mercoledì 12 maggio 2010

1860, IL SUD MESSO A FERRO E FUOCO, GARIBALDI COMINCIO' A BRONTE...


Bronte
Garibaldi, in Sicilia, deve la sua fortunata vicenda alla credenza popolare che lo voleva condottiero invincibile a difesa dei poveri e della giustizia. La massoneria aveva lavorato non poco a spargere questo alone attorno al generale nizzardo. A Bronte successe qualcosa che smascherò definitivamente la sua indole di pirata ed assassino a difesa dei ricchi e dei suoi padroni inglesi. A Bronte venne perpetrato il primo eccidio dello Stato non ancora unitario, in nome dei Savoia. Nel 1860, i contadini siciliani, ai quali era stato fatto credere che la rivoluzione liberale significasse divisione delle terre comunali e baronali, come nel 1848 assaltarono i latifondi dei galantuomini e non. A Bronte arrivarono notizie di rivolte in tutti i paesi della provincia di Catania. Divisione di terre si stavano effettuando ad Adrano, a Biancavilla, a Regalbuto e dividere le ricchezze significava comunismo.
PICCHI' NON SI LEVA STA PEZZA LORDA?
A Bronte "... il partito dei comunisti organizzò per domenica 5 agosto una manifestazione pacifica di protesta, per sollecitare la divisione dei beni demaniali... serpeggiava già tra i villici la volontà di farsi giustizia da sé e il desiderio del saccheggio per le troppe angherie subite...nell'aria si addensavano foschi presagi...la convinzione di essere scampati a quella falsa rivoluzione garibaldina che li avevano lasciati padroni come prima, accecava i galantuomini, rendendoli vieppiù arroganti...il notaio Cannata aveva anche insultato dei dimostranti che inalberavano una bandiera tricolore: " Picchì non si leva sta pezza
lorda?"( Salvatore Scalia, Processo a Bixio, Giuseppe Maimone Editore, Catania, 1991, pag. 38)
Il notaio Cannata aveva capito che Garibaldi stava dalla parte dei galantuomini e che rivoluzione liberale significava liberismo economico, quello di cui i galantuomini erano portatori. I contadini, convinti del contrario, convinti che era giunta l'ora del giudizio, guidati da un certo Gasparozzo e dal muratore Rosario Aidala occuparono Bronte. Volevano solo la divisione delle terre e al grido di " Viva l'Italia, viva Garibaldi" si scatenò l'inferno. Così Scalia ci racconta quella rivolta: " ...Il notaio Cannata è torturato ed evirato, del suo corpo viene fatto scempio. Un malettese affonda il coltello nella sua carne e lecca il sangue dalla lama. Altri dodici galantuomini saranno trucidati, tra cui un chierico. Non fu stuprata né uccisa nessuna donna..."( Salvatore Scalia, Ibidem, pag. 39) E cominciò così la caccia ai terreni della Ducea di Nelson.
"...Garibaldi, tempestato dai telegrammi del console inglese che lo pregava di intervenire perché fossero preservate le proprietà della Ducea di Nelson, inviò Bixio a domare una rivolta già sedata, ma che rischiava di contagiare i paesi di Linguaglossa, Randazzo, Centuripe e Castiglione. Bixio nel suo diario appare maggiormente consapevole della reale consistenza degli avvenimenti:" Secondo il presidente del consiglio del comune di Bronte la causa è la divisione voluta dei beni comunali, la stessa opinione hanno il delegato e il presidente del consiglio comunale. Secondo il delegato di Catania il presidente del Consiglio municipale Sig. Nicolò Lombardo sarebbe il capo della rivoluzione comunista" (Salvatore Scalia, Ibidem, pag. 44)
Lombardo non era un comunista, era un vecchio liberale che aveva combattuto in nome di Pio IX e della Rivoluzione Liberale nel 1848 contro i Borbone a Catania e aveva cercato di moderare la rivolta di Bronte. Ma i rivoltosi comunisti miravano ai possedimenti inglesi della Ducea di Nelson, cosa gravissima. Gli inglesi, fomentatori di rivolte in tutto il mondo, patrocinatori di Carlo Marx, non potevano far realizzare la rivoluzione comunista proprio a danno di un suddito di Sua Maestà Britannica. Bixio doveva dare l'esempio e pur sapendo che gli insorti erano tutti fuggiti, come dimostra una sua lettera al maggiore Dezza, mette le mani sul Lombardo, ritenuto dal generale garibaldino uno dei capi della rivolta comunista. Fatto grave! Bixio già sapeva quale ideologia doveva colpire. E dopo un processo sommario fece fucilare, oltre al Lombardo anche lo scemo del paese Nunzio Ciraldo Fraiunco, Samperi Spiridione, Nunzio Longhitano Longi e Nunzio Spitaleri Nunno. Dopo quella esecuzione Bixio fece affiggere un manifesto nei comuni di Francavilla, Castiglione, Linguaglossa, Randazzo, Maletto, Bronte, Cesarò, Centuripe e Regalbuto: " La Corte di Napoli ha educato una parte di voi al delitto e oggi vi spinge a commetterlo; una mano satanica vi dirige all'assassinio, all'incendio, al furto per poi mostrarvi all'Europa inorridita e dire: ecco la Sicilia in libertà. Come! Voi volete esser segnati a dito dai vostri stessi nemici messi al bando della civiltà? Volete voi che il Dittatore sia costretto a scrivere: Stritolate quei malvagi? Con noi poche parole: o voi rimanete tranquilli, o noi come amici della patria vi distruggiamo come nemici dell'umanità".
