giovedì 18 dicembre 2008

La Fed si gioca tutto e azzera i tassi. Ora non gli resta che sperare


Di Fabrizio Goria

Ennesimo taglio dei tassi negli Stati Uniti. 75 punti base per il tasso di sconto che passa dall’1,25% allo 0,50%, stessa sorte per i Fed Funds che vedono il loro minimo storico, un range compreso fra lo 0% e lo 0,25%, a seconda dei soggetti che richiederanno denaro.
Più di così non si può fare, questo in sintesi il pensiero che ha spinto la Federal Reserve, dopo una riunione fiume del suo board, a ridurre ancora il costo del denaro ed aumentare a dismisura l’offerta monetaria, al fine di alimentare un’economia in ginocchio.

Proprio l’idea di foraggiare consumi ed investimenti sta alla base della tanto drammatica quanto clamorosa iniziativa di politica monetaria della Fed, guidata da Ben Bernanke. Quest’ultimo, a margine del meeting del Federal Open Market Committee (FOMC), ha commentato la decisione con poche, ma decise, parole: «Useremo tutti gli strumenti disbonibili per contenere la peggior crisi economica e finanziaria dai tempi della Grande Depressione».
Nella nota rilasciata dalla Fed si possono comprendere le ragioni che hanno portato a questa misura: «Rispetto l’ultima riunione del Comitato, lo stato del mercato del lavoro è andato deteriorandosi ed i dati disponibili registrano una contrazione dei consumi, degli investimenti e della produzione industriale.
I mercati finanziari sono ancora notevolmente turbati e v’è ancora una forte restrizione del credito. Nel complesso, le prospettive per l’attività economica rimangono ulteriormente indebolite».
Alla luce di questo, il board ha deciso all’unanimità di tagliare per la decima volta consecutiva i tassi, facendoli arrivare al minimo mai toccato dal 1929 ad oggi. Ma non basta, perché la stessa banca centrale conferma che «acquisterà larghe quantità di debito e di mortgage-backed securities per aiutare il mercato immobiliare e quello dei mutui». Un’operazione che giunge dopo lo stanziamento di 800 miliardi di dollari per favorire il credito al consumo e le piccole imprese, attraverso il Term Asset-Backed Securities Loan Facility (TALF).
Se ci si fermasse a riflettere sui costi della sostenuti da Tesoro e Federal Reserve dall’inizio della crisi subprime, probabilmente ci troveremmo di fronte ad una cifra inimmaginabile.

Per tutti coloro che affermavano che la crisi odierna era una bazzecola nei confronti di quella di 80 anni fa, ecco che arriva la risposta che chiude il discorso. Un taglio come quello appena effettuato sancisce la sconfitta della Fed, di Bernanke, ma anche delle politiche di Alan Greenspan, past governor della stessa Fed. Dopo aver foraggiato di denaro i mercati, dopo non aver intuito una crisi potenzialmente distruttiva (ed effettivamente devastante) come quella dei subprime, dopo aver salvato (quasi tutto) il salvabile, dopo aver iniettato nuovamente liquidità in un sistema che ne bramava ancora di più, la Fed ha deciso di operare nel modo più drastico.
Denaro ai minimi storici, al fine di far ripartire gli States. Peccato che, forse, nemmeno questo potrà bastare.

Il crollo del castello di carte legato al Madoff Investment Group ha aperto un nuovo fronte della crisi dato che i soggetti coinvolti, esposti per miliardi di dollari alle perdite degli hedge fund dell’ex presidente del Nasdaq, aumentano sempre più.
Questa è una delle ragioni, assieme ai dati macroeconomici statunitensi in costante peggioramento, che hanno portato a questo scenario mai osservato prima. «Per fronteggiare una crisi straordinaria, sono necessarie misure straordinarie» ha ricordato il presidente di una divisione della Federal Reserve, rimasto ignoto.
Il sentore è che l’adozione di tali provvedimenti siano dettati da un’ulteriore svalutazione delle stime di crescita per i prossimi anni, nonostante i recenti outlook di IMF ed OECD.

A tal risposta scaccia-crisi i mercati hanno risposto in modo eccitante.
I titoli di stato americani con scadenza a dieci anni si sono apprezzati di oltre 100 punti, giungendo al 2,45%, sintomo di un feedback positivo sotto il medio-lungo profilo. Sulla stessa linea d’onda gli indici azionari statunitensi: Dow Jones +4,20%, Nasdaq +5,41%, Standard & Poor’s 500 +5,14%.
Prima di cantar vittoria, tuttavia, si deve attendere ancora che si possa consolidare quest’euforia che ha portato i mercati d’oltreoceano a chiudere in forte rialzo le proprie sedute. Si attende anche una risposta da parte dall’Europa e dall’Asia, anche se il timore che anche questo sia un mero fuoco fatuo è moltissima, visti i precedenti.

Se la Fed ha sbagliato lo vedremo solo con l’arrivo del nuovo anno, quando i tagli saranno assorbiti dal mercato in modo effettivo. Ma sarà assolutamente inutile chiedersi cos’altro potranno fare le banche centrali: ci si dovrà solo chiedere chi resterà in piedi e chi no.

