domenica 9 gennaio 2011

Alcuni Stati europei usano le pensioni per pagare i debiti



Qualche tempo fa l’Economist lo aveva pronosticato: l’Europa sarebbe tornata presto ad uno status sociale pre-bismarckiano, intendendo con questo un Europa costretta ad abbandonare il suo sistema pensionistico. Strano che possa sembrare, le pensioni non sono storicamente l’opera dell’iniziativa socialista, bensì il risultato politico di un uomo di stato conservatore come Otto von Bismarck, il cancelliere di ferro, l’artefice della potenza prussiana, il devoto luterano. Era il 1889. Per i temi lunghi della storia si tratta dell’altro ieri.

Nulla di sorprendente dunque se le pensioni, come sono comparse sulla scena, un giorno ne usciranno. Nel frattempo, in diversi paesi europei, si può osservare una tendenza che può forse, all’occhio pessimista, sembrare un preludio alla fatale profezia del settimanale britannico. Lo stato – colui che in teoria amministra disinteressatamente i soldi delle tasse per impartire poi ai suoi cittadini vari servizi, tra cui la pensione – è sempre più propenso, per trovare i fondi che scarseggiano, a mettere la mani in quella tasca destinata alle pensioni del domani. Un rimedio sicuro ed efficace soprattutto perché, nel breve termine, indolore. A pagare la spese, o per meglio dire a pagare i “cocci”, verranno quelli dopo. E intanto si può governare senza dover prendere misure dolorose e impopolari, come la riduzione della spesa corrente, e dunque dei servizi, oppure la privatizzazione di un assetto industriale strategico. Solo nelle ultime settimane sono stati notati diversi tentativi di appropriarsi dei soldi del sistema pensionistico per fini diversi a quelli originali. L’esempio che più colpisce la fantasia – e la sensibilità del contribuente – è quello dell’Ungheria. Qui, il mese scorso il governo ha fatto ai suoi cittadini la classifica offerta «che non poteva rifiutare». Si è trattato, senza enfatizzazioni, di una vera estorsione statale. Il governo ha deciso di approvare una seria di misure che spingono i cittadini che hanno scelto i fondi privati a ritornare al sistema pubblico. Tutti coloro che scelgono di non passare integralmente dalle loro pensioni private a quelle pubbliche perderanno i loro diritti alla porzione di pensione statale per cui pure avevano versato i contributi. Inutile dire che questa misura servirà allo stato per appropriarsi di risorse carenti, in un periodo in cui l’Europa impone misure stringenti a Budapest.

Misure simili sono state prese in Bulgaria, dove la loro gravità è minore solo a causa delle pesanti proteste sindacali che sono riuscite a ridimensionare i piani originali. Se il governo aveva inizialmente deciso di trasferire 300 milioni di dollari dal sistema privato a quello pubblico, solo il 20% di questi sono stati effettivamente spostati. La situazione è meno drammatica in Polonia, dove il governo ha trasferito un terzo dei futuri contributi dai fondi privati al sistema pensionistico statale. Ma anche nei paesi dove i conti pubblici non sono in pericolo, lo stato mette le mani nei fondi pensionistici. A novembre, la Francia ha deciso di trasferire 33 miliardi di dollari dalla riserva nazionale dell’INPS locale per ridurre il deficit a corto termine nel settore pensionistico. I risparmi dei contribuenti per gli anni 2020-2040 saranno così adoperati negli anni 2011-2024 e Sarkozy potrà disporre delle risorse risparmiate per la spese corrente.

Che la profezia dell’Economist sia o non sia vera, non importa, solo il tempo ce lo dirà. Quello che è certo è che gli stati europei non sono in questi giorni i migliori custodi dei risparmi dei loro cittadini.