Nino Bixio mise a ferro e fuoco non solo la Sicilia ma anche la parte continentale del Reame. Da solo eseguì 700 fucilazioni e sempre in nome di Garibaldi, dei Savoia e della sua patria. Per il rimorso fuggì dall'Italia e morì coleroso.
Il sud a ferro e fuoco ( 250 fucilati a L'Aquila e Avezzano)
Per capire come il profondo Sud, oggi, sia così arretrato socialmente ed economicamente, bisogna affondare il bisturi della memoria nella ferita infetta della storia d'Italia. Tutto ha origine nell'invasione giacobina del 1799. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi in Sicilia continuò le gesta di Manhés e la stessa cosa fece Vittorio Emanuele II negli Abruzzi, quando una miriade di contadini si schierarono dalla parte dei Borbone e contro quella che i piemontesi chiamarono unità d'Italia e che altri non era che espansione economica, sociale, militare del Regno di Sardegna ai danni del Regno delle Due Sicilie. Nella sola provincia dell'Aquila, in pochi giorni vi furono 147 fucilati; in un comune del distretto di Avezzano fucilati oltre a 40 contadini in fascio, essendosi infierito pure contro donne e bambini ed altri 50 furono fucilati nella provincia stessa.( La Civiltà Cattolica, Vol. IX, Serie IV, Anno 1861, pag.393)
526 fucilati a Teramo
Nell'agosto del 1861, nel Teramano furono fucilati 526 contadini, senza pietà; uomini, donne e bambini furono trucidati come bestie. Una vera ecatombe.
Il Piemonte desertificò il Sud allora prospero, pieno di industrie, di denaro, d'oro, di banche, di terreni demaniali e soprattutto di beni ecclesiastici. Per compiere tale operazione criminale i Savoia si avvalsero della loro casta militare inquadrata nell'esercito ed ammaestrata ai crimini di guerra, al genocidio, agli eccidi di massa. Il Governo piemontese aveva impartito ordini precisi ed infami contro il Sud e i generali felloni applicarono alla lettera le direttive delle prefetture e del governo centrale, diffondendo ordini criminali e assoldando pentiti e collaboratori, per lo più di idee liberali. I bandi indirizzati alle popolazioni meridionali erano di una barbarie tale che, perfino il governo centrale di Torino, dietro pressione dell'opinione pubblica internazionale, fu costretto a richiamare parecchi ufficiali per poi insignirli di medaglie d'oro e d'argento. Secondo Cesare Cesari( Il brigantaggio e l'opera dell'esercito italiano dal 1860 al 1870, pag. 168-179) furono concesse dal governo dei "fratelli d'Italia" piemontesi quattro medaglie d'oro, 2.375 d'argento e 5.012 menzioni onorevoli e ciò per reprimere ed assassinare i Meridionali. Tra i primi insigniti vi fu il generale Ferdinando Pinelli che, ancor prima di passare il confine col Regno delle Due Sicilie, fu accolto nell'ascolano da migliaia di contadini. Quei rozzi montanari non l'accolsero con rose e fiori, come i professorelli di regime vanno insegnando nelle scuole, ma con fucili e pietre, una delle quali gli ruppe le corna galliche che portava in fronte, al che, incavolandosi, diramò un bando che fece inorridire le corti d'Europa; eccolo:
>.
