martedì 12 gennaio 2010

UNA SCUOLA DEDICATA A S.M. RE FERDINANDO II ( a 200 anni dalla nascita 12 gennaio 1810 - 12 gennaio 2010)

Il Dirigente Scolastico del Secondo Circolo Didattico di Scafati, il Dott. Vincenzo Giannone, si è battuto affinché il suo istituto venisse intitolato entro l’anno 2009, 150esimo della morte, al grande Re Ferdinando II ed a sua moglie la Regina Maria Carolina.

Con rara determinazione, competenza e passione, il Dott. Giannone ha accuratamente raccontato e documentato la vera storia prima ai ragazzi ed ai genitori dei ragazzi, quindi ai consiglieri ed alla Giunta Comunale di Scafati perché, nella convinzione storica e non nell’imposizione autoritaria, dedicassero quella scuola alla memoria del grande Re che, tra l’altro, tanto fece per Scafati.

E’ il primo istituto scolastico ad essere intitolato a dei sovrani della Famiglia Borbone. Un altro importante segno dei tempi arrivato anche grazie all’opera del nostro Fronte e di chi ci ha preceduto.

In allegato la comunicazione del Preside ed una sintesi dell’ampia documentazione prodotta per sostenere l’iniziativa.

Al Dott. Giannone ed a tutti coloro che hanno permesso questo magnifico riconoscimento ad un Re nobile di animo e di fatto, vada il plauso nostro e della storia.

Che Dio li benedica.

Cap. Alessandro Romano


Mi pregio di comunicare a tutti i docenti, personale della scuola, genitori ed alunni che il Consiglio comunale in data di oggi, 30 dicembre 2009, alle ore 14,08 ha deliberato all'unanimità di intitolare la Scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di Borbone e la Scuola dell'infanzia a Maria Cristina di Savoia.

Riconoscenti, a Ferdinando II nel 150° anniversario della sua morte (22 maggio 1859). Scafati 30 dicembre 2009.

Ds. Vincenzo Giannone


DAL SITO DELLA

SCUOLA FERDINANDO II

DI SCAFATI

HO APERTO PER TE

UNA FINESTRA SULLA STORIA DEL SUD

"...parlare ancora oggi (dei Borbone) di sistemi retrogradi o di incapacità, o di ignavia, è cosa da ignoranti o da malevoli e pertanto chi scrive è convinto che sia dovere di ogni italiano di rendersi finalmente conto che sia ormai giunta l'ora di rendere giustizia ed onore a chi, giustizia e onore, merita in larga misura". (Bertoletti)

"ignobili e malevoli calunnie durante più di un secolo a carico dei meridionali e balle sciocche e in malafede cantate in coro a favore dei settentrionali".

“In preparazione per l’anno 2011 del centocinquantenario della storia d’Italia, consiglio a tutti ragazzi e meno ragazzi di andare a rivedere la nostra storia degli ultimi 150 anni” perché “è stata raccontata in una maniera diversa dalla realtà quindi credo che per una esigenza di verità sia bene per tutti andarsi a rinfrescare la memoria o a correggere ciò che è stato scritto erroneamente”.

(S. Berlusconi in 150° dell'unità d'Italia - di A. Pellicciari –

...per misurare l'ipocrisia e la falsità del Savoia basta ricordare che sette giorni prima il ministro degli Esteri Farini aveva dichiarato a due inviati napoletani che tutta l'Italia si sarebbe salvata se il regno di Napoli fosse riuscito ad aver ragione su Garibaldi

(V . Gleijses- La Storia di Napoli).

"(...) le grandi catastrofi nel corso della vita dei popoli, come le bufere e le tempeste, sono nell'ordine naturale dei fenomeni. I venti furiosi, lo scoppio dei tuoni, lo strisciare dei fulmini, squarciando e dilacerando le accumulate nubi, mescolano in mille guise le particelle dell'aria, dimodo che, purgata di que' miasmi deleteri che la rendevano miciadiale, ricomparisce più netto e sereno l'azzurro cielo.

Non altrimenti tempestose passioni, desideri smodati di cose nuove, violente insofferenza di ogni freno, recano nella vita civile de' popoli disordini di ogni sorte e mali senza misura: imperocché vi ha nel fondo sempre di ogni umana società, un nodo di persone nelle quali è congenita l'agitazione, l'irrequietezza, la smania irrefrenabile di turbar l'ordine pubblico per attuare i disegni più disperati. E questi esseri pericolosi che stanno in agguato, spiando il momento favorevole per mandarli ad effetto, bene spesso co' loro mezzi infernali, traviando la pubblica opnione, preparano, a poco a poco, ma sicuramente, la rovina di uno Stato il meglio ordinato".

(Anonimo del 1863).

Lo storico piemontese Cesare Bertoletti nell'opera "Il Risorgimento visto dall'altra sponda" del 1967, al termine del capitolo XXVIII, dopo aver accennato alle opere pubbliche realizzate dal Re Ferdinando II tra il 1850 ed 1859, conclude: "Dopo quanto è stato esposto, parlare ancora oggi di sistemi retrogradi o di incapacità, o di ignavia, è cosa da ignoranti o da malevoli e pertanto chi scrive è convinto che sia dovere di ogni italiano di rendersi finalmente conto che sia ormai giunta l'ora di rendere giustizia ed onore a chi, giustizia e onore, merita in larga misura".

... Garibaldi, riferendosi alla prima insurrezione dei siciliani, il 5 maggio 1860 scriveva al re vittorio emanuele: "Ma dal momento che si sono sollevati a nome dell'Unità Italiana, di cui Vostra Maestà, è la personificazione, contro la più infame tirannia dell'epoca nostra, non ho esitato a mettermi alla testa della spedizione". (ivi )


L' ingratitudine è un vizio così odioso,

e detestabile, che rivolta tutta l'umanità.

(Ferdinando IV)

"Se v'ha sulla Terra creatura, che possa in un certo modo gareggiare colla Divinità, egli è senz'altro il Benefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo del beneficio in tutta la sua estensione.

Se, per esempio, un infelice vicino a perder la vita per la fame, trovava un'anima benefica, che lo ristori, egli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad uscire dalle miserie, a lui deve tutta la felicità. Gli obblighi dunque de' beneficati sono sempre assoluti: a niuno di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia d'ingrato. La ingratitudine è un vizio così odioso, e detestabile, che rivolta tutta l'umanità. Ogni uomo ha interesse ad odiare l'ingrato, perché riconosce in lui uno, che tende a scoraggiar l'anime benefiche, a bandir dal commercio della vita la compassione, la bontà, la liberalità, e quel santo desiderio di giovare, che forma il modo più sacro della Società.

