Fonte: blog pensiero meridiano
Visto il ruolo fondamentale giocato dal Patto di Stabilità Europeo nelle politiche nazionali è di fondamentale importanza dare uno sguardo complessivo alla Spesa Pubblica Nazionale. Qui di seguito proveremo a descrivere le caratteristiche della spesa pubblica Italiana in un ottica territoriale. Questo articolo prova a risponder a domande che sorgono naturali, ma a cui i media spesso non danno risposte coerenti e precise.
La Spesa pubblica dedicata alle regioni del Mezzogiorno è eccessiva rispetto a quella riservata alle regioni del Centro-Nord? E di conseguenza possiamo ritenere fondate le polemiche sugli eccessivi flussi di denaro pubblico diretti verso le regioni meridionali? Inoltre qual è il tipo di Spesa Pubblica da destinare alle regioni meno sviluppate per sostenere processi di convergenza economica?
Prima di affrontare il tema della distribuzione territoriale della Spesa Pubblica è importante capire come essa è strutturata. La Spesa pubblica sostanzialmente si divide in tre grandi categorie 1) Spesa Corrente, 2) Spesa in Conto Capitale, 3) Interessi Passivi.
Spesa Corrente: necessaria all’ordinaria conduzione della struttura statale. Le spese correnti concernono:
- i movimenti finanziari relativi alla produzione ed al funzionamento dei servizi dello Stato (spese per il personale sia in servizio sia a riposo, spese per l’acquisto di beni di consumo ecc.);
- i movimenti inerenti alla redistribuzione dei redditi attuata dallo Stato a favore di particolari categorie di soggetti in base a determinate linee di politica economico-sociale (sovvenzioni, contributi, sussidi, pensioni di guerra ecc.);
- gli ammortamenti di beni patrimoniali, che hanno un rilievo puramente economico e non finanziario.
Spesa in Conto Capitale: detta anche di investimento, è quella parte di spesa con la quale lo Stato mira a svolgere una politica attiva nell’ambito economico nazionale. Le spese in conto capitale comprendono:
- le spese per investimenti, sia diretti che indiretti (attuati questi ultimi mediante assegnazioni di fondi ad altri soggetti);
- le spese per l’acquisizione di partecipazioni, azioni, per conferimenti e per concessioni di crediti per finalità produttive, ecc.
Esse rappresentano, in definitiva, il contributo che lo Stato dà alla formazione del capitale produttivo del paese.
Interessi Passivi: La spesa per gli interessi passivi è la quota della spesa pubblica destinata al pagamento degli interessi ai sottoscrittori di titoli pubblici. Questa voce ha assunto una crescente importanza nel bilancio dello stato a causa dell’eccessivo indebitamento effettuato dai governi in passato.
Il grafico sottostante evidenzia quanto ognuna delle tre categorie sopra elencate influisce sulla Spesa Totale (Fonte:http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=975&Itemid=44).
Si nota pertanto come circa il 90% della spesa pubblica è di natura corrente, e meno del 10% è destinata a investimenti e politiche di sviluppo industriale ed economico. Il decremento della Spesa in Conto Capitale risponde certamente ad esigenze di finanza pubblica legate al piano di stabilizzazione post 1992 e alla necessità di aderire all’euro, ma quello che colpisce è la ripartizione dell’aggiustamento tra spesa in CC e spesa corrente. Il volume complessivo della spesa pubblica italiana in termini di PIL è allineato ai valori medi degli altri paesi dell’Unione Europea. La quota della spesa pubblica complessiva della Pubblica Amministrazione sul PIL nel periodo 2001-2010 è pari al 48,9 per cento (Eurostat) a fronte del 47,7 per cento degli altri paesi che hanno adottato la moneta unica. Il Dipartimento per le Politiche di Sviluppo conferma che, nonostante l’allineamento ai valori medi internazionali, l’allocazione della spesa risulta squilibrata soprattutto a causa di un eccessivo peso della spesa corrente rispetto a quella in conto capitale e di una distribuzione territoriale che non rispecchia i bisogni dell’area meridionale (fonte DPS: Dipartimento per le politiche di sviluppo).
Qual è la distribuzione territoriale della spesa della Pubblica Amministrazione? Il grafico sottostante risponde a tale domanda.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare la Spesa della Pubblica Amministrazione è nettamente più elevata nelle regioni Settentrionali. La media degli ultimi 15 anni mostra uno squilibrio in termini di spesa pro capite tra Centro-Nord e Sud con una media pro capite rispettivamente di 9.208 € e di 7.549€. Ma a cosa è imputabile tale differenza di spesa?
La maggior parte dell’effetto di differenziazione territoriale tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno è imputabile alla Spesa Corrente che costituisce circa il 90,6 per cento del bilancio pubblico. La spesa corrente è molto influenzata dalle spese previdenziali (e pensionistiche), che rappresentano circa il 40% delle spese correnti totali. Ma a tale voce di spesa c’è da aggiungere la Sanità, l’Educazione e altri settori che non stiamo qui a specificare. Per dare un’idea della spesa pro-capite settoriale basti guardare il grafico sottostante. Si nota come nell’ambito della sanità la spesa procapite è più elevata nel Centro-Nord, in quello dell’educazione è più alta nel Mezzogiorno (anche a causa di differenze nella struttura demografica: la popolazione meridionale più giovane in media rispetto a quella centro-settentrionale).
Sarebbe interessante analizzare in maniera più approfondita la spesa settoriale, in questo articolo tuttavia ci limitiamo a descrivere e quantificare la spesa pubblica procapite in valori aggregati.