Fir.to Ferdinando Pinelli
Subito paesi messi a sacco e fuoco (Vena Martello, San Vito, Pagese, San Martino...)
"...Il 16 di novembre erano state eseguite le prime fucilazioni poi, dopo l'assedio dei briganti ad Acquasanta, paesi interi erano stati arsi dalle fiamme, Vena Martello, San Vito, Pagese, San Martino...e sul selciato di ogni piazza di paese venivano lasciati per ammonimento i corpi goffi e barbuti dei ( Aldo De Jaco, Il Brigantaggio meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1969, pag. 25)
Il generale Pinelli fece le sue presentazioni al popolo del Sud. In nome di Vittorio Emanuele fucilò migliaia di contadini e diede fuoco alle loro case, senza crearsi scrupoli di sorta.
Ermenegildo Novelli, udinese che partecipò alla repressione dei partigiani nel Sud nelle file della brigata Pinelli nel 1861, 50 anni dopo quei fatti, fece pubblicare un suo diario ove annotò i crimini commessi dal suo battaglione:"...nella provincia di Teramo ci siamo fermati fino ai primi di maggio del 1861, perlustrando boscaglie, lottando briganti e facendone prigionieri parecchi, incutendo salutare paura nella parte trista di quei disgraziati paesi...molti briganti erano sconosciuti nei paesi dove venivano giustiziati. Nei primi tempi si prendevano, si giudicavano, si fucilavano, si seppellivano. Qui finiva tutto, e non solo per loro, ma anche per gli altri. Chi li conosceva? Chi sapeva delle loro scellerate azioni? Chi della triste e meritata fine loro? ...nessuno...la terra copriva tutto.
Ma quando videro nei sagrati o nelle piazze i corpi dei fucilati, paesani o non paesani, rimanere esposti al sole e alla pioggia, le cose cambiarono ad un tratto. Il castigo aveva servito di salutare esempio ai cattivi..." (Aldo De Jaco, Ibidem, pp.52-53 Vedi pure Diario di guerra 1860-61, Del Bianco Editore)
Che eroi ha avuto l'esercito piemontese! ( noi ci rifiutiamo di chiamarlo italiano) , gente come Ermenegildo pensava di incutere paura negli abruzzesi con le fucilazioni e con il terrore, che imbecille! Ma i criminali di guerra sono tutti degli imbecilli. Quanti contadini uccise Ermenegildo ed il suo battaglione? Non si saprà mai. La terra copriva tutto, diceva il nostro eroe.
14 villaggi devastati in tre giorni
Il 31 di gennaio del 1861, il generale Ferdinando Pinelli, dando la caccia ai partigiani del Sud che i piemontesi chiamavano briganti o reazionari, non usò il napalm o i diserbanti ma incendiava foreste e boscaglie, raccolti e case mettendo in atto una caccia all'uomo tanto barbara quanto bestiale; mise in atto tutto l'odio di classe che la casta militare piemontese gli impartì: "...lungo la strada quante chiese, e quanti oratori s'incontrarono da quelle bestiali soldatesche, tanti furono incendiati, dopo averli, ben inteso, messi prima a sacco e ruba, senza verun riguardo ai sacri arredi. I poveri montanari, quantunque male armati, combattevano con quella disperata ostinazione che viene dal sapere che si ha a che fare con nemico spietato; pure dovettero sgombrare i vari luoghi da essi occupati. In meno di tre giorni i villaggi furono interamente devastati ed arsi dai conquistatori, i quali a primo sfogo del loro furore si sogliono scagliare sopra le chiese. Dal villaggio di Giustamano, presso Cavaceppi, si hanno racconti particolareggiati di rapine e di sacrilegi che fanno raccapricciare, congiungendo alla ribalderia dell'assassinio lo scherno ed il cinismo del vendere all'asta pubblica i vasi sacri, gli ornamenti sacerdotali e gli arredi degli altari, a vilissimo prezzo. Queste spedizioni sono poi celebrate dai giornali liberali come atti di vigore. (La Civiltà Cattolica, Vol.IX, Serie IV, Roma, Anno 1861, pp.615-616 )

CAPITOLO TRATTO DAL LIBRO DI ANTONIO CIANO "LA STRAGI E GLI ECCIDI DEI SAVOIA"





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Bronte
Garibaldi, in Sicilia, deve la sua fortunata vicenda alla credenza popolare che lo voleva condottiero invincibile a difesa dei poveri e della giustizia. La massoneria aveva lavorato non poco a spargere questo alone attorno al generale nizzardo. A Bronte successe qualcosa che smascherò definitivamente la sua indole di pirata ed assassino a difesa dei ricchi e dei suoi padroni inglesi. A Bronte venne perpetrato il primo eccidio dello Stato non ancora unitario, in nome dei Savoia. Nel 1860, i contadini siciliani, ai quali era stato fatto credere che la rivoluzione liberale significasse divisione delle terre comunali e baronali, come nel 1848 assaltarono i latifondi dei galantuomini e non. A Bronte arrivarono notizie di rivolte in tutti i paesi della provincia di Catania. Divisione di terre si stavano effettuando ad Adrano, a Biancavilla, a Regalbuto e dividere le ricchezze significava comunismo.