Voi dunque, quanti siete in questa società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt'i suoi desideri: non l'inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui motivi di spandere più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle sul vostro esempio sopra degli altri."


Il collegio docenti della scuola primaria e della scuola dell'infanzia, nonché il Consiglio di Circolo, hanno deliberato il 24 giugno 2009 di intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di Borbone (re di Napoli dal 1830 al 1859) e la scuola dell'infanzia di via Genova a Maria Cristina di Savoia - Regina di Napoli dal 1832 al 1836, morta ventiquattrenne nel dare alla luce il figlio Francesco, ultimo re del Regno delle Due Sicilie dal 1859 al 1861.

MOTIVAZIONI

Perché intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di Borbone - Re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859 - e la scuola dell’infanzia a Maria Cristina di Savoia regina di Napoli dal 1832 al 1836.

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“Per annientare i popoli si comincia con il privarli della memoria.

Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia, i loro simboli, la loro bandiera. E qualcun altro scrive per loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia, impone altri simboli ed un'altra bandiera. Dopodiché il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è stato. Fino a quando la memoria storica non viene risvegliata. " (1)

Ferdinando II (1810-1859)

Egli fu sicuramente il Re di Napoli più amato dai suoi sudditi, ed è per tal ragione ovviamente che a tutt'oggi risulta essere il sovrano più calunniato della storia, perché la storia fu scritta da coloro che portarono via il Regno a suo figlio (Francesco II), e lo portarono via tramite un'invasione a tradimento di uno Stato pacifico ed alleato, legittimo e benvoluto dai propri sudditi. Pertanto è chiaro che un tale atto poteva essere giustificato solo con l'accusa da parte dei vincitori (i Savoia) di indegnità di governo verso la famiglia dei Borbone delle Due Sicilie. Insomma, per fornire una parvenza di giustificazione storica all'assalto piratesco del pacifico, alleato, legittimo e sette volte secolare Regno delle Due Sicilie, occorreva infangare la memoria dei detentori di quel Trono, ed in particolare la memoria del suo migliore e più recente esponente (essendo Francesco II appena salito al Trono e troppo giovane ancora per essere credibilmente calunniato).

Ferdinando II fu il sovrano più amato dal suo popolo. I suoi calunniatori, vale a dire coloro che tramarono in maniera diretta o indiretta per la caduta del Regno, presentarono il suo governo come "la negazione di Dio", e da allora tutti i libri di storia scolastici e non solo continuano a ripetere stancamente le stesse calunnie indottrinate. Noi invece lasciamo la parola ad alcuni fra i più noti storici del Risorgimento antichi e recenti non supinamente allineati a tali menzogne per descrivere la vera personalità e il reale operato del sovrano.

Lo storico Angelantonio Spagnoletti descrive la fama che circondava Ferdinando II fra i suoi sudditi. Sicuramente fu il più amato fra i Re Borbone di Napoli; egli sempre si preoccupò di alleviare le sofferenze delle sue popolazioni quando venivano colpite da terremoti, epidemie, andando di persona sul luogo, e spesso era presente in Sicilia per risolvere direttamente gli immancabili problemi con le difficili popolazioni locali (perfino Luigi Blanch riconosce l'attaccamento delle popolazioni al sovrano e Niccolò Tommaseo lo descrive come il migliore dei Principi italiani). Nei suoi viaggi viveva con i sudditi, faceva da testimone ai lori matrimoni e battesimi, lasciava loro denaro, ecc. Insomma, amava presentarsi come il Padre del suo popolo, che per lui era la sua famiglia. Commenta Spagnoletti (p. 88):

«La calunnia sembrava accompagnare costantemente la vita e l'operato di Ferdinando II; ciò nonostante quella che gli ambienti filoborbonici costruivano era l'immagine di un sovrano virtuoso e leale, che aveva mantenuto in sé il valore, la clemenza e la religione dei suoi avi, aveva evitato il coinvolgimento del regno nei moti del 1830-'31 e, con quello, pericolose interferenze straniere, aveva difeso l'onore nazionale nella questione degli zolfi e, per questo, aveva dalla sua l'intero popolo napoletano che era quasi "immedesimato" nei pensieri del suo re».

Scrive Carlo Alianello riguardo le riforme e le innovazioni di Ferdinando II.

«Volle strade, volle porti, volle bonifiche, ospizi e banche; poco sopportava una borghesia saccente e rapace, la cosiddetta borghesia dotta, i "galantuomini". Cercò piuttosto di creare una borghesia che mirasse al sodo. Non fu fortunato per la ragione che nel Napoletano altra borghesia non esisteva che quella delle professioni e degli studi, "pennaruli e pagliette", quelli che avevano cacciato suo nonno da Napoli, legati a fil doppio allo straniero per sole ragioni ideologiche che il Re, come re, non capiva; e l'avida schiera dei proprietari terrieri». Dice F. Durelli che «In quattro anni soltanto, dal 1850 al 1854, furono reintegrati nei demani comunali più di 108.950 moggia di terreni usurpati e divisi in sorte ai bisognosi agricoltori»;

continua Alianello:

«Riporto dall'Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie del 1854, dopo una lunga e particolareggiata lista d'istituti di credito e beneficenza, la seguente nota:

"Si ha, oltre i luoghi pii ecc. ecc., pei domini continentali un totale di 761 di stabilimenti diversi di beneficenza, oltre 1131 monti frumentarii, ed oltre de' monti pecuniari, delle casse agrarie e di prestanza e degli asili infantili" (…) Per sua volontà si badò a costruire strade, che dalle 1505, quante se ne assommavano nel 1828, erano divenute nel 1855 la bellezza di 4587 miglia. E non straduzze da poco..». Erano l'Amalfitana, la Sorrentina, la Frentana, che fu interrotta per l'arrivo dei "liberatori"; l'hanno finita solo cento anni dopo. Poi la costiera adriatica, la Sora-Roma, l'Appulo-sannitica, che collegava Abruzzi e Capitanata, l'Aquilonia, che collegava Tirreno e Adriatico, la Sannita, da Campobasso a Termoli. Continua Durelli: «In breve dal '52 al '56, che sono solo quattro anni, furono costruite 76 strade nuove, di conto regio, provinciale e comunale. Moltissimi i ponti, e fra tutti il ponte sul Garigliano, sospeso a catene di ferro, che fu il primo di questa foggia in Italia, e tra i primissimi in Europa. Eppoi le bonifiche, l'inalveazione del fiume Pelino, la colmata dei pantani del lago di Salpi, la bonifica delle paludi campane (…) In 30 anni, la marina a vela raddoppiata, la marina a vapore creata dal nulla, che nel 1855 contava 472 navi, per 108.543 tonnellate, più 6 piroscafi a ruota, 6913 tonnellate di barchi diversi. E le scuole, i collegi nautici, le industrie».


