domenica 23 gennaio 2011

L’insurrezione in Italia


[Le Monde]

Succede che un paese da molto tempo immobile e anestetizzato da un potere fondato su pilastri allarmanti (media deviati, mafia e altri poteri occulti) si risveglia e si esprime nelle sue componenti più direttamente oppresse: operai cacciati dalle loro fabbriche, immigrati privati dei diritti elementari, vittime di un terremoto particolarmente distruttivo sfruttati e ingannati dalle istituzioni che dovevano proteggerli e aiutarli, Sud avvelenato dai rifiuti tossici nascosti sottoterra clandestinamente, studenti che fin dall’infanzia hanno conosciuto come solo orizzonte un mondo di illusioni e di menzogne che, di fatto li ha privati dell’idea stessa di un futuro che appartiene loro.

Da un pò di tempo, il potere del governo di questo paese si è indebolito. Coloro che erano finora più silenziosi –apparentemente i più rassegnati anche –hanno organizzato cortei pieni di vita, di immaginazione e di impazienza, occupando i tetti delle fabbriche, le torri e, in diciotto città, i monumenti (con il rispetto che avrebbero meritato anche Pompei o il Colosseo).

Poco a poco si è fatta strada un’indignazione di massa. La manifestazione del 14 dicembre che ha avuto luogo a Roma e in tutte le grandi città d’Italia ha riguardato un grandissimo numero di studenti e di liceali, ma anche di operai, di sopravvissuti dell’Aquila e abitanti dei territori partenopei. Per gli studenti, si trattava di affermare una volta di più quello che esprimevano con forza da due anni, senza alcuna risposta da parte del governo: il loro rifiuto di una riforma che ridurrebbe ancora i fondi per la ricerca già quasi inesistenti, che abolirebbe il 90% delle borse [di studio N.d.T.] e che sopprimerebbe 35000 posti, condannando alla disoccupazione un’infinità di insegnanti e di impiegati che aspettano da anni di essere finalmente regolarizzati.

Gli studenti italiani sono condannati in partenza a scegliere tra precarietà e disoccupazione, tra il malcontento e l’espatrio. Il numero di giovani che cercano un lavoro per mesi, per anni, è impressionante; ancora più [alto] il numero di coloro che hanno rinunciato a cercarlo. La riforma annunciata proclama la lotta contro gli sprechi – mentre sono stati recentemente assunti in massa nelle scuole pubbliche gli insegnanti di religione, materia facoltativa e le scuole private sono privilegiate e abbondantemente finanziate, e lo saranno ancora di più dal decreto annunciato.

Quello che gli studenti percepiscono è l’intenzione di destrutturare l’istruzione pubblica e di trasformare l’università in un’istituzione che prepari allo sfruttamento e non all’autonomia, non alla formazione di individui e di cittadini liberi, capaci di un pensiero critico, anzi di un solo e semplice pensiero.

“Noi non siamo rappresentati”, dicono gli studenti, che si sentono relegati fuori dalla politica. Niente a che vedere con la lotta armata, con le ideologie degli anni ‘70. Si sa che questi giovani hanno una profonda cultura democratica, ma credono in una democrazia radicale e davvero collettiva. Non si è visto nessuno slogan aggressivo nella manifestazione, nessuna parola d’ordine, ma, cosa inedita, ogni manifestante reggeva un cartello, che rappresentava copertine di libri. Gli uni accanto agli altri: Nabokov, Pétrone, Darwin, Henry Miller, Dostoïevski; e ancora Merleau-Ponty, Kama-sutra, Odissea…

Quello stesso giorno, il governo indebolito poneva la questione di fiducia e tutta l’opposizione votava una mozione di sfiducia. All’annuncio che per tre voti – comprati in modo evidente, che dimostra una corruzione ormai assurta a sistema – la fiducia era passata, la collera è aumentata, la violenza è diventata inevitabile, mentre era profondamente estranea al movimento studentesco che si era legato ai grandi luoghi del malessere sociale, mostrando lucidità e resistenza.

Quello che ormai preoccupa, sono le manifestazioni dei prossimi giorni. Perché si teme una riedizione di Genova 2001, nella misura in cui il governo sarebbe tentato di sfruttare la giusta collera generazionale e collettiva per inventare un stato di emergenza, invece di stabilire un dialogo con interlocutori che hanno – i loro osservatori disinteressati lo riconoscono – “qualcosa di nuovo da dire”. Anche il rifiuto di rispondere è una violenza, più violenta e più colpevole dell’indignazione di tutto un paese.