PICCHI' NON SI LEVA STA PEZZA LORDA?
A Bronte "... il partito dei comunisti organizzò per domenica 5 agosto una manifestazione pacifica di protesta, per sollecitare la divisione dei beni demaniali... serpeggiava già tra i villici la volontà di farsi giustizia da sé e il desiderio del saccheggio per le troppe angherie subite...nell'aria si addensavano foschi presagi...la convinzione di essere scampati a quella falsa rivoluzione garibaldina che li avevano lasciati padroni come prima, accecava i galantuomini, rendendoli vieppiù arroganti...il notaio Cannata aveva anche insultato dei dimostranti che inalberavano una bandiera tricolore: " Picchì non si leva sta pezza
lorda?"( Salvatore Scalia, Processo a Bixio, Giuseppe Maimone Editore, Catania, 1991, pag. 38)
Il notaio Cannata aveva capito che Garibaldi stava dalla parte dei galantuomini e che rivoluzione liberale significava liberismo economico, quello di cui i galantuomini erano portatori. I contadini, convinti del contrario, convinti che era giunta l'ora del giudizio, guidati da un certo Gasparozzo e dal muratore Rosario Aidala occuparono Bronte. Volevano solo la divisione delle terre e al grido di " Viva l'Italia, viva Garibaldi" si scatenò l'inferno. Così Scalia ci racconta quella rivolta: " ...Il notaio Cannata è torturato ed evirato, del suo corpo viene fatto scempio. Un malettese affonda il coltello nella sua carne e lecca il sangue dalla lama. Altri dodici galantuomini saranno trucidati, tra cui un chierico. Non fu stuprata né uccisa nessuna donna..."( Salvatore Scalia, Ibidem, pag. 39) E cominciò così la caccia ai terreni della Ducea di Nelson.
"...Garibaldi, tempestato dai telegrammi del console inglese che lo pregava di intervenire perché fossero preservate le proprietà della Ducea di Nelson, inviò Bixio a domare una rivolta già sedata, ma che rischiava di contagiare i paesi di Linguaglossa, Randazzo, Centuripe e Castiglione. Bixio nel suo diario appare maggiormente consapevole della reale consistenza degli avvenimenti:" Secondo il presidente del consiglio del comune di Bronte la causa è la divisione voluta dei beni comunali, la stessa opinione hanno il delegato e il presidente del consiglio comunale. Secondo il delegato di Catania il presidente del Consiglio municipale Sig. Nicolò Lombardo sarebbe il capo della rivoluzione comunista" (Salvatore Scalia, Ibidem, pag. 44)
Lombardo non era un comunista, era un vecchio liberale che aveva combattuto in nome di Pio IX e della Rivoluzione Liberale nel 1848 contro i Borbone a Catania e aveva cercato di moderare la rivolta di Bronte. Ma i rivoltosi comunisti miravano ai possedimenti inglesi della Ducea di Nelson, cosa gravissima. Gli inglesi, fomentatori di rivolte in tutto il mondo, patrocinatori di Carlo Marx, non potevano far realizzare la rivoluzione comunista proprio a danno di un suddito di Sua Maestà Britannica. Bixio doveva dare l'esempio e pur sapendo che gli insorti erano tutti fuggiti, come dimostra una sua lettera al maggiore Dezza, mette le mani sul Lombardo, ritenuto dal generale garibaldino uno dei capi della rivolta comunista. Fatto grave! Bixio già sapeva quale ideologia doveva colpire. E dopo un processo sommario fece fucilare, oltre al Lombardo anche lo scemo del paese Nunzio Ciraldo Fraiunco, Samperi Spiridione, Nunzio Longhitano Longi e Nunzio Spitaleri Nunno. Dopo quella esecuzione Bixio fece affiggere un manifesto nei comuni di Francavilla, Castiglione, Linguaglossa, Randazzo, Maletto, Bronte, Cesarò, Centuripe e Regalbuto: " La Corte di Napoli ha educato una parte di voi al delitto e oggi vi spinge a commetterlo; una mano satanica vi dirige all'assassinio, all'incendio, al furto per poi mostrarvi all'Europa inorridita e dire: ecco la Sicilia in libertà. Come! Voi volete esser segnati a dito dai vostri stessi nemici messi al bando della civiltà? Volete voi che il Dittatore sia costretto a scrivere: Stritolate quei malvagi? Con noi poche parole: o voi rimanete tranquilli, o noi come amici della patria vi distruggiamo come nemici dell'umanità".
