“Ma accaddero tante altre cose- ci fa sapere Angelo Manna- Accadde per esempio, che il proto-beccaio Enrico Cialdini, entrato trionfante in Napoli alla testa di ottomila bersaglieri, il 12 ottobre ( la capitale era stata ormai declassata a capoluogo di provincia) prendesse alloggio nella profanata Reggia di Domenico Fontana…Embè: quell’eroe immacolato non fottette tutti i candelabri d’argento che vi trovò? Li fuse, il grand’uomo…ne fece un po’ di lingotti e via…Li spedì a Torino, cacchio, a casa sua!…” (Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, Sun Books, Roma, 1997, pag 143)
Il saccheggio di Napoli e Palermo
Prima dell’impresa dei Mille, nel Regno delle Due Sicilie, gli scambi commerciali con l’estero erano eccellenti. Il bilanci dell’import-export avevano prodotto un attivo di 35 milioni di ducati. I titoli borbonici erano quotati al 120% alla borsa di Parigi, la valuta del Reame era floridissima e “…nel 1859, al Banco di Sicilia dovettero chiamare gli operai per rinforzare il pavimento che, nonostante la blindatura, non bastava per sostenere il tesoro conservato in cassaforte. Lingotti a tonnellate…[...]Garibaldi Giuseppe, appena entrato in palermo si fece consegnare dal banco 2.178.818 lire dei 5 milioni di ducati che erano custoditi. Lasciò un pezzo di carta con scritto:<<>>e la promessa che il nuovo stato avrebbe restituito tutto e rimesso i conti in ordine. Quel foglietto restò negli archivi dell’istituto:prima in quello contabile e poi in quello storico.( Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme SpA,Casale Monferrato(AL),1998,pag. )
Ad agosto sempre a Palermo “…correvano i tempi di piglia piglia. Dai beni dei Liguorini e Gesuiti volsero ducati diciottomila alla pubblica istruzione. Ordinarono una sovrimposta del due per cento sui valori di tutti i beni del clero, da pagarsi in tre rate. Da tutte le parti del mondo erano venuti sussidi e obbligazioni per la santa causa della rivoluzione; fatta questa vincitrice, non si tenne conto di quei denari,; e si obbligò il tesoro siciliano a pagar milioni per arme, cannoni, munizioni, vestiari, cavalli, spie, e altri compensamenti, e anche 700.000 ducati prezzo dei quattro decrepiti legni a vapore sicchè il Garibaldi e il Crispi si rivalsero di ogni minimo quattrino speso, e intascarono quanto era stato offerto dai rivoluzionari del mondo. Né sazi di tanto, il dittatore in ottobre comandò allo scrivano di razione così:” Rimborserà il tesoriere generale d’un milione e quattrocentomiladucati, , per estinguere cambiali all’estero, senza darne conto, ponendo l’esito al capitolo delle spese comuni nello stato discusso. E vi era la firma di Domenico Peranni allora ministro delle Finanze. Il denaro se lo presero; i conti li sapevano il Garibaldi, il Crispi, il Peranni, e un Michele Minneci; questi due beneficiatissimi di Ferdinando II, allora predicatori acerrimi della tirannia dei Borboni.( Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner, Cosenza, 1985, pag. 133.)
