Tra candidati del Nord paracadutati nelle regioni del Meridione e il taglio dei parlamentari che colpisce in particolare alcuni territori del Sud, le prossime elezioni provocheranno un’ulteriore spaccatura territoriale del Paese
Di Natale Cuccurese
Il taglio dei parlamentari a seguito del referendum del settembre 2020, fortemente voluto dal Movimento 5 stelle, unito all’attuale e deleteria legge elettorale, priva i territori del Mezzogiorno di una rappresentanza parlamentare degna di questo nome. Già lo avevamo previsto su queste pagine. Il Partito consociativo del Nord non si accontenta più di sfruttare il Mezzogiorno, di opprimere i suoi cittadini con i tanti, continui, scippi di fondi, ma adesso occupa, esautora e soppianta con propri candidati paracadutati in collegi “sicuri” da altri territori del Centro-Nord, anche le liste elettorali, proprio come si fa con una colonia, con l’effetto che i cittadini di molti territori del Sud resteranno senza una propria rappresentanza politica territoriale diretta. A meno che non si pensi davvero che un Franceschini, un Salvini o una Boschi, fra gli altri, abbiano a cuore e conoscano le problematiche dei territori nei quali sono stati paracadutati.
Analizziamo le conseguenze per il Mezzogiorno della riduzione dei parlamentari, in quello che potrebbe essere l’ultimo imbroglio, forse quello definitivo, per il Sud ed i suoi cittadini, approfondendo la spaccatura già presente nel Paese. La densità di popolazione, parametro per l’assegnazione del numero dei seggi alla Camera e al Senato, al Sud è più bassa che al Nord, mentre la desertificazione demografica causata dall’emigrazione cresce di anno in anno. La conseguenza è che il Sud, in un Parlamento ridotto, avrà un peso politico ancora minore del precedente.
Sicilia e Sardegna, ad esempio, avranno una più pesante riduzione dei rappresentanti in termini percentuali al Senato rispetto ad altre Regioni a Statuto speciale come il Trentino Alto Adige e la Val d’Aosta. La Basilicata e l’Umbria subiscono il taglio maggiore al Senato, i rappresentanti passano dagli attuali 7 a soli 3 (-57,1%) e qualsiasi partito sotto il 20% dei voti non eleggerà alcun rappresentante, inoltre visto che il Senato è eletto su base regionale, la Sardegna finisce per avere un senatore ogni 328mila abitanti, mentre il Trentino-Alto Adige uno ogni 172mila (a causa della legge che taglia i parlamentari, che tutela particolarmente la rappresentatività delle province autonome di Bolzano e Trento, ndr) rendendo evidente la sperequazione per cui il voto di un cittadino trentino vale il doppio di quello di un cittadino sardo.
Bisogna poi considerare che, in linea generale, gli attuali collegi sono diventati grandissimi, soprattutto al Senato, e che con la riduzione dei seggi il rischio, o meglio la certezza, è che solo il maggior partito riuscirà ad eleggere, soprattutto nelle regioni più piccole, così con questo meccanismo mancherà una rappresentanza di tutte le opposizioni al Senato non solo in Basilicata e Umbria, ma anche in Calabria, Abruzzo, Sardegna oltre a Liguria, Friuli, Marche, Umbria e Trentino.
Inoltre la riduzione degli eletti al Sud comporterà una loro minore autonomia, visto che sui pochi eletti graverà una maggiore pressione dei gruppi di potere economico e delle varie lobby, che come è noto sono concentrate al Nord. In altre parole, i già minori eletti del Sud saranno sottoposti a pressioni di ogni tipo per spingerli a scelte che spesso potrebbero essere contro l’interesse dei territori che devono rappresentare, inoltre l’inevitabile riduzione degli eletti del territorio a favore dei paracadutati sposterà ulteriormente il piatto della bilancia politica e di rappresentanza verso Nord.
Dunque, considerato che il numero dei seggi è minore di prima e che le liste dei candidati sono, come si è visto, compilate dalle segreterie di partito, e fatta salva la buonafede di tutti, la domanda che si pone è: sono stati candidati, al Sud come al Nord, i personaggi più autonomi, quelli che maggiormente possono fare gli interessi dei propri elettori oppure il rischio è quello che siano stati candidati quelli più propensi ad obbedire alle direttive del partito, a maggior ragione di fronte all’evidenza che, come visto, solo i maggiori partiti avranno possibilità di eleggere? Forse sarebbe stato il caso di procedere, parallelamente alla riduzione dei parlamentari a seguito del referendum, ad un ritorno ad una legge elettorale proporzionale, così come aveva detto durante la campagna referendaria l’allora segretario del Pd Zingaretti, ma purtroppo le cose non sono andate così.
Stupisce che l’artefice primo di questa manovra di riduzione dei parlamentari e di rappresentanza sia proprio il M5s che al Sud ha avuto un grande risultato alle ultime elezioni del 2018. L’ennesima giravolta, dopo il governo con la Lega, che mortifica i territori del Sud e ne tradisce le aspettative.
Ciliegina sulla torta in questa sottrazione di rappresentanza è il fatto che, non potendo comunque vietare il voto ai cittadini meridionali, lo si impedisce nei fatti ad oltre 4,9 milioni di cittadini “fuori sede”, cioè domiciliati in Italia ma che per motivi di studio, lavoro o perché devono curarsi, hanno momentaneamente il domicilio lontano dal Comune di residenza. Infatti, mentre un italiano che vive all’estero può votare con facilità, uno studente, un lavoratore, un malato in Italia deve necessariamente tornare al Comune di residenza per poter esprimere il suo voto. Inutile dire che la stragrande maggioranza di questi cittadini, privati così di un diritto costituzionale, sono meridionali.
Una vergogna indegna di un Paese civile che (a chiacchiere) si definisce democratico. L’ennesima evidente prova di una sottrazione di rappresentanza voluta e dettata da un razzismo di Stato che opprime da decenni il Mezzogiorno, tramutato così sempre di più in una colonia interna in cui larga parte dei cittadini non hanno, nei fatti, nemmeno più il diritto di voto. Politicanti e media mainstream come sempre diranno dopo le lezioni che nel Mezzogiorno l’astensionismo è molto alto, segno di un disinteresse per la politica. Insomma al danno si aggiungerà come sempre la beffa del pubblico ludibrio.
Ecco perché per il Sud si prepara l’ennesimo scippo. Uno scippo di rappresentanza e di democrazia che prelude consequenzialmente all’ennesimo furto di risorse.
* In foto: il ministro della Cultura Dario Franceschini, candidato al Senato nel collegio di Napoli nella lista del Pd
L’autore: Natale Cuccurese è presidente del Partito del Sud
Fonte: Left
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