Scrive Marta Petrusewicz, fornendo un quadro del suo regno,

«(…) la popolazione in crescita, la tassazione ed il sistema doganale meglio regolati, ed il governo impegnato in un intervento intelligente di costruzione delle ferrovie e strade, manifatture reali e prigioni moderne».

Per capire ancora meglio il personaggio, leggiamo quanto scrive lo zuavo pontificio (parla quindi per esperienza diretta) irlandese P.K. O'Clery, nella sua celebre opera sul Risorgimento. Appena salito al Trono, Ferdinando II concesse l'amnistia generale e così si regolava nelle sue azioni:

«Per introdurre criteri di economia nelle finanze, Ferdinando ridusse di molto il proprio appannaggio, abolì diversi uffici inutili e alcune delle prerogative reali. Semplificò le procedure nelle Corti di giustizia, sostituì l'impopolare viceré di Sicilia, nominando suo fratello a tale carica e, allorquando viaggiava per il Regno, proibiva alle municipalità di farvi preparativi costosi per la sua venuta, accettando l'ospitalità di qualche residente, o prendendo dimora nella locanda di un villaggio o in un convento francescano. Non c'è da stupirsi che fosse un sovrano popolare».

Da ricordare v'è anche che egli aderì nel 1838 agli accordi franco-britannici contro la tratta dei negri e sempre nello stesso anno stabilì pene severissime contro i duelli (sia la detenzione che la decadenza dagli ordini cavallereschi), anche per i padrini. Concesse l'aministia per i detenuti per ragioni politiche in Sicilia e grande autonomia giuridica ed amministativa all'isola; seguì inoltre personalmente la lotta alla feudalità. L'economia fu in continua crescita, e grande sviluppo ebbe la marina mercantile.
Prendiamo ad esempio anche quanto scrive Angela Pellicciari. Nel Regno delle Due Sicilie, le spese previste sono sistematicamente superiori alle effettive; non si pagano tasse di successione, tasse sugli atti delle società per azioni e su quelli degli istituti di credito; il debito pubblico è minimo, l'imposta fondiaria lievissima, la Sicilia è esente dalla leva militare, dall'imposta sul sale e dal monopolio del tabacco; inoltre Ferdinando, come si trova scritto nella rivista "L'Armonia",
ha «stabilito nei maggiori centri della popolazione monti frumentari per somministrare grano agli agricoltori da seminare e per mantenersi colle loro famiglie, tagliando così in pari tempo le gambe all'usura».

Giuseppe Paladino nella sua voce dedicata a Ferdinando II nell'Enciclopedia Italiana (Treccani), scrive: «Diede impulso a costruzioni di pubblica utilità. La prima ferrovia inaugurata in Italia fu la Napoli-Portici (1839). Ad essa seguì nel regno l'altro tronco Napoli-Capua.Sotto Ferdinandi II fu ampliata la rete telegrafica a sistema elettrico (…) La marineria mercantile a vapore ricevette grande incremento; nel 1848 aveva il terzo posto per numero e armamento di navi. Una serie di trattati di commercio con l'Inghilterra, con la Francia, con la Sardegna inaugurarono un sistema illuminato di moderato protezionismo (1841-1845). Le finanze erano amministrate in modo mirabile: il contribuente napoletano pagava meno degli altri italiani…»

Per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, occorre ricordare che dopo la rivoluzione del '48 non sono state eseguite nel Regno di Napoli esecuzioni capitali (eccetto quella futura di Agesilao Milano). Delle 42 comminate dai tribunali, Ferdinando II ne commuta 19 in ergastolo, 11 in 30 anni ai ferri, 12 in pene minori. Negli stessi anni il Re grazia 2713 condannati per reati politici, e 7181 per reati comuni, mentre dal '48 la statistica criminale nel Napoletano è in costante diminuzione (quando si celebrò il processo a Settembrini e Spaventa per aver fondato la società segreta "Unità italiana", gli osservatori stranieri, seppur nemici dei Borbone, dovettero ammettere che il processo fu condotto con magistrale correttezza).
Del resto, così il giornalista francese Charles Garnier descrive la situazione del Regno nella sua Memoria sul Regno delle Due Sicilie (Parigi, 1866):

«le imposte erano meno gravose di quelle del Piemonte e minori di quelle italiane degli anni postunitari; il credito del governo solido, il debito basso, la coscrizione molto più tollerabile; gran parte delle entrate erano spese nell'agricoltura e nei lavori pubblici, fra cui si ricordano la prima ferrovia e il primo telegrafo elettrico in Italia, e anche il primo ponte sospeso e i primi fari diottrici furono attuati nel Regno; e così il primo battello a vapore. Il commercio era in crescita, fiorenti le manifatture» .

In generale, ai già più che eloquenti giudizi storici finora riportati, si può aggiungere che Ferdinando viaggiò molto per il Regno a visitare ospedali, carceri, campi di lavoro, ecc., al fine di sovvenire sempre di persona ai reali bisogni dei sudditi; per risparmiare e poter diminuire le tasse, oltre a ridurre le spese di Corte e quelle personali, ridusse lo stipendio dei ministri e stabilì contro la disoccupazione che la stessa persona non potesse ricoprire due cariche pubbliche; molti parchi di caccia reale furono restituiti all'agricoltura; sviluppò l'industria, specie quella tessile, fece costruire, oltre alle strade ed alle ferrovie prime elencate, porti, cantieri mercantili, ponti su fiumi, cimiteri fuori dell'abitato, ospedali, conservatori, orfanotrofi, asili infantili per fanciulli poveri, anche case di ricovero per malati di mente (abolì di fatto l'accattonaggio), case per fanciulle, carceri moderni e istituti per sordo-muti; curò la cultura fondando cattedre, aprì biblioteche, convitti, educandati, orti agrari e scuole gratuite; bonificò le terre delle paludi sipontine e l'isola di S. Stefano di fronte a Gaeta e introdusse nuove coltivazioni nel Regno; fondò istituti per incoraggiare l'intrapresa economica premiando con medaglie i migliori; ad ogni occasione (matrimoni reali, feste particolari, ecc.) elargiva donazioni per poveri e doti di matrimonio per fanciulle bisognose; quando vi erano epidemie di colera andava di persona negli ospedali, e così faceva anche quando vi erano terremoti e disastri naturali, soccorrendo materialmente i derelitti; d'altro canto rafforzò anche l'esercito e la marina militare, che divenne una delle prime in Europa.

