lunedì 22 dicembre 2008

Il Cristianesimo e la fine dei sacrifici umani.


Di Francesco Agnoli


Uno degli effetti più significativi, per lo storico, dell'avvento del Cristianesimo, è la scomparsa del sacrificio umano rituale dall'Occidente. Nella civiltà cretese, ad esempio, l'usanza di sacrificare persone umane traspare nel mito dei sette giovani e delle sette fanciulle immolati al Minotauro. Anche in Grecia esistevano molte forme di sacrificio umano: anzitutto il farmakos, un uomo che veniva rimpinzato di cibo tutto l'anno e poi immolato alla dea della fecondità, in un rito propiziatorio. Plutarco racconta inoltre che qualcosa di simile avveniva talora prima di una battaglia: Temistocle, prima di Salamina, sacrificò tre persiani a Dioniso Omestes (Plut.Themist.13). Del resto Dioniso era assetato di sangue animale e talvolta anche umano. Euripide, nelle "Baccanti", descrive le sue sacerdotesse che, in preda al vino e all'esaltazione dei tamburi, uccidono animali, ma anche, seppure per sbaglio, un piccolo bambino. Aristofane invece ci racconta che alcuni derelitti venivano mantenuti a spese della comunità, di modo che, se la città fosse stata colpita dalla peste o dalla carestia, potevano essere sacrificati in un rito espiatorio.

Quanto alla civiltà romana sacrifici ve ne furono sempre, soprattutto in momenti di panico, come testimonia Tito Livio in Ab urbe condita. Si può poi ricordare il caso di Massenzio, che arrivò a sventrare donne incinte per leggerne le interiora. Il sacrificio era talora legato alle arti magiche: Orazio ci dà la descrizione della "strega Canidia", nell'epodo V. Vi si descrive un puer, un fanciullo, che viene sepolto in una buca, fino al mento: "col midollo raschiato e il fegato secco si farà il beveraggio dell'amore". Quanto ai popoli celti abbiamo la testimonianza di Cesare nel De bello gallico: i druidi "immolano uomini come vittime o promettono che immoleranno loro stessi". E prosegue: "Altri hanno simulacri di smisurata grandezza le cui membra conteste di vimini riempiono di uomini vivi; poi danno loro fuoco". Pratiche rituali analoghe vengono raccontate anche da Plinio e da Tacito negli Annales (XIV, 30) ed esistevano, contemporaneamente, anche presso Britanni ed abitanti dell'Irlanda. Se ci spostiamo fuori dall'Europa le cose, addirittura, peggiorano.

Gli Aztechi, e, in misura minore, anche gli Incas, prima dell'arrivo del Cristianesimo, erano convinti che fosse continuamente necessario sacrificare alle forze naturali, specie al dio Sole, per evitare che questo cessasse la sua funzione e si spegnesse: "A insanguinare ogni giorno i gradini degli enormi templi era quest'ansia ossessionante di non lasciare finire il mondo, un'ansia che raggiungeva il suo culmine ogni cinquantadue anni, quando la minaccia della catastrofe si faceva più concreta ed imminente" (Bernal Diaz del Castillo, "La conquista del Messico", Longanesi). Così presso gli Aztechi i sacerdoti scaraventavano la vittima sull'altare, per poi piantare il coltello nella cassa toracica, sino a strappare il cuore, da offrire agli dei ancora palpitante. I corpi venivano allora gettati dai gradoni del tempio, per essere ulteriormente seviziati (Luigi Lunari, "Cortes", Rizzoli; G.C. Vailiant, "La civiltà Azteca", Einaudi). Infine gli arti venivano donati, a seconda del loro pregio, a sacerdoti e guerrieri, per essere mangiati. Tra gli Incas la situazione era analoga: bambini e vergini venivano sgozzati, strangolati o espiantati del cuore, alla maniera azteca, per allontanare carestie, epidemie, catastrofi naturali. Si arrivavano a sacrificare migliaia di persone in un solo giorno. Queste vere e proprie mattanze determinarono la necessità di continue guerre coi popoli vicini per procurare i sacrificandi.

Un altro tipo di "sacrificio" che scompare con l'avvento del Cristianesimo è quello dei giochi gladiatori. E' l'imperatore Costantino, il figlio di Santa Elena, ad abolire questa usanza crudele che causava la morte di migliaia di persone, uccise nelle finte battaglie navali o terrestri che si svolgevano negli anfiteatri di tutta la latinità. Come racconta lo storico pagano Tacito nei circhi la gente veniva anche condannata ad bestias, ad essere sbranata dalle belve, oppure, all'epoca di Nerone, specie i cristiani, venivano cosparsi di pece e bruciati vivi. Ma anche i gladiatori, fino a Costantino, potevano subire l'atroce morte prevista dall'auctoratus (Salvatore di Marzo, "Istituzioni di diritto romano", Giuffrè), e cioè dal contratto per cui il gladiatore poteva essere bruciato, legato e ucciso col ferro (uri, vinciri, ferroque necari). Non è inesatto concludere, quindi, che il Sacrificio di Cristo cambia la storia, ponendo fine alle varie forme di sacrificio umano esistenti nell'Antichità (da un vecchio articolo pubblicato sul Foglio, in cui riprendo un concetto che ho espresso più volte)

