mercoledì 8 gennaio 2025

Cuccurese: “Malasanità in Calabria, il razzismo di Stato uccide”

“A San Giovanni in Fiore, in Calabria, in migliaia, hanno partecipato alla fiaccolata per l’uomo morto in ambulanza dopo aver atteso per tre ore l’arrivo di un medico. È solo l’ultimo dei morti causati da una Sanità diseguale che affligge e a volte uccide da decenni i cittadini del Mezzogiorno, spesso oltretutto costretti all’emigrazione sanitaria che acuisce sempre più la predazione in un circolo vizioso che non interessa alla politica politicante. 
Nessun Tg ne parla, ne ha parlato, ne parlerà mai. Il diritto alla Salute al Sud semplicemente non esiste. La ripartizione dei fondi Sanità da parte dello Stato centrale è discriminatorio (e coloniale) nei confronti dei cittadini del Sud. Altro che Costituzione, altro che unità, altro che barzellette infiocchettate da giornalisti e media complici. 

Secondo il Rapporto Italia Eurispes 2020, mai smentito da nessuno – dal 2000 al 2017 – calcolando quanto avrebbe dovuto ricevere il Sud in spesa pubblica rispetto alla sua popolazione sul totale, l‘ammanco rispetto a quanto effettivamente ricevuto è di ben 840 miliardi di euro (circa 46,7 miliardi di euro per anno, dal 2000 al 2017). Una abnorme predazione di risorse che continua anno dopo anno. Con tutta evidenza il differenziale Nord/Sud è quindi voluto e ricercato da chi da sempre guida la politica del Paese, in barba alla Costituzione. 

Poi vedi che al Sud c’è vi vota addirittura la Lega Nord e che il parlamento ha approvato la legge Calderoli sull’Autonomia differenziata al fine di ratificare l’apartheid sociale ed economica (a quella politica già ci avevano pensato con la legge elettorale e la seguente diminuzione discriminatoria dei parlamentari) nei confronti del 34% dei cittadini italiani, quelli del Sud, e capisci che, se non si bloccano immediatamente queste “politiche razziali”, questo è un paese che non ha un futuro“. Questo quanto dichiarato via social dal Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese.




Leggi tutto »
“A San Giovanni in Fiore, in Calabria, in migliaia, hanno partecipato alla fiaccolata per l’uomo morto in ambulanza dopo aver atteso per tre ore l’arrivo di un medico. È solo l’ultimo dei morti causati da una Sanità diseguale che affligge e a volte uccide da decenni i cittadini del Mezzogiorno, spesso oltretutto costretti all’emigrazione sanitaria che acuisce sempre più la predazione in un circolo vizioso che non interessa alla politica politicante. 
Nessun Tg ne parla, ne ha parlato, ne parlerà mai. Il diritto alla Salute al Sud semplicemente non esiste. La ripartizione dei fondi Sanità da parte dello Stato centrale è discriminatorio (e coloniale) nei confronti dei cittadini del Sud. Altro che Costituzione, altro che unità, altro che barzellette infiocchettate da giornalisti e media complici. 

Secondo il Rapporto Italia Eurispes 2020, mai smentito da nessuno – dal 2000 al 2017 – calcolando quanto avrebbe dovuto ricevere il Sud in spesa pubblica rispetto alla sua popolazione sul totale, l‘ammanco rispetto a quanto effettivamente ricevuto è di ben 840 miliardi di euro (circa 46,7 miliardi di euro per anno, dal 2000 al 2017). Una abnorme predazione di risorse che continua anno dopo anno. Con tutta evidenza il differenziale Nord/Sud è quindi voluto e ricercato da chi da sempre guida la politica del Paese, in barba alla Costituzione. 

Poi vedi che al Sud c’è vi vota addirittura la Lega Nord e che il parlamento ha approvato la legge Calderoli sull’Autonomia differenziata al fine di ratificare l’apartheid sociale ed economica (a quella politica già ci avevano pensato con la legge elettorale e la seguente diminuzione discriminatoria dei parlamentari) nei confronti del 34% dei cittadini italiani, quelli del Sud, e capisci che, se non si bloccano immediatamente queste “politiche razziali”, questo è un paese che non ha un futuro“. Questo quanto dichiarato via social dal Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese.




lunedì 6 gennaio 2025

Sud senza rappresentanza: intrecci dialogici tra le tesi di Salvemini, Busetta e Cuccurese

 

Di Salvatore Lucchese su Meridione/Meridiani

RiassuntoNel presente saggio si analizza il vuoto di rappresentanza delle istanze sociali, economiche e civili dei cittadini meridionali mediante una comparazione critica tra le tesi meridionaliste dello storico Gaetano Salvemini, dell’economista Pietro Massimo Busetta e del dirigente politico Natale Cuccurese, per poi porre l’esigenza di un meridionalismo sì di analisi critiche e proposte di risoluzione della nuova questione meridionale, ma anche e soprattutto di un meridionalismo di lotte dal basso da declinare nell’ottica dell’intersezionalità.

Parole chiave: Sud, meridionalismo, nuova questione meridionale, rivoluzione copernicana, rappresentanza, lotte dal basso, intersezionalità.


1. Sud senza rappresentanza
Nel corso degli ultimi trent’anni la progressiva ascesa della Lega Nord e della sua conseguente egemonia sul piano politico-culturale, che, a sua volta, nel corso degli stessi decenni, si è intrecciato con il pensiero unico neo-liberista (Pallante, 2024: 121-122; Scialpi, 2024), ha contribuito non poco all’attuale centralità della cosiddetta ‘questione settentrionale’.


A tale egemonia ha fatto da pendant la rimozione della questione meridionale dalle agende politiche di tutti i Governi sedicenti nazionali. L’intero sistema, o quasi, dei partiti politici italiani ha inseguito la Lega Nord sui suoi temi caratterizzanti – separatismo, federalismo asimmetrico, critica dello Stato centralizzato e del parassitismo meridionale, a fronte delle esigenze della locomotiva Nord –, sino a giungere alla riforma del Titolo V della Costituzione e alla coeva cancellazione di ogni riferimento esplicito al Mezzogiorno nella Carta costituzionale. Il tutto, a firma del Governo di centro-sinistra guidato dal “dottor sottile” Giuliano Amato, nelle vesti, quella volta, e non solo lui, di apprendista stregone (Ibid.: 78-98).
Infatti, l’introduzione nel dettato costituzionale della possibilità da parte delle Regioni a statuto ordinario di richiedere maggiori poteri, funzioni e risorse economiche su ben ventitré materie a legislazione concorrenziale, tra cui anche quelle di rilievo nazionale concernenti, ad esempio, la salute, l’istruzione, l’energia ed i trasporti, ha ben secondato il progetto eversivo sotteso alla “secessione dei ricchi” (Viesti, 2023: 10), camuffandolo da riforma costituzionale.
Un progetto che, fatto proprio in modo trasversale da tutti i maggiori partiti nazionali sia di centro-sinistra che di centro-destra, mira, visto da Sud, a statuire definitivamente la condizione del Mezzogiorno come colonia estrattiva interna di risorse finanziarie e soprattutto umane, condannandolo, così, ad una desertificazione irreversibile tanto sul piano economico quanto su quello demografico (cfr. Esposito, 2023).
La qualcosa ha contribuito ad evidenziare in modo sempre più chiaro ed inequivocabile il notevole vuoto di rappresentanza delle istanze, dei bisogni e dei diritti disattesi, ridimensionati o azzerati dei cittadini italiani residenti al Sud, a cui, ogni anno, vengono indebitamente sottratti, sempre che la Costituzione abbia ancora un valore, ben 60miliardi di euro di spesa pubblica allargata pro-capite (cfr. Napoletano, 2019).
Di recente, sul tema del vuoto di rappresentanza delle istanze disattese dei cittadini meridionali sono tornati ad intervenire sia l’economista meridionalista Pietro Massimo Busetta, sia il saggista e dirigente politico meridionalista Natale Cuccurese.
Il primo, Busetta, da anni denuncia il ruolo negativo delle classi dirigenti meridionali, da lui definite nei termini di “classe dominante estrattive” (Busetta, 2021: 67; 2023: 82), in quanto, in cambio del loro consenso alle politiche nazionali di spoliazione del Meridione, ottengono favori personali e/o funzionali alle loro ristrette clientele politico-elettorali.
Posto che, secondo l’economista palermitano, il Sud necessita di una politica di perequazione, lo stesso si pone una domanda radicale, che spesso, se non sempre, viene elusa sia nel dibattito pubblico che in quello specialistico:


Ma rimane la domanda quali dovranno essere i soggetti del cambiamento in un’Italia nella quale il Nord è dominato da un Partito unico che in una visione nord-centrica e un atteggiamento bulimico non riesce che a pensare al proprio cortile di casa, mentre il Sud è dominato da una classe estrattiva che pensa soltanto a come farsi rieleggere e a continuare quel processo di utilizzo della propria capacità di aggregare consenso per sfruttare una rendita di posizione consolidata? (Busetta, 2023: 169).


A questa domanda fondamentale, Busetta risponde che i “soggetti del cambiamento” (Busetta, 2023: 165) dovrebbe essere il frutto di aggregazione di tutte quelle forze che, a livello, nazionale, non riconoscendosi nel “Partito unico del Nord” (Ibidem) e al di là degli “steccati ideologici” (Ibidem) tra destra e sinistra, si pongano “come obiettivo limitato nel tempo la riunificazione economica del Paese” (Ibidem).

Un partito nazionale – specifica Busetta – che superi anche gli steccati regionali e che si ponga come contraltare alla Lega Nord che ha raggiunto invece l’obiettivo opposto e che sta conseguendo la spaccatura del Paese (Ibidem).

Dal suo canto, anche Cuccurese evidenzia il vuoto di rappresentanza, quando, in un suo recente articolo, osserva che:


La Repubblica italiana infatti nega i diritti costituzionali fondamentali ai cittadini del Mezzogiorno. Non mi riferisco a quanto già più volte denunciato in questi ultimi anni: dai minori trasferimenti statali rispetto alla percentuale del 34% della popolazione che si riflettono su cure mediche minori (che incidono sulla stessa aspettativa di durata di vita dei cittadini meridionali, più bassa che al Nord), o agli asili, alle scuole senza palestre o mense, alla scarsità di insegnanti, alle infrastrutture, ai Lep mai definiti e ora addirittura differenziati e così via. No, mi riferisco proprio a quanto di più sacro per una democrazia: parlo del diritto di voto e di conseguenza di rappresentanza politica che in larga parte al Sud è negata (Cuccurese, 2024).


Negazione di diritto al volto che il dirigente politico meridionalista riconduce al “Referendum del 2020 sul “Taglio dei parlamentari” (Ibidem). Una misura che, a suo parere, acuirà ancora di più la crisi di rappresentanza nel e del Mezzogiorno, in quanto, argomenta Cuccurese:


La densità di popolazione al Sud parametro per l’assegnazione dei seggi alla Camera e al Senato, è infatti più bassa del Nord, e visto che la desertificazione demografica causata dall’emigrazione forzata cresce di anno in anno, la conseguenza è che il Sud, in un Parlamento ridotto e cioè ha un peso politico ancora minore del precedente.


Rispetto a questa dinamica distorta, che può essere considerata un vero e proprio circolo vizioso tra la mancanza di un’adeguata rappresentanza del Sud, l’attuazione di politiche di desertificazione complessiva dell’area e la conseguente perdita di un suo peso specifico in termini di rilevanza politica, che, a sua volta, ri-alimenta le politiche di spoliazione del Sud, Cuccurese, anche sulla base dei dati relativi alle elezioni politiche del 2020, fa valere l’esigenza di un “Sud all’opposizione” (Ibidem).


Pertanto – conclude Cuccurese – come da tempo vado ripetendo, per costruire l’alternativa popolare di sinistra alle parole d’ordine antiliberista, ambientalista, antifascista, femminista e pacifista, va aggiunto meridionalista, visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno, dandogli voce e rappresentanza. A mio avviso la sinistra può ripartire solo da Sud (Ibidem).


Dunque, pur partendo da prospettive disciplinari diverse, la prima economica e la seconda politologica, sia l’economista Busetta che il dirigente politico Cuccurese concordano entrambi nel formulare la stessa diagnosi per la patologica arretratezza di cui soffre il Mezzogiorno: il vuoto di rappresentanza.
Anche se entrambi propongono come rimedio a questa malattia che affligge storicamente il Sud la stessa terapia incentrata sulla costruzione di un’adeguata rappresentanza a livello politico-istituzionale delle sue istanze e dei suoi diritti disattesi, i due divergono per il contenuto della stessa.
Infatti, mentre Busetta sembra fare riferimento alla costruzione di un soggetto partitico post-ideologico, di contro, Cuccurese colloca l’esigenza di una tale rappresentanza nell’ambito delle forze e delle culture politiche di sinistra.
Comunque, al di là delle analogie e delle differenze che intercorrono tra esse, entrambe le analisi, nel porre il tema del vuoto di rappresentanza, si collocano, di fatto, anche, ma non solo, nel solco della ‘rivoluzione copernicana’ che Gaetano Salvemini apporta al dibattito meridionalista: il passaggio dal cosa fare per riscattare il Sud al chi deve fare cosa per garantirne i processi di sviluppo del Meridione sia in termini economici, sia in termini sociali che civili e culturali.
La qualcosa giustifica una comparazione critica tra le proposte di Busetta, di Cuccurese e di Salvemini, al fine di porre il tema fondamentale della costituzione del soggetto politico anche sulla base di un’adeguata analisi materialistica della società meridionale.


