insieme al Coordinamento Acqua Pubblica e al Partito del Sud , continueremo a rivendicare i diritti a testa alta, ma è evidente che occorre una presa di coscienza ben più ampia tra cittadini e partiti. 

E chissà che un giorno i partiti di sinistra, si ricordino cosa significa essere di sinistra, dato che la destra la sua partita la sa giocare bene e senza particolari scrupoli. L’ACQUA È VITA E NON SI TOCCA!!!






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Di Antonio Luongo

L'acqua è sotto attacco! 
È ormai questione di giorni e sarà privatizzata. 

Il governo Meloni ha iniziato a picconare le conquiste democratiche degli italiani, contrastando apertamente la decisione di 26 milioni di italiani che nel 2011 stabilirono via referendum che la gestione dell'acqua dovesse essere pubblica e mantenersi fuori dal mercato. 

Ora il governo nazionale ha stabilito che i Comuni non possono gestire Aziende Speciali. Esattamente come Abc Napoli azienda idrica del Comune di Napoli. 
Un modo per distruggere dall'alto l'impianto che aveva reso possibile a Napoli l'attuazione del referendum e la pubblicizzazione della gestione. 

Ovviamente nel silenzio del sindaco ombra Manfredi, che sembra non avere alcun interesse nel garantire un futuro alla città, ma solo a non dare fastidio e completare un soggiorno indolore e dorato a Palazzo San Giacomo. Ora esce allo scoperto anche il presidente della Regione Campania De Luca . 

Dopo anni a costruire trappole e magheggi come la legge n. 15 del 2015 sul riordino del ciclo delle acque e la creazione dell'Ente Idrico Campano, che hanno lentamente privato ABC di autonomia e agibilità, ora cade ogni velo. 
Le ultime dichiarazioni aprono ufficialmente ai privati anche per Napoli e la nostra Regione. 
Apertura che nega ogni evidenza e ogni buon senso, laddove nelle zone sotto questo tipo di gestione la speculazioni sta già svuotando le tasche dei cittadini. 
E purtroppo sarà sempre peggio, con un cambiamento climatico che sta alterando il ciclo ordinario delle acque e condannando enormi territori alla siccità e alla perdita di acqua potabile. 

Per anni io ed altri pochi consiglieri abbiamo fatto da diga agli attacchi di privatizzazione dell’acqua, in seno al consiglio dell'Ente Idrico. 
Da soli, in autonomia, senza sponde parlamentari rispetto ad un disegno criminale che ha tanti padri e tanti tifosi. 
Purtroppo più la crisi avanza, più tanti politici e tanti partiti seguono la strada più facile, quella della lobby degli interessi finanziari, in questo caso incarnata dalle multinazionali dei servizi energetici come Gori, Veolia, Suez, Acea, A2A, Hera, ecc. 

Il danno fatto alla Democrazia, ai Diritti e per essere concreti, al costo della vita che danneggia la gente comune e soprattutto le fasce più deboli viene nascosto. 

Noi, insieme al Coordinamento Acqua Pubblica e al Partito del Sud , continueremo a rivendicare i diritti a testa alta, ma è evidente che occorre una presa di coscienza ben più ampia tra cittadini e partiti. 

E chissà che un giorno i partiti di sinistra, si ricordino cosa significa essere di sinistra, dato che la destra la sua partita la sa giocare bene e senza particolari scrupoli. L’ACQUA È VITA E NON SI TOCCA!!!






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giovedì 6 luglio 2023

SABATO 8 LUGLIO A CASSINO (FR) FIACCOLATA CONTRO LA GUERRA

 


Il Partito del Sud, Circolo del Sud Pontino, aderisce all'iniziativa e sarà presente a Cassino con suoi rappresentanti sabato 8 luglio 2023.






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Il Partito del Sud, Circolo del Sud Pontino, aderisce all'iniziativa e sarà presente a Cassino con suoi rappresentanti sabato 8 luglio 2023.






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mercoledì 5 luglio 2023

A PARMA NASCE IL CIRCOLO DEL PARTITO DEL SUD

È nata la pagina fan del Circolo Partito del Sud-Parma. Invitiamo tutti gli amici in zona a mettere “mi piace” per essere sempre aggiornati e partecipare alle attività del Circolo di Parma.

Complimenti 
e un grande in bocca al lupo a Marco Fuina, nostro Coordinatore per Parma e Provincia, per il lavoro che con passione sta già svolgendo sul territorio.

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È nata la pagina fan del Circolo Partito del Sud-Parma. Invitiamo tutti gli amici in zona a mettere “mi piace” per essere sempre aggiornati e partecipare alle attività del Circolo di Parma.

Complimenti 
e un grande in bocca al lupo a Marco Fuina, nostro Coordinatore per Parma e Provincia, per il lavoro che con passione sta già svolgendo sul territorio.

sabato 24 giugno 2023

Il Circolo provinciale di Reggio Emilia del Partito del Sud aderisce al Re-Pride 2023 del 25 Giugno

Il Circolo provinciale di Reggio Emilia del Partito del Sud aderisce al Re-Pride 2023.