Fonte: Italia dall'estero

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[Le Monde]

Succede che un paese da molto tempo immobile e anestetizzato da un potere fondato su pilastri allarmanti (media deviati, mafia e altri poteri occulti) si risveglia e si esprime nelle sue componenti più direttamente oppresse: operai cacciati dalle loro fabbriche, immigrati privati dei diritti elementari, vittime di un terremoto particolarmente distruttivo sfruttati e ingannati dalle istituzioni che dovevano proteggerli e aiutarli, Sud avvelenato dai rifiuti tossici nascosti sottoterra clandestinamente, studenti che fin dall’infanzia hanno conosciuto come solo orizzonte un mondo di illusioni e di menzogne che, di fatto li ha privati dell’idea stessa di un futuro che appartiene loro.

Da un pò di tempo, il potere del governo di questo paese si è indebolito. Coloro che erano finora più silenziosi –apparentemente i più rassegnati anche –hanno organizzato cortei pieni di vita, di immaginazione e di impazienza, occupando i tetti delle fabbriche, le torri e, in diciotto città, i monumenti (con il rispetto che avrebbero meritato anche Pompei o il Colosseo).

Poco a poco si è fatta strada un’indignazione di massa. La manifestazione del 14 dicembre che ha avuto luogo a Roma e in tutte le grandi città d’Italia ha riguardato un grandissimo numero di studenti e di liceali, ma anche di operai, di sopravvissuti dell’Aquila e abitanti dei territori partenopei. Per gli studenti, si trattava di affermare una volta di più quello che esprimevano con forza da due anni, senza alcuna risposta da parte del governo: il loro rifiuto di una riforma che ridurrebbe ancora i fondi per la ricerca già quasi inesistenti, che abolirebbe il 90% delle borse [di studio N.d.T.] e che sopprimerebbe 35000 posti, condannando alla disoccupazione un’infinità di insegnanti e di impiegati che aspettano da anni di essere finalmente regolarizzati.

Gli studenti italiani sono condannati in partenza a scegliere tra precarietà e disoccupazione, tra il malcontento e l’espatrio. Il numero di giovani che cercano un lavoro per mesi, per anni, è impressionante; ancora più [alto] il numero di coloro che hanno rinunciato a cercarlo. La riforma annunciata proclama la lotta contro gli sprechi – mentre sono stati recentemente assunti in massa nelle scuole pubbliche gli insegnanti di religione, materia facoltativa e le scuole private sono privilegiate e abbondantemente finanziate, e lo saranno ancora di più dal decreto annunciato.

Quello che gli studenti percepiscono è l’intenzione di destrutturare l’istruzione pubblica e di trasformare l’università in un’istituzione che prepari allo sfruttamento e non all’autonomia, non alla formazione di individui e di cittadini liberi, capaci di un pensiero critico, anzi di un solo e semplice pensiero.

“Noi non siamo rappresentati”, dicono gli studenti, che si sentono relegati fuori dalla politica. Niente a che vedere con la lotta armata, con le ideologie degli anni ‘70. Si sa che questi giovani hanno una profonda cultura democratica, ma credono in una democrazia radicale e davvero collettiva. Non si è visto nessuno slogan aggressivo nella manifestazione, nessuna parola d’ordine, ma, cosa inedita, ogni manifestante reggeva un cartello, che rappresentava copertine di libri. Gli uni accanto agli altri: Nabokov, Pétrone, Darwin, Henry Miller, Dostoïevski; e ancora Merleau-Ponty, Kama-sutra, Odissea…

Quello stesso giorno, il governo indebolito poneva la questione di fiducia e tutta l’opposizione votava una mozione di sfiducia. All’annuncio che per tre voti – comprati in modo evidente, che dimostra una corruzione ormai assurta a sistema – la fiducia era passata, la collera è aumentata, la violenza è diventata inevitabile, mentre era profondamente estranea al movimento studentesco che si era legato ai grandi luoghi del malessere sociale, mostrando lucidità e resistenza.

Quello che ormai preoccupa, sono le manifestazioni dei prossimi giorni. Perché si teme una riedizione di Genova 2001, nella misura in cui il governo sarebbe tentato di sfruttare la giusta collera generazionale e collettiva per inventare un stato di emergenza, invece di stabilire un dialogo con interlocutori che hanno – i loro osservatori disinteressati lo riconoscono – “qualcosa di nuovo da dire”. Anche il rifiuto di rispondere è una violenza, più violenta e più colpevole dell’indignazione di tutto un paese.

Fonte: Italia dall'estero

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