2. La ‘rivoluzione copernicana’ di Gaetano Salvemini
A cavallo tra Otto e Novecento, nel drammatico tornante degli anni della crisi di fine secolo, mentre a Milano tra il 6 e il 9 maggio 1898 le truppe del regio esercito italiano comandate dal generale Bava Beccaris prendono a cannonate ad alzo zero le masse popolari che protestano per l’aumento del prezzo del pane, cannonate a cui il 29 luglio 1900 fanno seguito i colpi di rivoltella che l’anarchico Gaetano Bresci esplode contro il re Umberto I, da un lato, il dibattito sulla questione meridionale si arricchisce di nuovi contributi critici, quali quelli offerti dal repubblicano Napoleone Colajanni, dal liberista Antonio de Viti de Marco, dal socialista Ettore Ciccotti e dal democratico Francesco Saverio Nitti, dall’altro, si inasprisce, assumendo una connotazione sempre più territoriale, che viene declinata anche in termini antropologico-razziali (cfr. Teti, 1993).
Infatti, dopo la fase liberale del dibattito sul divario tra il Nord e il Sud del Paese inaugurata da Pasquale Villari nel 1875 con le sue Lettere meridionali (cfr. Villari 1878) e proseguita dagli studi e dalle inchieste di Leopoldo Franchetti (cfr. Franchetti, 1875; 1876), Sidney Sonnino (cfr. Sonnino, 1875; 1876) e Giustino Fortunato (cfr. Fortunato, 1876; 1978-1979; 2003), fase liberale che si caratterizza per la proposta di una riforma agraria che migliori le condizioni di vita e di lavoro dei contadini meridionali, che erano da loro considerati come “oggetto e non possibile soggetto di storia” (Barbagallo, 1978: 23-24), si sviluppano, a partire da altre prospettive e da altre culture politiche, nuove fasi del dibattito sulla questione meridionale, che ne evidenziano altri aspetti e soluzioni.
Tra fine Ottocento ed inizio Novecento, dall’ala radicale del variegato movimento politico-culturale meridionalista, mentre il liberista pugliese Antonio De Viti De Marco (cfr. De Viti De Marco, 1929) evidenzia la funzione coloniale del Mezzogiorno dopo la svolta protezionista dello Stato italiano, il democratico lucano Francesco Saverio Nitti (cfr. Nitti, 1958) denuncia il drenaggio di risorse economiche da Sud a Nord, per poi proporre ed attuare tramite una legge speciale l’industrializzazione di Napoli.
Sempre sul fronte del meridionalismo di orientamento repubblicano e radicale, il siciliano Napoleone Colajanni si caratterizza sia per la sua difesa costante e brillante delle popolazioni meridionali dalle teorie razziste della scuola antropologico-criminale di Cesare Lombroso (cfr. Colajanni 1898), sia per le sue posizioni federaliste ed autonomiste in ambito politico-istituzionale (cfr. Colajanni 1898bis).
È in questo contesto che un giovane socialista, un allora sconosciuto docente di liceo, apporta al dibattito sulla questione meridionale “aria nuova, ne rinnova del tutto i temi, e apre un epoca del meridionalismo, col suo aver posto la politicizzazione delle masse meridionali quale vera base per la rinascita del Sud Italia” (Salvadori,1981: 288-289).
Si tratta di Gaetano Salvemini, che, già allievo del meridionalista liberale Pasquale Villari presso l’Istituto Superiore degli Studi di Firenze, dopo avere esordito tra il 1° marzo ed il 1° aprile del 1897 nella pubblicistica meridionalista pubblicando sulla rivista “Critica sociale” diretta da Filippo Turati e da Anna Kuliscioff un articolo dal titolo Un Comune dell’Italia meridionale: Molfetta, (cfr. Salvemini, 1955) successivamente, tra il 25 dicembre 1898 ed il 14 marzo 1899, pubblica sulla rivista “Educazione politica” di Arcangelo Ghilseri il saggio La questione meridionale, che, appunto, “apre un epoca nuova del meridionalismo” (Ibidem).


Ed “apre un epoca nuova del meridionalismo” attuandovi, sulla base della lezione di Karl Marx ed Antonio Labriola, quella che può essere definita una vera e propria ‘rivoluzione copernicana’, in quanto, criticando i meridionalisti liberali, egli propone di fondare il riscatto del Mezzogiorno non sulla centralità del cosa fare, bensì su quella del chi deve fare cosa.
Infatti, dopo avere precisato che il Mezzogiorno soffre di tre malattie, lo “Stato accentratore” (Salvemini, 1955: 32), l’“oppressione economica” (Ibid.: 33) subita dal Nord Italia, la “struttura sociale semifeudale” (Ibid.: 34), lo studioso pugliese ne indica anche i rimedi, riforma complessiva della politica italiana (Ibid.: 36), “giustizia distributiva” (Ibidem) tra Nord e Sud e tra classi sociali, per poi commentare: “Tutte belle cose. Ma a me pare che finora, se sono stati studiati benissimo i rimedi, non sia detto ancora chi rimedierà” (Ibidem).

In generale – prosegue Salvemini – gli studiosi del problema meridionale questa domanda o non se la metton mai o rispondono sùbito con una parola bisillaba: lo Stato! Quando han così risposto, credono di aver accomodato tutto, e buttan fuori delle eloquenti concioni sul dovere, che ha lo Stato di rendere finalmente giustizia a quelle popolazioni nobili, patriottiche, ecc. e lo Stato fa il sordo. E gli studiosi continuano nelle loro concioni eloquentissime (Ibidem).


Di contro, secondo lo storico pugliese, il problema centrale è quello relativo all’individuazione di


[…] una forza capace di attuare – con o senza violenza, poco importa – le riforme da tutti ritenute necessarie. Datemi un punto d’appoggio, diceva Archimede, e vi solleverò il mondo; ma il punto d’appoggio non lo trovò mai e il mondo se ne rimase tranquillo al suo posto. C’è nell’Italia meridionale un punto d’appoggio, su cui si possa fare leva per sollevare il mondo sociale? O, in altre parole, c’è nell’Italia meridionale un partito riformista? E se non c’è, è possibile che sorga? E quali sono le persone che lo comporranno? (Ibid.: 37)


Per potere dare una risposta a queste domande, Salvemini ritiene che debba essere adottata la prospettiva critica del “materialismo storico” (Ibid.: 38), in quanto, a parere dello storico pugliese, soltanto la sua adozione consentirebbe di individuare la posizione delle principali classe sociali in cui si articola la struttura economica del Mezzogiorno dinanzi alle riforme che occorrerebbe promuovere per garantirne un adeguato sviluppo.
E il “punto di appoggio” (Ibid.: 37) per sollevare il “mondo sociale” (Ibidem), Salvemini non lo individua né nei latifondisti, in quanto, a suo parere, i loro interessi economici sono tutelati dallo Stato liberale (pp. 38-42), né nella piccolo borghesia intellettuale, che, sempre a parere dello studioso pugliese, in alleanza con i latifondisti, accede al controllo delle amministrazioni locali, bensì la “forza” e il “punto di appoggio” per sollevare il mondo sociale meridionale lo individua nel proletariato rurale. Come lo stesso Salvemini scrive:

Non saranno dunque né i latifondisti né i piccoli borghesi quelli da cui partirà il movimento di riforma. Il punto d’appoggio bisogna cercarlo altrove. E questo altrove sta nel proletariato rurale. Che questa sia la classe la quale più di tutte ha bisogno delle riforme, e da esse, quando fossero fatte, riceverebbe maggiori e più immediati vantaggi, è verità da tutti accettata. Il latifondismo ha in essa le sue vittime. La massima parte delle tasse comunali, su cui tanti piccoli borghesi vivono parassitariamente, è pagata da essa. Su di essa per ripercussione cadono tutte le conseguenze delle ladrerie politiche e amministrative, il cui tessuto costituisce la storia della terza Italia (Ibid.: 50).


Successivamente, nel saggio La questione meridionale e il federalismo, da lui pubblicato tra il 16 luglio e il 16 settembre 1900 sulle pagine della rivista “Critica sociale”, per evitare una “guerra orribile” (Ibid.: 106) rispetto alle contrapposizioni territoriali del Paese, deriva da lui definita nei termini di lotta “regionalista” (Ibidem), caratterizzata dal fatto che, osserva il pugliese, dopo quarant’anni di unità “I nordici disprezzano, come dicon essi, i sudici; e i sudici detestano con tutta l’anima i nordici” (Ibid.: 69), Salvemini propone all’interno del campo socialista, repubblicano e democratico di fine secolo, una vera e propria alleanza tra il proletariato agricolo meridionale e il proletariato industriale settentrionale sulla base di una piattaforma programmatica incentrata sulla costruzione del federalismo dal basso.


Mentre i regionalisti unitari – scrive lo studioso pugliese – gridano, per i loro fini occulti, che fra il Nord e il Sud vi è lotta di interessi, i federalisti debbono gridare che non è vero: non vi è lotta fra Nord e Sud: vi è lotta tra le masse del Sud e i reazionari del Sud; vi è lotta fra le masse del Nord e i reazionari del Nord; e come i reazionari del Nord e del Sud si uniscono insieme per opprimere le masse del Nord e del Sud, così le masse delle due sezioni del nostro paese debbono unirsi per sconfiggere a fuochi incrociati la reazione, sia delinquente con la camorra e con la mafia, sia ipocritamente onesta con Colombo e Negri, viva sul lavoro non pagato dei cafoni pugliesi o su quello delle risaie emiliane; prenda a suoi rappresentanti Crispi o Saracco, si affermi sulle colonne del “Corriere della Sera” o nei libri semiscientifici di Nitti (Ibid.: 106-107).


3. Per un meridionalismo di analisi, proposte e lotte dal basso
Il riferimento alla ‘rivoluzione copernicana’ salveminiana, il ribaltamento dell’impostazione della soluzione della questione meridionale dal cosa fare per chi, al chi deve fare cosa, potrebbe contribuire ad articolare ulteriormente la proposta di costruzione di un soggetto politico meridionalista avanzata da Busetta e Cuccurese anche in riferimento alla struttura sociale del Mezzogiorno.
Infatti, sia nel caso della proposta avanzata dall’economista siciliano di “Un partito nazionale che superi anche gli steccati regionali e che si ponga come contraltare alla Lega Nord” (Busetta, 2023: 165), sia nel caso della tesi formulata dal meridionalista emiliano-romagnolo di far sì che il campo delle sinistre assuma come centrale nella sua agenda politica anche il tema della nuova questione meridionale (cfr. Cuccurese, 2024), le loro proposte dovrebbero essere declinate anche in termini di analisi sociale, in quanto il riferimento ad un Sud senza rappresentanza, a cui spesso si fa riferimento in ambito giornalistico per motivi di sintesi divulgativa, proprio dal punto di vista della composita struttura sociale del Mezzogiorno appare del tutto generico.
Allora, occorrerebbe chiedersi se i contadini erano il soggetto sociale su cui fare leva per trasformare il mondo sociale sino alla prima metà del ‘900, oggi qual è o quali sono le nuove soggettività sociali da ricomporre nei termini della coscienza di classe su cui fare leva per l’unificazione sostanziale delle due Italie? Chi in termini di soggettività politiche, nuove o già esistenti, deve dare voce a chi per il riscatto del Mezzogiorno e la realizzazione della coesione solidale dell’intero sistema-Paese?
In altri termini, occorrerebbe declinare l’attuale dibattito sulla nuova questione meridionale sia in termini di analisi critiche, sia in termini di proposte risolutive, sia in termini di lotte sociali dal basso. Occorrerebbe una nuova ‘rivoluzione copernicana’ tanto sul piano della riflessione politica quanto su quello delle pratiche di emancipazione degli oppressi in un’ottica di intersezionalità, che unisca la moltitudine dei movimenti e delle lotte contro le diverse forme di dominio: sociale, di genere, ambientale, generazionale e territoriale.


Bibliografia
Busetta, P.M. (2021), Il lupo e l’agnello. Dal mantra del Sud assistito all’operazione verità, Soveria Mannelli: Rubbettino.
Id. (2023), La rana e lo scorpione. Ripensare il Sud per non essere né emigranti né briganti, Soveria Mannelli: Rubbettino.
Colajanni, N. (1898), Per la razza maledetta, Palermo-Roma: Sandron.
Id. (1898bis), Settentrionali e Meridionali (Agli Italiani del Mezzogiorno), Milano-Palermo: Sandron.
Cuccurese, N. (2024), “Sud all’opposizione!”, in Meridione/Meridiani. I Sud oltre il Sud, (https://www.meridionemeridiani.info/politica-e-diritto/sud-allopposizione/).
De Viti De Marco, A. (1929), Un trentennio di lotte politiche 1894-1922, Roma: Collezione meridionale editrice.
Esposito, M. (2024), Vuoto a perdere. Il collasso demografico, come invertire la rotta, Soveria Mannelli: Rubbettino.
Fortunato, G. (1973), Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, (1876), Firenze: Vallecchi.
Id. (1978-1979), Carteggio 1865-1911, 1912-1922, Bari: Laterza.
Id. (2003), Giustino Fortunato e il Senato. Carteggio (1909-1930), Soveria Mannelli: Rubbettino.
Franchetti, L. & Sonnino, S. (1875), Condizioni economiche e amministrative delle province napoletane. Abbruzzi e Molise, Calabrie e Basilicata, Firenze: Tipografia della Gazzetta d’Italia.
Franchetti, L. & Sonnino, S. (1974), Inchiesta in Sicilia, (1876) Firenze: Vallecchi.
Napoletano, R. (2019), “L’inchiesta. Scippo al Sud”, in il Quotidiano del Sud. L’altra voce dell’Italia, 10/04/2019.
Nitti, F.S. (1958), Nord e Sud (1900), in Id., Scritti sulla questione meridionale, vol. II, Bari: Laterza.
Pallante, F. (2024), Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Torino: Einaudi.
Salvadori, M.L. (1981), Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino: Einaudi.
Salvemini, G. (1955), Scritti sulla questione meridionale (1896-1955), Torino: Einaudi.
Scialpi, A. (2024), “Gap Nord-Sud: l’egemonia culturale della “Destra”, in Meridione/Meridiani. I Sud oltre il Sud, (https://www.meridionemeridiani.info/cultura/gap-nord-sud-legemonia-culturale-della-destra/).
Teti, V. (1993), La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Roma: Manifestolibri.
Viesti, G. (2023), Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale, Bari-Roma: Laterza.
Villari, P. (1978), Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Napoli: Guida.