Di fronte al tentativo fascioleghista di comprimere i diritti civili non abbiamo dubbi a schierarci a favore di un mondo con più diritti per tutti e contro ogni discriminazione!
<<il Pride di Reggio Emilia rappresenta un momento di solidarietà tra le diverse comunità che lottano per i propri diritti, siano italiani, stranieri, uomini, donne, giovani, anziani o diversamente abili. La lotta per i diritti civili coinvolge l'intera società e richiede il contributo quotidiano di tutti>>
Il 25 giugno 2023 dalle 16.00 tutti in piazza a Reggio Emilia, percorso, eventi, adesioni al seguente link: https://remiliapride.it/adesioni-e-patrocini/
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Il Circolo provinciale di Reggio Emilia del Partito del Sud aderisce al Re-Pride 2023.

Di fronte al tentativo fascioleghista di comprimere i diritti civili non abbiamo dubbi a schierarci a favore di un mondo con più diritti per tutti e contro ogni discriminazione!
<<il Pride di Reggio Emilia rappresenta un momento di solidarietà tra le diverse comunità che lottano per i propri diritti, siano italiani, stranieri, uomini, donne, giovani, anziani o diversamente abili. La lotta per i diritti civili coinvolge l'intera società e richiede il contributo quotidiano di tutti>>
Il 25 giugno 2023 dalle 16.00 tutti in piazza a Reggio Emilia, percorso, eventi, adesioni al seguente link: https://remiliapride.it/adesioni-e-patrocini/

venerdì 23 giugno 2023

LA TRUFFA DEL PNRR (23) "…mentre restano in sospeso la terza e quarta rata del Pnrr già si profila un nuovo salasso per gli italiani: il MES…"

 



Di Natale Cuccurese

Per le sorti del Pnrr gli sviluppi in corso paiono sempre più in quietanti ogni giorno che passa. Domenica 28 ancora Fubini sul Corsera ci ha informato che il Governo - sempre più con il cappello in mano - chiede “per la rata del Pnrr attesa ormai da mesi e per quella successiva — la terza e la quarta del piano da 191,5 miliardi — sia a Bruxelles che a Roma si prendano le misure di un nuovo strumento: le «sospensioni di pagamento parziali». In sostanza, il Paese perderebbe così una parte dei soldi del Recovery. Questa procedura legale servirebbe a mettere la Commissione Ue e i suoi funzionari al riparo delle contestazioni della Corte dei conti europea. Diversi governi in questi mesi stanno in realtà manifestando fastidio per il gran numero di controlli sui loro piani, proprio perché a Bruxelles si lavora sotto la spada di Damocle della magistratura contabile di Lussemburgo”. Contemporaneamente il Fatto sempre di domenica ci informa che anche il Governo Meloni ha problemi con la Corte de Conti italiana e la vorrebbe silenziare limitandone i poteri di controllo, visto che ha osato certificare i ritardi del Pnrr.
“Il governo Meloni si appresta a presentare due emendamenti al decreto Pa, ora in discussione in Parlamento, con l’obiettivo di limitare i poteri della Corte dei Conti. Da un lato verrebbe circoscritto il perimetro d’azione del collegio del controllo concomitante presieduto da Massimiliano Minerva, che si occupa proprio di monitorare la gestione dei fondi del Recovery plan e rilevare eventuali irregolarità”.
Insomma il Pnrr ci sta portando non solo ad essere ricattabili dalla Commissione europea ma anche alla democratura o meglio alla deriva di stampo ungherese.

Resta il fatto che i 19 miliardi della terza rata sono fermi per i rilievi della Commissione, la quarta rata, in scadenza a luglio, è avvolta nel buio più Fitto mentre il tempo passa e il 2026 si avvicina. Una trappola ad orologeria perfetta e in grado di rendere ricattabile l’Italia ed il suo Governo, che vede il paradosso di essere composto da sovranisti senza nessuna sovranità.

Oltretutto c’è da registrare che il Comandante della Guardia di Finanza De Gennaro, come riportato dai quotidiani, ha lanciato l’allarme: “E’ Alto il rischio che il PNRR cada in mani criminali”. E’ un rischio che si corre quando, per rispettare i tempi stretti che ci sono stati imposti dalla Commissione Ue, si saltano i normali controlli a tutela dell’interesse pubblico. Così saremo ancora sotto schiaffo della Commissione Ue che potrà bloccarci i futuri pagamenti anche per questo motivo…

Come se non bastasse avanza un altro balzello che potrebbe assestare il definitivo colpo di grazia al Paese e cioè il MES, sponsorizzato con toni perentori dal Corsera in un editoriale di pochi giorni fa da Mario Monti. Stupisce innanzitutto il linguaggio adottato dal Senatore. “Abiura, conversione, incoerenze dottrinali, rogo”. Sembra di essere ai tempi dell’Inquisizione, come se discutere delle scelte di politica economica di un Paese fosse una questione di fede e non di analisi razionale sulla base della scienza economica e delle valutazioni di convenienza. Insomma un’altra mela avvelenata che la Commissione si prepara a rifilarci. Ci restituiscono (forse) soldi nostri, versati senza condizioni, con condizionalità, così come per il Pnrr. Sono tutte operazioni che aprono la porta a “Memorandum, Raccomandazioni e Troika”, cioè quanto di peggio si possa pensare. Cose di cui l’Italia non ha certo bisogno, soprattutto in questo momento. Non a caso il 26 maggio il Ministro dell’Economia Giorgetti, al Festival dell’Economia di Trento, ha dichiarato che “l'aumento del nostro debito è nato anche per "reagire a degli shock che aveva origini esterne. Ora si tratta di affrontarlo, lo stiamo riducendo e anche l'impegno che noi ci siamo assunti. In settimana è stata qui la delegazione del Fondo monetario internazionale che ovviamente ci ha chiesto questo tipo di azione. È un impegno - ha aggiunto - che fa parte delle nostre responsabilità e che affronteremo".