Continua il Del Boca a pag 233 del suo bellissimo libro “Maledetti Savoia”,”…Il Piemonte, con la sua rete di funzionari, portaborse e burocrati onnivori, lasciò il Meridione conquistato, avvilito, depresso e spogliato di ogni avere. Con la scusa dell’Unità d’Italia rubarono tutto…”
Il 6 settembre 1860, cioè il giorno prima dell’arrivo del filibustiere a Napoli, le risorse pubbliche ammontavano a 29.749.256 franchi. I Borbone avevano lasciato intatto il tesoro del Regno, tesoro che fu subito predato dal pirata dei Due Mondi. Pietro Calà Ulloa, ministro in esilio di Francesco II, in una lettera indirizzata al politico britannico Disraeli, descrisse il fatto come un “ prodigio di dilapidazione e di corruzione…si cominciò con l’impadronirsi delle residenze reali, delle loro mobiglie, della loro argenteria, degli oggetti d’arte e di lusso , senza redigerne alcun inventario…”.(L’Alfiere, luglio 1998,pag Il grande patriota Giacinto De Sivo di quel tristo periodo storico ci ha lasciato questa traccia:”…il settembre fu sequenza di iniquità, empietà e misfatti. Plebe irta d’arme, popolo indignato, Nazionali scherani, garibaldini atei e vandali, scellerati potenti; rapine, contrabbandi, mancanza di commercio, caro di vettovaglie; erario dilapidato, non percepiti i dazi,nessuna giustizia, nessuna sicurezza di vita e di roba; ospedali carichi di feriti,case cariche d’alloggi; teatri, piazze, chiese, fatti luogo di spettacoli turpi, accozzamenti di mali preti, di donne, di camorristi, e chiedere soccorsi per feriti e martiri, tutte estorsioni. Nelle province turbolenze, paure e rabbie. Chi a predare,a carcerare, a uccidere; chi a pagare, fuggire, a fingersi liberale. La stampa tutta faziosa, spaventata da tante fazioni opposte, accusava i ministri, il Bertani e i suoi latrocinii; e finiva gridando tribunali statarii e forche…” Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner, Cosenza, Anno 1985, pag.221.)
Si mormorava che Silvio Spaventa, direttore di polizia di Garibaldi, aveva fatto liquefare 600 paia di candelieri d’argento preziosissimi. Sparirono altresì tanti dipinti di valore, orologi di pregio, impagabili oggetti d’argento e la notevole armeria del Re, fra cui la famosa spada che Francesco I, Re di Francia, aveva impugnato a Pavia nella battaglia contro le truppe di Carlo V.
Non appena terminata la visita al santuario di Piedigrotta, il Garibaldi, attorniato da una schiera di delinquenti, diede inizio al il saccheggio di Napoli e della Chiesa. Per cominciare, camorristi e prostitute furono gratificati con grosse somme di denaro; indi, senza indugio, si diede a cancellare l’assetto istituzionale del Sud. I decreti cominciarono a sortire nuovi privilegi a scapito della proprietà privata, demaniale, e della Chiesa. Ai gattopardi si stavano sostituendo le iene fameliche. Al buonsenso si stava sostituendo il malcostume; alla morale il disordine e la rapina. Cominciarono a piovere come grandine i decreti di confisca dei pegni, depositati nei Monti di Pietà, e dei depositi bancari. Il ladrone, da pirata con esperienza decennale nel saccheggio del del Sud-America per conto della massoneria, cominciò quello del Banco di Napoli dalle cui casse estorse ben 80 milioni di ducati. Poi mise mano ai beni della Casa Reale, a quelli dei Maggiorati Reali e dell’Ordine Costantiniano fino ad allora amministrati dal Presidente dei Ministri. Fu anche abolito l’Ordine dei Gesuiti con tutte le diramazioni e dipendenze. I beni mobili ed immobili dell’ordine furono dichiarati nazionali, cioè piemontesi.