Fonte: Meridione/Meridiani




Leggi tutto »

 

Di Salvatore Lucchese su Meridione/Meridiani

RiassuntoNel presente saggio si analizza il vuoto di rappresentanza delle istanze sociali, economiche e civili dei cittadini meridionali mediante una comparazione critica tra le tesi meridionaliste dello storico Gaetano Salvemini, dell’economista Pietro Massimo Busetta e del dirigente politico Natale Cuccurese, per poi porre l’esigenza di un meridionalismo sì di analisi critiche e proposte di risoluzione della nuova questione meridionale, ma anche e soprattutto di un meridionalismo di lotte dal basso da declinare nell’ottica dell’intersezionalità.

Parole chiave: Sud, meridionalismo, nuova questione meridionale, rivoluzione copernicana, rappresentanza, lotte dal basso, intersezionalità.


1. Sud senza rappresentanza
Nel corso degli ultimi trent’anni la progressiva ascesa della Lega Nord e della sua conseguente egemonia sul piano politico-culturale, che, a sua volta, nel corso degli stessi decenni, si è intrecciato con il pensiero unico neo-liberista (Pallante, 2024: 121-122; Scialpi, 2024), ha contribuito non poco all’attuale centralità della cosiddetta ‘questione settentrionale’.


A tale egemonia ha fatto da pendant la rimozione della questione meridionale dalle agende politiche di tutti i Governi sedicenti nazionali. L’intero sistema, o quasi, dei partiti politici italiani ha inseguito la Lega Nord sui suoi temi caratterizzanti – separatismo, federalismo asimmetrico, critica dello Stato centralizzato e del parassitismo meridionale, a fronte delle esigenze della locomotiva Nord –, sino a giungere alla riforma del Titolo V della Costituzione e alla coeva cancellazione di ogni riferimento esplicito al Mezzogiorno nella Carta costituzionale. Il tutto, a firma del Governo di centro-sinistra guidato dal “dottor sottile” Giuliano Amato, nelle vesti, quella volta, e non solo lui, di apprendista stregone (Ibid.: 78-98).
Infatti, l’introduzione nel dettato costituzionale della possibilità da parte delle Regioni a statuto ordinario di richiedere maggiori poteri, funzioni e risorse economiche su ben ventitré materie a legislazione concorrenziale, tra cui anche quelle di rilievo nazionale concernenti, ad esempio, la salute, l’istruzione, l’energia ed i trasporti, ha ben secondato il progetto eversivo sotteso alla “secessione dei ricchi” (Viesti, 2023: 10), camuffandolo da riforma costituzionale.
Un progetto che, fatto proprio in modo trasversale da tutti i maggiori partiti nazionali sia di centro-sinistra che di centro-destra, mira, visto da Sud, a statuire definitivamente la condizione del Mezzogiorno come colonia estrattiva interna di risorse finanziarie e soprattutto umane, condannandolo, così, ad una desertificazione irreversibile tanto sul piano economico quanto su quello demografico (cfr. Esposito, 2023).
La qualcosa ha contribuito ad evidenziare in modo sempre più chiaro ed inequivocabile il notevole vuoto di rappresentanza delle istanze, dei bisogni e dei diritti disattesi, ridimensionati o azzerati dei cittadini italiani residenti al Sud, a cui, ogni anno, vengono indebitamente sottratti, sempre che la Costituzione abbia ancora un valore, ben 60miliardi di euro di spesa pubblica allargata pro-capite (cfr. Napoletano, 2019).
Di recente, sul tema del vuoto di rappresentanza delle istanze disattese dei cittadini meridionali sono tornati ad intervenire sia l’economista meridionalista Pietro Massimo Busetta, sia il saggista e dirigente politico meridionalista Natale Cuccurese.
Il primo, Busetta, da anni denuncia il ruolo negativo delle classi dirigenti meridionali, da lui definite nei termini di “classe dominante estrattive” (Busetta, 2021: 67; 2023: 82), in quanto, in cambio del loro consenso alle politiche nazionali di spoliazione del Meridione, ottengono favori personali e/o funzionali alle loro ristrette clientele politico-elettorali.
Posto che, secondo l’economista palermitano, il Sud necessita di una politica di perequazione, lo stesso si pone una domanda radicale, che spesso, se non sempre, viene elusa sia nel dibattito pubblico che in quello specialistico:


Ma rimane la domanda quali dovranno essere i soggetti del cambiamento in un’Italia nella quale il Nord è dominato da un Partito unico che in una visione nord-centrica e un atteggiamento bulimico non riesce che a pensare al proprio cortile di casa, mentre il Sud è dominato da una classe estrattiva che pensa soltanto a come farsi rieleggere e a continuare quel processo di utilizzo della propria capacità di aggregare consenso per sfruttare una rendita di posizione consolidata? (Busetta, 2023: 169).


A questa domanda fondamentale, Busetta risponde che i “soggetti del cambiamento” (Busetta, 2023: 165) dovrebbe essere il frutto di aggregazione di tutte quelle forze che, a livello, nazionale, non riconoscendosi nel “Partito unico del Nord” (Ibidem) e al di là degli “steccati ideologici” (Ibidem) tra destra e sinistra, si pongano “come obiettivo limitato nel tempo la riunificazione economica del Paese” (Ibidem).

Un partito nazionale – specifica Busetta – che superi anche gli steccati regionali e che si ponga come contraltare alla Lega Nord che ha raggiunto invece l’obiettivo opposto e che sta conseguendo la spaccatura del Paese (Ibidem).

Dal suo canto, anche Cuccurese evidenzia il vuoto di rappresentanza, quando, in un suo recente articolo, osserva che:


La Repubblica italiana infatti nega i diritti costituzionali fondamentali ai cittadini del Mezzogiorno. Non mi riferisco a quanto già più volte denunciato in questi ultimi anni: dai minori trasferimenti statali rispetto alla percentuale del 34% della popolazione che si riflettono su cure mediche minori (che incidono sulla stessa aspettativa di durata di vita dei cittadini meridionali, più bassa che al Nord), o agli asili, alle scuole senza palestre o mense, alla scarsità di insegnanti, alle infrastrutture, ai Lep mai definiti e ora addirittura differenziati e così via. No, mi riferisco proprio a quanto di più sacro per una democrazia: parlo del diritto di voto e di conseguenza di rappresentanza politica che in larga parte al Sud è negata (Cuccurese, 2024).


Negazione di diritto al volto che il dirigente politico meridionalista riconduce al “Referendum del 2020 sul “Taglio dei parlamentari” (Ibidem). Una misura che, a suo parere, acuirà ancora di più la crisi di rappresentanza nel e del Mezzogiorno, in quanto, argomenta Cuccurese:


La densità di popolazione al Sud parametro per l’assegnazione dei seggi alla Camera e al Senato, è infatti più bassa del Nord, e visto che la desertificazione demografica causata dall’emigrazione forzata cresce di anno in anno, la conseguenza è che il Sud, in un Parlamento ridotto e cioè ha un peso politico ancora minore del precedente.


Rispetto a questa dinamica distorta, che può essere considerata un vero e proprio circolo vizioso tra la mancanza di un’adeguata rappresentanza del Sud, l’attuazione di politiche di desertificazione complessiva dell’area e la conseguente perdita di un suo peso specifico in termini di rilevanza politica, che, a sua volta, ri-alimenta le politiche di spoliazione del Sud, Cuccurese, anche sulla base dei dati relativi alle elezioni politiche del 2020, fa valere l’esigenza di un “Sud all’opposizione” (Ibidem).


Pertanto – conclude Cuccurese – come da tempo vado ripetendo, per costruire l’alternativa popolare di sinistra alle parole d’ordine antiliberista, ambientalista, antifascista, femminista e pacifista, va aggiunto meridionalista, visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno, dandogli voce e rappresentanza. A mio avviso la sinistra può ripartire solo da Sud (Ibidem).


Dunque, pur partendo da prospettive disciplinari diverse, la prima economica e la seconda politologica, sia l’economista Busetta che il dirigente politico Cuccurese concordano entrambi nel formulare la stessa diagnosi per la patologica arretratezza di cui soffre il Mezzogiorno: il vuoto di rappresentanza.
Anche se entrambi propongono come rimedio a questa malattia che affligge storicamente il Sud la stessa terapia incentrata sulla costruzione di un’adeguata rappresentanza a livello politico-istituzionale delle sue istanze e dei suoi diritti disattesi, i due divergono per il contenuto della stessa.
Infatti, mentre Busetta sembra fare riferimento alla costruzione di un soggetto partitico post-ideologico, di contro, Cuccurese colloca l’esigenza di una tale rappresentanza nell’ambito delle forze e delle culture politiche di sinistra.
Comunque, al di là delle analogie e delle differenze che intercorrono tra esse, entrambe le analisi, nel porre il tema del vuoto di rappresentanza, si collocano, di fatto, anche, ma non solo, nel solco della ‘rivoluzione copernicana’ che Gaetano Salvemini apporta al dibattito meridionalista: il passaggio dal cosa fare per riscattare il Sud al chi deve fare cosa per garantirne i processi di sviluppo del Meridione sia in termini economici, sia in termini sociali che civili e culturali.
La qualcosa giustifica una comparazione critica tra le proposte di Busetta, di Cuccurese e di Salvemini, al fine di porre il tema fondamentale della costituzione del soggetto politico anche sulla base di un’adeguata analisi materialistica della società meridionale.


2. La ‘rivoluzione copernicana’ di Gaetano Salvemini
A cavallo tra Otto e Novecento, nel drammatico tornante degli anni della crisi di fine secolo, mentre a Milano tra il 6 e il 9 maggio 1898 le truppe del regio esercito italiano comandate dal generale Bava Beccaris prendono a cannonate ad alzo zero le masse popolari che protestano per l’aumento del prezzo del pane, cannonate a cui il 29 luglio 1900 fanno seguito i colpi di rivoltella che l’anarchico Gaetano Bresci esplode contro il re Umberto I, da un lato, il dibattito sulla questione meridionale si arricchisce di nuovi contributi critici, quali quelli offerti dal repubblicano Napoleone Colajanni, dal liberista Antonio de Viti de Marco, dal socialista Ettore Ciccotti e dal democratico Francesco Saverio Nitti, dall’altro, si inasprisce, assumendo una connotazione sempre più territoriale, che viene declinata anche in termini antropologico-razziali (cfr. Teti, 1993).
Infatti, dopo la fase liberale del dibattito sul divario tra il Nord e il Sud del Paese inaugurata da Pasquale Villari nel 1875 con le sue Lettere meridionali (cfr. Villari 1878) e proseguita dagli studi e dalle inchieste di Leopoldo Franchetti (cfr. Franchetti, 1875; 1876), Sidney Sonnino (cfr. Sonnino, 1875; 1876) e Giustino Fortunato (cfr. Fortunato, 1876; 1978-1979; 2003), fase liberale che si caratterizza per la proposta di una riforma agraria che migliori le condizioni di vita e di lavoro dei contadini meridionali, che erano da loro considerati come “oggetto e non possibile soggetto di storia” (Barbagallo, 1978: 23-24), si sviluppano, a partire da altre prospettive e da altre culture politiche, nuove fasi del dibattito sulla questione meridionale, che ne evidenziano altri aspetti e soluzioni.
Tra fine Ottocento ed inizio Novecento, dall’ala radicale del variegato movimento politico-culturale meridionalista, mentre il liberista pugliese Antonio De Viti De Marco (cfr. De Viti De Marco, 1929) evidenzia la funzione coloniale del Mezzogiorno dopo la svolta protezionista dello Stato italiano, il democratico lucano Francesco Saverio Nitti (cfr. Nitti, 1958) denuncia il drenaggio di risorse economiche da Sud a Nord, per poi proporre ed attuare tramite una legge speciale l’industrializzazione di Napoli.
Sempre sul fronte del meridionalismo di orientamento repubblicano e radicale, il siciliano Napoleone Colajanni si caratterizza sia per la sua difesa costante e brillante delle popolazioni meridionali dalle teorie razziste della scuola antropologico-criminale di Cesare Lombroso (cfr. Colajanni 1898), sia per le sue posizioni federaliste ed autonomiste in ambito politico-istituzionale (cfr. Colajanni 1898bis).
È in questo contesto che un giovane socialista, un allora sconosciuto docente di liceo, apporta al dibattito sulla questione meridionale “aria nuova, ne rinnova del tutto i temi, e apre un epoca del meridionalismo, col suo aver posto la politicizzazione delle masse meridionali quale vera base per la rinascita del Sud Italia” (Salvadori,1981: 288-289).
Si tratta di Gaetano Salvemini, che, già allievo del meridionalista liberale Pasquale Villari presso l’Istituto Superiore degli Studi di Firenze, dopo avere esordito tra il 1° marzo ed il 1° aprile del 1897 nella pubblicistica meridionalista pubblicando sulla rivista “Critica sociale” diretta da Filippo Turati e da Anna Kuliscioff un articolo dal titolo Un Comune dell’Italia meridionale: Molfetta, (cfr. Salvemini, 1955) successivamente, tra il 25 dicembre 1898 ed il 14 marzo 1899, pubblica sulla rivista “Educazione politica” di Arcangelo Ghilseri il saggio La questione meridionale, che, appunto, “apre un epoca nuova del meridionalismo” (Ibidem).