E’ una dichiarazione riportata solo da qualche agenzia, non rilanciata da nessun telegiornale e da nessun giornale nazionale che ci informa che gli inviati del FMI già sono stati a Roma nei giorni scorsi. Giova a questo punto ricordare che a marzo scorso gli svizzeri hanno risolto in pochi giorni i problemi di Credit Suisse in difficoltà, senza il "backstop" del Mes, senza PNRR peloso, senza interpellare i soloni Ue, senza multe, riforme e letterine di raccomandazioni, ma semplicemente facendo intervenire la loro banca centrale con un prestito da 50 miliardi. Pochi giorni dopo la FED ha salvato i correntisti della fallita SVB.
In poche parole le banche centrali fanno quello per cui esistono e riescono a farlo meglio quando un paese batte moneta, non quando bisogna mettersi d'accordo in tanti e con interessi quasi sempre contrastanti. Tra California e Svizzera, in tre giorni le assurde regole dell'eurozona sono state ridicolizzate facendo esattamente il contrario. Bisognerebbe ricordarlo a Lagarde e ai “cessionisti” di sovranità nostrani da sempre proni alla Commissione Ue.
Ricordo che il MES ha un capitale sottoscritto di 704,8 miliardi di €, di questi 125 sono da addebitarsi all’Italia che al momento ne ha versati solo 14. Dopo la “truffa del PNRR” siete pronti a nuovi e infiniti sacrifici perché “ce lo chiede l’Europa?”


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Di Natale Cuccurese

Per le sorti del Pnrr gli sviluppi in corso paiono sempre più in quietanti ogni giorno che passa. Domenica 28 ancora Fubini sul Corsera ci ha informato che il Governo - sempre più con il cappello in mano - chiede “per la rata del Pnrr attesa ormai da mesi e per quella successiva — la terza e la quarta del piano da 191,5 miliardi — sia a Bruxelles che a Roma si prendano le misure di un nuovo strumento: le «sospensioni di pagamento parziali». In sostanza, il Paese perderebbe così una parte dei soldi del Recovery. Questa procedura legale servirebbe a mettere la Commissione Ue e i suoi funzionari al riparo delle contestazioni della Corte dei conti europea. Diversi governi in questi mesi stanno in realtà manifestando fastidio per il gran numero di controlli sui loro piani, proprio perché a Bruxelles si lavora sotto la spada di Damocle della magistratura contabile di Lussemburgo”. Contemporaneamente il Fatto sempre di domenica ci informa che anche il Governo Meloni ha problemi con la Corte de Conti italiana e la vorrebbe silenziare limitandone i poteri di controllo, visto che ha osato certificare i ritardi del Pnrr.
“Il governo Meloni si appresta a presentare due emendamenti al decreto Pa, ora in discussione in Parlamento, con l’obiettivo di limitare i poteri della Corte dei Conti. Da un lato verrebbe circoscritto il perimetro d’azione del collegio del controllo concomitante presieduto da Massimiliano Minerva, che si occupa proprio di monitorare la gestione dei fondi del Recovery plan e rilevare eventuali irregolarità”.
Insomma il Pnrr ci sta portando non solo ad essere ricattabili dalla Commissione europea ma anche alla democratura o meglio alla deriva di stampo ungherese.

Resta il fatto che i 19 miliardi della terza rata sono fermi per i rilievi della Commissione, la quarta rata, in scadenza a luglio, è avvolta nel buio più Fitto mentre il tempo passa e il 2026 si avvicina. Una trappola ad orologeria perfetta e in grado di rendere ricattabile l’Italia ed il suo Governo, che vede il paradosso di essere composto da sovranisti senza nessuna sovranità.

Oltretutto c’è da registrare che il Comandante della Guardia di Finanza De Gennaro, come riportato dai quotidiani, ha lanciato l’allarme: “E’ Alto il rischio che il PNRR cada in mani criminali”. E’ un rischio che si corre quando, per rispettare i tempi stretti che ci sono stati imposti dalla Commissione Ue, si saltano i normali controlli a tutela dell’interesse pubblico. Così saremo ancora sotto schiaffo della Commissione Ue che potrà bloccarci i futuri pagamenti anche per questo motivo…

Come se non bastasse avanza un altro balzello che potrebbe assestare il definitivo colpo di grazia al Paese e cioè il MES, sponsorizzato con toni perentori dal Corsera in un editoriale di pochi giorni fa da Mario Monti. Stupisce innanzitutto il linguaggio adottato dal Senatore. “Abiura, conversione, incoerenze dottrinali, rogo”. Sembra di essere ai tempi dell’Inquisizione, come se discutere delle scelte di politica economica di un Paese fosse una questione di fede e non di analisi razionale sulla base della scienza economica e delle valutazioni di convenienza. Insomma un’altra mela avvelenata che la Commissione si prepara a rifilarci. Ci restituiscono (forse) soldi nostri, versati senza condizioni, con condizionalità, così come per il Pnrr. Sono tutte operazioni che aprono la porta a “Memorandum, Raccomandazioni e Troika”, cioè quanto di peggio si possa pensare. Cose di cui l’Italia non ha certo bisogno, soprattutto in questo momento. Non a caso il 26 maggio il Ministro dell’Economia Giorgetti, al Festival dell’Economia di Trento, ha dichiarato che “l'aumento del nostro debito è nato anche per "reagire a degli shock che aveva origini esterne. Ora si tratta di affrontarlo, lo stiamo riducendo e anche l'impegno che noi ci siamo assunti. In settimana è stata qui la delegazione del Fondo monetario internazionale che ovviamente ci ha chiesto questo tipo di azione. È un impegno - ha aggiunto - che fa parte delle nostre responsabilità e che affronteremo".

