martedì 11 maggio 2010

Controrisorgimento, la fucilazione della bambina Angela

Di Annibale Cerrati

Quello che segue è uno dei migliaia di avvenimenti crudeli che accaddero all’indomani della non voluta unità d’Italia e che non sono mai ricordati nei libri di scuola o nei testi universitari.

Per chi ama la Sicilia, i fatti che leggete possono essere percepiti come un pugno nello stomaco e potranno dissestare qualche animo sensibile.

A chiarimento di quegli avvenimenti è opportuno ricordare che, mentre la parte continentale dell’ex Regno delle Due Sicilie, a guerra di conquista terminata, fu interessata dalla resistenza che ancora oggi viene disprezzata e designata con il nome di “brigantaggio(che per un decennio tenne in scacco l’esercito invasore), in Sicilia non vi fu tempo di organizzare una resistenza.

Il governo sabaudo aveva inviato nell’isola il generale Covone, conferendo allo stesso poteri speciali che comportavano la dichiarazione del continuo stato d’assedio. In virtù di essi, ai militari piemontesi era consentito potere di vita e di morte sugli isolani.

Fatti particolarmente luttuosi accaddero a Castellamare del Golfo, in provincia di Trapani. E di fatti reali che portarono alla rivolta del gennaio 1862 in quella cittadina, scaturirono dal clima di grande conflittualità lasciato in Sicilia dall’avventura garibaldina e di cui approfittarono i nobilotti chiamati “cutrara”.

Questi si individuarono negli approfittatori senza scrupoli ed in coloro che si divisero la “coltre” del dominio con i loro maneggi politici che danno ricchezza e potere con il supporto della delinquenza organizzata, dai piemontesi chiamata “mafia”, ma a cui si appoggiarono per mantenere un presunto ordine pubblico, decretandone così, un enorme salto di qualità.

La scintilla di quei moti popolari, ignorata dalla storia ufficiale, fu provocata dall’introduzione in Sicilia della leva militare obbligatoria, la cui legge fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno il 30 giugno 1861.

La norma, fin dall’inizio, non fu accettata dal popolo siciliano che non era abituato all’arruolamento, inesistente con i Borbone. Oltretutto esso comportava l’allontanamento per sette lunghi anni di tanti giovani dalle loro famiglie e dalle loro terre; terra dalla cui coltivazione essi traevano il loro sostentamento.

In poche parole, con la loro partenza, per le famiglie rimaste era la fame e quindi la morte. Per altro, i figli dei ricchi cutrara, pagando, erano esonerati dal servizio militare. Si determinò, così, un forte risentimento verso queste classi di privilegiati che si erano appropriati delle terre demaniali e della Chiesa.

La conseguenza fu, dunque, che quasi tutti i giovani chiamati alle armi si diedero alla macchia, trovando rifugio sulle montagne che sovrastano Castellamare del Golfo, piene di anfratti naturali e grotte.

Ben presto, però, si stancarono di quella vita, piena di disagi e decisero di inaugurare il 1862 insorgendo contro il potere straniero piemontese. Si radunarono circa 400 giovani, armati come capitava, verso le ore 14 del 2 gennaio, entrarono senza paura in paese al grido “nuautri avemu na parola sula e un canciamu bannera”, assalendo l’abitazione del commissario di leva Bartolomeo Asaro e del comandante della Guardia Nazionale Francesco Borruso, due emblemi dell’odiato governo che furono trucidati e le loro case bruciate.

La furia vendicativa dei piemontesi non si fece attendere e l’indomani da Palermo furono inviati interi battaglioni di soldati, sia via terra quanto via mare. Nel porto di Castellamare ben due navi da guerra sbarcarono sin dall’alba centinaia di bersaglieri al comando dell’oscuro generale Quintini, già garibaldino della prima ora e che aveva fatto rapida carriera grazie alla sua crudeltà.

I bersaglieri diedero subito la caccia agli insorti, mentre la gente abbandonava in gran fretta il centro abitato e i giovani disertori si dileguavano. Le truppe regie, nei loro frenetici rastrellamenti riuscirono a trovare in contrada Villa Falconeria, un gruppetto di gente, che forse si era ritirato in quella campagna per evitare qualsiasi coinvolgimento negli scontri.

E qui il generale Quintini in persona ed una compagnia di bravi bersaglieri piemontesi, non avendo altri prigionieri e dopo un sommario interrogatorio, adempirono in nome e per conto di Sua Maestà il Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoja al loro compito di giustizia, fucilando tutta quella gente, senza processo e con la scusa che erano parenti dei disertori.

Furono uccise sette persone: Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote; Mariano Crociata, di anni 30; Marco Randisi, di anni 45; Anna Catalano, di anni 50; Antonino Corona, di anni 70; Angelo Calamia, di anni 70.

E poi il loro capolavoro, davanti al plotone d’esecuzione venne portata e fucilata la bambina Angelina Romano, di appena 9 anni. Erano le ore 13 di venerdì 3 gennaio 1862. Questo è solo un esempio di ciò che tante persone ignorano e che si apprestano a festeggiare. 150 anni di eventi scaturiti da un odio senza speranza che non ebbe alcuna pietà.