Ci chiediamo: come mai questo falso eroe, questo falso rivoluzionario, questo falso biondo, questo falso capellone, questo vero assassino, questo vero pirata, questo falso socialista, questo vero massone e mercenario non andò a Londra a depredare i beni della sua Consorteria o quelli del Gran Maestro venerabile Albert Pike ? Perché non andò a Londra a saccheggiare le banche degli strozzini Rothschild o quelli della Casa Reale Inglese? Eppure gli inglesi, il Garibaldi lo sapeva, erano quelli che avevano inventato la tratta degli schiavi e che massacravano milioni di pakistani, di indiani e di cinesi! Perché non andò a liberare la sua Nizza dai francesi? Perché non andò a Torino a confiscare i beni di casa Savoia? Era o no un fervente repubblicanoe patriota? No, Garibaldi non era niente, era solo un mercenario al servizio del sistema liberal-massonico. Infatti, anni dopo, quando Londra gli tributò il dovuto riconoscimento di servo e lacchè, Disraeli, che sapeva tutto, rifiutò di stringergli la mano, lo considerava un bieco pirata. Il Garibaldi, spacciato dagli oleografi risorgimentali eroe dei due mondi, colui che della giustizia umana aveva fatto la sua bandiera, non è mai andato a confiscare i beni di Cavour che erano tanti, e quelli dell’aristocrazia piemontese. Ed i liberali napoletani? Tutti ad applaudire le ruberie dello straniero venuto dal Nord. Questi sono stati i nostri liberatori!
Furono confiscati 30 milioni di franchi di rendite in cedole sopra il debito pubblico ( gli attuali BOT e CCT ) che gli ex consiglieri del Re si affrettarono a rivelare quali beni personali dei membri della famiglia Reale. (La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. VIII, anno 1860, pag 360)
E oggi? Chi va a confiscare i beni dei Savoia esiliati per fellonia? Chi va a confiscare i beni della famiglia Craxi, garibaldino da sempre? Chi va a confiscare i beni dei liberal- massoni capeggiati da Berlusconi & Company diretti discendenti politici di quei “ rivoluzionari”?
Questi nuovi ladri affamati ed assetati, lebbrosi, ebbero persino il coraggio di predare 67.059.000 ducati, della dote ereditaria di Maria Cristina di Savoia, madre di Francesco II. Tali ruberie furono denominate Reintegrazioni legittime in quanto, secondo i nuovi padroni di Napoli, i Borbone quei soldi li avevano rubati. Il ministro Conforti aveva assegnato tutti i soldi, rubati alla Casa Reale, al Garibaldi, mammasantissima del momento ed anche degli anni successivi, il quale da buon corsaro non li aveva disdegnati; a tale sconceria si opposero gli agenti di cambio, per cui l’intera somma al momento fu giocoforza assegnata all’erario. Si assegnarono 6000 franchi al giorno per le spese della tavola del bandito dittatore nizzardo, somma che i suoi pro-dittatori dilapidavano allegramente. Contro quelle ruberie protestò Francesco II attraverso il Ministro degli Esteri Casella e proclamò “…di aver unito la sua causa a quella del popolo, e di non aver curato di porre in salvo le sue sostanze, perché avrebbe sdegnato di salvare per esso una tavola in mezzo al naufragio della Patria”.
(Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie,Vol.II, Edizioni Brenner, Cosenza, 1984,pag. 211)