Nino Bixio mise a ferro e fuoco non solo la Sicilia ma anche la parte continentale del Reame. Da solo eseguì 700 fucilazioni e sempre in nome di Garibaldi, dei Savoia e della sua patria. Per il rimorso fuggì dall'Italia e morì coleroso.
Il sud a ferro e fuoco ( 250 fucilati a L'Aquila e Avezzano)
Per capire come il profondo Sud, oggi, sia così arretrato socialmente ed economicamente, bisogna affondare il bisturi della memoria nella ferita infetta della storia d'Italia. Tutto ha origine nell'invasione giacobina del 1799. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi in Sicilia continuò le gesta di Manhés e la stessa cosa fece Vittorio Emanuele II negli Abruzzi, quando una miriade di contadini si schierarono dalla parte dei Borbone e contro quella che i piemontesi chiamarono unità d'Italia e che altri non era che espansione economica, sociale, militare del Regno di Sardegna ai danni del Regno delle Due Sicilie. Nella sola provincia dell'Aquila, in pochi giorni vi furono 147 fucilati; in un comune del distretto di Avezzano fucilati oltre a 40 contadini in fascio, essendosi infierito pure contro donne e bambini ed altri 50 furono fucilati nella provincia stessa.( La Civiltà Cattolica, Vol. IX, Serie IV, Anno 1861, pag.393)
526 fucilati a Teramo
Nell'agosto del 1861, nel Teramano furono fucilati 526 contadini, senza pietà; uomini, donne e bambini furono trucidati come bestie. Una vera ecatombe.
Il Piemonte desertificò il Sud allora prospero, pieno di industrie, di denaro, d'oro, di banche, di terreni demaniali e soprattutto di beni ecclesiastici. Per compiere tale operazione criminale i Savoia si avvalsero della loro casta militare inquadrata nell'esercito ed ammaestrata ai crimini di guerra, al genocidio, agli eccidi di massa. Il Governo piemontese aveva impartito ordini precisi ed infami contro il Sud e i generali felloni applicarono alla lettera le direttive delle prefetture e del governo centrale, diffondendo ordini criminali e assoldando pentiti e collaboratori, per lo più di idee liberali. I bandi indirizzati alle popolazioni meridionali erano di una barbarie tale che, perfino il governo centrale di Torino, dietro pressione dell'opinione pubblica internazionale, fu costretto a richiamare parecchi ufficiali per poi insignirli di medaglie d'oro e d'argento. Secondo Cesare Cesari( Il brigantaggio e l'opera dell'esercito italiano dal 1860 al 1870, pag. 168-179) furono concesse dal governo dei "fratelli d'Italia" piemontesi quattro medaglie d'oro, 2.375 d'argento e 5.012 menzioni onorevoli e ciò per reprimere ed assassinare i Meridionali. Tra i primi insigniti vi fu il generale Ferdinando Pinelli che, ancor prima di passare il confine col Regno delle Due Sicilie, fu accolto nell'ascolano da migliaia di contadini. Quei rozzi montanari non l'accolsero con rose e fiori, come i professorelli di regime vanno insegnando nelle scuole, ma con fucili e pietre, una delle quali gli ruppe le corna galliche che portava in fronte, al che, incavolandosi, diramò un bando che fece inorridire le corti d'Europa; eccolo:
>.
