mercoledì 12 novembre 2008

Neppure lo Stato rispetta le sue leggi


Di Fabio Perugia


La storia è di quelle da far ridere. Inizialmente.

Per poi, se si è tra gli italiani in grado di contenersi, passare all'irritazione.
Gli altri, probabilmente, sono già piombati in un vortice di rabbia miscelata al dispiacere. Il volto raggrinzito, poi di nuovo disteso.

Come fosse impossibile credere. Come fossimo tutti personaggi di un racconto pirandelliano, in questa storia si può passare dal riso al pianto e viceversa in un sol attimo.

È la storia di uno Stato, il nostro Stato, che impone delle leggi e non le rispetta. Che spende soldi per legiferare mettendo in moto due Camere, pagando stipendi a onorevoli, consulenti, esperti, pagando carta, timbri, commessi. E infine beffa i cittadini. Tanto che a volte può sembrare uno scherzo. Una burla.

Possibile che uno Stato possa scrivere e approvare una legge, tanto importante che se violata prevede una sanzione, e poi non rispettarla senza ancora (o per ora) pagarne il prezzo?
Questa è la storia recente dell'Istat. Venuta alla luce qualche mese fa.
Per anni nascosta, perché fino al giorno in cui nessuno parla l'acqua scorre.

La procura del Lazio della Corte dei Conti ha citato in giudizio il presidente dell'Istituto nazionale di statistica Luigi Biggeri.

Con lui alcuni direttori generali, capi di dipartimento e direttori centrali dell'Istat. E se in sede di udienza il giudice confermerà le accuse, gli imputati dovranno sentirsi condannare al pagamento, in favore dello Stato, più di di 191 milioni di euro.

L'accusa è di quelle che fanno sobbalzare sulla sedia. Che mettono a nudo i paradossi di questo Paese, dove alla fine i cittadini pagano. La procura ha scoperto mesi fa che l'Istat non multa chi non risponde ai questionari che invia, utili a raccogliere i dati necessari all'elaborazione delle indagini statistiche, violando così una precisa legge. È il decreto legislativo numero 322 del 1989 che obbliga «tutte le amministrazioni, enti o organismi pubblici a fornire tutti i dati e le notizie che vengano loro richiesti per rilevazioni previste dal programma statistico nazionale. Al medesimo obbligo sono sottoposti i soggetti privati».

E in caso di mancata risposta alla richiesta dei dati è proprio l'Istat a dover promuovere il procedimento sanzionatorio. Secondo la procura della Corte dei Conti, che ha condotto una verifica nel periodo 2002-2006, «le sanzioni in caso di mancate risposte alle rilevazioni statistiche non sono state mai applicate dall'Istat». Questo è il decreto che lo Stato si è scritto e che un ente dello Stato non rispetta. Non solo: nel bilancio dell'ente di ricerca pubblico italiano non è neppure prevista alcuna voce che registri l'ammontare della somma delle multe che bisognerebbe riscuotere.

Il «buco» nelle casse dello Stato è notevole. Le sanzioni - circa 350 mila l'anno - vanno da 516 a 5.164 euro, causando un danno quantificato da «un minimo di 155 milioni di euro annui a un massimo di circa 1,5 miliardi di euro annui». Praticamente un «tesoretto». Praticamente un pezzo di quelle risorse che i nostri amministratori cercano disperatamente per finanziare le famiglie, o le pensioni, o la scuola, o l'università, o le imprese, o quanto altro c'è da finanziarie in questa nazione.
La quantificazione di questo danno, come detto, riguarda il periodo 2002-2006 ed è di 191.425.235 euro. Se il giudice confermerà la somma richiesta dalla procura a pagare saranno in molti. A cominciare dal presidente dell'Istat Luigi Biggeri che rischia di sborsare 95.712.617,50 milioni di euro: il 50 per cento del totale. Biggeri in qualità di presidente possiede ampi poteri organizzativi e propositivi, provvede all'amministrazione dell'istituto assicurandone il funzionamento.
«E non c'è dubbio - spiega la procura dopo aver ascoltato le deduzioni di Biggeri - che l'applicazione delle sanzioni costituisca materia sulla quale il presidente, che ha il compito, tra altri, di delimitare l'obbligo di risposta e pertanto l'area di sanzionabilità, sia chiamato a svolgere un ruolo essenziale».