“Ma accaddero tante altre cose- ci fa sapere Angelo Manna- Accadde per esempio, che il proto-beccaio Enrico Cialdini, entrato trionfante in Napoli alla testa di ottomila bersaglieri, il 12 ottobre ( la capitale era stata ormai declassata a capoluogo di provincia) prendesse alloggio nella profanata Reggia di Domenico Fontana…Embè: quell’eroe immacolato non fottette tutti i candelabri d’argento che vi trovò? Li fuse, il grand’uomo…ne fece un po’ di lingotti e via…Li spedì a Torino, cacchio, a casa sua!…” (Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, Sun Books, Roma, 1997, pag 143)
“…Con le rendite private confiscate a casa Borbone vennero pagati i big. Il luogotenente, il già lodato Farini Luigi Carlo( quello dell’Affrica e dei beduini che erano rose e fiori al nostro confronto…) si assegnò, bontà sua, uno stipendio di 11mila ducati al mese. E tremila al mese si beccarono i tre generali garibaldesi promossi generali dell’esercito italiano:Turr, Medici e Cosenz, l’amico del cuore di Carlo Pisacane che gli involò Enrichetta de Lorenzo, e fu per quelle amichevoli corna che il cornutone pensò di andarsi a suicidare nella disperata spedizione di Sapri…” ( Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, ibidem, pag 144)
Fonte: ReteSud
Il saccheggio di Napoli e Palermo
Prima dell’impresa dei Mille, nel Regno delle Due Sicilie, gli scambi commerciali con l’estero erano eccellenti. Il bilanci dell’import-export avevano prodotto un attivo di 35 milioni di ducati. I titoli borbonici erano quotati al 120% alla borsa di Parigi, la valuta del Reame era floridissima e “…nel 1859, al Banco di Sicilia dovettero chiamare gli operai per rinforzare il pavimento che, nonostante la blindatura, non bastava per sostenere il tesoro conservato in cassaforte. Lingotti a tonnellate…[...]Garibaldi Giuseppe, appena entrato in palermo si fece consegnare dal banco 2.178.818 lire dei 5 milioni di ducati che erano custoditi. Lasciò un pezzo di carta con scritto:<<>>e la promessa che il nuovo stato avrebbe restituito tutto e rimesso i conti in ordine. Quel foglietto restò negli archivi dell’istituto:prima in quello contabile e poi in quello storico.( Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme SpA,Casale Monferrato(AL),1998,pag. )
Ad agosto sempre a Palermo “…correvano i tempi di piglia piglia. Dai beni dei Liguorini e Gesuiti volsero ducati diciottomila alla pubblica istruzione. Ordinarono una sovrimposta del due per cento sui valori di tutti i beni del clero, da pagarsi in tre rate. Da tutte le parti del mondo erano venuti sussidi e obbligazioni per la santa causa della rivoluzione; fatta questa vincitrice, non si tenne conto di quei denari,; e si obbligò il tesoro siciliano a pagar milioni per arme, cannoni, munizioni, vestiari, cavalli, spie, e altri compensamenti, e anche 700.000 ducati prezzo dei quattro decrepiti legni a vapore sicchè il Garibaldi e il Crispi si rivalsero di ogni minimo quattrino speso, e intascarono quanto era stato offerto dai rivoluzionari del mondo. Né sazi di tanto, il dittatore in ottobre comandò allo scrivano di razione così:” Rimborserà il tesoriere generale d’un milione e quattrocentomiladucati, , per estinguere cambiali all’estero, senza darne conto, ponendo l’esito al capitolo delle spese comuni nello stato discusso. E vi era la firma di Domenico Peranni allora ministro delle Finanze. Il denaro se lo presero; i conti li sapevano il Garibaldi, il Crispi, il Peranni, e un Michele Minneci; questi due beneficiatissimi di Ferdinando II, allora predicatori acerrimi della tirannia dei Borboni.( Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner, Cosenza, 1985, pag. 133.)
