martedì 5 gennaio 2010

Giuseppe Fava, un eroe libero che non ha lasciato eredi


di Giovanni Marinetti

Ci sono storie che vanno raccontate perché sono le storie migliori di questo paese. Ci sono storie di uomini che non devono essere dimenticate, perché c'è un dovere superiore che una comunità non deve mai trascurare. Ci sono uomini che la memoria deve difendere e rendere noti, perché il paese ha bisogno di conoscere per capire chi è, per capire perché oggi è così. E per capire cosa non deve più essere. Ci sono storie di uomini che sono stati eroi moderni, uomini coraggiosi innamorati della verità e della giustizia. Uomini che per questa verità e per questa giustizia hanno dato la vita.

Giuseppe Fava è un eroe moderno che tutti dovrebbero conoscere: un Ulisse con una idea di libertà che assomiglia alla ribellione, che diventa scoperta di se stessi tra un passato che torna spesso uguale e un futuro che vuole essere migliore. Fava è l'ultimo vero giornalista e intellettuale siciliano, un uomo che del concetto di ricerca della verità ha fatto il suo unico credo. Un uomo col coraggio di denunciare quando nessuno denunciava, di condannare la politica quando la politica era intoccabile, di fare i nomi dei potenti collusi con la mafia quando i potenti collusi con la mafia decidevano tutto.


L'eredità di Fava non l'ha raccolta nessuno, ed è un'eredità ricca e nobile di un giornalismo che considera la notizia un valore, la denuncia un dovere e la verità – sempre lei - un mezzo per migliorare la società. Un giornalismo senza padroni, senza padrini, senza catene; lontano da logiche commerciali, che non cerca il sensazionalismo e la forca ad ogni costo, dove i “fatti” sono fatti e non manganelli da usare contro qualcuno.


Il giornalismo di Fava supera la politica e diventa strumento di giustizia, ed è lui a scrivere trent'anni fa: «Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!»


Quella di Fava è una vocazione, una missione che non guarda in faccia nessuno, che si lega alla storia e al bisogno di una terra che sarà sempre al centro della sua produzione. Perché Fava è un vero intellettuale, completo, scrive testi teatrali, saggi e romanzi. In libreria da qualche settimane ritroviamo riedito Prima che vi uccidano, romanzo del 1976 (Bompiani, pagine 385, 19 euro). Scrive Roberto Saviano nella prefazione: «Fava è il primo a mostrare che chi parla di mafia non sta ferendo l'immagine della Sicilia, ma al contrario, la sta difendendo».


Servirebbe a tutti un Pippo Fava oggi, servirebbe il suo impegno contro il potere - perché ci sono troppi schiavi di pensieri che di moderno non hanno nulla - , servirebbe il suo amore per la sua terra, per la sua città (di Catania scrive nel libro-inchiesta I Siciliani del 1980: «Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell'amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso "al diavolo, zoccola!", ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l'animo di oscurità»).


Ricordare Fava – soprattutto per riscattare la sua memoria e quella di una Sicilia onesta dall'opera di delegittimazione che la mafia fece dopo averlo ucciso in modo vigliacco - è ricordare a noi stessi che siamo, possiamo essere, un paese che sa pensare liberamente. È riscattare uno Stato che lo ha dimenticato per convenienze grigie. Ricordare Fava è compiere un altro passo verso quel paese che vogliamo, che ricorda i suoi figli migliori ed è fiero di essi.

Fonte:
Ffwebmagazine
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di Giovanni Marinetti

Ci sono storie che vanno raccontate perché sono le storie migliori di questo paese. Ci sono storie di uomini che non devono essere dimenticate, perché c'è un dovere superiore che una comunità non deve mai trascurare. Ci sono uomini che la memoria deve difendere e rendere noti, perché il paese ha bisogno di conoscere per capire chi è, per capire perché oggi è così. E per capire cosa non deve più essere. Ci sono storie di uomini che sono stati eroi moderni, uomini coraggiosi innamorati della verità e della giustizia. Uomini che per questa verità e per questa giustizia hanno dato la vita.

Giuseppe Fava è un eroe moderno che tutti dovrebbero conoscere: un Ulisse con una idea di libertà che assomiglia alla ribellione, che diventa scoperta di se stessi tra un passato che torna spesso uguale e un futuro che vuole essere migliore. Fava è l'ultimo vero giornalista e intellettuale siciliano, un uomo che del concetto di ricerca della verità ha fatto il suo unico credo. Un uomo col coraggio di denunciare quando nessuno denunciava, di condannare la politica quando la politica era intoccabile, di fare i nomi dei potenti collusi con la mafia quando i potenti collusi con la mafia decidevano tutto.


L'eredità di Fava non l'ha raccolta nessuno, ed è un'eredità ricca e nobile di un giornalismo che considera la notizia un valore, la denuncia un dovere e la verità – sempre lei - un mezzo per migliorare la società. Un giornalismo senza padroni, senza padrini, senza catene; lontano da logiche commerciali, che non cerca il sensazionalismo e la forca ad ogni costo, dove i “fatti” sono fatti e non manganelli da usare contro qualcuno.


Il giornalismo di Fava supera la politica e diventa strumento di giustizia, ed è lui a scrivere trent'anni fa: «Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!»


Quella di Fava è una vocazione, una missione che non guarda in faccia nessuno, che si lega alla storia e al bisogno di una terra che sarà sempre al centro della sua produzione. Perché Fava è un vero intellettuale, completo, scrive testi teatrali, saggi e romanzi. In libreria da qualche settimane ritroviamo riedito Prima che vi uccidano, romanzo del 1976 (Bompiani, pagine 385, 19 euro). Scrive Roberto Saviano nella prefazione: «Fava è il primo a mostrare che chi parla di mafia non sta ferendo l'immagine della Sicilia, ma al contrario, la sta difendendo».


Servirebbe a tutti un Pippo Fava oggi, servirebbe il suo impegno contro il potere - perché ci sono troppi schiavi di pensieri che di moderno non hanno nulla - , servirebbe il suo amore per la sua terra, per la sua città (di Catania scrive nel libro-inchiesta I Siciliani del 1980: «Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell'amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso "al diavolo, zoccola!", ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l'animo di oscurità»).


Ricordare Fava – soprattutto per riscattare la sua memoria e quella di una Sicilia onesta dall'opera di delegittimazione che la mafia fece dopo averlo ucciso in modo vigliacco - è ricordare a noi stessi che siamo, possiamo essere, un paese che sa pensare liberamente. È riscattare uno Stato che lo ha dimenticato per convenienze grigie. Ricordare Fava è compiere un altro passo verso quel paese che vogliamo, che ricorda i suoi figli migliori ed è fiero di essi.

Fonte:
Ffwebmagazine
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