E’ una dichiarazione riportata solo da qualche agenzia, non rilanciata da nessun telegiornale e da nessun giornale nazionale che ci informa che gli inviati del FMI già sono stati a Roma nei giorni scorsi. Giova a questo punto ricordare che a marzo scorso gli svizzeri hanno risolto in pochi giorni i problemi di Credit Suisse in difficoltà, senza il "backstop" del Mes, senza PNRR peloso, senza interpellare i soloni Ue, senza multe, riforme e letterine di raccomandazioni, ma semplicemente facendo intervenire la loro banca centrale con un prestito da 50 miliardi. Pochi giorni dopo la FED ha salvato i correntisti della fallita SVB.
In poche parole le banche centrali fanno quello per cui esistono e riescono a farlo meglio quando un paese batte moneta, non quando bisogna mettersi d'accordo in tanti e con interessi quasi sempre contrastanti. Tra California e Svizzera, in tre giorni le assurde regole dell'eurozona sono state ridicolizzate facendo esattamente il contrario. Bisognerebbe ricordarlo a Lagarde e ai “cessionisti” di sovranità nostrani da sempre proni alla Commissione Ue.
Ricordo che il MES ha un capitale sottoscritto di 704,8 miliardi di €, di questi 125 sono da addebitarsi all’Italia che al momento ne ha versati solo 14. Dopo la “truffa del PNRR” siete pronti a nuovi e infiniti sacrifici perché “ce lo chiede l’Europa?”


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giovedì 22 giugno 2023

“Teniamo unito il Paese: autonomia differenziata? No, grazie!” - Venerdì 23 giugno a Matera

Domani, venerdì 23 giugno, a partire dalle ore 16.00 nella città dei Sassi, davanti alla sede della Provincia a Matera partirà un corteo che si muoverà alla volta dell’Ospedale Madonna delle Grazie, dove i partecipanti interverranno esponendo le ragioni della mobilitazione, che fa seguito a quella tenutasi a Potenza lo scorso 22 aprile.

Il Partito del Sud ha aderito all’appello.
Come precisano gli organizzatori:
“Sono stati scelti per la manifestazione due luoghi simbolo, un presidio delle istituzioni locali e uno della sanità pubblica, ambito che risulterebbe particolarmente compromesso dalla realizzazione del Ddl Calderoli, che renderebbe drammatico il divario esistente tra regioni del Nord e regioni del Sud in termini di prestazioni sanitarie, con conseguenze nefaste sul già fragile sistema sanitario lucano.
La tutela della salute, infatti, è tra le 23 materie per le quali le Regioni possono chiedere maggiore autonomia, ovvero un trasferimento di funzioni che comporterebbe, di fatto, enormi diseguaglianze tra le prestazioni garantite da regione a regione, non essendo previste risorse aggiuntive per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), -risorse che sarebbero fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro-Sud a quelle del Nord- poiché il Ddl Calderoli prevede che l’autonomia differenziata si realizzi ad “invarianza finanziaria”.
Questo non farebbe altro che legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.



Se quello sul diritto alla salute appare l’impatto più forte della riforma Calderoli, non da meno sarebbero i risvolti dell’autonomia differenziata in ambiti quali il diritto all’istruzione, la ricerca scientifica e tecnologica, i trasporti, l’energia, la tutela e la sicurezza del lavoro.
L’autonomia differenziata, in definitiva, creerebbe fratture profonde ed insanabili nel Paese e contro questo progetto scellerato tutti abbiamo il dovere di gridare forte il nostro dissenso, per questo vi invitiamo a scendere in piazza con noi il 23 giugno per dire NO all’autonomia differenziata, NO al disegno di legge Calderoli voluto dal governo nazionale e sostenuto dal Presidente della Regione Basilicata.
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Domani, venerdì 23 giugno, a partire dalle ore 16.00 nella città dei Sassi, davanti alla sede della Provincia a Matera partirà un corteo che si muoverà alla volta dell’Ospedale Madonna delle Grazie, dove i partecipanti interverranno esponendo le ragioni della mobilitazione, che fa seguito a quella tenutasi a Potenza lo scorso 22 aprile.

Il Partito del Sud ha aderito all’appello.
Come precisano gli organizzatori:
“Sono stati scelti per la manifestazione due luoghi simbolo, un presidio delle istituzioni locali e uno della sanità pubblica, ambito che risulterebbe particolarmente compromesso dalla realizzazione del Ddl Calderoli, che renderebbe drammatico il divario esistente tra regioni del Nord e regioni del Sud in termini di prestazioni sanitarie, con conseguenze nefaste sul già fragile sistema sanitario lucano.
La tutela della salute, infatti, è tra le 23 materie per le quali le Regioni possono chiedere maggiore autonomia, ovvero un trasferimento di funzioni che comporterebbe, di fatto, enormi diseguaglianze tra le prestazioni garantite da regione a regione, non essendo previste risorse aggiuntive per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), -risorse che sarebbero fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro-Sud a quelle del Nord- poiché il Ddl Calderoli prevede che l’autonomia differenziata si realizzi ad “invarianza finanziaria”.
Questo non farebbe altro che legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.