Continua il Del Boca a pag 233 del suo bellissimo libro “Maledetti Savoia”,”…Il Piemonte, con la sua rete di funzionari, portaborse e burocrati onnivori, lasciò il Meridione conquistato, avvilito, depresso e spogliato di ogni avere. Con la scusa dell’Unità d’Italia rubarono tutto…”
Il 6 settembre 1860, cioè il giorno prima dell’arrivo del filibustiere a Napoli, le risorse pubbliche ammontavano a 29.749.256 franchi. I Borbone avevano lasciato intatto il tesoro del Regno, tesoro che fu subito predato dal pirata dei Due Mondi. Pietro Calà Ulloa, ministro in esilio di Francesco II, in una lettera indirizzata al politico britannico Disraeli, descrisse il fatto come un “ prodigio di dilapidazione e di corruzione…si cominciò con l’impadronirsi delle residenze reali, delle loro mobiglie, della loro argenteria, degli oggetti d’arte e di lusso , senza redigerne alcun inventario…”.(L’Alfiere, luglio 1998,pag Il grande patriota Giacinto De Sivo di quel tristo periodo storico ci ha lasciato questa traccia:”…il settembre fu sequenza di iniquità, empietà e misfatti. Plebe irta d’arme, popolo indignato, Nazionali scherani, garibaldini atei e vandali, scellerati potenti; rapine, contrabbandi, mancanza di commercio, caro di vettovaglie; erario dilapidato, non percepiti i dazi,nessuna giustizia, nessuna sicurezza di vita e di roba; ospedali carichi di feriti,case cariche d’alloggi; teatri, piazze, chiese, fatti luogo di spettacoli turpi, accozzamenti di mali preti, di donne, di camorristi, e chiedere soccorsi per feriti e martiri, tutte estorsioni. Nelle province turbolenze, paure e rabbie. Chi a predare,a carcerare, a uccidere; chi a pagare, fuggire, a fingersi liberale. La stampa tutta faziosa, spaventata da tante fazioni opposte, accusava i ministri, il Bertani e i suoi latrocinii; e finiva gridando tribunali statarii e forche…” Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Edizioni Brenner, Cosenza, Anno 1985, pag.221.)
Si mormorava che Silvio Spaventa, direttore di polizia di Garibaldi, aveva fatto liquefare 600 paia di candelieri d’argento preziosissimi. Sparirono altresì tanti dipinti di valore, orologi di pregio, impagabili oggetti d’argento e la notevole armeria del Re, fra cui la famosa spada che Francesco I, Re di Francia, aveva impugnato a Pavia nella battaglia contro le truppe di Carlo V.
Non appena terminata la visita al santuario di Piedigrotta, il Garibaldi, attorniato da una schiera di delinquenti, diede inizio al il saccheggio di Napoli e della Chiesa. Per cominciare, camorristi e prostitute furono gratificati con grosse somme di denaro; indi, senza indugio, si diede a cancellare l’assetto istituzionale del Sud. I decreti cominciarono a sortire nuovi privilegi a scapito della proprietà privata, demaniale, e della Chiesa. Ai gattopardi si stavano sostituendo le iene fameliche. Al buonsenso si stava sostituendo il malcostume; alla morale il disordine e la rapina. Cominciarono a piovere come grandine i decreti di confisca dei pegni, depositati nei Monti di Pietà, e dei depositi bancari. Il ladrone, da pirata con esperienza decennale nel saccheggio del del Sud-America per conto della massoneria, cominciò quello del Banco di Napoli dalle cui casse estorse ben 80 milioni di ducati. Poi mise mano ai beni della Casa Reale, a quelli dei Maggiorati Reali e dell’Ordine Costantiniano fino ad allora amministrati dal Presidente dei Ministri. Fu anche abolito l’Ordine dei Gesuiti con tutte le diramazioni e dipendenze. I beni mobili ed immobili dell’ordine furono dichiarati nazionali, cioè piemontesi.
Ci chiediamo: come mai questo falso eroe, questo falso rivoluzionario, questo falso biondo, questo falso capellone, questo vero assassino, questo vero pirata, questo falso socialista, questo vero massone e mercenario non andò a Londra a depredare i beni della sua Consorteria o quelli del Gran Maestro venerabile Albert Pike ? Perché non andò a Londra a saccheggiare le banche degli strozzini Rothschild o quelli della Casa Reale Inglese? Eppure gli inglesi, il Garibaldi lo sapeva, erano quelli che avevano inventato la tratta degli schiavi e che massacravano milioni di pakistani, di indiani e di cinesi! Perché non andò a liberare la sua Nizza dai francesi? Perché non andò a Torino a confiscare i beni di casa Savoia? Era o no un fervente repubblicanoe patriota? No, Garibaldi non era niente, era solo un mercenario al servizio del sistema liberal-massonico. Infatti, anni dopo, quando Londra gli tributò il dovuto riconoscimento di servo e lacchè, Disraeli, che sapeva tutto, rifiutò di stringergli la mano, lo considerava un bieco pirata. Il Garibaldi, spacciato dagli oleografi risorgimentali eroe dei due mondi, colui che della giustizia umana aveva fatto la sua bandiera, non è mai andato a confiscare i beni di Cavour che erano tanti, e quelli dell’aristocrazia piemontese. Ed i liberali napoletani? Tutti ad applaudire le ruberie dello straniero venuto dal Nord. Questi sono stati i nostri liberatori!