Ferdinando II fu la massima e più completa espressione di quel riformismo politico e sociale, inaugurato dal suo bisnonno Carlo, che caratterizzò sempre la Real Casa di Borbone delle Due Sicilie(2)

(1) Gabriele Marzocco in Lo stemma del Regno delle Due Sicilie di Silvio Vitale, p. 5. - Ed. controcorrente 2005 ) -

(2) http://www.realcasadiborbone.it/ita/archiviostorico/cs_07.htm


MARIA CRISTINA DI SAVOIA

(Autore: Antonio Borrelli)

(Cagliari 14 novembre 1812 – Napoli 31 gennaio 1836)

Figlia di Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa d’Asburgo, ricevette dai pii genitori una solida formazione cristiana. Nel 1832 sposò Ferdiando II, re delle Due Sicilie, fu modello luminoso di ogni virtù. Vera madre dei poveri, seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo, per la cui promozione ideò ardite opere sociali. Fu sepolta nella basilica di Santa Chiara a Napoli. eroiche

Maria Cristina è testimone con la sua vita, della religiosità che ha contraddistinto la Casa reale Savoia nei secoli, tanto è vero che vi è un buon numero di beati, venerabili e servi di Dio a far da corona di santità a questo antico casato. Nacque a Cagliari il 14 novembre 1812, mentre i genitori Vittorio Emanuele I di Savoia e Maria Teresa d’Asburgo d’Austria, erano in esilio. Fu subito consacrata alla Madonna dalla regina sua madre, consacrazione che fu poi rinnovata da Maria Cristina stessa, appena fu in grado d’intendere e volere.

Nel 1815 le quattro principesse Maria Beatrice, le gemelle Marianna e Maria Teresa e Maria Cristina, insieme alla loro madre raggiunsero Torino, dove il re un anno prima aveva fatto ritorno, essendo mutate le condizioni politiche. Le principesse e soprattutto Maria Cristina, crescevano a corte come se fossero in un ambiente oratoriano, guidate dalla regina e dal padre confessore l’olivetano Giovan Battista Terzi.

Crebbe nella sua fanciullezza formandosi ad una cultura consona ad una principessa e ad una spiritualità profonda; quando ebbe nove anni, il re Vittorio Emanuele I, dovette rinunziare al trono e dopo un periodo d’esilio a Nizza si stabilì a Moncalieri con tutta la famiglia e qui morì dopo tre anni nel 1824.
Nei due anni successivi partecipò insieme alla madre ed alla sorella Marianna ai riti del Giubileo del 1825 andando a Roma, al ritorno si stabilì a Genova, riducendo le sue attività alla formazione e alla conduzione della casa, intanto a 20 anni le morì anche la madre e suo unico conforto rimase padre Terzi.
Ritornò a Torino per disposizione del re Carlo Alberto, dove però le incomprensioni in cui si venne a trovare a corte la fecero molto soffrire, qui sorse in lei il desiderio di diventare suora di clausura; ma il suo direttore spirituale la dissuase, essendo al corrente dei piani di Carlo Alberto che l’aveva destinata come sposa al re di Napoli Ferdinando II, al che lei accettò la richiesta di matrimonio come volontà di Dio.
Il rito religioso avvenne a Genova il 21 novembre 1832, nel santuario di Maria SS. dell’Acqua Santa. Il 26 novembre, gli sposi s’imbarcarono per Napoli, dove giunsero il giorno 30; sotto una pioggia torrenziale furono accolti da una folla festante ed in preda ad un entusiasmo che ha sempre contraddistinto l’espansività dei napoletani. Iniziò il suo regno accanto al ventiduenne Ferdinando, che già regnava da tre anni; a corte leggeva ogni giorno la Bibbia e l’Imitazione di Cristo e la sua religiosità fu ben presto conosciuta nel palazzo e dal popolo; quando in carrozza, incontrava un sacerdote con il Viatico per qualche ammalato, fermava la carrozza, scendeva e si inginocchiava a terra anche nel fango delle strade di allora; fece in modo che a tutti a corte, fosse possibile partecipare alla s. Messa nei giorni festivi.
La carità verso i bisognosi, l’occupò in pieno, si dice che il Terzi avesse presso di sé un baule pieno di ricevute di chi aveva avuto un beneficio. Provvide d’accordo con il re, che una parte del denaro destinato ai festeggiamenti per il loro matrimonio, venisse usato per dare una dote a 240 giovani spose e al riscatto di un buon numero di pegni depositati al Monte di Pietà.

Dopo tre anni di sposa, la mancanza di un figlio che non veniva, faceva molto soffrire Maria Cristina, che pregava incessantemente per ciò e finalmente nel 1835, avvertì in sé il sorgere di una gravidanza; passò gli ultimi mesi nella reggia di Portici per stare più calma, ma già presagiva qualcosa, perché all’avvicinarsi del parto, scriveva alla sorella, duchessa di Lucca: “Questa vecchia va a Napoli per partorire e morire”, purtroppo era vero, infatti l’erede al trono nacque il 16 gennaio e già il 29 Maria Cristina era morente per complicazioni sopravvenute; prendendo in braccio il tanto atteso piccolo Francesco e porgendolo al re suo marito, disse: “ Tu ne risponderai a Dio e al popolo… e quando sarà grande gli dirai che io muoio per lui”.

Il 31 gennaio 1836 in piena comunione con Dio, si addormentò per sempre fra la costernazione generale. Aveva poco più di 23 anni ed era stata regina per appena tre anni; i solenni funerali furono celebrati l’8 febbraio e il giorno seguente il suo corpo fu tumulato nella Basilica di s. Chiara, dove è tuttora.
Dopo la sua morte la fama di santità, che già godette in vita, si accrebbe e il popolo accorreva a pregare presso la tomba della ‘Regina santa’ e fatti prodigiosi si avverarono per sua intercessione.
Pio IX nel 1859, firmò il decreto d’introduzione della causa di beatificazione, dandole il titolo di venerabile. La pratica andò avanti nei vari stadi con le relative approvazioni canoniche, anche per l’interessamento del re Francesco II “il figlio della santa”; il 6 maggio 1937, Pio XI dichiarò eroiche le sue virtù.``


Fonte:Rete di Informazione del Regno delle Due Sicilie

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Il Dirigente Scolastico del Secondo Circolo Didattico di Scafati, il Dott. Vincenzo Giannone, si è battuto affinché il suo istituto venisse intitolato entro l’anno 2009, 150esimo della morte, al grande Re Ferdinando II ed a sua moglie la Regina Maria Carolina.