Fonte:Blitz quotidiano

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Qualche tempo fa l’Economist lo aveva pronosticato: l’Europa sarebbe tornata presto ad uno status sociale pre-bismarckiano, intendendo con questo un Europa costretta ad abbandonare il suo sistema pensionistico. Strano che possa sembrare, le pensioni non sono storicamente l’opera dell’iniziativa socialista, bensì il risultato politico di un uomo di stato conservatore come Otto von Bismarck, il cancelliere di ferro, l’artefice della potenza prussiana, il devoto luterano. Era il 1889. Per i temi lunghi della storia si tratta dell’altro ieri.

Nulla di sorprendente dunque se le pensioni, come sono comparse sulla scena, un giorno ne usciranno. Nel frattempo, in diversi paesi europei, si può osservare una tendenza che può forse, all’occhio pessimista, sembrare un preludio alla fatale profezia del settimanale britannico. Lo stato – colui che in teoria amministra disinteressatamente i soldi delle tasse per impartire poi ai suoi cittadini vari servizi, tra cui la pensione – è sempre più propenso, per trovare i fondi che scarseggiano, a mettere la mani in quella tasca destinata alle pensioni del domani. Un rimedio sicuro ed efficace soprattutto perché, nel breve termine, indolore. A pagare la spese, o per meglio dire a pagare i “cocci”, verranno quelli dopo. E intanto si può governare senza dover prendere misure dolorose e impopolari, come la riduzione della spesa corrente, e dunque dei servizi, oppure la privatizzazione di un assetto industriale strategico. Solo nelle ultime settimane sono stati notati diversi tentativi di appropriarsi dei soldi del sistema pensionistico per fini diversi a quelli originali. L’esempio che più colpisce la fantasia – e la sensibilità del contribuente – è quello dell’Ungheria. Qui, il mese scorso il governo ha fatto ai suoi cittadini la classifica offerta «che non poteva rifiutare». Si è trattato, senza enfatizzazioni, di una vera estorsione statale. Il governo ha deciso di approvare una seria di misure che spingono i cittadini che hanno scelto i fondi privati a ritornare al sistema pubblico. Tutti coloro che scelgono di non passare integralmente dalle loro pensioni private a quelle pubbliche perderanno i loro diritti alla porzione di pensione statale per cui pure avevano versato i contributi. Inutile dire che questa misura servirà allo stato per appropriarsi di risorse carenti, in un periodo in cui l’Europa impone misure stringenti a Budapest.

Misure simili sono state prese in Bulgaria, dove la loro gravità è minore solo a causa delle pesanti proteste sindacali che sono riuscite a ridimensionare i piani originali. Se il governo aveva inizialmente deciso di trasferire 300 milioni di dollari dal sistema privato a quello pubblico, solo il 20% di questi sono stati effettivamente spostati. La situazione è meno drammatica in Polonia, dove il governo ha trasferito un terzo dei futuri contributi dai fondi privati al sistema pensionistico statale. Ma anche nei paesi dove i conti pubblici non sono in pericolo, lo stato mette le mani nei fondi pensionistici. A novembre, la Francia ha deciso di trasferire 33 miliardi di dollari dalla riserva nazionale dell’INPS locale per ridurre il deficit a corto termine nel settore pensionistico. I risparmi dei contribuenti per gli anni 2020-2040 saranno così adoperati negli anni 2011-2024 e Sarkozy potrà disporre delle risorse risparmiate per la spese corrente.

Che la profezia dell’Economist sia o non sia vera, non importa, solo il tempo ce lo dirà. Quello che è certo è che gli stati europei non sono in questi giorni i migliori custodi dei risparmi dei loro cittadini.


Fonte:Blitz quotidiano

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1 commento:

Gianfranco Lillo ha detto...

Forse sfugge che anche in italia c'è stata una manovra di questo genere e che ha interessato il TFR che, il silenzio-assenso, trasferisce all'INPS.
Nel 2010, il governo italiano si è appropriato del TFR gestito dall'INPS -come previsto dal Decreto 252/05 (riforma della previdenza complementare)- e l'ha utilizzato per far fronte agli impegni di spesa corrente.

 
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