mercoledì 13 settembre 2023

L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA E' UN BLUFF SEPARATISTA

Sul numero di Luglio del bimestrale “Su la testa”, interamente dedicato ad articoli sul perchè è doveroso contrastare ogni Autonomia differenziata, un articolo del nostro Presidente, Natale Cuccurese, dal titolo: “L’autonomia differenziata è un bluff separatista”.


Natale Cuccurese*

L’Autonomia differenziata non è coerente con la piena attuazione della legge Calderoli di applicazione del federalismo fiscale. La legge 42 prevede il superamento della spesa storica attraverso i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni), da sempre in attesa di attuazione. Il punto resta quello di superare la spesa storica, cioè un criterio che danneggia i cittadini governati da amministratori inefficienti o presunti tali, dato che spesso, ma questo nessuno mai lo sottolinea, meno hanno speso per i servizi solo a causa di una sperequata distribuzione territoriale delle risorse.

L’Autonomia differenziata crea una corsia preferenziale solo per le regioni ricche che faranno un’autonomia accelerata senza definizione dei Lep. Nei fatti si stanno costruendo tre nuove regioni a statuto speciale, agendo al di fuori della legge Calderoli del 2009. Infatti, a proposito di rispetto della Costituzione, la corretta procedura prevista dall’art. 116 della Costituzione chiude con la frase: ”nel rispetto dell’art 119 e della legge del 2009 (che prevede appunto fondi perequativi mai definiti)” e rimanda poi all’art 117 dove si parla dei diritti di cittadinanza che devono essere garantiti allo stesso livello su tutto il territorio nazionale, previa definizione dei Lep, cosa mai avvenuta, che si vuole ancora rinviare e che è già costata al Mezzogiorno oltre 840 miliardi di euro (Eurispes – Rapporto Italia 2020). Verrebbe così affermata la fine di quanto previsto nella prima parte della Costituzione, e cioè cittadini italiani tutti con gli stessi diritti, per cedere il posto a una “doppia cittadinanza”, di serie A e di serie B. Ma non è solo un problema di “Nord Vs Sud” come alcuni vogliono far intendere, visto che anche all’interno dello stesso territorio regionale ci saranno territori, e quindi cittadini, favoriti o sfavoriti. Per esempio, territori montani Vs città.  Si verrebbero così a costituire “micro-repubbliche” regionali con a capo “governatori” con pieni poteri che potranno decidere su un ventaglio di materie amplissimo: dalla sanità alle strade e autostrade, alle centrali idriche, alla scuola etc. Un anticipo del presidenzialismo prossimo venturo nazionale, che è alla base dello scambio fra Lega e FdI e che prevede appunto l’Autonomia differenziata in cambio del presidenzialismo. Nessuno però si chiede chi risponderà del carico del debito pubblico.

Gli “errori di calcolo” renderanno non sostenibile il debito pubblico statale

Infatti, anche ammettendo l’ipotesi dell’esistenza di un residuo fiscale, vi sarebbe un palese errore di calcolo in quanto non si terrebbe conto del fatto che una parte della differenza di quanto versato all’erario rispetto a quanto trasferito dallo Stato alle Regioni ritornerebbe sul territorio regionale in forma di pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico posseduti dai soggetti residenti in quelle regioni. In ultima analisi, il rischio contenuto nell’attuazione del terzo comma dell’art. 116 non sarebbe soltanto quello politico di una possibile rottura dell’Unità nazionale, ma anche quello, ben più concreto, di rendere non più sostenibile il debito pubblico statale a causa della riduzione dei flussi di cassa di livello statale. Non basta infatti determinare un Lep se poi non ci sono le risorse per garantire quel fabbisogno. In questo consiste il bluff leghista.

Per esempio, è stato calcolato che la perdita per lo Stato, limitatamente alle sole regioni del Nord, sarebbe di 112 miliardi all’anno. È quanto resterebbe a Lombardia, Veneto ed Emilia se il 90% di Irpef, Ires e Iva non fosse versato allo Stato.
Il Tesoro si troverebbe ad avere 112 miliardi di euro in meno, secondo stime pubblicate dalla stessa Regione Veneto sul sito dedicato all’Autonomia differenziata, e 190 miliardi, secondo i calcoli elaborati qualche tempo fa dal presidente della Svimez. La differenza sta nel fatto che, nel secondo caso, i conteggi hanno tenuto conto anche dei contributi previdenziali oltre che delle tasse.
La sola Lombardia ha un gettito Iva di oltre 21 miliardi, un gettito Irpef di 36 miliardi e uno Ires di 12 miliardi. Quanta parte potrà essere devoluta? Secondo gli stessi conteggi del portale dell’Autonomia del Veneto, la spesa regionalizzata in Lombardia è di 42 miliardi, nel Veneto di 18 miliardi, in Emilia Romagna di 17 miliardi. Il punto centrale rimane la dinamica delle entrate. Nell’anno zero si può trasferire una somma pari a quella spesa dallo Stato. Ma che succede poi negli anni successivi se il gettito aumenta? L’extra a chi spetterebbe, allo Stato o alla Regione? E se il gettito diminuisce? Domande senza risposta…