Con rara determinazione, competenza e passione, il Dott. Giannone ha accuratamente raccontato e documentato la vera storia prima ai ragazzi ed ai genitori dei ragazzi, quindi ai consiglieri ed alla Giunta Comunale di Scafati perché, nella convinzione storica e non nell’imposizione autoritaria, dedicassero quella scuola alla memoria del grande Re che, tra l’altro, tanto fece per Scafati.

E’ il primo istituto scolastico ad essere intitolato a dei sovrani della Famiglia Borbone. Un altro importante segno dei tempi arrivato anche grazie all’opera del nostro Fronte e di chi ci ha preceduto.

In allegato la comunicazione del Preside ed una sintesi dell’ampia documentazione prodotta per sostenere l’iniziativa.

Al Dott. Giannone ed a tutti coloro che hanno permesso questo magnifico riconoscimento ad un Re nobile di animo e di fatto, vada il plauso nostro e della storia.

Che Dio li benedica.

Cap. Alessandro Romano


Mi pregio di comunicare a tutti i docenti, personale della scuola, genitori ed alunni che il Consiglio comunale in data di oggi, 30 dicembre 2009, alle ore 14,08 ha deliberato all'unanimità di intitolare la Scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di Borbone e la Scuola dell'infanzia a Maria Cristina di Savoia.

Riconoscenti, a Ferdinando II nel 150° anniversario della sua morte (22 maggio 1859). Scafati 30 dicembre 2009.

Ds. Vincenzo Giannone


DAL SITO DELLA

SCUOLA FERDINANDO II

DI SCAFATI

HO APERTO PER TE

UNA FINESTRA SULLA STORIA DEL SUD

"...parlare ancora oggi (dei Borbone) di sistemi retrogradi o di incapacità, o di ignavia, è cosa da ignoranti o da malevoli e pertanto chi scrive è convinto che sia dovere di ogni italiano di rendersi finalmente conto che sia ormai giunta l'ora di rendere giustizia ed onore a chi, giustizia e onore, merita in larga misura". (Bertoletti)

"ignobili e malevoli calunnie durante più di un secolo a carico dei meridionali e balle sciocche e in malafede cantate in coro a favore dei settentrionali".

“In preparazione per l’anno 2011 del centocinquantenario della storia d’Italia, consiglio a tutti ragazzi e meno ragazzi di andare a rivedere la nostra storia degli ultimi 150 anni” perché “è stata raccontata in una maniera diversa dalla realtà quindi credo che per una esigenza di verità sia bene per tutti andarsi a rinfrescare la memoria o a correggere ciò che è stato scritto erroneamente”.

(S. Berlusconi in 150° dell'unità d'Italia - di A. Pellicciari –

...per misurare l'ipocrisia e la falsità del Savoia basta ricordare che sette giorni prima il ministro degli Esteri Farini aveva dichiarato a due inviati napoletani che tutta l'Italia si sarebbe salvata se il regno di Napoli fosse riuscito ad aver ragione su Garibaldi

(V . Gleijses- La Storia di Napoli).

"(...) le grandi catastrofi nel corso della vita dei popoli, come le bufere e le tempeste, sono nell'ordine naturale dei fenomeni. I venti furiosi, lo scoppio dei tuoni, lo strisciare dei fulmini, squarciando e dilacerando le accumulate nubi, mescolano in mille guise le particelle dell'aria, dimodo che, purgata di que' miasmi deleteri che la rendevano miciadiale, ricomparisce più netto e sereno l'azzurro cielo.

Non altrimenti tempestose passioni, desideri smodati di cose nuove, violente insofferenza di ogni freno, recano nella vita civile de' popoli disordini di ogni sorte e mali senza misura: imperocché vi ha nel fondo sempre di ogni umana società, un nodo di persone nelle quali è congenita l'agitazione, l'irrequietezza, la smania irrefrenabile di turbar l'ordine pubblico per attuare i disegni più disperati. E questi esseri pericolosi che stanno in agguato, spiando il momento favorevole per mandarli ad effetto, bene spesso co' loro mezzi infernali, traviando la pubblica opnione, preparano, a poco a poco, ma sicuramente, la rovina di uno Stato il meglio ordinato".

(Anonimo del 1863).

Lo storico piemontese Cesare Bertoletti nell'opera "Il Risorgimento visto dall'altra sponda" del 1967, al termine del capitolo XXVIII, dopo aver accennato alle opere pubbliche realizzate dal Re Ferdinando II tra il 1850 ed 1859, conclude: "Dopo quanto è stato esposto, parlare ancora oggi di sistemi retrogradi o di incapacità, o di ignavia, è cosa da ignoranti o da malevoli e pertanto chi scrive è convinto che sia dovere di ogni italiano di rendersi finalmente conto che sia ormai giunta l'ora di rendere giustizia ed onore a chi, giustizia e onore, merita in larga misura".

... Garibaldi, riferendosi alla prima insurrezione dei siciliani, il 5 maggio 1860 scriveva al re vittorio emanuele: "Ma dal momento che si sono sollevati a nome dell'Unità Italiana, di cui Vostra Maestà, è la personificazione, contro la più infame tirannia dell'epoca nostra, non ho esitato a mettermi alla testa della spedizione". (ivi )


L' ingratitudine è un vizio così odioso,

e detestabile, che rivolta tutta l'umanità.

(Ferdinando IV)

"Se v'ha sulla Terra creatura, che possa in un certo modo gareggiare colla Divinità, egli è senz'altro il Benefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo del beneficio in tutta la sua estensione.

Se, per esempio, un infelice vicino a perder la vita per la fame, trovava un'anima benefica, che lo ristori, egli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad uscire dalle miserie, a lui deve tutta la felicità. Gli obblighi dunque de' beneficati sono sempre assoluti: a niuno di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia d'ingrato. La ingratitudine è un vizio così odioso, e detestabile, che rivolta tutta l'umanità. Ogni uomo ha interesse ad odiare l'ingrato, perché riconosce in lui uno, che tende a scoraggiar l'anime benefiche, a bandir dal commercio della vita la compassione, la bontà, la liberalità, e quel santo desiderio di giovare, che forma il modo più sacro della Società.