Se quello sul diritto alla salute appare l’impatto più forte della riforma Calderoli, non da meno sarebbero i risvolti dell’autonomia differenziata in ambiti quali il diritto all’istruzione, la ricerca scientifica e tecnologica, i trasporti, l’energia, la tutela e la sicurezza del lavoro.
L’autonomia differenziata, in definitiva, creerebbe fratture profonde ed insanabili nel Paese e contro questo progetto scellerato tutti abbiamo il dovere di gridare forte il nostro dissenso, per questo vi invitiamo a scendere in piazza con noi il 23 giugno per dire NO all’autonomia differenziata, NO al disegno di legge Calderoli voluto dal governo nazionale e sostenuto dal Presidente della Regione Basilicata.

mercoledì 21 giugno 2023

LA TRUFFA DEL PNRR (22) "…i nodi vengono al pettine, ma scende un buio Fitto…"

 


Di Natale Cuccurese

Lo stallo sul PNRR raccontato da F. Fubini domenica sul @Corriere è più che allarmante. Non solo per i 7 mesi di proclami inconcludenti sui progetti, ma anche per i conti dello Stato.
"Il Tesoro ormai ha bisogno di sapere al più presto se deve prepararsi a collocare bond sul mercato per 20-40 miliardi più del previsto nei prossimi mesi". bastava farlo prima, come si va ripetendo da mesi, e non ci si sarebbe incaprettati ai banchieri europei.
I nodi della truffa stanno giungendo al pettine. Infatti, con un ritardo di oltre due anni, dopo il @Corsera anche @Repubblica, domenica, con due diversi articoli, su due distinti argomenti, si accorge finalmente di quello che era già evidentissimo da tempo e cioè che il Pnrr è una truffa ben congegnata per indebitare per le prossime generazioni l’Italia (per il Sud è una doppia truffa) tenendola così succube e nelle mani dei banchieri della Ue. Meglio tardi che mai, certo ce n’è voluto, strano poi che improvvisamente e nello stesso giorno ci sia questo improvviso cambio di rotta...
Comunque non aiuta l’atteggiamento supponente e disfattista dei due estensori dell’articolo su Repubblica (che criticano il settore pubblico) che è l’esatto contrario di quello critico, pragmatico e costruttivo che serve all’Italia e al Mezzogiorno. Detto che il problema, come ripeto da tempo, non è l’amministrazione pubblica disarticolata e ridotta all’osso negli anni dalla spending review, guarda caso ordinata a suo tempo dalla Commissione Ue, ma sono i politicanti pedissequi ed ottusi del “ce lo chiede l’Europa”.

Contemporaneamente il governo dei “pronti”, nelle stesse ore dell’alluvione in Emilia-Romagna, ai cui cittadini va tutta la nostra solidarietà, rinuncia, invece del rilancio dell’impegno, a sfruttare 9 miliardi previsti da Bruxelles contro il dissesto idrogeologico. Il governo Meloni motiva la retromarcia con la spesa che arranca. Il problema è sempre il solito, cioè la mancanza di tecnici e i tempi stretti che richiede la Ue per progetti e realizzazione delle opere. Come detto una trappola perfetta e ben congegnata nel tempo.
Comunque sempre una resa resta quella di non sfruttare il Pnrr per rafforzare il contrasto al dissesto idrogeologico. A questo proposito è bene ricordare
che la Protezione Civile nazionale, in tutta Italia, di fronte ad una emergenza epocale come quella in corso in Emilia-Romagna, su territori coinvolti per circa 6000 kmq e con un milione di abitanti (prov. BO, RA e FC), può contare solo su 3.000 strutturati e 1.100 volontari (sia beninteso da ringraziare in egual misura).
D’altra parte in questi anni i proci del “ce lo chiede l’Europa” hanno smantellato scuola e sanità, non si vede perché la protezione civile avrebbe dovuto salvarsi. Anni di tagli ad ogni settore della pubblica amministrazione e prima o poi il conto arriva.
Dimentichiamoci così per sempre di fronte a questa ennesima evidenza che lo Stato, questo Stato inginocchiato al vincolo esterno, sia lì per tutelare o fare gli interessi dei cittadini…

Non a caso i giornali nei giorni scorsi ci hanno informato che gli italiani in tre mesi hanno prelevato 50 miliardi di euro dai loro conti correnti perché ormai gli stipendi non bastano per arrivare a fine mese. In Grecia è capitata la stessa cosa che ora sta capitando all'Italia. Per il sacco all’Italia serviva solo più tempo visto che eravamo, e in parte ancora lo siamo, annoverati fra le maggiori potenze economiche mondiali.
Come si ripete da un paio d’anni la distruzione delle “zombie firms”, cioè delle piccole e medie imprese di cui l’Italia detiene o meglio deteneva il primato mondiale, e quindi la distruzione del ceto medio, per fare spazio a multinazionali straniere e a pochi oligarchi italiani era infatti prevista nel documento dei trenta del dicembre 2020 a firma Mario Draghi.
Il passo successivo (già in atto con gli aumenti generalizzati di generi alimentari, bollette, benzina, blocco salari, inflazione) è quello di depredare il risparmio e gli immobili privati, anche qui oggi in Italia ancora ai livelli fra i più alti al mondo, “costringendo aziende e famiglie a intaccare le riserve: in meno di 100 giorni, da dicembre 2022 a marzo scorso, il totale dei depositi bancari è sceso del 2,4%, da 2.065 a 2.015 miliardi. Con i tassi sulla raccolta ancora rasoterra, una parte della liquidità spostata su strumenti remunerati come depositi e pronti contro termine. Il presidente di Unindustria Ferrara: «Serve un piano emergenziale che deve essere immediato».”