Ed “apre un epoca nuova del meridionalismo” attuandovi, sulla base della lezione di Karl Marx ed Antonio Labriola, quella che può essere definita una vera e propria ‘rivoluzione copernicana’, in quanto, criticando i meridionalisti liberali, egli propone di fondare il riscatto del Mezzogiorno non sulla centralità del cosa fare, bensì su quella del chi deve fare cosa.
Infatti, dopo avere precisato che il Mezzogiorno soffre di tre malattie, lo “Stato accentratore” (Salvemini, 1955: 32), l’“oppressione economica” (Ibid.: 33) subita dal Nord Italia, la “struttura sociale semifeudale” (Ibid.: 34), lo studioso pugliese ne indica anche i rimedi, riforma complessiva della politica italiana (Ibid.: 36), “giustizia distributiva” (Ibidem) tra Nord e Sud e tra classi sociali, per poi commentare: “Tutte belle cose. Ma a me pare che finora, se sono stati studiati benissimo i rimedi, non sia detto ancora chi rimedierà” (Ibidem).

In generale – prosegue Salvemini – gli studiosi del problema meridionale questa domanda o non se la metton mai o rispondono sùbito con una parola bisillaba: lo Stato! Quando han così risposto, credono di aver accomodato tutto, e buttan fuori delle eloquenti concioni sul dovere, che ha lo Stato di rendere finalmente giustizia a quelle popolazioni nobili, patriottiche, ecc. e lo Stato fa il sordo. E gli studiosi continuano nelle loro concioni eloquentissime (Ibidem).


Di contro, secondo lo storico pugliese, il problema centrale è quello relativo all’individuazione di


[…] una forza capace di attuare – con o senza violenza, poco importa – le riforme da tutti ritenute necessarie. Datemi un punto d’appoggio, diceva Archimede, e vi solleverò il mondo; ma il punto d’appoggio non lo trovò mai e il mondo se ne rimase tranquillo al suo posto. C’è nell’Italia meridionale un punto d’appoggio, su cui si possa fare leva per sollevare il mondo sociale? O, in altre parole, c’è nell’Italia meridionale un partito riformista? E se non c’è, è possibile che sorga? E quali sono le persone che lo comporranno? (Ibid.: 37)


Per potere dare una risposta a queste domande, Salvemini ritiene che debba essere adottata la prospettiva critica del “materialismo storico” (Ibid.: 38), in quanto, a parere dello storico pugliese, soltanto la sua adozione consentirebbe di individuare la posizione delle principali classe sociali in cui si articola la struttura economica del Mezzogiorno dinanzi alle riforme che occorrerebbe promuovere per garantirne un adeguato sviluppo.
E il “punto di appoggio” (Ibid.: 37) per sollevare il “mondo sociale” (Ibidem), Salvemini non lo individua né nei latifondisti, in quanto, a suo parere, i loro interessi economici sono tutelati dallo Stato liberale (pp. 38-42), né nella piccolo borghesia intellettuale, che, sempre a parere dello studioso pugliese, in alleanza con i latifondisti, accede al controllo delle amministrazioni locali, bensì la “forza” e il “punto di appoggio” per sollevare il mondo sociale meridionale lo individua nel proletariato rurale. Come lo stesso Salvemini scrive:

Non saranno dunque né i latifondisti né i piccoli borghesi quelli da cui partirà il movimento di riforma. Il punto d’appoggio bisogna cercarlo altrove. E questo altrove sta nel proletariato rurale. Che questa sia la classe la quale più di tutte ha bisogno delle riforme, e da esse, quando fossero fatte, riceverebbe maggiori e più immediati vantaggi, è verità da tutti accettata. Il latifondismo ha in essa le sue vittime. La massima parte delle tasse comunali, su cui tanti piccoli borghesi vivono parassitariamente, è pagata da essa. Su di essa per ripercussione cadono tutte le conseguenze delle ladrerie politiche e amministrative, il cui tessuto costituisce la storia della terza Italia (Ibid.: 50).


Successivamente, nel saggio La questione meridionale e il federalismo, da lui pubblicato tra il 16 luglio e il 16 settembre 1900 sulle pagine della rivista “Critica sociale”, per evitare una “guerra orribile” (Ibid.: 106) rispetto alle contrapposizioni territoriali del Paese, deriva da lui definita nei termini di lotta “regionalista” (Ibidem), caratterizzata dal fatto che, osserva il pugliese, dopo quarant’anni di unità “I nordici disprezzano, come dicon essi, i sudici; e i sudici detestano con tutta l’anima i nordici” (Ibid.: 69), Salvemini propone all’interno del campo socialista, repubblicano e democratico di fine secolo, una vera e propria alleanza tra il proletariato agricolo meridionale e il proletariato industriale settentrionale sulla base di una piattaforma programmatica incentrata sulla costruzione del federalismo dal basso.


Mentre i regionalisti unitari – scrive lo studioso pugliese – gridano, per i loro fini occulti, che fra il Nord e il Sud vi è lotta di interessi, i federalisti debbono gridare che non è vero: non vi è lotta fra Nord e Sud: vi è lotta tra le masse del Sud e i reazionari del Sud; vi è lotta fra le masse del Nord e i reazionari del Nord; e come i reazionari del Nord e del Sud si uniscono insieme per opprimere le masse del Nord e del Sud, così le masse delle due sezioni del nostro paese debbono unirsi per sconfiggere a fuochi incrociati la reazione, sia delinquente con la camorra e con la mafia, sia ipocritamente onesta con Colombo e Negri, viva sul lavoro non pagato dei cafoni pugliesi o su quello delle risaie emiliane; prenda a suoi rappresentanti Crispi o Saracco, si affermi sulle colonne del “Corriere della Sera” o nei libri semiscientifici di Nitti (Ibid.: 106-107).


3. Per un meridionalismo di analisi, proposte e lotte dal basso
Il riferimento alla ‘rivoluzione copernicana’ salveminiana, il ribaltamento dell’impostazione della soluzione della questione meridionale dal cosa fare per chi, al chi deve fare cosa, potrebbe contribuire ad articolare ulteriormente la proposta di costruzione di un soggetto politico meridionalista avanzata da Busetta e Cuccurese anche in riferimento alla struttura sociale del Mezzogiorno.
Infatti, sia nel caso della proposta avanzata dall’economista siciliano di “Un partito nazionale che superi anche gli steccati regionali e che si ponga come contraltare alla Lega Nord” (Busetta, 2023: 165), sia nel caso della tesi formulata dal meridionalista emiliano-romagnolo di far sì che il campo delle sinistre assuma come centrale nella sua agenda politica anche il tema della nuova questione meridionale (cfr. Cuccurese, 2024), le loro proposte dovrebbero essere declinate anche in termini di analisi sociale, in quanto il riferimento ad un Sud senza rappresentanza, a cui spesso si fa riferimento in ambito giornalistico per motivi di sintesi divulgativa, proprio dal punto di vista della composita struttura sociale del Mezzogiorno appare del tutto generico.
Allora, occorrerebbe chiedersi se i contadini erano il soggetto sociale su cui fare leva per trasformare il mondo sociale sino alla prima metà del ‘900, oggi qual è o quali sono le nuove soggettività sociali da ricomporre nei termini della coscienza di classe su cui fare leva per l’unificazione sostanziale delle due Italie? Chi in termini di soggettività politiche, nuove o già esistenti, deve dare voce a chi per il riscatto del Mezzogiorno e la realizzazione della coesione solidale dell’intero sistema-Paese?
In altri termini, occorrerebbe declinare l’attuale dibattito sulla nuova questione meridionale sia in termini di analisi critiche, sia in termini di proposte risolutive, sia in termini di lotte sociali dal basso. Occorrerebbe una nuova ‘rivoluzione copernicana’ tanto sul piano della riflessione politica quanto su quello delle pratiche di emancipazione degli oppressi in un’ottica di intersezionalità, che unisca la moltitudine dei movimenti e delle lotte contro le diverse forme di dominio: sociale, di genere, ambientale, generazionale e territoriale.


Bibliografia
Busetta, P.M. (2021), Il lupo e l’agnello. Dal mantra del Sud assistito all’operazione verità, Soveria Mannelli: Rubbettino.
Id. (2023), La rana e lo scorpione. Ripensare il Sud per non essere né emigranti né briganti, Soveria Mannelli: Rubbettino.
Colajanni, N. (1898), Per la razza maledetta, Palermo-Roma: Sandron.
Id. (1898bis), Settentrionali e Meridionali (Agli Italiani del Mezzogiorno), Milano-Palermo: Sandron.
Cuccurese, N. (2024), “Sud all’opposizione!”, in Meridione/Meridiani. I Sud oltre il Sud, (https://www.meridionemeridiani.info/politica-e-diritto/sud-allopposizione/).
De Viti De Marco, A. (1929), Un trentennio di lotte politiche 1894-1922, Roma: Collezione meridionale editrice.
Esposito, M. (2024), Vuoto a perdere. Il collasso demografico, come invertire la rotta, Soveria Mannelli: Rubbettino.
Fortunato, G. (1973), Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, (1876), Firenze: Vallecchi.
Id. (1978-1979), Carteggio 1865-1911, 1912-1922, Bari: Laterza.
Id. (2003), Giustino Fortunato e il Senato. Carteggio (1909-1930), Soveria Mannelli: Rubbettino.
Franchetti, L. & Sonnino, S. (1875), Condizioni economiche e amministrative delle province napoletane. Abbruzzi e Molise, Calabrie e Basilicata, Firenze: Tipografia della Gazzetta d’Italia.
Franchetti, L. & Sonnino, S. (1974), Inchiesta in Sicilia, (1876) Firenze: Vallecchi.
Napoletano, R. (2019), “L’inchiesta. Scippo al Sud”, in il Quotidiano del Sud. L’altra voce dell’Italia, 10/04/2019.
Nitti, F.S. (1958), Nord e Sud (1900), in Id., Scritti sulla questione meridionale, vol. II, Bari: Laterza.
Pallante, F. (2024), Spezzare l’Italia. Le regioni come minaccia all’unità del Paese, Torino: Einaudi.
Salvadori, M.L. (1981), Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino: Einaudi.
Salvemini, G. (1955), Scritti sulla questione meridionale (1896-1955), Torino: Einaudi.
Scialpi, A. (2024), “Gap Nord-Sud: l’egemonia culturale della “Destra”, in Meridione/Meridiani. I Sud oltre il Sud, (https://www.meridionemeridiani.info/cultura/gap-nord-sud-legemonia-culturale-della-destra/).
Teti, V. (1993), La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Roma: Manifestolibri.
Viesti, G. (2023), Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale, Bari-Roma: Laterza.
Villari, P. (1978), Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Napoli: Guida.


Fonte: Meridione/Meridiani




Cuccurese: “Dopo Venezia anche Firenze, i razzisti al governo hanno sdoganato definitivamente il razzismo antinapoletano”

“Anno nuovo razzismo italico vecchio. Si dirà (come sempre) che sono casi isolati, goliardia, scelte personali del proprietario di un locale o di pochi tifosi, ma così proprio non è se poi, a conferma, andiamo a verificare cosa è successo fuori e dentro lo stadio di Firenze dove ieri (l’altro ieri ndr) giocava (e vinceva…) il Napoli. 
Anche qui razzismo a tutta birra contro giocatori di colore, tifosi e giornalisti napoletani, con addirittura uno steward del Franchi che ha strappato l’accredito e cacciato dalla stadio un noto giornalista napoletano regolarmente accreditato. Ovviamente non tutti i fiorentini sono razzisti, ma i razzisti ci sono e lo fanno vedere apertamente e (sempre più) senza problemi. 
L’arbitro, malgrado cori clamorosi (e versi da scimmia) udibili anche da un sordo, non ha ritenuto fermare la gara come imporrebbe il regolamento e così, come tanti suoi predecessori, ha preferito ricoprirsi di infamia e di ridicolo. 

Come noto in Italia da decenni i cori razzisti antinapoletani sono, nei fatti, ammessi, tutelati, garantiti e sempre ridotti a “golardia” da chi guida le (pagliaccesche) “istituzioni” calcistiche. 
D’altra parte cosa mai ci si può aspettare in un paese che fa del “razzismo di Stato” il suo tratto fondante e che ora vorrebbe addirittura normare per legge, con l’Autonomia differenziata, l’apartheid economica e sociale del 34% della propria popolazione, quella del Mezzogiorno?

Cosa ci si può aspettare da un governo dove addirittura il Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha a suo carico una condanna proprio per razzismo antinapoletano? (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/11/salvini-ha-una-condanna-per-razzismo-5700-euro-per-i-cori-contro-i-napoletani-a-pontida/5664061/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR2iQYf7iF2FW0FRIPHPFKwg7Ie0mwKTMOydKHq35BD_3Mvitjh3Csc1Dso_aem_dFlWrTukb3Q7t8SgnwUWuA). In qualsiasi altro paese civile un politicante con simile condanna sarebbe stato da tempo cacciato dalla vita politica, ma invece in Italia è addirittura applaudito, acclamato, blandito e ricopre cariche importanti, nel silenzio generale. E addirittura anche a Napoli c’è chi lo vota“. 

Questo quanto dichiarato tramite social dal Presidente del Partito del Sud-Meridionalisti Progressisti Natale Cuccurese, a commento degli ennesimi episodi di razzismo antinapoletano verificatisi sabato scorso in occasione della partita di campionato Fiorentina-Napoli.