Secondo il numero uno dell'Istituto la norma che obbliga l'applicazione della sanzione alla mancata risposta è di «ardua e assai problematica applicazione», per più motivi. Come nel caso delle rilevazioni effettuate inviando questionari via posta: il soggetto privato o pubblico potrebbe non aver ricevuto la documentazione da compilare per svariate ragioni. Una tesi che la procura definisce «infondata». Come «inconsistente» definisce la teoria del presidente sull'affermazione che le sanzioni abbiano come «obiettivo prioritario, se non addirittura esclusivo, quello di fare cassa». L'accusa, infatti, specifica che la sanzione è la reazione alla violazione di una norma a garanzia di un valore, che in questo caso è la completezza delle rilevazioni statistiche.

E a proposito, Biggeri difende la sua posizione spiegando che applicare la sanzione non aumenterebbe il tasso di risposta. Come se fosse ipotizzabile uno Stato dove è lecito non rispettare le leggi. Biggeri dice che rispettare questa legge potrebbe addirittura indurre, chi risponde, a fornire informazioni approssimative se non a limitarsi a pagare la multa per evitare i solleciti dell'Istituto. Difesa, però, sostenuta in assenza di prove certe.
L'Istat, infatti, non applica le sanzioni dal 1989, neppure agli enti pubblici. Insomma, sarà paradossale, ma proprio Biggeri non ha i dati per sostenere questa tesi.
Del resto l'Italia non è l'unico Paese in Europa ad applicare sanzioni, quando alla richiesta di informazioni da parte degli istituti di statistica nazionale questi non vengono forniti. L'obbligo di risposta esiste in quasi tutte le nazioni. E in alcune è prevista anche una sanzione penale, non solo amministrativa. Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svizzera applicano le sanzioni. Rispettano le proprie leggi.

Ad esempio, in Danimarca vengono effettuate una media di ottomila multe l'anno; in Francia cinquemila. La riscossione ha fatto incassare alla Spagna, nel 2005, 778.583 euro; ai Paesi Bassi 927.833 euro.

E Luigi Biggeri non sarà l'unico a pagare, se condannato. Toccherà anche ai Direttori generali, Capi di dipartimento e direttori centrali dell'Istat «in ragione del periodo nel quale hanno esercitato le relative funzioni».

Mentre non sono stati citati in giudizio, seppur sottoposti a indagini, i membri del Consiglio dell'Istat. L'Organo, infatti, ha compiti di indirizzo e consulenza del presidente. Ma poco importa chi e quanto pagherà. Gli italiani sono stati beffati. L'Istat non è stato in grado di rispettare le norme che lo Stato ha emanato.
La storia, come detto, è di quelle da far ridere. Inizialmente.

Fonte: Il Tempo
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Di Fabio Perugia


La storia è di quelle da far ridere. Inizialmente.

Per poi, se si è tra gli italiani in grado di contenersi, passare all'irritazione.
Gli altri, probabilmente, sono già piombati in un vortice di rabbia miscelata al dispiacere. Il volto raggrinzito, poi di nuovo disteso.

Come fosse impossibile credere. Come fossimo tutti personaggi di un racconto pirandelliano, in questa storia si può passare dal riso al pianto e viceversa in un sol attimo.

È la storia di uno Stato, il nostro Stato, che impone delle leggi e non le rispetta. Che spende soldi per legiferare mettendo in moto due Camere, pagando stipendi a onorevoli, consulenti, esperti, pagando carta, timbri, commessi. E infine beffa i cittadini. Tanto che a volte può sembrare uno scherzo. Una burla.

Possibile che uno Stato possa scrivere e approvare una legge, tanto importante che se violata prevede una sanzione, e poi non rispettarla senza ancora (o per ora) pagarne il prezzo?
Questa è la storia recente dell'Istat. Venuta alla luce qualche mese fa.
Per anni nascosta, perché fino al giorno in cui nessuno parla l'acqua scorre.

La procura del Lazio della Corte dei Conti ha citato in giudizio il presidente dell'Istituto nazionale di statistica Luigi Biggeri.

Con lui alcuni direttori generali, capi di dipartimento e direttori centrali dell'Istat. E se in sede di udienza il giudice confermerà le accuse, gli imputati dovranno sentirsi condannare al pagamento, in favore dello Stato, più di di 191 milioni di euro.

L'accusa è di quelle che fanno sobbalzare sulla sedia. Che mettono a nudo i paradossi di questo Paese, dove alla fine i cittadini pagano. La procura ha scoperto mesi fa che l'Istat non multa chi non risponde ai questionari che invia, utili a raccogliere i dati necessari all'elaborazione delle indagini statistiche, violando così una precisa legge. È il decreto legislativo numero 322 del 1989 che obbliga «tutte le amministrazioni, enti o organismi pubblici a fornire tutti i dati e le notizie che vengano loro richiesti per rilevazioni previste dal programma statistico nazionale. Al medesimo obbligo sono sottoposti i soggetti privati».