Interessante a tale proposito la provocazione sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, portata dal ministro Calderoli e Zaia, in merito ad alcune dichiarazioni di sabato 3 dicembre 2022 sul “Gazzettino” dove il ministro affermava che, paradossalmente, ad alcune Regioni, specie al Sud, forse converrebbe restare con la spesa storica per non rimetterci: “Una volta noti, sarà l’occasione per chiedere i Lep o per non chiederli. E io temo che per molti sarà così”, ha detto Calderoli. Non a caso, Zaia ha lanciato la provocazione: “Una volta definiti i Lep, si scriva in una norma che vanno obbligatoriamente applicati, perché io sono convinto che qualcuno si rifiuterà”,

Dal che si evince, come da tempo ripetiamo, che più che i mai definiti LEP bisognerebbe domandare e definire i LUP, e cioè i Livelli Uniformi delle Prestazioni, perché con i Lep l’asticella da parte di chi governa potrebbe essere collocata così in basso, e le cifre relative essere così miserabili, da renderli inutili, fino addirittura a fare preferire la spesa storica, come dice Zaia, che come è noto su moltissime materie è pari a ZERO! Non a caso, lo stesso Zaia, dichiarava al “Corriere della Sera” di lunedì 6 dicembre 2022: “Usciamo dalla narrazione che tutti siamo uguali”. Il che rende bene l’idea di cosa bolle in pentola.

Un motivo in più per ribadire a questi “statisti” che la Costituzione afferma che tutti gli italiani devono avere gli stessi diritti. Se invece la Costituzione non è più in vigore e di conseguenza il patto di cittadinanza non è più valido ce lo facciano sapere, così ci attrezziamo di conseguenza.

La storia recente

Nel maggio scorso è poi scoppiato un giallo: il Servizio Bilancio del Senato ha documentato come l’Autonomia regionale differenziata porti, nei fatti, alla fine dell’attuale stato unitario. L’abnorme decentramento di funzioni e risorse finanziarie creerà appunto enormi problemi al bilancio dello Stato e al finanziamento dei servizi nelle altre regioni, più povere, che imploderebbero anche per impossibilità dello stato ad assicurare i LEP. E’ un documento ufficiale pubblicato sul sito del Senato e diffuso sui social. Poi degradato dopo furiose polemiche a bozza da verificare.

Come reagiranno i 20 milioni di cittadini del Mezzogiorno di fronte a simili modalità, addirittura peggiorative rispetto alle attuali?! Ecco perché dire che il Paese è a rischio balcanizzazione non è assolutamente un artificio lessicale, ma stringente attualità. 

Che l’Autonomia differenziata sulle 23 materie oggi gestite dallo Stato possa essere concessa a tutte le 15 regioni ordinarie è soltanto un bluff. L’autonomia la può ottenere soltanto il Nord. Ormai il re è nudo. A certificarlo, a poche settimane dal “giallo” precedente, è stato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio che a fine giugno ha depositato in Commissione Affari Costituzionali del Senato un documento che per la prima volta ha provato a rispondere compiutamente a una domanda centrale del progetto autonomista: quali Regioni hanno davvero abbastanza capienza di gettito per gestire in proprio i servizi che oggi dispensa lo Stato? Più sono ricchi i cittadini, più tasse versano, più facile sarà ottenere l’autonomia e gestire le materie perché l’aliquota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. In altri termini, per alcuni territori, cioè tutte le Regioni del Sud e diverse del Centro, l’autonomia rischia di essere troppo cara e non se la possono permettere. 