Leggi tutto »
“Anno nuovo razzismo italico vecchio. Si dirà (come sempre) che sono casi isolati, goliardia, scelte personali del proprietario di un locale o di pochi tifosi, ma così proprio non è se poi, a conferma, andiamo a verificare cosa è successo fuori e dentro lo stadio di Firenze dove ieri (l’altro ieri ndr) giocava (e vinceva…) il Napoli. 
Anche qui razzismo a tutta birra contro giocatori di colore, tifosi e giornalisti napoletani, con addirittura uno steward del Franchi che ha strappato l’accredito e cacciato dalla stadio un noto giornalista napoletano regolarmente accreditato. Ovviamente non tutti i fiorentini sono razzisti, ma i razzisti ci sono e lo fanno vedere apertamente e (sempre più) senza problemi. 
L’arbitro, malgrado cori clamorosi (e versi da scimmia) udibili anche da un sordo, non ha ritenuto fermare la gara come imporrebbe il regolamento e così, come tanti suoi predecessori, ha preferito ricoprirsi di infamia e di ridicolo. 

Come noto in Italia da decenni i cori razzisti antinapoletani sono, nei fatti, ammessi, tutelati, garantiti e sempre ridotti a “golardia” da chi guida le (pagliaccesche) “istituzioni” calcistiche. 
D’altra parte cosa mai ci si può aspettare in un paese che fa del “razzismo di Stato” il suo tratto fondante e che ora vorrebbe addirittura normare per legge, con l’Autonomia differenziata, l’apartheid economica e sociale del 34% della propria popolazione, quella del Mezzogiorno?

Cosa ci si può aspettare da un governo dove addirittura il Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha a suo carico una condanna proprio per razzismo antinapoletano? (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/11/salvini-ha-una-condanna-per-razzismo-5700-euro-per-i-cori-contro-i-napoletani-a-pontida/5664061/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR2iQYf7iF2FW0FRIPHPFKwg7Ie0mwKTMOydKHq35BD_3Mvitjh3Csc1Dso_aem_dFlWrTukb3Q7t8SgnwUWuA). In qualsiasi altro paese civile un politicante con simile condanna sarebbe stato da tempo cacciato dalla vita politica, ma invece in Italia è addirittura applaudito, acclamato, blandito e ricopre cariche importanti, nel silenzio generale. E addirittura anche a Napoli c’è chi lo vota“. 

Questo quanto dichiarato tramite social dal Presidente del Partito del Sud-Meridionalisti Progressisti Natale Cuccurese, a commento degli ennesimi episodi di razzismo antinapoletano verificatisi sabato scorso in occasione della partita di campionato Fiorentina-Napoli.




venerdì 3 gennaio 2025

Cuccurese: “Sud locomotiva d’Italia? Propaganda ai danni del Mezzogiorno”

Il tanto strombazzato “cambio di paradigma”, dal Sud piagnone, il meridionalismo ridotto a “chiagni e fotti”, al Sud locomotiva d’Italia, non è altro che un’operazione propagandista promossa dal governo Meloni, a cui fanno da gran cassa anche prestigiosi quotidiani meridionali nelle vesti di satrapi in servizio permanente effettivo. Basti pensare alla riforma sul regionalismo differenziato ri-lanciata dal governo di destra-centro, che, se dovesse essere attuata, renderebbe definitiva, strutturale e permanente la condizione subalterna del Meridione come colonia estrattiva interna del sistema-Nord. 

Di recente, sul tema è intervenuto il Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese, che, attraverso i suoi canali social, ha così commentato la tesi governativa del Sud come locomotiva d’Italia: 

“Meloni sa benissimo che grazie alla propaganda H24 propalata da Tg servili e grazie ai proni giornalisti tengo famiglia annidati nelle redazioni dei giornali nazionali e locali (basta leggere il Mattino) può dire qualsiasi idiozia. Chiedere a questi scribacchini un sussulto di dignità e di decenza è inutile, non ne conoscono nemmeno il significato. 
Così la maggioranza delle persone, che non hanno tempo o voglia di approfondire, non solo credono a simili fanfaluche, ma molti addirittura la votano. Peccato che Regioni del Sud come Calabria e Sicilia, guarda caso governate dal destracentro, sono attualmente ai primi due posti in Europa per cittadini in povertà. Non parliamo poi dell’emigrazione, soprattutto giovanile, che sta portando il Mezzogiorno alla progressiva desertificazione. 

Come afferma Meloni “possiamo fare sempre meglio e sempre di più” per affossare sempre di più il Sud, ad esempio con l’Autonomia differenziata. Il Mezzogiorno si salva ed è “Locomotiva”per incremento relativo di PIL grazie alle sole due Regioni in mano al centrosinistra, Campania e Puglia, guidate da due Presidenti a cui ora, guarda caso, si vuole impedire il terzo mandato, a differenza di quanto capitato a Zaia in Veneto, in carica dal 2010. 

Ma è risaputo: quello che al Nord è possibile senza nessun problema, al Sud no, soprattutto se si portano risultati tangibili. Bisognerebbe chiedersi il perché (ma già lo sappiamo)“.




Leggi tutto »
Il tanto strombazzato “cambio di paradigma”, dal Sud piagnone, il meridionalismo ridotto a “chiagni e fotti”, al Sud locomotiva d’Italia, non è altro che un’operazione propagandista promossa dal governo Meloni, a cui fanno da gran cassa anche prestigiosi quotidiani meridionali nelle vesti di satrapi in servizio permanente effettivo. Basti pensare alla riforma sul regionalismo differenziato ri-lanciata dal governo di destra-centro, che, se dovesse essere attuata, renderebbe definitiva, strutturale e permanente la condizione subalterna del Meridione come colonia estrattiva interna del sistema-Nord. 

Di recente, sul tema è intervenuto il Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese, che, attraverso i suoi canali social, ha così commentato la tesi governativa del Sud come locomotiva d’Italia: 

“Meloni sa benissimo che grazie alla propaganda H24 propalata da Tg servili e grazie ai proni giornalisti tengo famiglia annidati nelle redazioni dei giornali nazionali e locali (basta leggere il Mattino) può dire qualsiasi idiozia. Chiedere a questi scribacchini un sussulto di dignità e di decenza è inutile, non ne conoscono nemmeno il significato. 
Così la maggioranza delle persone, che non hanno tempo o voglia di approfondire, non solo credono a simili fanfaluche, ma molti addirittura la votano. Peccato che Regioni del Sud come Calabria e Sicilia, guarda caso governate dal destracentro, sono attualmente ai primi due posti in Europa per cittadini in povertà. Non parliamo poi dell’emigrazione, soprattutto giovanile, che sta portando il Mezzogiorno alla progressiva desertificazione. 

Come afferma Meloni “possiamo fare sempre meglio e sempre di più” per affossare sempre di più il Sud, ad esempio con l’Autonomia differenziata. Il Mezzogiorno si salva ed è “Locomotiva”per incremento relativo di PIL grazie alle sole due Regioni in mano al centrosinistra, Campania e Puglia, guidate da due Presidenti a cui ora, guarda caso, si vuole impedire il terzo mandato, a differenza di quanto capitato a Zaia in Veneto, in carica dal 2010. 

Ma è risaputo: quello che al Nord è possibile senza nessun problema, al Sud no, soprattutto se si portano risultati tangibili. Bisognerebbe chiedersi il perché (ma già lo sappiamo)“.




mercoledì 1 gennaio 2025

Capodanno 2025: niente di nuovo sul fronte Sud

 Articolo di Natale Cuccurese

Arriva la fine di questo 2024, un anno che per il Mezzogiorno non è stato facile, sospesi fra la Legge sull’Autonomia differenziata di Calderoli e le tante sottrazioni operate dal Governo Meloni. In questi ultimi giorni poi non è mancata la ciliegina sulla torta delle dichiarazioni della Presidente del Consiglio, che è arrivata a dire che col suo Governo il “Mezzogiorno è diventato la locomotiva d’Italia”.
Sono queste dichiarazioni veramente fuori dalla realtà, ma Meloni sa benissimo che grazie alla propaganda a getto continuo propalata da Tg servili e grazie ai “giornalisti” proni annidati nelle redazioni dei giornali nazionali e locali può dire qualsiasi enormità, tanto ben in pochi avranno l’ardire di contraddirla. Così la maggioranza delle persone, che non hanno tempo o voglia di approfondire, non solo credono a simili fanfaluche, ma molti addirittura la votano.
Peccato che Regioni del Sud come Calabria e Sicilia, guarda caso governate dal centrodestra, sono attualmente ai primi due posti in Europa per cittadini in condizioni di povertà. Non parliamo poi dell’emigrazione, soprattutto giovanile, che sta portando il Mezzogiorno alla progressiva desertificazione.
Come afferma Meloni “possiamo fare sempre meglio e sempre di più”, ma forse intende “per affossare il Sud”, ad esempio con l’Autonomia differenziata.
Altro che Costituzione, altro che Italia unita, altro che frottole.
La Questione meridionale si trascina da 163 anni e l’unica risposta che giunge dal governo è l’apartheid economica e sociale, per legge, verso i cittadini (evidentemente di serie B) del Mezzogiorno, grazie all’Autonomia differenziata.
Altro che locomotiva, con quasi la metà della popolazione a rischio povertà (48,6%), la Calabria è la regione dell’Unione europea a più alto rischio di povertà o esclusione sociale, oltre il doppio della media europea,ferma al 21%. Fanno peggio solo i territori coloniali francesi d’oltremare, ma nel territorio europeo dell’Ue – afferma da tempo Eurostat – non c’è area che faccia peggio del Mezzogiorno d’Italia.
Al secondo posto in questa classifica di rischio povertà troviamo poi la Sicilia,col 38%. Ovviamente la cancellazione del Reddito di Cittadinanza operata dall’attuale governo non ha aiutato e anzi ha fatto lievitare il totale nazionale dei cittadini in povertà assoluta alla cifra record di 5,7 milioni, cioè il 10% dei cittadini (o sudditi vedete voi…), in larga maggioranza al Sud.D’altra parte Meloni e la sua corte di famigli sono fan di Milei e della sua sega elettrica, per cui…
Il Mezzogiorno si salva ed è “Locomotiva” per incremento relativo di PIL grazie alle sole due Regioni in mano al centrosinistra, Campania e Puglia, guidate da due Presidenti a cui ora, guarda caso, si vuole impedire il terzo mandato, a differenza di quanto capitato a Zaia in Veneto, in carica dal 2010. Ma è risaputo: quello che al Nord è possibile senza nessun problema, al Sud è vietato, soprattutto se si portano risultati tangibili. Inutile chiedersi il perché…
A proposito di povertà e solo per restare alle notizie dell’ultima settimana non bisogna dimenticare poi che le fantomatiche gabbie salariali, richieste a gran voce e da anni da leghisti e protoleghisti, in realtà, come spiego da tempo, queste sono già in uso da anni e comportano già oggi, a parità di lavoro svolto, un salario più basso al Sud, come dimostrato da uno studio dalla CGIA di Mestre diffuso pochi giorni fa.
Infatti al Nord a parità di lavoro si guadagna in media il 50% più che al Sud, in media 8.459€ all’anno. In più al Sud si pagano le stesse tasse del Nord, ma i servizi mancano!
Ma è poi vero che al Sud “la vita costa meno”? No!
Soprattutto se consideriamo la scarsità di servizi: sanitari, scolastici, culturali e ricreativi, impiantistica sportiva, mercato (energetici assicurativi), pubblici essenziali, collegamenti. Inoltre i mutui al Sud costano fino al 2,5% in più che al Nord.
Di conseguenza si impennano i costi da sopportare, anche perché spesso si è obbligati a rivolgersi ai privati, in misura molto maggiorerispetto alle città del Nord.
A ciò si aggiunge che la tassazione regionale e comunale che grava sui cittadini del Sud è molto più alta a causa degli scarsi trasferimenti dello Stato.
Inutile stupirsi, questo è il paese che da sempre privilegia il Nord, e il governo Meloni, per le sottrazioni che sta operando dall’insediamento è indubbiamente il più antimeridionale della storia.
Chi al Sud continua a votare per i partiti che lo sostengono, ad iniziare dalla Lega (Nord) o è disinformato, o è masochista, o è lo fa esclusivamente per propri interessi personali e di clientela.Funziona così da più di 160 anni, eppure (incredibile a dirsi) c’è ancora chi ci casca e li vota…
Il tutto mentre a sanità, scuola, welfare vengono tolti fondi, le infrastrutture cadono a pezzi o non esistono, c’è emergenza idrica, le aziende chiudono, i giovani emigrano in massa e dulcis in fundo arriva l’Autonomia differenziata. Un paese finito, ad essere ottimisti! A esser pessimisti avviato verso la balcanizzazione!
Le cose non vanno bene e ormai siamo al “si salvi chi può”, che è alla base dell’Autonomia differenziata. Sempre per restare alla recente attualità infatti, secondo il 58° rapporto Censia,l’economia italiana è intrappolata in una “sindrome della medietà” e negli ultimi vent’anni, il reddito disponibile pro-capite è diminuito del 7% in termini reali.
Emerge un crescente scetticismo verso valori come la democrazia e il pro-europeismo.
La distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023.
Intanto, l’industria manifatturiera ha subito un calo produttivo dell’1,2% tra il 2019 e il 2023. L’incremento di Pil dal già basso 1% è stato recentemente rivisto allo 0,5%.
Secondo il Censis, la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili. E in effetti, i dati rivelati dall’istituto di ricerca sono alquanto preoccupati, con il 19% degli italiani convinto che Mazzini sia stato un politico della prima Repubblica e il 32% che attribuisce l’affresco della Cappella Sistina a Giotto o Leonardo.
La storia che stanno scrivendo è solo quella di un disastro economico e sociale generale e per il Mezzogiorno, dove i dati medi di cui sopra sono molto più negativi, siamo prossimi alla catastrofe…
Tutte cose ampiamente note, ma avanti così e ad essere ottimisti l’Italia tornerà presto ad essere solamente “un’espressione geografica”.