Il quadro della distribuzione territoriale della spesa pubblica cambia notevolmente però se all’analisi della sola Spesa della Pubblica Amministrazione in senso stretto (PA) si aggiunge quella della Spesa delle Aziende a partecipazione Statale (come Ferrovie dello Stato, ANAS, ENEL etc, il cosiddetto Settore Pubblico Allargato). È sul Settore Pubblico Allargato (SPA) che risulta di estrema rilevanza approfondire le analisi riguardo la dinamica della spesa in conto capitale. La funzione di riequilibrio a favore del Mezzogiorno della spesa in conto capitale, terminata per la PA a partire dal 2007 (cfr. Figura III.3) termina molto prima nel settore pubblico allargato.
Sin dal 2001, infatti, la spesa in conto capitale del SPA risulta essere molto più alta nelle regioni settentrionali. La maggior parte di tali Enti del SPA (Ferrovie, ENI; ENEL; Poste, Aziende ex-IRI ) risulta infatti lontano dal perseguimento dell’obiettivo di assicurare al Mezzogiorno il 45 per cento della propria spesa in conto capitale (cfr. Tavola III.3). Sia pure con qualche miglioramento negli ultimi anni per alcuni di essi, la quota di spesa destinata alle regioni meridionali è nettamente inferiore a quella destinata al Centro-Nord. ANAS è l’unica azienda pubblica a destinare circa il 50% della sua spesa in conto capitale alle regioni meridionali. Ferrovie dello Stato riserva una spesa per investimenti nel Sud molto ridotta rispetto al resto della nazione (solo 22% nel 2009), mentre ENEL arriva ad una quota del 23%. Questa scarsa attenzione agli investimenti nelle regioni meridionali si traduce in una dotazione infrastrutturale carente, come è stato più volte sottolineato da Svimez e altri istituti di ricerca.
A questo scenario si deve aggiungere il dato sconcertante, confermato dal DPS 2010, secondo cui c’è una riduzione costante della quota della spesa totale destinata all’area meridionale in rapporto a quella nazionale: 32,1 per cento nel 2006, 30,2 nel 2007, 29,7 nel 2008, 28,7 nel 2009.
Il fatto sconcertante è che l’obiettivo dichiarato delle politiche di sviluppo è quello di sostenere l’aumento della spesa in conto capitale nelle aree sottoutilizzate. A quanto pare questo obiettivo viene continuamente mancato.
Se continuiamo ad analizzare la Spesa in Conto Capitale in maniera più approfondita, è necessario precisare che quest’ultima presenta due voci differenti di spesa. La spesa in CC si divide in Spesa Diretta per Investimenti, e Spesa per Incentivi e Trasferimenti alle Imprese. La teoria economica e il DPS stesso sono concordi nell’affermare che il contributo della prima componente alla crescita di un’area sia maggiore e più immediato rispetto a quello garantito dalla spesa per incentivi e contributi agli investimenti.
Esistono differenze nell’allocazione territoriale di questi due tipi di spesa? Ebbene si. La Spesa per investimenti diretti è maggiore al Centro-Nord. Per di più, a fronte di una totale stabilità dei due aggregati nel Mezzogiorno nel biennio 2008-2009, il Centro-Nord segnala una crescita consistente sia della spesa di investimenti diretti che della spesa per trasferimenti di capitale (pag. 136 Rapporto Annuale DPS 2010 sulle aree sottoutilizzate). Il grafico sottostante evidenzia una maggiore spesa “virtuosa” nelle regioni centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali (dati medi dal 2001 al 2009).
Tutto ciò appare sconcertante e mostra una mancanza di una vera e propria politica con cui affrontare il problema storico della questione meridionale. Tuttavia non si avrebbe una visione completa sulla distribuzione territoriale della Spesa Pubblica in conto capitale se non si analizzasse la fonte e la natura dei fondi utilizzati per tali spese.
Contrariamente alla Spesa Corrente, interamente di natura ordinaria, la Spesa in CC è costituita sia da risorse ordinarie sia da risorse “straordinarie” aggiuntive (pag. 129 Rapporto Annuale DPS 2010 sulle aree sottoutilizzate). Le risorse aggiuntive provengono di norma dai cosiddetti fondi FAS (Fondi Aree Sottoutilizzate, destinate dallo Stato per sole politiche di sviluppo territoriale) e dai Fondi Strutturali Europei (messi a disposizione dall’UE). Se analizziamo la struttura della Spesa in Conto Capitale secondo queste due fonti di finanziamento, si nota come le risorse “straordinarie” hanno svolto una funzione essenziale di sostegno allo sviluppo nel Mezzogiorno, rappresentando circa il 50 % delle risorse in conto capitale complessive. Ciò vuol dire in termini pro capite che, in assenza delle risorse aggiuntive, gli 877 euro pro capite, di cui ha usufruito il cittadino del Mezzogiorno tra il 1998 e il 2007, si ridurrebbero a 427, pari a meno del 50 per cento, mentre i 796 del cittadino del Centro-Nord rimarrebbero sostanzialmente invariati (cfr. Figura III.5).
Appare evidente che manchi in Italia la voglia di affrontare la Questione Meridionale come una vera priorità dell’agenda economica nazionale. Senza le politiche di sostegno dell’Unione Europea lo scenario economico del Mezzogiorno sarebbe ancor più desolante. Affermare che il Mezzogiorno riceva flussi di denaro pubblico eccessivi appare alla luce di questi dati una mezza verità.
Fonte: blog pensiero meridiano
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