Ultimo colpo di scena, al momento in cui scrivo: la critica all’Autonomia differenziata viene dalla stessa struttura chiamata a porne le basi e cioè dalla “mini costituente”, il Comitato per la definizione dei Lep (CLEP), composta da membri nominati da Calderoli e scelti in modo preponderante al Centro Nord, molti dei quali già da tempo fortemente orientati a favore dell’Autonomia differenziata. Il tutto con il Parlamento completamente tagliato fuori. Persino da questa Commissione giungono critiche con una lettera pubblica di quattro influenti membri che han presentato le dimissioni: “è discriminatoria, va riportata sui binari definiti dalla nostra Costituzione. Il criterio della spesa storica crea diseguaglianze e le risorse sono un’incognita”. Il che fa capire come il rischio per l’unità dello Stato sia più che mai reale. 

L’Autonomia differenziata è un progetto liberista che mette in pericolo l’unità stessa del Paese. Chi si accoda a queste richieste si assume interamente, e a futura memoria, la responsabilità della possibile, e certo non auspicabile, “balcanizzazione” del Paese non appena i cittadini di alcune aree, non solo del Mezzogiorno, si accorgeranno di essere di serie B, cioè con meno diritti e soggetti a una sorta di apartheid economico. C’è chi lavora per vedere lentamente morire la Repubblica parlamentare nata dalla Resistenza e l’unità del Paese, mentre i dati Istat degli ultimi anni pongono in evidenza come i divari territoriali e sociali da anni si stiano sempre più approfondendo. Del tutto illusorio pensare che qualche Regione possa “salvarsi da sola”, se non si affrontando i nodi d’insieme del Paese. 

Fortunatamente, nel maggio scorso, i giornali hanno riportato il giudizio negativo dei cittadini, anche del Nord, sul disegno di legge di riforma voluto dal governo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra Nord e Sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole. Se (finalmente) informati, i cittadini capiscono bene la fregatura che il partito unico delle privatizzazioni vuole rifilargli. Ma ciò che spicca è che anche la maggioranza di chi abita al Nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni cosiddette virtuose a prescindere dalla localizzazione geografica. In conclusione un progetto divisivo, da avversare e respingere senza esitazioni.


* Natale Cuccurese – Presidente nazionale del Partito del Sud, Consigliere Comunale e dell’Unione per Sinistra Unita a Quattro Castella (RE), dove risiede. Meridionalista progressista, collabora con siti e giornali d’informazione politica.


Link: https://www.sulatesta.net/lautonomia-differenziata-e-un-bluff-separatista/



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Sul numero di Luglio del bimestrale “Su la testa”, interamente dedicato ad articoli sul perchè è doveroso contrastare ogni Autonomia differenziata, un articolo del nostro Presidente, Natale Cuccurese, dal titolo: “L’autonomia differenziata è un bluff separatista”.


Natale Cuccurese*

L’Autonomia differenziata non è coerente con la piena attuazione della legge Calderoli di applicazione del federalismo fiscale. La legge 42 prevede il superamento della spesa storica attraverso i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni), da sempre in attesa di attuazione. Il punto resta quello di superare la spesa storica, cioè un criterio che danneggia i cittadini governati da amministratori inefficienti o presunti tali, dato che spesso, ma questo nessuno mai lo sottolinea, meno hanno speso per i servizi solo a causa di una sperequata distribuzione territoriale delle risorse.

L’Autonomia differenziata crea una corsia preferenziale solo per le regioni ricche che faranno un’autonomia accelerata senza definizione dei Lep. Nei fatti si stanno costruendo tre nuove regioni a statuto speciale, agendo al di fuori della legge Calderoli del 2009. Infatti, a proposito di rispetto della Costituzione, la corretta procedura prevista dall’art. 116 della Costituzione chiude con la frase: ”nel rispetto dell’art 119 e della legge del 2009 (che prevede appunto fondi perequativi mai definiti)” e rimanda poi all’art 117 dove si parla dei diritti di cittadinanza che devono essere garantiti allo stesso livello su tutto il territorio nazionale, previa definizione dei Lep, cosa mai avvenuta, che si vuole ancora rinviare e che è già costata al Mezzogiorno oltre 840 miliardi di euro (Eurispes – Rapporto Italia 2020). Verrebbe così affermata la fine di quanto previsto nella prima parte della Costituzione, e cioè cittadini italiani tutti con gli stessi diritti, per cedere il posto a una “doppia cittadinanza”, di serie A e di serie B. Ma non è solo un problema di “Nord Vs Sud” come alcuni vogliono far intendere, visto che anche all’interno dello stesso territorio regionale ci saranno territori, e quindi cittadini, favoriti o sfavoriti. Per esempio, territori montani Vs città.  Si verrebbero così a costituire “micro-repubbliche” regionali con a capo “governatori” con pieni poteri che potranno decidere su un ventaglio di materie amplissimo: dalla sanità alle strade e autostrade, alle centrali idriche, alla scuola etc. Un anticipo del presidenzialismo prossimo venturo nazionale, che è alla base dello scambio fra Lega e FdI e che prevede appunto l’Autonomia differenziata in cambio del presidenzialismo. Nessuno però si chiede chi risponderà del carico del debito pubblico.