E in caso di mancata risposta alla richiesta dei dati è proprio l'Istat a dover promuovere il procedimento sanzionatorio. Secondo la procura della Corte dei Conti, che ha condotto una verifica nel periodo 2002-2006, «le sanzioni in caso di mancate risposte alle rilevazioni statistiche non sono state mai applicate dall'Istat». Questo è il decreto che lo Stato si è scritto e che un ente dello Stato non rispetta. Non solo: nel bilancio dell'ente di ricerca pubblico italiano non è neppure prevista alcuna voce che registri l'ammontare della somma delle multe che bisognerebbe riscuotere.

Il «buco» nelle casse dello Stato è notevole. Le sanzioni - circa 350 mila l'anno - vanno da 516 a 5.164 euro, causando un danno quantificato da «un minimo di 155 milioni di euro annui a un massimo di circa 1,5 miliardi di euro annui». Praticamente un «tesoretto». Praticamente un pezzo di quelle risorse che i nostri amministratori cercano disperatamente per finanziare le famiglie, o le pensioni, o la scuola, o l'università, o le imprese, o quanto altro c'è da finanziarie in questa nazione.
La quantificazione di questo danno, come detto, riguarda il periodo 2002-2006 ed è di 191.425.235 euro. Se il giudice confermerà la somma richiesta dalla procura a pagare saranno in molti. A cominciare dal presidente dell'Istat Luigi Biggeri che rischia di sborsare 95.712.617,50 milioni di euro: il 50 per cento del totale. Biggeri in qualità di presidente possiede ampi poteri organizzativi e propositivi, provvede all'amministrazione dell'istituto assicurandone il funzionamento.
«E non c'è dubbio - spiega la procura dopo aver ascoltato le deduzioni di Biggeri - che l'applicazione delle sanzioni costituisca materia sulla quale il presidente, che ha il compito, tra altri, di delimitare l'obbligo di risposta e pertanto l'area di sanzionabilità, sia chiamato a svolgere un ruolo essenziale».

Secondo il numero uno dell'Istituto la norma che obbliga l'applicazione della sanzione alla mancata risposta è di «ardua e assai problematica applicazione», per più motivi. Come nel caso delle rilevazioni effettuate inviando questionari via posta: il soggetto privato o pubblico potrebbe non aver ricevuto la documentazione da compilare per svariate ragioni. Una tesi che la procura definisce «infondata». Come «inconsistente» definisce la teoria del presidente sull'affermazione che le sanzioni abbiano come «obiettivo prioritario, se non addirittura esclusivo, quello di fare cassa». L'accusa, infatti, specifica che la sanzione è la reazione alla violazione di una norma a garanzia di un valore, che in questo caso è la completezza delle rilevazioni statistiche.

E a proposito, Biggeri difende la sua posizione spiegando che applicare la sanzione non aumenterebbe il tasso di risposta. Come se fosse ipotizzabile uno Stato dove è lecito non rispettare le leggi. Biggeri dice che rispettare questa legge potrebbe addirittura indurre, chi risponde, a fornire informazioni approssimative se non a limitarsi a pagare la multa per evitare i solleciti dell'Istituto. Difesa, però, sostenuta in assenza di prove certe.
L'Istat, infatti, non applica le sanzioni dal 1989, neppure agli enti pubblici. Insomma, sarà paradossale, ma proprio Biggeri non ha i dati per sostenere questa tesi.
Del resto l'Italia non è l'unico Paese in Europa ad applicare sanzioni, quando alla richiesta di informazioni da parte degli istituti di statistica nazionale questi non vengono forniti. L'obbligo di risposta esiste in quasi tutte le nazioni. E in alcune è prevista anche una sanzione penale, non solo amministrativa. Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svizzera applicano le sanzioni. Rispettano le proprie leggi.

Ad esempio, in Danimarca vengono effettuate una media di ottomila multe l'anno; in Francia cinquemila. La riscossione ha fatto incassare alla Spagna, nel 2005, 778.583 euro; ai Paesi Bassi 927.833 euro.

E Luigi Biggeri non sarà l'unico a pagare, se condannato. Toccherà anche ai Direttori generali, Capi di dipartimento e direttori centrali dell'Istat «in ragione del periodo nel quale hanno esercitato le relative funzioni».

Mentre non sono stati citati in giudizio, seppur sottoposti a indagini, i membri del Consiglio dell'Istat. L'Organo, infatti, ha compiti di indirizzo e consulenza del presidente. Ma poco importa chi e quanto pagherà. Gli italiani sono stati beffati. L'Istat non è stato in grado di rispettare le norme che lo Stato ha emanato.
La storia, come detto, è di quelle da far ridere. Inizialmente.

Fonte: Il Tempo

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