Voi dunque, quanti siete in questa società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt'i suoi desideri: non l'inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui motivi di spandere più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle sul vostro esempio sopra degli altri."


Il collegio docenti della scuola primaria e della scuola dell'infanzia, nonché il Consiglio di Circolo, hanno deliberato il 24 giugno 2009 di intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di Borbone (re di Napoli dal 1830 al 1859) e la scuola dell'infanzia di via Genova a Maria Cristina di Savoia - Regina di Napoli dal 1832 al 1836, morta ventiquattrenne nel dare alla luce il figlio Francesco, ultimo re del Regno delle Due Sicilie dal 1859 al 1861.

MOTIVAZIONI

Perché intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di Borbone - Re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859 - e la scuola dell’infanzia a Maria Cristina di Savoia regina di Napoli dal 1832 al 1836.

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“Per annientare i popoli si comincia con il privarli della memoria.

Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia, i loro simboli, la loro bandiera. E qualcun altro scrive per loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia, impone altri simboli ed un'altra bandiera. Dopodiché il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è stato. Fino a quando la memoria storica non viene risvegliata. " (1)

Ferdinando II (1810-1859)

Egli fu sicuramente il Re di Napoli più amato dai suoi sudditi, ed è per tal ragione ovviamente che a tutt'oggi risulta essere il sovrano più calunniato della storia, perché la storia fu scritta da coloro che portarono via il Regno a suo figlio (Francesco II), e lo portarono via tramite un'invasione a tradimento di uno Stato pacifico ed alleato, legittimo e benvoluto dai propri sudditi. Pertanto è chiaro che un tale atto poteva essere giustificato solo con l'accusa da parte dei vincitori (i Savoia) di indegnità di governo verso la famiglia dei Borbone delle Due Sicilie. Insomma, per fornire una parvenza di giustificazione storica all'assalto piratesco del pacifico, alleato, legittimo e sette volte secolare Regno delle Due Sicilie, occorreva infangare la memoria dei detentori di quel Trono, ed in particolare la memoria del suo migliore e più recente esponente (essendo Francesco II appena salito al Trono e troppo giovane ancora per essere credibilmente calunniato).

Ferdinando II fu il sovrano più amato dal suo popolo. I suoi calunniatori, vale a dire coloro che tramarono in maniera diretta o indiretta per la caduta del Regno, presentarono il suo governo come "la negazione di Dio", e da allora tutti i libri di storia scolastici e non solo continuano a ripetere stancamente le stesse calunnie indottrinate. Noi invece lasciamo la parola ad alcuni fra i più noti storici del Risorgimento antichi e recenti non supinamente allineati a tali menzogne per descrivere la vera personalità e il reale operato del sovrano.

Lo storico Angelantonio Spagnoletti descrive la fama che circondava Ferdinando II fra i suoi sudditi. Sicuramente fu il più amato fra i Re Borbone di Napoli; egli sempre si preoccupò di alleviare le sofferenze delle sue popolazioni quando venivano colpite da terremoti, epidemie, andando di persona sul luogo, e spesso era presente in Sicilia per risolvere direttamente gli immancabili problemi con le difficili popolazioni locali (perfino Luigi Blanch riconosce l'attaccamento delle popolazioni al sovrano e Niccolò Tommaseo lo descrive come il migliore dei Principi italiani). Nei suoi viaggi viveva con i sudditi, faceva da testimone ai lori matrimoni e battesimi, lasciava loro denaro, ecc. Insomma, amava presentarsi come il Padre del suo popolo, che per lui era la sua famiglia. Commenta Spagnoletti (p. 88):

«La calunnia sembrava accompagnare costantemente la vita e l'operato di Ferdinando II; ciò nonostante quella che gli ambienti filoborbonici costruivano era l'immagine di un sovrano virtuoso e leale, che aveva mantenuto in sé il valore, la clemenza e la religione dei suoi avi, aveva evitato il coinvolgimento del regno nei moti del 1830-'31 e, con quello, pericolose interferenze straniere, aveva difeso l'onore nazionale nella questione degli zolfi e, per questo, aveva dalla sua l'intero popolo napoletano che era quasi "immedesimato" nei pensieri del suo re».

Scrive Carlo Alianello riguardo le riforme e le innovazioni di Ferdinando II.

«Volle strade, volle porti, volle bonifiche, ospizi e banche; poco sopportava una borghesia saccente e rapace, la cosiddetta borghesia dotta, i "galantuomini". Cercò piuttosto di creare una borghesia che mirasse al sodo. Non fu fortunato per la ragione che nel Napoletano altra borghesia non esisteva che quella delle professioni e degli studi, "pennaruli e pagliette", quelli che avevano cacciato suo nonno da Napoli, legati a fil doppio allo straniero per sole ragioni ideologiche che il Re, come re, non capiva; e l'avida schiera dei proprietari terrieri». Dice F. Durelli che «In quattro anni soltanto, dal 1850 al 1854, furono reintegrati nei demani comunali più di 108.950 moggia di terreni usurpati e divisi in sorte ai bisognosi agricoltori»;

continua Alianello:

«Riporto dall'Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie del 1854, dopo una lunga e particolareggiata lista d'istituti di credito e beneficenza, la seguente nota:

"Si ha, oltre i luoghi pii ecc. ecc., pei domini continentali un totale di 761 di stabilimenti diversi di beneficenza, oltre 1131 monti frumentarii, ed oltre de' monti pecuniari, delle casse agrarie e di prestanza e degli asili infantili" (…) Per sua volontà si badò a costruire strade, che dalle 1505, quante se ne assommavano nel 1828, erano divenute nel 1855 la bellezza di 4587 miglia. E non straduzze da poco..». Erano l'Amalfitana, la Sorrentina, la Frentana, che fu interrotta per l'arrivo dei "liberatori"; l'hanno finita solo cento anni dopo. Poi la costiera adriatica, la Sora-Roma, l'Appulo-sannitica, che collegava Abruzzi e Capitanata, l'Aquilonia, che collegava Tirreno e Adriatico, la Sannita, da Campobasso a Termoli. Continua Durelli: «In breve dal '52 al '56, che sono solo quattro anni, furono costruite 76 strade nuove, di conto regio, provinciale e comunale. Moltissimi i ponti, e fra tutti il ponte sul Garigliano, sospeso a catene di ferro, che fu il primo di questa foggia in Italia, e tra i primissimi in Europa. Eppoi le bonifiche, l'inalveazione del fiume Pelino, la colmata dei pantani del lago di Salpi, la bonifica delle paludi campane (…) In 30 anni, la marina a vela raddoppiata, la marina a vapore creata dal nulla, che nel 1855 contava 472 navi, per 108.543 tonnellate, più 6 piroscafi a ruota, 6913 tonnellate di barchi diversi. E le scuole, i collegi nautici, le industrie».