Fonte:Libertà e Persona
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Di Francesco Agnoli


Uno degli effetti più significativi, per lo storico, dell'avvento del Cristianesimo, è la scomparsa del sacrificio umano rituale dall'Occidente. Nella civiltà cretese, ad esempio, l'usanza di sacrificare persone umane traspare nel mito dei sette giovani e delle sette fanciulle immolati al Minotauro. Anche in Grecia esistevano molte forme di sacrificio umano: anzitutto il farmakos, un uomo che veniva rimpinzato di cibo tutto l'anno e poi immolato alla dea della fecondità, in un rito propiziatorio. Plutarco racconta inoltre che qualcosa di simile avveniva talora prima di una battaglia: Temistocle, prima di Salamina, sacrificò tre persiani a Dioniso Omestes (Plut.Themist.13). Del resto Dioniso era assetato di sangue animale e talvolta anche umano. Euripide, nelle "Baccanti", descrive le sue sacerdotesse che, in preda al vino e all'esaltazione dei tamburi, uccidono animali, ma anche, seppure per sbaglio, un piccolo bambino. Aristofane invece ci racconta che alcuni derelitti venivano mantenuti a spese della comunità, di modo che, se la città fosse stata colpita dalla peste o dalla carestia, potevano essere sacrificati in un rito espiatorio.

Quanto alla civiltà romana sacrifici ve ne furono sempre, soprattutto in momenti di panico, come testimonia Tito Livio in Ab urbe condita. Si può poi ricordare il caso di Massenzio, che arrivò a sventrare donne incinte per leggerne le interiora. Il sacrificio era talora legato alle arti magiche: Orazio ci dà la descrizione della "strega Canidia", nell'epodo V. Vi si descrive un puer, un fanciullo, che viene sepolto in una buca, fino al mento: "col midollo raschiato e il fegato secco si farà il beveraggio dell'amore". Quanto ai popoli celti abbiamo la testimonianza di Cesare nel De bello gallico: i druidi "immolano uomini come vittime o promettono che immoleranno loro stessi". E prosegue: "Altri hanno simulacri di smisurata grandezza le cui membra conteste di vimini riempiono di uomini vivi; poi danno loro fuoco". Pratiche rituali analoghe vengono raccontate anche da Plinio e da Tacito negli Annales (XIV, 30) ed esistevano, contemporaneamente, anche presso Britanni ed abitanti dell'Irlanda. Se ci spostiamo fuori dall'Europa le cose, addirittura, peggiorano.

Gli Aztechi, e, in misura minore, anche gli Incas, prima dell'arrivo del Cristianesimo, erano convinti che fosse continuamente necessario sacrificare alle forze naturali, specie al dio Sole, per evitare che questo cessasse la sua funzione e si spegnesse: "A insanguinare ogni giorno i gradini degli enormi templi era quest'ansia ossessionante di non lasciare finire il mondo, un'ansia che raggiungeva il suo culmine ogni cinquantadue anni, quando la minaccia della catastrofe si faceva più concreta ed imminente" (Bernal Diaz del Castillo, "La conquista del Messico", Longanesi). Così presso gli Aztechi i sacerdoti scaraventavano la vittima sull'altare, per poi piantare il coltello nella cassa toracica, sino a strappare il cuore, da offrire agli dei ancora palpitante. I corpi venivano allora gettati dai gradoni del tempio, per essere ulteriormente seviziati (Luigi Lunari, "Cortes", Rizzoli; G.C. Vailiant, "La civiltà Azteca", Einaudi). Infine gli arti venivano donati, a seconda del loro pregio, a sacerdoti e guerrieri, per essere mangiati. Tra gli Incas la situazione era analoga: bambini e vergini venivano sgozzati, strangolati o espiantati del cuore, alla maniera azteca, per allontanare carestie, epidemie, catastrofi naturali. Si arrivavano a sacrificare migliaia di persone in un solo giorno. Queste vere e proprie mattanze determinarono la necessità di continue guerre coi popoli vicini per procurare i sacrificandi.

Un altro tipo di "sacrificio" che scompare con l'avvento del Cristianesimo è quello dei giochi gladiatori. E' l'imperatore Costantino, il figlio di Santa Elena, ad abolire questa usanza crudele che causava la morte di migliaia di persone, uccise nelle finte battaglie navali o terrestri che si svolgevano negli anfiteatri di tutta la latinità. Come racconta lo storico pagano Tacito nei circhi la gente veniva anche condannata ad bestias, ad essere sbranata dalle belve, oppure, all'epoca di Nerone, specie i cristiani, venivano cosparsi di pece e bruciati vivi. Ma anche i gladiatori, fino a Costantino, potevano subire l'atroce morte prevista dall'auctoratus (Salvatore di Marzo, "Istituzioni di diritto romano", Giuffrè), e cioè dal contratto per cui il gladiatore poteva essere bruciato, legato e ucciso col ferro (uri, vinciri, ferroque necari). Non è inesatto concludere, quindi, che il Sacrificio di Cristo cambia la storia, ponendo fine alle varie forme di sacrificio umano esistenti nell'Antichità (da un vecchio articolo pubblicato sul Foglio, in cui riprendo un concetto che ho espresso più volte)

Fonte:Libertà e Persona

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