Fonte:Trapani blog Sicilia

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Di Annibale Cerrati

Quello che segue è uno dei migliaia di avvenimenti crudeli che accaddero all’indomani della non voluta unità d’Italia e che non sono mai ricordati nei libri di scuola o nei testi universitari.

Per chi ama la Sicilia, i fatti che leggete possono essere percepiti come un pugno nello stomaco e potranno dissestare qualche animo sensibile.

A chiarimento di quegli avvenimenti è opportuno ricordare che, mentre la parte continentale dell’ex Regno delle Due Sicilie, a guerra di conquista terminata, fu interessata dalla resistenza che ancora oggi viene disprezzata e designata con il nome di “brigantaggio(che per un decennio tenne in scacco l’esercito invasore), in Sicilia non vi fu tempo di organizzare una resistenza.

Il governo sabaudo aveva inviato nell’isola il generale Covone, conferendo allo stesso poteri speciali che comportavano la dichiarazione del continuo stato d’assedio. In virtù di essi, ai militari piemontesi era consentito potere di vita e di morte sugli isolani.

Fatti particolarmente luttuosi accaddero a Castellamare del Golfo, in provincia di Trapani. E di fatti reali che portarono alla rivolta del gennaio 1862 in quella cittadina, scaturirono dal clima di grande conflittualità lasciato in Sicilia dall’avventura garibaldina e di cui approfittarono i nobilotti chiamati “cutrara”.

Questi si individuarono negli approfittatori senza scrupoli ed in coloro che si divisero la “coltre” del dominio con i loro maneggi politici che danno ricchezza e potere con il supporto della delinquenza organizzata, dai piemontesi chiamata “mafia”, ma a cui si appoggiarono per mantenere un presunto ordine pubblico, decretandone così, un enorme salto di qualità.

La scintilla di quei moti popolari, ignorata dalla storia ufficiale, fu provocata dall’introduzione in Sicilia della leva militare obbligatoria, la cui legge fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno il 30 giugno 1861.

La norma, fin dall’inizio, non fu accettata dal popolo siciliano che non era abituato all’arruolamento, inesistente con i Borbone. Oltretutto esso comportava l’allontanamento per sette lunghi anni di tanti giovani dalle loro famiglie e dalle loro terre; terra dalla cui coltivazione essi traevano il loro sostentamento.

In poche parole, con la loro partenza, per le famiglie rimaste era la fame e quindi la morte. Per altro, i figli dei ricchi cutrara, pagando, erano esonerati dal servizio militare. Si determinò, così, un forte risentimento verso queste classi di privilegiati che si erano appropriati delle terre demaniali e della Chiesa.

La conseguenza fu, dunque, che quasi tutti i giovani chiamati alle armi si diedero alla macchia, trovando rifugio sulle montagne che sovrastano Castellamare del Golfo, piene di anfratti naturali e grotte.

Ben presto, però, si stancarono di quella vita, piena di disagi e decisero di inaugurare il 1862 insorgendo contro il potere straniero piemontese. Si radunarono circa 400 giovani, armati come capitava, verso le ore 14 del 2 gennaio, entrarono senza paura in paese al grido “nuautri avemu na parola sula e un canciamu bannera”, assalendo l’abitazione del commissario di leva Bartolomeo Asaro e del comandante della Guardia Nazionale Francesco Borruso, due emblemi dell’odiato governo che furono trucidati e le loro case bruciate.

La furia vendicativa dei piemontesi non si fece attendere e l’indomani da Palermo furono inviati interi battaglioni di soldati, sia via terra quanto via mare. Nel porto di Castellamare ben due navi da guerra sbarcarono sin dall’alba centinaia di bersaglieri al comando dell’oscuro generale Quintini, già garibaldino della prima ora e che aveva fatto rapida carriera grazie alla sua crudeltà.

I bersaglieri diedero subito la caccia agli insorti, mentre la gente abbandonava in gran fretta il centro abitato e i giovani disertori si dileguavano. Le truppe regie, nei loro frenetici rastrellamenti riuscirono a trovare in contrada Villa Falconeria, un gruppetto di gente, che forse si era ritirato in quella campagna per evitare qualsiasi coinvolgimento negli scontri.

E qui il generale Quintini in persona ed una compagnia di bravi bersaglieri piemontesi, non avendo altri prigionieri e dopo un sommario interrogatorio, adempirono in nome e per conto di Sua Maestà il Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoja al loro compito di giustizia, fucilando tutta quella gente, senza processo e con la scusa che erano parenti dei disertori.

Furono uccise sette persone: Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote; Mariano Crociata, di anni 30; Marco Randisi, di anni 45; Anna Catalano, di anni 50; Antonino Corona, di anni 70; Angelo Calamia, di anni 70.

E poi il loro capolavoro, davanti al plotone d’esecuzione venne portata e fucilata la bambina Angelina Romano, di appena 9 anni. Erano le ore 13 di venerdì 3 gennaio 1862. Questo è solo un esempio di ciò che tante persone ignorano e che si apprestano a festeggiare. 150 anni di eventi scaturiti da un odio senza speranza che non ebbe alcuna pietà.

Fonte:Trapani blog Sicilia

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