Furono confiscati 30 milioni di franchi di rendite in cedole sopra il debito pubblico ( gli attuali BOT e CCT ) che gli ex consiglieri del Re si affrettarono a rivelare quali beni personali dei membri della famiglia Reale. (La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol. VIII, anno 1860, pag 360)
E oggi? Chi va a confiscare i beni dei Savoia esiliati per fellonia? Chi va a confiscare i beni della famiglia Craxi, garibaldino da sempre? Chi va a confiscare i beni dei liberal- massoni capeggiati da Berlusconi & Company diretti discendenti politici di quei “ rivoluzionari”?
Questi nuovi ladri affamati ed assetati, lebbrosi, ebbero persino il coraggio di predare 67.059.000 ducati, della dote ereditaria di Maria Cristina di Savoia, madre di Francesco II. Tali ruberie furono denominate Reintegrazioni legittime in quanto, secondo i nuovi padroni di Napoli, i Borbone quei soldi li avevano rubati. Il ministro Conforti aveva assegnato tutti i soldi, rubati alla Casa Reale, al Garibaldi, mammasantissima del momento ed anche degli anni successivi, il quale da buon corsaro non li aveva disdegnati; a tale sconceria si opposero gli agenti di cambio, per cui l’intera somma al momento fu giocoforza assegnata all’erario. Si assegnarono 6000 franchi al giorno per le spese della tavola del bandito dittatore nizzardo, somma che i suoi pro-dittatori dilapidavano allegramente. Contro quelle ruberie protestò Francesco II attraverso il Ministro degli Esteri Casella e proclamò “…di aver unito la sua causa a quella del popolo, e di non aver curato di porre in salvo le sue sostanze, perché avrebbe sdegnato di salvare per esso una tavola in mezzo al naufragio della Patria”.
(Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie,Vol.II, Edizioni Brenner, Cosenza, 1984,pag. 211)
“Ma accaddero tante altre cose- ci fa sapere Angelo Manna- Accadde per esempio, che il proto-beccaio Enrico Cialdini, entrato trionfante in Napoli alla testa di ottomila bersaglieri, il 12 ottobre ( la capitale era stata ormai declassata a capoluogo di provincia) prendesse alloggio nella profanata Reggia di Domenico Fontana…Embè: quell’eroe immacolato non fottette tutti i candelabri d’argento che vi trovò? Li fuse, il grand’uomo…ne fece un po’ di lingotti e via…Li spedì a Torino, cacchio, a casa sua!…” (Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, Sun Books, Roma, 1997, pag 143)
“…Con le rendite private confiscate a casa Borbone vennero pagati i big. Il luogotenente, il già lodato Farini Luigi Carlo( quello dell’Affrica e dei beduini che erano rose e fiori al nostro confronto…) si assegnò, bontà sua, uno stipendio di 11mila ducati al mese. E tremila al mese si beccarono i tre generali garibaldesi promossi generali dell’esercito italiano:Turr, Medici e Cosenz, l’amico del cuore di Carlo Pisacane che gli involò Enrichetta de Lorenzo, e fu per quelle amichevoli corna che il cornutone pensò di andarsi a suicidare nella disperata spedizione di Sapri…” ( Angelo Manna, Briganti furono loro quei vili assassini dei fratelli d’Italia, ibidem, pag 144)
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