Invece la risposta del governo italiano su indicazione della Commissione dei banchieri Ue è quella di sprecare i fondi del Pnrr per le armi. Il testo europeo è infatti arrivato al parlamento italiano (commissariato). Potrebbero essere adoperati per il riarmo anche i Fondi di coesione e il Fondo sociale. Anche questo ennesimo abominio è pagato dal Mezzogiorno e dai poveri, come sempre…

Come se non bastasse, secondo La Stampa, il Ministro Fitto (che colto in castagna smentisce) vorrebbe smantellare gran parte degli investimenti pubblici previsti dal Pnrr e dirottare tutti i fondi verso (ulteriori) sussidi alle imprese, cioè nei fatti privatizzare i fondi del Pnrr distribuendoli a pioggia agli industriali (del Nord) che poi tutti dovremo ripagare con le tasse nei prossimi decenni.
Se così fosse sarebbe una scelta molto negativa, gravissima soprattutto nei confronti del Mezzogiorno che in teoria avrebbe dovuto avere il 65% dei fondi (poi retrocessi al 40% da Draghi, fino al nulla, o quasi, odierno) da indicazioni Ue.
Il virgolettato di Fitto riportato dal quotidiano torinese è però molto chiaro e altrettanto duro. "Noi stiamo lavorando e porteremo in Europa fatti, non chiacchiere, per spiegare perché il Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti ci facciamo molto, molto male", dice.

Non si tratta di cosmesi, insomma, ma di uno "smantellamento con la revisione strutturale anche di alcuni obiettivi previsti due anni fa e ormai superati dagli eventi". Una scelta che consegue dalla "oggettiva constatazione che gran parte del Pnrr non è spendibile". "Stiamo immaginando dei cambiamenti importanti. Ciò comporterà il definanziamento di una serie di interventi non strategici, su cui abbiamo acquisito la certezza di non realizzabilità".

La domanda ora è la seguente: quali saranno gli interventi che il governo del PUN riterrà strategici?
Quelli della “Locomotiva” o quello di iniziare a recuperare il gap territoriale?!
Non si accettano scommesse, la risposta è fin troppo scontata. Per il Mezzogiorno l’ennesima spaventosa truffa…

Intanto i giornali scrivono di un Salvini furioso, di una opposizione scatenata, con la Ue perplessa.
Nuovo caos totale, così come una settimana fa per il dossier dei tecnici del Senato in merito alla bocciatura dell’Autonomia differenziata, in un governo irresponsabile e antimeridionale. Nessuna reazione concreta, come sempre, da parte del garante dell’unità nazionale, solo aulici proclami.

A proposito di Autonomia differenziata i giornali ci informano del giudizio negativo dei cittadini, anche del Nord, sul disegno di legge di riforma voluto dal governo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra nord e sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole. Se (finalmente) informati i cittadini capiscono bene la fregatura che i proci del centrosinistradestra del partito unico delle privatizzazioni vogliono rifilargli.
Ma ciò che spicca è che anche uno su due fra chi abita al Nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni virtuose (coi soldi degli altri…) a prescindere dalla localizzazione geografica.

Dopo la mala parata sull’Autonomia differenziata, con il dossier dei tecnici del Senato che l’hanno stroncata, ora Bankitalia stronca anche la flat tax: “Poco realistica in un Paese con ampio welfare”. La delega fiscale? “Fa perdere gettito.
Insomma i leghisti non ne azzeccano una nemmeno per errore…

Infine sul tema l’Unità di pochi giorni fa scrive che, “Non prima delle europee”: l’imperativo dello stato maggiore di FdI è conciso e tassativo. “Bisogna incassarla in tempo per le europee”: la parola d’ordine in via Bellerio, quartier generale della Lega, è diametralmente opposta ma altrettanto ultimativa. Si parla della legge Calderoli sull’autonomia differenziata e bisogna tener conto di questa tensione che corre sotto pelle per comprendere in pieno la crisi di nervi scatenata dal dossier sulla legge del Servizio Bilancio del Senato, spuntato e subito depennato dall’account LinkedIn di palazzo Madama....
Il dossier è una bocciatura secca. Conferma la fondatezza della principale accusa rivolta all’autonomia differenziata, quella di spaccare il Paese rendendo ancora più povere e svantaggiate le regioni già povere.
La Lega ha bisogno di sbandierare la conquista per fare il pieno dei voti nel nord, FdI mira proprio a impedire questo risultato. Però in ballo c’è di più. FdI si è risolta, o si sta risolvendo, ad accettare la sgraditissima autonomia differenziata anche perché ritiene che l’elezione diretta del premier, cioè il rafforzamento molto drastico del capo del governo e dunque del potere centrale, basti a compensare le divisioni introdotte dalla riforma di Calderoli. La Lega nutre nei confronti del premierato gli stessi sentimenti che gli alleati tricolori provano per l’autonomia differenziata: lo detesta. Se potessero i leghisti preferirebbero di gran lunga fare asse col Pd sul cancellierato piuttosto che con Renzi e Calenda sulla confusa ipotesi del “sindaco d’Italia”. Siccome fidarsi è bene ma evitarlo è meglio, a FdI l’idea di pagare alla Lega il suo prezzo in anticipo non piace affatto.
Dunque i fratelli tricolori tirano al passo della tartaruga, gli alleati leghisti a quello della lepre. E in un simile clima di tensione crescente sotto pelle è inevitabile che un incidente come quello del dossier del Senato diventi deflagrante”.