Fonte: Meridione/Meridiani





Leggi tutto »

 Articolo di Natale Cuccurese

Arriva la fine di questo 2024, un anno che per il Mezzogiorno non è stato facile, sospesi fra la Legge sull’Autonomia differenziata di Calderoli e le tante sottrazioni operate dal Governo Meloni. In questi ultimi giorni poi non è mancata la ciliegina sulla torta delle dichiarazioni della Presidente del Consiglio, che è arrivata a dire che col suo Governo il “Mezzogiorno è diventato la locomotiva d’Italia”.
Sono queste dichiarazioni veramente fuori dalla realtà, ma Meloni sa benissimo che grazie alla propaganda a getto continuo propalata da Tg servili e grazie ai “giornalisti” proni annidati nelle redazioni dei giornali nazionali e locali può dire qualsiasi enormità, tanto ben in pochi avranno l’ardire di contraddirla. Così la maggioranza delle persone, che non hanno tempo o voglia di approfondire, non solo credono a simili fanfaluche, ma molti addirittura la votano.
Peccato che Regioni del Sud come Calabria e Sicilia, guarda caso governate dal centrodestra, sono attualmente ai primi due posti in Europa per cittadini in condizioni di povertà. Non parliamo poi dell’emigrazione, soprattutto giovanile, che sta portando il Mezzogiorno alla progressiva desertificazione.
Come afferma Meloni “possiamo fare sempre meglio e sempre di più”, ma forse intende “per affossare il Sud”, ad esempio con l’Autonomia differenziata.
Altro che Costituzione, altro che Italia unita, altro che frottole.
La Questione meridionale si trascina da 163 anni e l’unica risposta che giunge dal governo è l’apartheid economica e sociale, per legge, verso i cittadini (evidentemente di serie B) del Mezzogiorno, grazie all’Autonomia differenziata.
Altro che locomotiva, con quasi la metà della popolazione a rischio povertà (48,6%), la Calabria è la regione dell’Unione europea a più alto rischio di povertà o esclusione sociale, oltre il doppio della media europea,ferma al 21%. Fanno peggio solo i territori coloniali francesi d’oltremare, ma nel territorio europeo dell’Ue – afferma da tempo Eurostat – non c’è area che faccia peggio del Mezzogiorno d’Italia.
Al secondo posto in questa classifica di rischio povertà troviamo poi la Sicilia,col 38%. Ovviamente la cancellazione del Reddito di Cittadinanza operata dall’attuale governo non ha aiutato e anzi ha fatto lievitare il totale nazionale dei cittadini in povertà assoluta alla cifra record di 5,7 milioni, cioè il 10% dei cittadini (o sudditi vedete voi…), in larga maggioranza al Sud.D’altra parte Meloni e la sua corte di famigli sono fan di Milei e della sua sega elettrica, per cui…
Il Mezzogiorno si salva ed è “Locomotiva” per incremento relativo di PIL grazie alle sole due Regioni in mano al centrosinistra, Campania e Puglia, guidate da due Presidenti a cui ora, guarda caso, si vuole impedire il terzo mandato, a differenza di quanto capitato a Zaia in Veneto, in carica dal 2010. Ma è risaputo: quello che al Nord è possibile senza nessun problema, al Sud è vietato, soprattutto se si portano risultati tangibili. Inutile chiedersi il perché…
A proposito di povertà e solo per restare alle notizie dell’ultima settimana non bisogna dimenticare poi che le fantomatiche gabbie salariali, richieste a gran voce e da anni da leghisti e protoleghisti, in realtà, come spiego da tempo, queste sono già in uso da anni e comportano già oggi, a parità di lavoro svolto, un salario più basso al Sud, come dimostrato da uno studio dalla CGIA di Mestre diffuso pochi giorni fa.
Infatti al Nord a parità di lavoro si guadagna in media il 50% più che al Sud, in media 8.459€ all’anno. In più al Sud si pagano le stesse tasse del Nord, ma i servizi mancano!
Ma è poi vero che al Sud “la vita costa meno”? No!
Soprattutto se consideriamo la scarsità di servizi: sanitari, scolastici, culturali e ricreativi, impiantistica sportiva, mercato (energetici assicurativi), pubblici essenziali, collegamenti. Inoltre i mutui al Sud costano fino al 2,5% in più che al Nord.
Di conseguenza si impennano i costi da sopportare, anche perché spesso si è obbligati a rivolgersi ai privati, in misura molto maggiorerispetto alle città del Nord.
A ciò si aggiunge che la tassazione regionale e comunale che grava sui cittadini del Sud è molto più alta a causa degli scarsi trasferimenti dello Stato.
Inutile stupirsi, questo è il paese che da sempre privilegia il Nord, e il governo Meloni, per le sottrazioni che sta operando dall’insediamento è indubbiamente il più antimeridionale della storia.
Chi al Sud continua a votare per i partiti che lo sostengono, ad iniziare dalla Lega (Nord) o è disinformato, o è masochista, o è lo fa esclusivamente per propri interessi personali e di clientela.Funziona così da più di 160 anni, eppure (incredibile a dirsi) c’è ancora chi ci casca e li vota…
Il tutto mentre a sanità, scuola, welfare vengono tolti fondi, le infrastrutture cadono a pezzi o non esistono, c’è emergenza idrica, le aziende chiudono, i giovani emigrano in massa e dulcis in fundo arriva l’Autonomia differenziata. Un paese finito, ad essere ottimisti! A esser pessimisti avviato verso la balcanizzazione!
Le cose non vanno bene e ormai siamo al “si salvi chi può”, che è alla base dell’Autonomia differenziata. Sempre per restare alla recente attualità infatti, secondo il 58° rapporto Censia,l’economia italiana è intrappolata in una “sindrome della medietà” e negli ultimi vent’anni, il reddito disponibile pro-capite è diminuito del 7% in termini reali.
Emerge un crescente scetticismo verso valori come la democrazia e il pro-europeismo.
La distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023.
Intanto, l’industria manifatturiera ha subito un calo produttivo dell’1,2% tra il 2019 e il 2023. L’incremento di Pil dal già basso 1% è stato recentemente rivisto allo 0,5%.
Secondo il Censis, la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili. E in effetti, i dati rivelati dall’istituto di ricerca sono alquanto preoccupati, con il 19% degli italiani convinto che Mazzini sia stato un politico della prima Repubblica e il 32% che attribuisce l’affresco della Cappella Sistina a Giotto o Leonardo.
La storia che stanno scrivendo è solo quella di un disastro economico e sociale generale e per il Mezzogiorno, dove i dati medi di cui sopra sono molto più negativi, siamo prossimi alla catastrofe…
Tutte cose ampiamente note, ma avanti così e ad essere ottimisti l’Italia tornerà presto ad essere solamente “un’espressione geografica”.



Fonte: Meridione/Meridiani





lunedì 30 dicembre 2024

Cuccurese: “Altro che Italia unita, il governo Meloni vuole affossare il Sud”

“Altro che Costituzione, altro che Italia unita, altro che frottole. La Questione meridionale si trascina da 163 anni e l’unica risposta che giunge dal governo è l’apartheid economica e sociale, per legge, verso i cittadini (di serie b) del Mezzogiorno, grazie all’Autonomia differenziata. 

Con quasi la metà della popolazione a rischio povertà, la Calabria governata dal destracentro è la regione dell’Unione europea a più alto rischio di povertà o esclusione sociale. Fanno peggio solo i territori coloniali francesi d’oltremare, ma nel territorio dell’Ue – afferma da tempo Eurostat – non c’è area che faccia peggio del Mezzogiorno d’Italia. Con il 48,6% a rischio di povertà, la Calabria ha popolazione a rischio pari a oltre il doppio della media europea, pari al 21%. 
Segue la Sicilia, sempre governata dal destracentro, col 38%. 

Ovviamente la cancellazione del Reddito di Cittadinanza operata dall’attuale governo non ha aiutato e anzi ha fatto arrivare il totale dei cittadini in povertà assoluta alla cifra record di 5,7 milioni, cioè il 10% dei cittadini (o sudditi vedete voi…). D’altra parte Meloni e la sua corte dei miracolati sono fan di Milei e della sua sega elettrica, per cui… 

Non dimentichiamo poi le fantomatiche gabbie salariali, richieste a gran voce da leghisti e protoleghisti, e che in realtà, come spiego da tempo, sono già in uso da anni e che comportano già oggi, a parità di lavoro svolto, un salario del 50% più basso al Sud, come dimostrato da uno studio dalla CGIA di Mestre pochi giorni fa.

Tutte cose ampiamente note, ma avanti così e nell’ipotesi migliore l’Italia tornerà presto ad essere solamente “un’espressione geografica” (cit), in quella peggiore assisteremo ad una deriva di stampo balcanico”. 

Questo quanto dichiarato dal dirigente politico meridionalista Natale Cuccurese a commento dell’articolo di “Repubblica” su Calabria e Sicilia regioni più povere di Europa.






Leggi tutto »
“Altro che Costituzione, altro che Italia unita, altro che frottole. La Questione meridionale si trascina da 163 anni e l’unica risposta che giunge dal governo è l’apartheid economica e sociale, per legge, verso i cittadini (di serie b) del Mezzogiorno, grazie all’Autonomia differenziata. 

Con quasi la metà della popolazione a rischio povertà, la Calabria governata dal destracentro è la regione dell’Unione europea a più alto rischio di povertà o esclusione sociale. Fanno peggio solo i territori coloniali francesi d’oltremare, ma nel territorio dell’Ue – afferma da tempo Eurostat – non c’è area che faccia peggio del Mezzogiorno d’Italia. Con il 48,6% a rischio di povertà, la Calabria ha popolazione a rischio pari a oltre il doppio della media europea, pari al 21%. 
Segue la Sicilia, sempre governata dal destracentro, col 38%. 

Ovviamente la cancellazione del Reddito di Cittadinanza operata dall’attuale governo non ha aiutato e anzi ha fatto arrivare il totale dei cittadini in povertà assoluta alla cifra record di 5,7 milioni, cioè il 10% dei cittadini (o sudditi vedete voi…). D’altra parte Meloni e la sua corte dei miracolati sono fan di Milei e della sua sega elettrica, per cui… 

Non dimentichiamo poi le fantomatiche gabbie salariali, richieste a gran voce da leghisti e protoleghisti, e che in realtà, come spiego da tempo, sono già in uso da anni e che comportano già oggi, a parità di lavoro svolto, un salario del 50% più basso al Sud, come dimostrato da uno studio dalla CGIA di Mestre pochi giorni fa.

Tutte cose ampiamente note, ma avanti così e nell’ipotesi migliore l’Italia tornerà presto ad essere solamente “un’espressione geografica” (cit), in quella peggiore assisteremo ad una deriva di stampo balcanico”. 

Questo quanto dichiarato dal dirigente politico meridionalista Natale Cuccurese a commento dell’articolo di “Repubblica” su Calabria e Sicilia regioni più povere di Europa.






martedì 24 dicembre 2024

Auguri di buon Natale e buone feste a tutti dal Partito del Sud!

Auguri di buon Natale e buone feste a tutti ! 

Come sempre un pensiero particolare a tutta la comunità del Partito del Sud, ai militanti, ai simpatizzanti, ai tanti che ci seguono sui social, ai meridionalisti e alle loro famiglie, ma anche, e a prescindere, a chi soffre - a chi si trova in povertà economica, e sono sempre di più - a chi è disoccupato o è precario o sottopagato - a chi è malato o non può curarsi o è in lista d'attesa infinita - a chi ha una pensione da fame - ai bambini senza asilo o con scuole fatiscenti - a tutti i Sud del mondo, da sempre bistrattati e trattati in modo diseguale - a chi è con l'acqua razionata, come in Sicilia - a chi vuole o sogna la pace - a chi soffre in un mondo sempre più egoista - a chi è al freddo - a chi si impegna per la salvaguardia dell'ambiente - a chi vorrebbe tornare a casa a festeggiare coi propri cari, ma non può a causa dei vergognosi aumenti dei prezzi dei trasporti - a chi non si vende -  a chi mantiene la schiena dritta...a tutti quelli che lottano per il bene comune. 

Il Natale col suo messaggio troppo spesso inascoltato resta un momento per fermarsi a riflettere e pensare che pur nascendo in una mangiatoia si può cambiare il mondo agendo e praticando parole di pace, giustizia, equità e tolleranza. 
Per questo vale la pena di festeggiare il Natale e continuare a lavorare insieme per una società più giusta, iniziando dall'Italia...

Natale Cuccurese
Presidente del Partito del Sud








.

Leggi tutto »
Auguri di buon Natale e buone feste a tutti ! 

Come sempre un pensiero particolare a tutta la comunità del Partito del Sud, ai militanti, ai simpatizzanti, ai tanti che ci seguono sui social, ai meridionalisti e alle loro famiglie, ma anche, e a prescindere, a chi soffre - a chi si trova in povertà economica, e sono sempre di più - a chi è disoccupato o è precario o sottopagato - a chi è malato o non può curarsi o è in lista d'attesa infinita - a chi ha una pensione da fame - ai bambini senza asilo o con scuole fatiscenti - a tutti i Sud del mondo, da sempre bistrattati e trattati in modo diseguale - a chi è con l'acqua razionata, come in Sicilia - a chi vuole o sogna la pace - a chi soffre in un mondo sempre più egoista - a chi è al freddo - a chi si impegna per la salvaguardia dell'ambiente - a chi vorrebbe tornare a casa a festeggiare coi propri cari, ma non può a causa dei vergognosi aumenti dei prezzi dei trasporti - a chi non si vende -  a chi mantiene la schiena dritta...a tutti quelli che lottano per il bene comune. 