Gli “errori di calcolo” renderanno non sostenibile il debito pubblico statale

Infatti, anche ammettendo l’ipotesi dell’esistenza di un residuo fiscale, vi sarebbe un palese errore di calcolo in quanto non si terrebbe conto del fatto che una parte della differenza di quanto versato all’erario rispetto a quanto trasferito dallo Stato alle Regioni ritornerebbe sul territorio regionale in forma di pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico posseduti dai soggetti residenti in quelle regioni. In ultima analisi, il rischio contenuto nell’attuazione del terzo comma dell’art. 116 non sarebbe soltanto quello politico di una possibile rottura dell’Unità nazionale, ma anche quello, ben più concreto, di rendere non più sostenibile il debito pubblico statale a causa della riduzione dei flussi di cassa di livello statale. Non basta infatti determinare un Lep se poi non ci sono le risorse per garantire quel fabbisogno. In questo consiste il bluff leghista.

Per esempio, è stato calcolato che la perdita per lo Stato, limitatamente alle sole regioni del Nord, sarebbe di 112 miliardi all’anno. È quanto resterebbe a Lombardia, Veneto ed Emilia se il 90% di Irpef, Ires e Iva non fosse versato allo Stato.
Il Tesoro si troverebbe ad avere 112 miliardi di euro in meno, secondo stime pubblicate dalla stessa Regione Veneto sul sito dedicato all’Autonomia differenziata, e 190 miliardi, secondo i calcoli elaborati qualche tempo fa dal presidente della Svimez. La differenza sta nel fatto che, nel secondo caso, i conteggi hanno tenuto conto anche dei contributi previdenziali oltre che delle tasse.
La sola Lombardia ha un gettito Iva di oltre 21 miliardi, un gettito Irpef di 36 miliardi e uno Ires di 12 miliardi. Quanta parte potrà essere devoluta? Secondo gli stessi conteggi del portale dell’Autonomia del Veneto, la spesa regionalizzata in Lombardia è di 42 miliardi, nel Veneto di 18 miliardi, in Emilia Romagna di 17 miliardi. Il punto centrale rimane la dinamica delle entrate. Nell’anno zero si può trasferire una somma pari a quella spesa dallo Stato. Ma che succede poi negli anni successivi se il gettito aumenta? L’extra a chi spetterebbe, allo Stato o alla Regione? E se il gettito diminuisce? Domande senza risposta…

Interessante a tale proposito la provocazione sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, portata dal ministro Calderoli e Zaia, in merito ad alcune dichiarazioni di sabato 3 dicembre 2022 sul “Gazzettino” dove il ministro affermava che, paradossalmente, ad alcune Regioni, specie al Sud, forse converrebbe restare con la spesa storica per non rimetterci: “Una volta noti, sarà l’occasione per chiedere i Lep o per non chiederli. E io temo che per molti sarà così”, ha detto Calderoli. Non a caso, Zaia ha lanciato la provocazione: “Una volta definiti i Lep, si scriva in una norma che vanno obbligatoriamente applicati, perché io sono convinto che qualcuno si rifiuterà”,

Dal che si evince, come da tempo ripetiamo, che più che i mai definiti LEP bisognerebbe domandare e definire i LUP, e cioè i Livelli Uniformi delle Prestazioni, perché con i Lep l’asticella da parte di chi governa potrebbe essere collocata così in basso, e le cifre relative essere così miserabili, da renderli inutili, fino addirittura a fare preferire la spesa storica, come dice Zaia, che come è noto su moltissime materie è pari a ZERO! Non a caso, lo stesso Zaia, dichiarava al “Corriere della Sera” di lunedì 6 dicembre 2022: “Usciamo dalla narrazione che tutti siamo uguali”. Il che rende bene l’idea di cosa bolle in pentola.

Un motivo in più per ribadire a questi “statisti” che la Costituzione afferma che tutti gli italiani devono avere gli stessi diritti. Se invece la Costituzione non è più in vigore e di conseguenza il patto di cittadinanza non è più valido ce lo facciano sapere, così ci attrezziamo di conseguenza.