Scrive Marta Petrusewicz, fornendo un quadro del suo regno,

«(…) la popolazione in crescita, la tassazione ed il sistema doganale meglio regolati, ed il governo impegnato in un intervento intelligente di costruzione delle ferrovie e strade, manifatture reali e prigioni moderne».

Per capire ancora meglio il personaggio, leggiamo quanto scrive lo zuavo pontificio (parla quindi per esperienza diretta) irlandese P.K. O'Clery, nella sua celebre opera sul Risorgimento. Appena salito al Trono, Ferdinando II concesse l'amnistia generale e così si regolava nelle sue azioni:

«Per introdurre criteri di economia nelle finanze, Ferdinando ridusse di molto il proprio appannaggio, abolì diversi uffici inutili e alcune delle prerogative reali. Semplificò le procedure nelle Corti di giustizia, sostituì l'impopolare viceré di Sicilia, nominando suo fratello a tale carica e, allorquando viaggiava per il Regno, proibiva alle municipalità di farvi preparativi costosi per la sua venuta, accettando l'ospitalità di qualche residente, o prendendo dimora nella locanda di un villaggio o in un convento francescano. Non c'è da stupirsi che fosse un sovrano popolare».

Da ricordare v'è anche che egli aderì nel 1838 agli accordi franco-britannici contro la tratta dei negri e sempre nello stesso anno stabilì pene severissime contro i duelli (sia la detenzione che la decadenza dagli ordini cavallereschi), anche per i padrini. Concesse l'aministia per i detenuti per ragioni politiche in Sicilia e grande autonomia giuridica ed amministativa all'isola; seguì inoltre personalmente la lotta alla feudalità. L'economia fu in continua crescita, e grande sviluppo ebbe la marina mercantile.
Prendiamo ad esempio anche quanto scrive Angela Pellicciari. Nel Regno delle Due Sicilie, le spese previste sono sistematicamente superiori alle effettive; non si pagano tasse di successione, tasse sugli atti delle società per azioni e su quelli degli istituti di credito; il debito pubblico è minimo, l'imposta fondiaria lievissima, la Sicilia è esente dalla leva militare, dall'imposta sul sale e dal monopolio del tabacco; inoltre Ferdinando, come si trova scritto nella rivista "L'Armonia",
ha «stabilito nei maggiori centri della popolazione monti frumentari per somministrare grano agli agricoltori da seminare e per mantenersi colle loro famiglie, tagliando così in pari tempo le gambe all'usura».

Giuseppe Paladino nella sua voce dedicata a Ferdinando II nell'Enciclopedia Italiana (Treccani), scrive: «Diede impulso a costruzioni di pubblica utilità. La prima ferrovia inaugurata in Italia fu la Napoli-Portici (1839). Ad essa seguì nel regno l'altro tronco Napoli-Capua.Sotto Ferdinandi II fu ampliata la rete telegrafica a sistema elettrico (…) La marineria mercantile a vapore ricevette grande incremento; nel 1848 aveva il terzo posto per numero e armamento di navi. Una serie di trattati di commercio con l'Inghilterra, con la Francia, con la Sardegna inaugurarono un sistema illuminato di moderato protezionismo (1841-1845). Le finanze erano amministrate in modo mirabile: il contribuente napoletano pagava meno degli altri italiani…»

Per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, occorre ricordare che dopo la rivoluzione del '48 non sono state eseguite nel Regno di Napoli esecuzioni capitali (eccetto quella futura di Agesilao Milano). Delle 42 comminate dai tribunali, Ferdinando II ne commuta 19 in ergastolo, 11 in 30 anni ai ferri, 12 in pene minori. Negli stessi anni il Re grazia 2713 condannati per reati politici, e 7181 per reati comuni, mentre dal '48 la statistica criminale nel Napoletano è in costante diminuzione (quando si celebrò il processo a Settembrini e Spaventa per aver fondato la società segreta "Unità italiana", gli osservatori stranieri, seppur nemici dei Borbone, dovettero ammettere che il processo fu condotto con magistrale correttezza).
Del resto, così il giornalista francese Charles Garnier descrive la situazione del Regno nella sua Memoria sul Regno delle Due Sicilie (Parigi, 1866):

«le imposte erano meno gravose di quelle del Piemonte e minori di quelle italiane degli anni postunitari; il credito del governo solido, il debito basso, la coscrizione molto più tollerabile; gran parte delle entrate erano spese nell'agricoltura e nei lavori pubblici, fra cui si ricordano la prima ferrovia e il primo telegrafo elettrico in Italia, e anche il primo ponte sospeso e i primi fari diottrici furono attuati nel Regno; e così il primo battello a vapore. Il commercio era in crescita, fiorenti le manifatture» .

In generale, ai già più che eloquenti giudizi storici finora riportati, si può aggiungere che Ferdinando viaggiò molto per il Regno a visitare ospedali, carceri, campi di lavoro, ecc., al fine di sovvenire sempre di persona ai reali bisogni dei sudditi; per risparmiare e poter diminuire le tasse, oltre a ridurre le spese di Corte e quelle personali, ridusse lo stipendio dei ministri e stabilì contro la disoccupazione che la stessa persona non potesse ricoprire due cariche pubbliche; molti parchi di caccia reale furono restituiti all'agricoltura; sviluppò l'industria, specie quella tessile, fece costruire, oltre alle strade ed alle ferrovie prime elencate, porti, cantieri mercantili, ponti su fiumi, cimiteri fuori dell'abitato, ospedali, conservatori, orfanotrofi, asili infantili per fanciulli poveri, anche case di ricovero per malati di mente (abolì di fatto l'accattonaggio), case per fanciulle, carceri moderni e istituti per sordo-muti; curò la cultura fondando cattedre, aprì biblioteche, convitti, educandati, orti agrari e scuole gratuite; bonificò le terre delle paludi sipontine e l'isola di S. Stefano di fronte a Gaeta e introdusse nuove coltivazioni nel Regno; fondò istituti per incoraggiare l'intrapresa economica premiando con medaglie i migliori; ad ogni occasione (matrimoni reali, feste particolari, ecc.) elargiva donazioni per poveri e doti di matrimonio per fanciulle bisognose; quando vi erano epidemie di colera andava di persona negli ospedali, e così faceva anche quando vi erano terremoti e disastri naturali, soccorrendo materialmente i derelitti; d'altro canto rafforzò anche l'esercito e la marina militare, che divenne una delle prime in Europa.