Il Natale col suo messaggio troppo spesso inascoltato resta un momento per fermarsi a riflettere e pensare che pur nascendo in una mangiatoia si può cambiare il mondo agendo e praticando parole di pace, giustizia, equità e tolleranza. 
Per questo vale la pena di festeggiare il Natale e continuare a lavorare insieme per una società più giusta, iniziando dall'Italia...

Natale Cuccurese
Presidente del Partito del Sud








.

lunedì 23 dicembre 2024

Sud all’opposizione!

Articolo di Natale Cuccurese

Fonte: Meridione/Meridiani

Il Mezzogiorno in un momento politico ed economico particolarmente difficile e non solo a livello italiano, si presenta con un peso politico ridotto. Ha meno parlamentari rispetto al Nord e al Centro dopo il referendum del 2020 sulla riduzione dei parlamentari e una popolazione in continuo calo demografico. Come se non bastasse subisce anche l’astensionismo forzato alle urne, cioè l’impossibilità di votare per chi lavora – e sono tantissimi – lontano dal luogo di residenza. Un vero e proprio furto di democrazia.

La Repubblica italiana infatti nega i diritti costituzionali fondamentali ai cittadini del Mezzogiorno. Non mi riferisco a quanto già più volte denunciato in questi ultimi anni: dai minori trasferimenti statali rispetto alla percentuale del 34% della popolazione che si riflettono su cure mediche minori (che incidono sulla stessa aspettativa di durata di vita dei cittadini meridionali, più bassa che al Nord), o agli asili, alle scuole senza palestre o mense, alla scarsità di insegnanti, alle infrastrutture, ai Lep mai definiti e ora addirittura differenziati e così via. No, mi riferisco proprio a quanto di più sacro per una democrazia: parlo del diritto di voto e di conseguenza di rappresentanza politica che in larga parte al Sud è negata!

Ai cittadini del Mezzogiorno o almeno a larga parte di loro, è infatti negato il diritto di voto che (solo in teoria) è un diritto costituzionale. Negato, come in una dittatura o come in uno Stato in cui vige l’apartheid conseguente al Razzismo di Stato, pervicacemente applicato al Mezzogiorno dal giorno dell’unità (solo formale) del paese. Il tutto è ovviamente taciuto dai media, così come dalla politica politicante. Ma perché e come è vietata la rappresentanza politica ai meridionali?

Iniziamo l’analisi da quanto accaduto col Referendum del 2020 sul “Taglio dei parlamentari”. Un argomento questo che quasi nessuno ha sottolineato e cioè come la vittoria del Sì al referendumsia stato l’ultimo imbroglio, forse quello definitivo, per il Sud ed i suoi cittadini, aggravando ancor di più la mancanza di rappresentanza del Mezzogiorno in Parlamento e approfondendo la spaccatura già presente nel Paese prima di quella definitiva, già pronta con l’Autonomia differenziata.

La densità di popolazione al Sud parametro per l’assegnazione dei seggi alla Camera e al Senato, è infatti più bassa del Nord, e visto che la desertificazione demografica causata dall’emigrazione forzata cresce di anno in anno, la conseguenza è che il Sud, in un Parlamento ridotto, ha un peso politico ancora minore del precedente. I dati odierni confermano che la crisi demografica che sta colpendo l’Italia riguarda in particolar modo il Mezzogiorno: nel 2050 il Nord e il Centro sommati avranno un milione di persone in meno rispetto ad oggi, mentre il Sud e le Isole ben 3,6 milioni.

Per il 2080 si stima che il 54% della popolazione vivrà nel Nord (contro l’attuale 46%), il 20% nel Centro (come ora) e il 26% nel Sud e nelle Isole (oggi è il 34%). Le regioni meridionali proseguendo con l’attuale andamento si spopoleranno sempre più. In soli 30 anni, guarda caso dall’affermarsi sulla scena politica della Lega Nord, il Mezzogiorno passerà dall’essere la macroarea più giovane del Paese ad essere la più anziana. E tra il 2050 e il 2080, mentre l’età media del Nord e del Centro Italia rimarrà uguale o scenderà, quella del Mezzogiorno crescerà. Nel 2022 non a caso col bando asili (attenzione tutto nero su bianco quindi non equivocabile) si è scoperto, ad esempio, che il governo già prevedeva che l’emigrazione continuerà, forse perché conscio che nulla sarà fatto per riequilibrare le differenze territoriali, cioè che l’emigrazione con l’Autonomia differenziata risulterà maggiorata (dando implicitamente ragione ai dubbi e timori che solleviamo da anni sull’argomento) ed il Sud sarà ancora più desertificato.

Costituzionalmente non sembra accettabile un governo che con anni di anticipo usa simili argomenti per destinare risorse a favore di un solo territorio e nei fatti programma l’emigrazione, a questo punto forzata per volontà politica, di decine di migliaia di cittadini, dal Sud al Nord, invece di operare per risolvere il problema delle disparità territoriali.

Inoltre se un governo programma (stanziando fondi in anticipo a favore delle Regioni del Nord), l’emigrazione di migliaia di persone da una parte all’altra del paese (come è avvenuto nel secolo scorso in alcuni regimi totalitari), questo spostamento si può ancora definire emigrazione o è piuttosto una deportazione programmata? E questo governo che con tutta evidenza non rispetta la Costituzione si può ancora definire democratico o non è piuttosto diventato un regime extra costituzionale a cui è quindi doveroso opporsi?! 

Non a caso si contano in 100mila i giovani che nel 2022-2023 hanno lasciato l’Italia, due terzi più di quelli che sono tornati. Metà partiti dal Nord (dal Sud ormai sono già partiti quasi tutti…). Lo indicano i dati della Fondazione Nord-Est diffusi lo scorso settembre. Il saldo migratorio dei 18-34enni nel 2011-2023 è -377mila. Il dato reale è tre volte più ampio, perché molti mantengono la residenza italiana.

Ovviamente quasi nessuno rileva che quello che oggi succede soprattutto nel Sud Italia, cioè che il numero dei pensionati ha superato quello dei lavoratori, nei prossimi anni accadrà inevitabilmente e con le stesse dinamiche anche nel resto del Paese. Per cui giocoforza bisognerà studiare percorsi di integrazione per gli immigrati extracomunitari e casomai (ma questo va detto piano per non alterare la mente già affaticata di suo dei leghisti al governo) cercare di arginare l’emigrazione di giovani verso l’estero e di quelli del Sud verso i territori della “Locomotiva” (risulta evidente che è inutile emigrare verso la Padania se anche i giovani del Nord emigrano all’estero per mancanza di opportunità e salari da fame).

Ovviamente, come detto, questa riduzione demografica si ripercuote sul numero degli eletti. Oltretutto con la riduzione dei parlamentari Sicilia e Sardegna hanno già adesso minori rappresentanti in termini percentuali al Senato rispetto alle altre Regioni a Statuto speciale, mentre la Basilicata, così come l’Umbria, ha subito il taglio maggiore al Senato, i suoi rappresentanti sono infatti passati da 7 a soli 3 (-57%) e qualsiasi partito sotto la percentuale del 20% dei voti non ha più eletto alcun rappresentante. Inoltre, visto che il Senato è eletto su base regionale, la Sardegna ha un senatore ogni 328mila abitanti, mentre il Trentino-Alto Adige uno ogni 171mila, rendendo evidente la sperequazione per cui il voto di un cittadino trentino vale, in termini di rappresentanza, il doppio di quello di un cittadino sardo.

Non bisogna poi dimenticare che la riduzione degli eletti comporta una loro minore autonomia, visto che su questi si concentrerà maggiormente la pressione di lobby e gruppi di potere, così da spingerli eventualmente a prendere anche decisioni che potrebbero essere contro l’interesse dei territori che dovrebbero rappresentare.

Senza dimenticare che con la riduzione dei seggi disponibili non si è fermata la “transumanza” di politici del Nord verso “collegi sicuri” del Mezzogiorno. I famosi “paracadutati”. Candidati che non hanno collegamenti con il territorio, ma che sono collocati dalle segreterie dei partiti in base alla probabilità altissima di essere eletti. Per cui ora a consuntivo il Sud si trova non solo con una rappresentanza parlamentare territoriale di partenza già inferiore in percentuale rispetto al Nord, come visto sopra, ma questa viene anche ulteriormente ridotta di circa un 25% perché tutti i partiti da destra a sinistra hanno fatto largo uso di “paracadutati dal Nord”. Non a caso provvedimenti scellerati come l’Autonomia differenziata hanno faticato a trovare una opposizione parlamentare consistente anche per questi motivi.

Come scritto nell’introduzione lo scippo di rappresentanza, dopo la riduzione dei parlamentari, si traduce oggi in una ulteriore condizione di negazione di diritti politici grazie al cosiddetto “astensionismo”. Astensionismo che al Sud spesso non è altro che impossibilità, a questo punto espressamente voluta dal potere politico, di recarsi al voto nei Comuni di residenza per tantissimi cittadini meridionali che si trovano al Nord Italia per lavoro, studio o per curarsi. Figli di quell’emigrazione lavorativa, scolastica e sanitaria che continua implacabile da oltre 160 anni e che sta via via desertificando, come visto, le Regioni meridionali. Perché il Parlamento non vara una apposita normativa e permette a questi cittadini di poter esigere un diritto costituzionale, ad esempio di poter votare nel luogo di domicilio o per posta come accade in tanti altri Paesi? In questo quadro non va infatti dimenticato il prezzo alto da pagare, per alcuni impossibile da sostenere, di treni, auto, aerei, per potere tornare al Comune di residenza per votare, che sempre meno cittadini ormai possono permettersi.

Ecco perché quando si sente parlare di astensionismo al Sud più alto che al Nord, bisogna fare la tara con la percentuale dei cittadini che avrebbero voluto esercitare il diritto di voto, caso mai per opporsi alla deriva razzista imperante nel Paese (non a caso nelle ultime elezioni politiche meno di 1 elettore del Sud su 5 ha votato per la coalizione al governo dichiaratamente antimeridionale), ma a cui non è stato permesso di votare da politici che si stanno via via dimostrando sempre più nemici del Mezzogiorno, disinteressandosi del problema o più spesso banalizzandolo e irridendo il dato dell’astensionismo maggiore nel Mezzogiorno, certificando ancora una volta il permanente atteggiamento di disprezzo di ampie fasce delle classi dirigenti nazionali verso ciò che subisce il Sud. Tutto ciò avviene troppo spesso nel disinteresse quasi completo anche delle forze di sinistra, malgrado il Mezzogiorno sia all’opposizione già dal giorno stesso delle ultime votazioni politiche.

Infatti, nel 2022 solo 19 elettori meridionali su 100 hanno votato per la coalizione politica di destra attualmente al governo (30 su 100 al Centro-Nord). Una percentuale bassissima, che non ha precedenti in passato. I cittadini del Mezzogiorno, in larga maggioranza, non hanno votato alle ultime elezioni politiche per la coalizione vincitrice. Cioè che non sono saliti sul carro del sicuro vincitore, smentendo i preconcetti dominanti sul cosiddetto “voto di scambio”. E questo lo si vede bene a posteriori dai provvedimenti, tutti contro il Sud del governo Meloni. Il dato poi è ulteriormente confermato dalle elezioni europee di giugno. Il PD nel Sud, a partire dalle due Regioni amministrate Campania e Puglia dove stravince, è il primo partito con il 24,32% e il campo progressista, PD -M5S-AVS, è largamente maggioritario con il 46,82Risulta fin troppo evidente che il voto nel Mezzogiorno si esprime contro il disegno di “Autonomia Differenziata” e nel contempo esprime una critica verso il governo per l’assenza di una politica rivolta allo sviluppo del Sud. Contemporaneamente le dimensioni del voto in Puglia e in Campania sono la prova che è diffusa una domanda che ricerca a sinistra punti di direzione e riferimenti a cui poter affidare fiducia. Il Mezzogiorno appare quindi, come mai in passato, già all’opposizione.

Pertanto, come da tempo vado ripetendo, per costruire l’alternativa popolare di sinistra alle parole d’ordine antiliberista, ambientalista, antifascista, femminista e pacifista, va aggiunto meridionalista, visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’ Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno, dandogli voce e rappresentanza. A mio avviso la sinistra può ripartire solo da Sud.



Fonte: Meridione/Meridiani





.

Leggi tutto »

Articolo di Natale Cuccurese

Fonte: Meridione/Meridiani

Il Mezzogiorno in un momento politico ed economico particolarmente difficile e non solo a livello italiano, si presenta con un peso politico ridotto. Ha meno parlamentari rispetto al Nord e al Centro dopo il referendum del 2020 sulla riduzione dei parlamentari e una popolazione in continuo calo demografico. Come se non bastasse subisce anche l’astensionismo forzato alle urne, cioè l’impossibilità di votare per chi lavora – e sono tantissimi – lontano dal luogo di residenza. Un vero e proprio furto di democrazia.

La Repubblica italiana infatti nega i diritti costituzionali fondamentali ai cittadini del Mezzogiorno. Non mi riferisco a quanto già più volte denunciato in questi ultimi anni: dai minori trasferimenti statali rispetto alla percentuale del 34% della popolazione che si riflettono su cure mediche minori (che incidono sulla stessa aspettativa di durata di vita dei cittadini meridionali, più bassa che al Nord), o agli asili, alle scuole senza palestre o mense, alla scarsità di insegnanti, alle infrastrutture, ai Lep mai definiti e ora addirittura differenziati e così via. No, mi riferisco proprio a quanto di più sacro per una democrazia: parlo del diritto di voto e di conseguenza di rappresentanza politica che in larga parte al Sud è negata!