Fir.to Ferdinando Pinelli
Subito paesi messi a sacco e fuoco (Vena Martello, San Vito, Pagese, San Martino...)
"...Il 16 di novembre erano state eseguite le prime fucilazioni poi, dopo l'assedio dei briganti ad Acquasanta, paesi interi erano stati arsi dalle fiamme, Vena Martello, San Vito, Pagese, San Martino...e sul selciato di ogni piazza di paese venivano lasciati per ammonimento i corpi goffi e barbuti dei ( Aldo De Jaco, Il Brigantaggio meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1969, pag. 25)
Il generale Pinelli fece le sue presentazioni al popolo del Sud. In nome di Vittorio Emanuele fucilò migliaia di contadini e diede fuoco alle loro case, senza crearsi scrupoli di sorta.
Ermenegildo Novelli, udinese che partecipò alla repressione dei partigiani nel Sud nelle file della brigata Pinelli nel 1861, 50 anni dopo quei fatti, fece pubblicare un suo diario ove annotò i crimini commessi dal suo battaglione:"...nella provincia di Teramo ci siamo fermati fino ai primi di maggio del 1861, perlustrando boscaglie, lottando briganti e facendone prigionieri parecchi, incutendo salutare paura nella parte trista di quei disgraziati paesi...molti briganti erano sconosciuti nei paesi dove venivano giustiziati. Nei primi tempi si prendevano, si giudicavano, si fucilavano, si seppellivano. Qui finiva tutto, e non solo per loro, ma anche per gli altri. Chi li conosceva? Chi sapeva delle loro scellerate azioni? Chi della triste e meritata fine loro? ...nessuno...la terra copriva tutto.
Ma quando videro nei sagrati o nelle piazze i corpi dei fucilati, paesani o non paesani, rimanere esposti al sole e alla pioggia, le cose cambiarono ad un tratto. Il castigo aveva servito di salutare esempio ai cattivi..." (Aldo De Jaco, Ibidem, pp.52-53 Vedi pure Diario di guerra 1860-61, Del Bianco Editore)
Che eroi ha avuto l'esercito piemontese! ( noi ci rifiutiamo di chiamarlo italiano) , gente come Ermenegildo pensava di incutere paura negli abruzzesi con le fucilazioni e con il terrore, che imbecille! Ma i criminali di guerra sono tutti degli imbecilli. Quanti contadini uccise Ermenegildo ed il suo battaglione? Non si saprà mai. La terra copriva tutto, diceva il nostro eroe.
14 villaggi devastati in tre giorni
Il 31 di gennaio del 1861, il generale Ferdinando Pinelli, dando la caccia ai partigiani del Sud che i piemontesi chiamavano briganti o reazionari, non usò il napalm o i diserbanti ma incendiava foreste e boscaglie, raccolti e case mettendo in atto una caccia all'uomo tanto barbara quanto bestiale; mise in atto tutto l'odio di classe che la casta militare piemontese gli impartì: "...lungo la strada quante chiese, e quanti oratori s'incontrarono da quelle bestiali soldatesche, tanti furono incendiati, dopo averli, ben inteso, messi prima a sacco e ruba, senza verun riguardo ai sacri arredi. I poveri montanari, quantunque male armati, combattevano con quella disperata ostinazione che viene dal sapere che si ha a che fare con nemico spietato; pure dovettero sgombrare i vari luoghi da essi occupati. In meno di tre giorni i villaggi furono interamente devastati ed arsi dai conquistatori, i quali a primo sfogo del loro furore si sogliono scagliare sopra le chiese. Dal villaggio di Giustamano, presso Cavaceppi, si hanno racconti particolareggiati di rapine e di sacrilegi che fanno raccapricciare, congiungendo alla ribalderia dell'assassinio lo scherno ed il cinismo del vendere all'asta pubblica i vasi sacri, gli ornamenti sacerdotali e gli arredi degli altari, a vilissimo prezzo. Queste spedizioni sono poi celebrate dai giornali liberali come atti di vigore. (La Civiltà Cattolica, Vol.IX, Serie IV, Roma, Anno 1861, pp.615-616 )

CAPITOLO TRATTO DAL LIBRO DI ANTONIO CIANO "LA STRAGI E GLI ECCIDI DEI SAVOIA"





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