Insomma come sempre in Italia la situazione politica in Italia è grave ma non è seria. Tanto paghiamo solo noi, come sempre, per cui i politicanti se ne fregano…

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Di Natale Cuccurese

Lo stallo sul PNRR raccontato da F. Fubini domenica sul @Corriere è più che allarmante. Non solo per i 7 mesi di proclami inconcludenti sui progetti, ma anche per i conti dello Stato.
"Il Tesoro ormai ha bisogno di sapere al più presto se deve prepararsi a collocare bond sul mercato per 20-40 miliardi più del previsto nei prossimi mesi". bastava farlo prima, come si va ripetendo da mesi, e non ci si sarebbe incaprettati ai banchieri europei.
I nodi della truffa stanno giungendo al pettine. Infatti, con un ritardo di oltre due anni, dopo il @Corsera anche @Repubblica, domenica, con due diversi articoli, su due distinti argomenti, si accorge finalmente di quello che era già evidentissimo da tempo e cioè che il Pnrr è una truffa ben congegnata per indebitare per le prossime generazioni l’Italia (per il Sud è una doppia truffa) tenendola così succube e nelle mani dei banchieri della Ue. Meglio tardi che mai, certo ce n’è voluto, strano poi che improvvisamente e nello stesso giorno ci sia questo improvviso cambio di rotta...
Comunque non aiuta l’atteggiamento supponente e disfattista dei due estensori dell’articolo su Repubblica (che criticano il settore pubblico) che è l’esatto contrario di quello critico, pragmatico e costruttivo che serve all’Italia e al Mezzogiorno. Detto che il problema, come ripeto da tempo, non è l’amministrazione pubblica disarticolata e ridotta all’osso negli anni dalla spending review, guarda caso ordinata a suo tempo dalla Commissione Ue, ma sono i politicanti pedissequi ed ottusi del “ce lo chiede l’Europa”.

Contemporaneamente il governo dei “pronti”, nelle stesse ore dell’alluvione in Emilia-Romagna, ai cui cittadini va tutta la nostra solidarietà, rinuncia, invece del rilancio dell’impegno, a sfruttare 9 miliardi previsti da Bruxelles contro il dissesto idrogeologico. Il governo Meloni motiva la retromarcia con la spesa che arranca. Il problema è sempre il solito, cioè la mancanza di tecnici e i tempi stretti che richiede la Ue per progetti e realizzazione delle opere. Come detto una trappola perfetta e ben congegnata nel tempo.
Comunque sempre una resa resta quella di non sfruttare il Pnrr per rafforzare il contrasto al dissesto idrogeologico. A questo proposito è bene ricordare
che la Protezione Civile nazionale, in tutta Italia, di fronte ad una emergenza epocale come quella in corso in Emilia-Romagna, su territori coinvolti per circa 6000 kmq e con un milione di abitanti (prov. BO, RA e FC), può contare solo su 3.000 strutturati e 1.100 volontari (sia beninteso da ringraziare in egual misura).
D’altra parte in questi anni i proci del “ce lo chiede l’Europa” hanno smantellato scuola e sanità, non si vede perché la protezione civile avrebbe dovuto salvarsi. Anni di tagli ad ogni settore della pubblica amministrazione e prima o poi il conto arriva.
Dimentichiamoci così per sempre di fronte a questa ennesima evidenza che lo Stato, questo Stato inginocchiato al vincolo esterno, sia lì per tutelare o fare gli interessi dei cittadini…

Non a caso i giornali nei giorni scorsi ci hanno informato che gli italiani in tre mesi hanno prelevato 50 miliardi di euro dai loro conti correnti perché ormai gli stipendi non bastano per arrivare a fine mese. In Grecia è capitata la stessa cosa che ora sta capitando all'Italia. Per il sacco all’Italia serviva solo più tempo visto che eravamo, e in parte ancora lo siamo, annoverati fra le maggiori potenze economiche mondiali.
Come si ripete da un paio d’anni la distruzione delle “zombie firms”, cioè delle piccole e medie imprese di cui l’Italia detiene o meglio deteneva il primato mondiale, e quindi la distruzione del ceto medio, per fare spazio a multinazionali straniere e a pochi oligarchi italiani era infatti prevista nel documento dei trenta del dicembre 2020 a firma Mario Draghi.
Il passo successivo (già in atto con gli aumenti generalizzati di generi alimentari, bollette, benzina, blocco salari, inflazione) è quello di depredare il risparmio e gli immobili privati, anche qui oggi in Italia ancora ai livelli fra i più alti al mondo, “costringendo aziende e famiglie a intaccare le riserve: in meno di 100 giorni, da dicembre 2022 a marzo scorso, il totale dei depositi bancari è sceso del 2,4%, da 2.065 a 2.015 miliardi. Con i tassi sulla raccolta ancora rasoterra, una parte della liquidità spostata su strumenti remunerati come depositi e pronti contro termine. Il presidente di Unindustria Ferrara: «Serve un piano emergenziale che deve essere immediato».”