Ai cittadini del Mezzogiorno o almeno a larga parte di loro, è infatti negato il diritto di voto che (solo in teoria) è un diritto costituzionale. Negato, come in una dittatura o come in uno Stato in cui vige l’apartheid conseguente al Razzismo di Stato, pervicacemente applicato al Mezzogiorno dal giorno dell’unità (solo formale) del paese. Il tutto è ovviamente taciuto dai media, così come dalla politica politicante. Ma perché e come è vietata la rappresentanza politica ai meridionali?

Iniziamo l’analisi da quanto accaduto col Referendum del 2020 sul “Taglio dei parlamentari”. Un argomento questo che quasi nessuno ha sottolineato e cioè come la vittoria del Sì al referendumsia stato l’ultimo imbroglio, forse quello definitivo, per il Sud ed i suoi cittadini, aggravando ancor di più la mancanza di rappresentanza del Mezzogiorno in Parlamento e approfondendo la spaccatura già presente nel Paese prima di quella definitiva, già pronta con l’Autonomia differenziata.

La densità di popolazione al Sud parametro per l’assegnazione dei seggi alla Camera e al Senato, è infatti più bassa del Nord, e visto che la desertificazione demografica causata dall’emigrazione forzata cresce di anno in anno, la conseguenza è che il Sud, in un Parlamento ridotto, ha un peso politico ancora minore del precedente. I dati odierni confermano che la crisi demografica che sta colpendo l’Italia riguarda in particolar modo il Mezzogiorno: nel 2050 il Nord e il Centro sommati avranno un milione di persone in meno rispetto ad oggi, mentre il Sud e le Isole ben 3,6 milioni.

Per il 2080 si stima che il 54% della popolazione vivrà nel Nord (contro l’attuale 46%), il 20% nel Centro (come ora) e il 26% nel Sud e nelle Isole (oggi è il 34%). Le regioni meridionali proseguendo con l’attuale andamento si spopoleranno sempre più. In soli 30 anni, guarda caso dall’affermarsi sulla scena politica della Lega Nord, il Mezzogiorno passerà dall’essere la macroarea più giovane del Paese ad essere la più anziana. E tra il 2050 e il 2080, mentre l’età media del Nord e del Centro Italia rimarrà uguale o scenderà, quella del Mezzogiorno crescerà. Nel 2022 non a caso col bando asili (attenzione tutto nero su bianco quindi non equivocabile) si è scoperto, ad esempio, che il governo già prevedeva che l’emigrazione continuerà, forse perché conscio che nulla sarà fatto per riequilibrare le differenze territoriali, cioè che l’emigrazione con l’Autonomia differenziata risulterà maggiorata (dando implicitamente ragione ai dubbi e timori che solleviamo da anni sull’argomento) ed il Sud sarà ancora più desertificato.

Costituzionalmente non sembra accettabile un governo che con anni di anticipo usa simili argomenti per destinare risorse a favore di un solo territorio e nei fatti programma l’emigrazione, a questo punto forzata per volontà politica, di decine di migliaia di cittadini, dal Sud al Nord, invece di operare per risolvere il problema delle disparità territoriali.

Inoltre se un governo programma (stanziando fondi in anticipo a favore delle Regioni del Nord), l’emigrazione di migliaia di persone da una parte all’altra del paese (come è avvenuto nel secolo scorso in alcuni regimi totalitari), questo spostamento si può ancora definire emigrazione o è piuttosto una deportazione programmata? E questo governo che con tutta evidenza non rispetta la Costituzione si può ancora definire democratico o non è piuttosto diventato un regime extra costituzionale a cui è quindi doveroso opporsi?! 

Non a caso si contano in 100mila i giovani che nel 2022-2023 hanno lasciato l’Italia, due terzi più di quelli che sono tornati. Metà partiti dal Nord (dal Sud ormai sono già partiti quasi tutti…). Lo indicano i dati della Fondazione Nord-Est diffusi lo scorso settembre. Il saldo migratorio dei 18-34enni nel 2011-2023 è -377mila. Il dato reale è tre volte più ampio, perché molti mantengono la residenza italiana.

Ovviamente quasi nessuno rileva che quello che oggi succede soprattutto nel Sud Italia, cioè che il numero dei pensionati ha superato quello dei lavoratori, nei prossimi anni accadrà inevitabilmente e con le stesse dinamiche anche nel resto del Paese. Per cui giocoforza bisognerà studiare percorsi di integrazione per gli immigrati extracomunitari e casomai (ma questo va detto piano per non alterare la mente già affaticata di suo dei leghisti al governo) cercare di arginare l’emigrazione di giovani verso l’estero e di quelli del Sud verso i territori della “Locomotiva” (risulta evidente che è inutile emigrare verso la Padania se anche i giovani del Nord emigrano all’estero per mancanza di opportunità e salari da fame).

Ovviamente, come detto, questa riduzione demografica si ripercuote sul numero degli eletti. Oltretutto con la riduzione dei parlamentari Sicilia e Sardegna hanno già adesso minori rappresentanti in termini percentuali al Senato rispetto alle altre Regioni a Statuto speciale, mentre la Basilicata, così come l’Umbria, ha subito il taglio maggiore al Senato, i suoi rappresentanti sono infatti passati da 7 a soli 3 (-57%) e qualsiasi partito sotto la percentuale del 20% dei voti non ha più eletto alcun rappresentante. Inoltre, visto che il Senato è eletto su base regionale, la Sardegna ha un senatore ogni 328mila abitanti, mentre il Trentino-Alto Adige uno ogni 171mila, rendendo evidente la sperequazione per cui il voto di un cittadino trentino vale, in termini di rappresentanza, il doppio di quello di un cittadino sardo.

Non bisogna poi dimenticare che la riduzione degli eletti comporta una loro minore autonomia, visto che su questi si concentrerà maggiormente la pressione di lobby e gruppi di potere, così da spingerli eventualmente a prendere anche decisioni che potrebbero essere contro l’interesse dei territori che dovrebbero rappresentare.

Senza dimenticare che con la riduzione dei seggi disponibili non si è fermata la “transumanza” di politici del Nord verso “collegi sicuri” del Mezzogiorno. I famosi “paracadutati”. Candidati che non hanno collegamenti con il territorio, ma che sono collocati dalle segreterie dei partiti in base alla probabilità altissima di essere eletti. Per cui ora a consuntivo il Sud si trova non solo con una rappresentanza parlamentare territoriale di partenza già inferiore in percentuale rispetto al Nord, come visto sopra, ma questa viene anche ulteriormente ridotta di circa un 25% perché tutti i partiti da destra a sinistra hanno fatto largo uso di “paracadutati dal Nord”. Non a caso provvedimenti scellerati come l’Autonomia differenziata hanno faticato a trovare una opposizione parlamentare consistente anche per questi motivi.

Come scritto nell’introduzione lo scippo di rappresentanza, dopo la riduzione dei parlamentari, si traduce oggi in una ulteriore condizione di negazione di diritti politici grazie al cosiddetto “astensionismo”. Astensionismo che al Sud spesso non è altro che impossibilità, a questo punto espressamente voluta dal potere politico, di recarsi al voto nei Comuni di residenza per tantissimi cittadini meridionali che si trovano al Nord Italia per lavoro, studio o per curarsi. Figli di quell’emigrazione lavorativa, scolastica e sanitaria che continua implacabile da oltre 160 anni e che sta via via desertificando, come visto, le Regioni meridionali. Perché il Parlamento non vara una apposita normativa e permette a questi cittadini di poter esigere un diritto costituzionale, ad esempio di poter votare nel luogo di domicilio o per posta come accade in tanti altri Paesi? In questo quadro non va infatti dimenticato il prezzo alto da pagare, per alcuni impossibile da sostenere, di treni, auto, aerei, per potere tornare al Comune di residenza per votare, che sempre meno cittadini ormai possono permettersi.

Ecco perché quando si sente parlare di astensionismo al Sud più alto che al Nord, bisogna fare la tara con la percentuale dei cittadini che avrebbero voluto esercitare il diritto di voto, caso mai per opporsi alla deriva razzista imperante nel Paese (non a caso nelle ultime elezioni politiche meno di 1 elettore del Sud su 5 ha votato per la coalizione al governo dichiaratamente antimeridionale), ma a cui non è stato permesso di votare da politici che si stanno via via dimostrando sempre più nemici del Mezzogiorno, disinteressandosi del problema o più spesso banalizzandolo e irridendo il dato dell’astensionismo maggiore nel Mezzogiorno, certificando ancora una volta il permanente atteggiamento di disprezzo di ampie fasce delle classi dirigenti nazionali verso ciò che subisce il Sud. Tutto ciò avviene troppo spesso nel disinteresse quasi completo anche delle forze di sinistra, malgrado il Mezzogiorno sia all’opposizione già dal giorno stesso delle ultime votazioni politiche.

Infatti, nel 2022 solo 19 elettori meridionali su 100 hanno votato per la coalizione politica di destra attualmente al governo (30 su 100 al Centro-Nord). Una percentuale bassissima, che non ha precedenti in passato. I cittadini del Mezzogiorno, in larga maggioranza, non hanno votato alle ultime elezioni politiche per la coalizione vincitrice. Cioè che non sono saliti sul carro del sicuro vincitore, smentendo i preconcetti dominanti sul cosiddetto “voto di scambio”. E questo lo si vede bene a posteriori dai provvedimenti, tutti contro il Sud del governo Meloni. Il dato poi è ulteriormente confermato dalle elezioni europee di giugno. Il PD nel Sud, a partire dalle due Regioni amministrate Campania e Puglia dove stravince, è il primo partito con il 24,32% e il campo progressista, PD -M5S-AVS, è largamente maggioritario con il 46,82Risulta fin troppo evidente che il voto nel Mezzogiorno si esprime contro il disegno di “Autonomia Differenziata” e nel contempo esprime una critica verso il governo per l’assenza di una politica rivolta allo sviluppo del Sud. Contemporaneamente le dimensioni del voto in Puglia e in Campania sono la prova che è diffusa una domanda che ricerca a sinistra punti di direzione e riferimenti a cui poter affidare fiducia. Il Mezzogiorno appare quindi, come mai in passato, già all’opposizione.

Pertanto, come da tempo vado ripetendo, per costruire l’alternativa popolare di sinistra alle parole d’ordine antiliberista, ambientalista, antifascista, femminista e pacifista, va aggiunto meridionalista, visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’ Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno, dandogli voce e rappresentanza. A mio avviso la sinistra può ripartire solo da Sud.



Fonte: Meridione/Meridiani





.

domenica 8 dicembre 2024

“Schiaffo” alla Consulta, il Governo chiede proroga per Clep. Cuccurese: “I ‘colpi di Stato’ vanno di moda”

La Corte costituzionale smonta la legge Calderoli sulla “secessione dei ricchi”, dichiarando illegittimo, tra gli altri punti dello “Spacca-Italia”, anche quello relativo all’istituzione del Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni (Clep) e il governo sedicente patriottico, ma in realtà filo-padano dei “fratelli” e dei “fratellastri” d’Italia, cosa fa? Ne prende atto? Sospende i lavori del Comitato dei saggi presieduto dal luminare Sabino Cassese in servizio permanente effettivo come ascaro prono al volere dei “lumbard”? Giammai! Ne chiede addirittura la proroga. Un vero e proprio “schiaffo” alla Consulta, pur di mettere il Parlamento dinanzi ad una situazione di fatto: Lep ad uso e consumo della locomotiva Nord ed a discapito della colonia Sud.
 
Come sempre, con estrema puntalità, è intervenuto sul tema il Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese, che, attraverso i suoi canali social, ha così commentato la notizia riporttata dall’edizione odierna del “Quotidiano del Sud”: “Un vero e proprio colpo di mano governativo per decreto contro il Mezzogiorno. In questi tempi evidentemente i “colpi di Stato” vanno di moda. Mentre in Romania nessuno mette in discussione le sentenze della Corte Costituzionale romena, che addirittura annulla le elezioni, qui in Italia il governo sfida apertamente la Consulta nonostante il ciclone della sentenza della che ha demolito la legge sull’autonomia differenziata“.




Leggi tutto »
La Corte costituzionale smonta la legge Calderoli sulla “secessione dei ricchi”, dichiarando illegittimo, tra gli altri punti dello “Spacca-Italia”, anche quello relativo all’istituzione del Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni (Clep) e il governo sedicente patriottico, ma in realtà filo-padano dei “fratelli” e dei “fratellastri” d’Italia, cosa fa? Ne prende atto? Sospende i lavori del Comitato dei saggi presieduto dal luminare Sabino Cassese in servizio permanente effettivo come ascaro prono al volere dei “lumbard”? Giammai! Ne chiede addirittura la proroga. Un vero e proprio “schiaffo” alla Consulta, pur di mettere il Parlamento dinanzi ad una situazione di fatto: Lep ad uso e consumo della locomotiva Nord ed a discapito della colonia Sud.
 
Come sempre, con estrema puntalità, è intervenuto sul tema il Presidente del Partito del Sud Natale Cuccurese, che, attraverso i suoi canali social, ha così commentato la notizia riporttata dall’edizione odierna del “Quotidiano del Sud”: “Un vero e proprio colpo di mano governativo per decreto contro il Mezzogiorno. In questi tempi evidentemente i “colpi di Stato” vanno di moda. Mentre in Romania nessuno mette in discussione le sentenze della Corte Costituzionale romena, che addirittura annulla le elezioni, qui in Italia il governo sfida apertamente la Consulta nonostante il ciclone della sentenza della che ha demolito la legge sull’autonomia differenziata“.




 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India