La storia recente

Nel maggio scorso è poi scoppiato un giallo: il Servizio Bilancio del Senato ha documentato come l’Autonomia regionale differenziata porti, nei fatti, alla fine dell’attuale stato unitario. L’abnorme decentramento di funzioni e risorse finanziarie creerà appunto enormi problemi al bilancio dello Stato e al finanziamento dei servizi nelle altre regioni, più povere, che imploderebbero anche per impossibilità dello stato ad assicurare i LEP. E’ un documento ufficiale pubblicato sul sito del Senato e diffuso sui social. Poi degradato dopo furiose polemiche a bozza da verificare.

Come reagiranno i 20 milioni di cittadini del Mezzogiorno di fronte a simili modalità, addirittura peggiorative rispetto alle attuali?! Ecco perché dire che il Paese è a rischio balcanizzazione non è assolutamente un artificio lessicale, ma stringente attualità. 

Che l’Autonomia differenziata sulle 23 materie oggi gestite dallo Stato possa essere concessa a tutte le 15 regioni ordinarie è soltanto un bluff. L’autonomia la può ottenere soltanto il Nord. Ormai il re è nudo. A certificarlo, a poche settimane dal “giallo” precedente, è stato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio che a fine giugno ha depositato in Commissione Affari Costituzionali del Senato un documento che per la prima volta ha provato a rispondere compiutamente a una domanda centrale del progetto autonomista: quali Regioni hanno davvero abbastanza capienza di gettito per gestire in proprio i servizi che oggi dispensa lo Stato? Più sono ricchi i cittadini, più tasse versano, più facile sarà ottenere l’autonomia e gestire le materie perché l’aliquota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. In altri termini, per alcuni territori, cioè tutte le Regioni del Sud e diverse del Centro, l’autonomia rischia di essere troppo cara e non se la possono permettere. 

Ultimo colpo di scena, al momento in cui scrivo: la critica all’Autonomia differenziata viene dalla stessa struttura chiamata a porne le basi e cioè dalla “mini costituente”, il Comitato per la definizione dei Lep (CLEP), composta da membri nominati da Calderoli e scelti in modo preponderante al Centro Nord, molti dei quali già da tempo fortemente orientati a favore dell’Autonomia differenziata. Il tutto con il Parlamento completamente tagliato fuori. Persino da questa Commissione giungono critiche con una lettera pubblica di quattro influenti membri che han presentato le dimissioni: “è discriminatoria, va riportata sui binari definiti dalla nostra Costituzione. Il criterio della spesa storica crea diseguaglianze e le risorse sono un’incognita”. Il che fa capire come il rischio per l’unità dello Stato sia più che mai reale. 

L’Autonomia differenziata è un progetto liberista che mette in pericolo l’unità stessa del Paese. Chi si accoda a queste richieste si assume interamente, e a futura memoria, la responsabilità della possibile, e certo non auspicabile, “balcanizzazione” del Paese non appena i cittadini di alcune aree, non solo del Mezzogiorno, si accorgeranno di essere di serie B, cioè con meno diritti e soggetti a una sorta di apartheid economico. C’è chi lavora per vedere lentamente morire la Repubblica parlamentare nata dalla Resistenza e l’unità del Paese, mentre i dati Istat degli ultimi anni pongono in evidenza come i divari territoriali e sociali da anni si stiano sempre più approfondendo. Del tutto illusorio pensare che qualche Regione possa “salvarsi da sola”, se non si affrontando i nodi d’insieme del Paese. 

Fortunatamente, nel maggio scorso, i giornali hanno riportato il giudizio negativo dei cittadini, anche del Nord, sul disegno di legge di riforma voluto dal governo. Il 60% degli italiani, infatti, ritiene che con questa legge aumenterebbe il divario fra Nord e Sud, con punte del 70% fra i giovani e del 76% fra coloro che risiedono al Sud e nelle isole. Se (finalmente) informati, i cittadini capiscono bene la fregatura che il partito unico delle privatizzazioni vuole rifilargli. Ma ciò che spicca è che anche la maggioranza di chi abita al Nord la pensa così. Solo il 31% è convinto che saranno premiate le regioni cosiddette virtuose a prescindere dalla localizzazione geografica. In conclusione un progetto divisivo, da avversare e respingere senza esitazioni.


* Natale Cuccurese – Presidente nazionale del Partito del Sud, Consigliere Comunale e dell’Unione per Sinistra Unita a Quattro Castella (RE), dove risiede. Meridionalista progressista, collabora con siti e giornali d’informazione politica.


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