Invece la risposta del governo italiano su indicazione della Commissione dei banchieri Ue è quella di sprecare i fondi del Pnrr per le armi. Il testo europeo è infatti arrivato al parlamento italiano (commissariato). Potrebbero essere adoperati per il riarmo anche i Fondi di coesione e il Fondo sociale. Anche questo ennesimo abominio è pagato dal Mezzogiorno e dai poveri, come sempre…

Come se non bastasse, secondo La Stampa, il Ministro Fitto (che colto in castagna smentisce) vorrebbe smantellare gran parte degli investimenti pubblici previsti dal Pnrr e dirottare tutti i fondi verso (ulteriori) sussidi alle imprese, cioè nei fatti privatizzare i fondi del Pnrr distribuendoli a pioggia agli industriali (del Nord) che poi tutti dovremo ripagare con le tasse nei prossimi decenni.
Se così fosse sarebbe una scelta molto negativa, gravissima soprattutto nei confronti del Mezzogiorno che in teoria avrebbe dovuto avere il 65% dei fondi (poi retrocessi al 40% da Draghi, fino al nulla, o quasi, odierno) da indicazioni Ue.
Il virgolettato di Fitto riportato dal quotidiano torinese è però molto chiaro e altrettanto duro. "Noi stiamo lavorando e porteremo in Europa fatti, non chiacchiere, per spiegare perché il Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti ci facciamo molto, molto male", dice.

Non si tratta di cosmesi, insomma, ma di uno "smantellamento con la revisione strutturale anche di alcuni obiettivi previsti due anni fa e ormai superati dagli eventi". Una scelta che consegue dalla "oggettiva constatazione che gran parte del Pnrr non è spendibile". "Stiamo immaginando dei cambiamenti importanti. Ciò comporterà il definanziamento di una serie di interventi non strategici, su cui abbiamo acquisito la certezza di non realizzabilità".

La domanda ora è la seguente: quali saranno gli interventi che il governo del PUN riterrà strategici?
Quelli della “Locomotiva” o quello di iniziare a recuperare il gap territoriale?!
Non si accettano scommesse, la risposta è fin troppo scontata. Per il Mezzogiorno l’ennesima spaventosa truffa…

Intanto i giornali scrivono di un Salvini furioso, di una opposizione scatenata, con la Ue perplessa.
Nuovo caos totale, così come una settimana fa per il dossier dei tecnici del Senato in merito alla bocciatura dell’Autonomia differenziata, in un governo irresponsabile e antimeridionale. Nessuna reazione concreta, come sempre, da parte del garante dell’unità nazionale, solo aulici proclami.

A proposito di Autonomia differenziata i giornali ci informano del giudizio negativo dei cittadini, anche del Nord, sul disegno di legge di riforma voluto dal governo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra nord e sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole. Se (finalmente) informati i cittadini capiscono bene la fregatura che i proci del centrosinistradestra del partito unico delle privatizzazioni vogliono rifilargli.
Ma ciò che spicca è che anche uno su due fra chi abita al Nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni virtuose (coi soldi degli altri…) a prescindere dalla localizzazione geografica.

Dopo la mala parata sull’Autonomia differenziata, con il dossier dei tecnici del Senato che l’hanno stroncata, ora Bankitalia stronca anche la flat tax: “Poco realistica in un Paese con ampio welfare”. La delega fiscale? “Fa perdere gettito.
Insomma i leghisti non ne azzeccano una nemmeno per errore…

Infine sul tema l’Unità di pochi giorni fa scrive che, “Non prima delle europee”: l’imperativo dello stato maggiore di FdI è conciso e tassativo. “Bisogna incassarla in tempo per le europee”: la parola d’ordine in via Bellerio, quartier generale della Lega, è diametralmente opposta ma altrettanto ultimativa. Si parla della legge Calderoli sull’autonomia differenziata e bisogna tener conto di questa tensione che corre sotto pelle per comprendere in pieno la crisi di nervi scatenata dal dossier sulla legge del Servizio Bilancio del Senato, spuntato e subito depennato dall’account LinkedIn di palazzo Madama....
Il dossier è una bocciatura secca. Conferma la fondatezza della principale accusa rivolta all’autonomia differenziata, quella di spaccare il Paese rendendo ancora più povere e svantaggiate le regioni già povere.
La Lega ha bisogno di sbandierare la conquista per fare il pieno dei voti nel nord, FdI mira proprio a impedire questo risultato. Però in ballo c’è di più. FdI si è risolta, o si sta risolvendo, ad accettare la sgraditissima autonomia differenziata anche perché ritiene che l’elezione diretta del premier, cioè il rafforzamento molto drastico del capo del governo e dunque del potere centrale, basti a compensare le divisioni introdotte dalla riforma di Calderoli. La Lega nutre nei confronti del premierato gli stessi sentimenti che gli alleati tricolori provano per l’autonomia differenziata: lo detesta. Se potessero i leghisti preferirebbero di gran lunga fare asse col Pd sul cancellierato piuttosto che con Renzi e Calenda sulla confusa ipotesi del “sindaco d’Italia”. Siccome fidarsi è bene ma evitarlo è meglio, a FdI l’idea di pagare alla Lega il suo prezzo in anticipo non piace affatto.
Dunque i fratelli tricolori tirano al passo della tartaruga, gli alleati leghisti a quello della lepre. E in un simile clima di tensione crescente sotto pelle è inevitabile che un incidente come quello del dossier del Senato diventi deflagrante”.

Insomma come sempre in Italia la situazione politica in Italia è grave ma non è seria. Tanto paghiamo solo noi, come sempre, per cui i politicanti se ne fregano…

 
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