Fonte:
L'Occidentale
Leggi tutto »

Di Fabrizio Goria

Ennesimo taglio dei tassi negli Stati Uniti. 75 punti base per il tasso di sconto che passa dall’1,25% allo 0,50%, stessa sorte per i Fed Funds che vedono il loro minimo storico, un range compreso fra lo 0% e lo 0,25%, a seconda dei soggetti che richiederanno denaro.
Più di così non si può fare, questo in sintesi il pensiero che ha spinto la Federal Reserve, dopo una riunione fiume del suo board, a ridurre ancora il costo del denaro ed aumentare a dismisura l’offerta monetaria, al fine di alimentare un’economia in ginocchio.

Proprio l’idea di foraggiare consumi ed investimenti sta alla base della tanto drammatica quanto clamorosa iniziativa di politica monetaria della Fed, guidata da Ben Bernanke. Quest’ultimo, a margine del meeting del Federal Open Market Committee (FOMC), ha commentato la decisione con poche, ma decise, parole: «Useremo tutti gli strumenti disbonibili per contenere la peggior crisi economica e finanziaria dai tempi della Grande Depressione».
Nella nota rilasciata dalla Fed si possono comprendere le ragioni che hanno portato a questa misura: «Rispetto l’ultima riunione del Comitato, lo stato del mercato del lavoro è andato deteriorandosi ed i dati disponibili registrano una contrazione dei consumi, degli investimenti e della produzione industriale.
I mercati finanziari sono ancora notevolmente turbati e v’è ancora una forte restrizione del credito. Nel complesso, le prospettive per l’attività economica rimangono ulteriormente indebolite».
Alla luce di questo, il board ha deciso all’unanimità di tagliare per la decima volta consecutiva i tassi, facendoli arrivare al minimo mai toccato dal 1929 ad oggi. Ma non basta, perché la stessa banca centrale conferma che «acquisterà larghe quantità di debito e di mortgage-backed securities per aiutare il mercato immobiliare e quello dei mutui». Un’operazione che giunge dopo lo stanziamento di 800 miliardi di dollari per favorire il credito al consumo e le piccole imprese, attraverso il Term Asset-Backed Securities Loan Facility (TALF).
Se ci si fermasse a riflettere sui costi della sostenuti da Tesoro e Federal Reserve dall’inizio della crisi subprime, probabilmente ci troveremmo di fronte ad una cifra inimmaginabile.

Per tutti coloro che affermavano che la crisi odierna era una bazzecola nei confronti di quella di 80 anni fa, ecco che arriva la risposta che chiude il discorso. Un taglio come quello appena effettuato sancisce la sconfitta della Fed, di Bernanke, ma anche delle politiche di Alan Greenspan, past governor della stessa Fed. Dopo aver foraggiato di denaro i mercati, dopo non aver intuito una crisi potenzialmente distruttiva (ed effettivamente devastante) come quella dei subprime, dopo aver salvato (quasi tutto) il salvabile, dopo aver iniettato nuovamente liquidità in un sistema che ne bramava ancora di più, la Fed ha deciso di operare nel modo più drastico.
Denaro ai minimi storici, al fine di far ripartire gli States. Peccato che, forse, nemmeno questo potrà bastare.

Il crollo del castello di carte legato al Madoff Investment Group ha aperto un nuovo fronte della crisi dato che i soggetti coinvolti, esposti per miliardi di dollari alle perdite degli hedge fund dell’ex presidente del Nasdaq, aumentano sempre più.
Questa è una delle ragioni, assieme ai dati macroeconomici statunitensi in costante peggioramento, che hanno portato a questo scenario mai osservato prima. «Per fronteggiare una crisi straordinaria, sono necessarie misure straordinarie» ha ricordato il presidente di una divisione della Federal Reserve, rimasto ignoto.
Il sentore è che l’adozione di tali provvedimenti siano dettati da un’ulteriore svalutazione delle stime di crescita per i prossimi anni, nonostante i recenti outlook di IMF ed OECD.

A tal risposta scaccia-crisi i mercati hanno risposto in modo eccitante.
I titoli di stato americani con scadenza a dieci anni si sono apprezzati di oltre 100 punti, giungendo al 2,45%, sintomo di un feedback positivo sotto il medio-lungo profilo. Sulla stessa linea d’onda gli indici azionari statunitensi: Dow Jones +4,20%, Nasdaq +5,41%, Standard & Poor’s 500 +5,14%.
Prima di cantar vittoria, tuttavia, si deve attendere ancora che si possa consolidare quest’euforia che ha portato i mercati d’oltreoceano a chiudere in forte rialzo le proprie sedute. Si attende anche una risposta da parte dall’Europa e dall’Asia, anche se il timore che anche questo sia un mero fuoco fatuo è moltissima, visti i precedenti.

Se la Fed ha sbagliato lo vedremo solo con l’arrivo del nuovo anno, quando i tagli saranno assorbiti dal mercato in modo effettivo. Ma sarà assolutamente inutile chiedersi cos’altro potranno fare le banche centrali: ci si dovrà solo chiedere chi resterà in piedi e chi no.

Fonte:
L'Occidentale

Nessun commento:

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India