Ferdinando II fu la massima e più completa espressione di quel riformismo politico e sociale, inaugurato dal suo bisnonno Carlo, che caratterizzò sempre la Real Casa di Borbone delle Due Sicilie(2)

(1) Gabriele Marzocco in Lo stemma del Regno delle Due Sicilie di Silvio Vitale, p. 5. - Ed. controcorrente 2005 ) -

(2) http://www.realcasadiborbone.it/ita/archiviostorico/cs_07.htm


MARIA CRISTINA DI SAVOIA

(Autore: Antonio Borrelli)

(Cagliari 14 novembre 1812 – Napoli 31 gennaio 1836)

Figlia di Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa d’Asburgo, ricevette dai pii genitori una solida formazione cristiana. Nel 1832 sposò Ferdiando II, re delle Due Sicilie, fu modello luminoso di ogni virtù. Vera madre dei poveri, seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo, per la cui promozione ideò ardite opere sociali. Fu sepolta nella basilica di Santa Chiara a Napoli. eroiche

Maria Cristina è testimone con la sua vita, della religiosità che ha contraddistinto la Casa reale Savoia nei secoli, tanto è vero che vi è un buon numero di beati, venerabili e servi di Dio a far da corona di santità a questo antico casato. Nacque a Cagliari il 14 novembre 1812, mentre i genitori Vittorio Emanuele I di Savoia e Maria Teresa d’Asburgo d’Austria, erano in esilio. Fu subito consacrata alla Madonna dalla regina sua madre, consacrazione che fu poi rinnovata da Maria Cristina stessa, appena fu in grado d’intendere e volere.

Nel 1815 le quattro principesse Maria Beatrice, le gemelle Marianna e Maria Teresa e Maria Cristina, insieme alla loro madre raggiunsero Torino, dove il re un anno prima aveva fatto ritorno, essendo mutate le condizioni politiche. Le principesse e soprattutto Maria Cristina, crescevano a corte come se fossero in un ambiente oratoriano, guidate dalla regina e dal padre confessore l’olivetano Giovan Battista Terzi.

Crebbe nella sua fanciullezza formandosi ad una cultura consona ad una principessa e ad una spiritualità profonda; quando ebbe nove anni, il re Vittorio Emanuele I, dovette rinunziare al trono e dopo un periodo d’esilio a Nizza si stabilì a Moncalieri con tutta la famiglia e qui morì dopo tre anni nel 1824.
Nei due anni successivi partecipò insieme alla madre ed alla sorella Marianna ai riti del Giubileo del 1825 andando a Roma, al ritorno si stabilì a Genova, riducendo le sue attività alla formazione e alla conduzione della casa, intanto a 20 anni le morì anche la madre e suo unico conforto rimase padre Terzi.
Ritornò a Torino per disposizione del re Carlo Alberto, dove però le incomprensioni in cui si venne a trovare a corte la fecero molto soffrire, qui sorse in lei il desiderio di diventare suora di clausura; ma il suo direttore spirituale la dissuase, essendo al corrente dei piani di Carlo Alberto che l’aveva destinata come sposa al re di Napoli Ferdinando II, al che lei accettò la richiesta di matrimonio come volontà di Dio.
Il rito religioso avvenne a Genova il 21 novembre 1832, nel santuario di Maria SS. dell’Acqua Santa. Il 26 novembre, gli sposi s’imbarcarono per Napoli, dove giunsero il giorno 30; sotto una pioggia torrenziale furono accolti da una folla festante ed in preda ad un entusiasmo che ha sempre contraddistinto l’espansività dei napoletani. Iniziò il suo regno accanto al ventiduenne Ferdinando, che già regnava da tre anni; a corte leggeva ogni giorno la Bibbia e l’Imitazione di Cristo e la sua religiosità fu ben presto conosciuta nel palazzo e dal popolo; quando in carrozza, incontrava un sacerdote con il Viatico per qualche ammalato, fermava la carrozza, scendeva e si inginocchiava a terra anche nel fango delle strade di allora; fece in modo che a tutti a corte, fosse possibile partecipare alla s. Messa nei giorni festivi.
La carità verso i bisognosi, l’occupò in pieno, si dice che il Terzi avesse presso di sé un baule pieno di ricevute di chi aveva avuto un beneficio. Provvide d’accordo con il re, che una parte del denaro destinato ai festeggiamenti per il loro matrimonio, venisse usato per dare una dote a 240 giovani spose e al riscatto di un buon numero di pegni depositati al Monte di Pietà.

Dopo tre anni di sposa, la mancanza di un figlio che non veniva, faceva molto soffrire Maria Cristina, che pregava incessantemente per ciò e finalmente nel 1835, avvertì in sé il sorgere di una gravidanza; passò gli ultimi mesi nella reggia di Portici per stare più calma, ma già presagiva qualcosa, perché all’avvicinarsi del parto, scriveva alla sorella, duchessa di Lucca: “Questa vecchia va a Napoli per partorire e morire”, purtroppo era vero, infatti l’erede al trono nacque il 16 gennaio e già il 29 Maria Cristina era morente per complicazioni sopravvenute; prendendo in braccio il tanto atteso piccolo Francesco e porgendolo al re suo marito, disse: “ Tu ne risponderai a Dio e al popolo… e quando sarà grande gli dirai che io muoio per lui”.

Il 31 gennaio 1836 in piena comunione con Dio, si addormentò per sempre fra la costernazione generale. Aveva poco più di 23 anni ed era stata regina per appena tre anni; i solenni funerali furono celebrati l’8 febbraio e il giorno seguente il suo corpo fu tumulato nella Basilica di s. Chiara, dove è tuttora.
Dopo la sua morte la fama di santità, che già godette in vita, si accrebbe e il popolo accorreva a pregare presso la tomba della ‘Regina santa’ e fatti prodigiosi si avverarono per sua intercessione.
Pio IX nel 1859, firmò il decreto d’introduzione della causa di beatificazione, dandole il titolo di venerabile. La pratica andò avanti nei vari stadi con le relative approvazioni canoniche, anche per l’interessamento del re Francesco II “il figlio della santa”; il 6 maggio 1937, Pio XI dichiarò eroiche le sue virtù.``


Fonte:Rete di Informazione del Regno delle Due Sicilie

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