sabato 22 novembre 2008

LE PROMESSE DA MARINAI DELLA NOSTRA CLASSE POLITICA


Da un semplice confronto, un parlamentare spagnolo (tutto compreso) costa alla collettività 281 mila euro, quello italiano 1 milione e 630 mila euro.


Correva l’anno 2008. Era aprile. L’Italia si apprestava a tornare alle urne. Il disco più gettonato nella campagna elettorale era il taglio del costo della politica. E non c’era candidato che non si sottraesse alla gara. Presentando le "sette missioni per il futuro dell’Italia", Berlusconi prometteva: «Il nostro impegno sarà sul lato della spesa pubblica, a partire dal costo della politica». Il leader del Pd Walter Veltroni rilanciava con un piano di risparmi da un miliardo di euro, sempre sforbiciando i costi della politica.

Pochi giorni dopo il voto, Gianfranco Fini, in procinto di diventare presidente della Camera, dichiarava: «Penso che gli italiani siano disponibili a fare dei sacrifici, ma pongono delle condizioni che sono moralmente imperative: che ci sia l’esempio da parte di chi ha responsabilità. La diminuzione del costo della politica e dei privilegi sarà una delle sfide non solo del Governo, ma della nuova legislatura».

Del resto, in passato, il leader di An assieme a Di Pietro aveva presentato, in pompa magna, un disegno di legge bipartisan: 32 articoli che promettevano tagli per 600 milioni di euro, un ottavo del costo totale della politica (che è di circa 4 miliardi di euro).

Corre ancora l’anno 2008. Ma i politici fanno come i marinai: "Passata la festa, gabbato il santo". Così, la primavera delle promesse elettorali è ora l’autunno delle disillusioni. Il solito "duo guastafeste", Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (poco simpatici ai politici, che reagiscono cominciando a screditarli), ci rivelano che la Casta non solo non ha diminuito il costo della politica, ma è riuscita a farla lievitare di 100 milioni di euro. E, al tempo stesso, chiede ai cittadini tagli e sacrifici.

Grazie a tante piccole spesucce, tipo le agendine per i senatori alla modica cifra di 260 mila euro (più di mezzo miliardo di lire); o anche agli "assegni di solidarietà" (7 milioni e 251 mila euro) ai senatori rimasti senza seggio per facilitare il loro reinserimento nella vita sociale (ma prima dov’erano?)... e via così, di spesa in spesa. Da Roma alle Regioni, che non sono per nulla virtuose. Anzi. I compensi dei governatori italiani fanno sbiancare quelli di chi governa gli Stati americani.

Mentre in Italia, senza pudore, i padroni del vapore si tengono stretti i loro privilegi, in Spagna i partiti si autotagliano i finanziamenti statali di 17 milioni di euro. E, intanto, la gente arranca e il costo del disagio si scarica sulle famiglie. Come al solito. Nessuno prende in seria considerazione l’allarme lanciato da Caritas e Fondazione Zancan: oggi 15 milioni di italiani sono a rischio povertà. Di questi, 7 milioni e mezzo vivono con un reddito mensile di 500-600 euro. E come se non bastasse, anche da noi i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. L’Italia è al sesto posto nella classifica Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con le più alte disuguaglianze, dopo Messico, Turchia, Portogallo, Stati Uniti e Polonia.

La crisi colpisce in misura drammatica le famiglie, stressate e in attesa di interventi di lunga durata, e non più di briciole, bonus o elemosine. Crescono i poveri, ma si impenna anche il numero di disoccupati e cassaintegrati. A fronte di una Casta arrogantemente arroccata a difesa dei propri privilegi. La sfiducia nella politica è una marea che monta. Pericolosamente. «La credibilità della politica non è mai stata così bassa e l’ostilità così alta»: parola di Fini, quando correva l’ottobre 2007 e i politici promettevano di dare il "buon esempio". Promesse da marinai allora e ancora oggi.

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Da un semplice confronto, un parlamentare spagnolo (tutto compreso) costa alla collettività 281 mila euro, quello italiano 1 milione e 630 mila euro.


Correva l’anno 2008. Era aprile. L’Italia si apprestava a tornare alle urne. Il disco più gettonato nella campagna elettorale era il taglio del costo della politica. E non c’era candidato che non si sottraesse alla gara. Presentando le "sette missioni per il futuro dell’Italia", Berlusconi prometteva: «Il nostro impegno sarà sul lato della spesa pubblica, a partire dal costo della politica». Il leader del Pd Walter Veltroni rilanciava con un piano di risparmi da un miliardo di euro, sempre sforbiciando i costi della politica.

Pochi giorni dopo il voto, Gianfranco Fini, in procinto di diventare presidente della Camera, dichiarava: «Penso che gli italiani siano disponibili a fare dei sacrifici, ma pongono delle condizioni che sono moralmente imperative: che ci sia l’esempio da parte di chi ha responsabilità. La diminuzione del costo della politica e dei privilegi sarà una delle sfide non solo del Governo, ma della nuova legislatura».

Del resto, in passato, il leader di An assieme a Di Pietro aveva presentato, in pompa magna, un disegno di legge bipartisan: 32 articoli che promettevano tagli per 600 milioni di euro, un ottavo del costo totale della politica (che è di circa 4 miliardi di euro).

Corre ancora l’anno 2008. Ma i politici fanno come i marinai: "Passata la festa, gabbato il santo". Così, la primavera delle promesse elettorali è ora l’autunno delle disillusioni. Il solito "duo guastafeste", Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (poco simpatici ai politici, che reagiscono cominciando a screditarli), ci rivelano che la Casta non solo non ha diminuito il costo della politica, ma è riuscita a farla lievitare di 100 milioni di euro. E, al tempo stesso, chiede ai cittadini tagli e sacrifici.

Grazie a tante piccole spesucce, tipo le agendine per i senatori alla modica cifra di 260 mila euro (più di mezzo miliardo di lire); o anche agli "assegni di solidarietà" (7 milioni e 251 mila euro) ai senatori rimasti senza seggio per facilitare il loro reinserimento nella vita sociale (ma prima dov’erano?)... e via così, di spesa in spesa. Da Roma alle Regioni, che non sono per nulla virtuose. Anzi. I compensi dei governatori italiani fanno sbiancare quelli di chi governa gli Stati americani.

Mentre in Italia, senza pudore, i padroni del vapore si tengono stretti i loro privilegi, in Spagna i partiti si autotagliano i finanziamenti statali di 17 milioni di euro. E, intanto, la gente arranca e il costo del disagio si scarica sulle famiglie. Come al solito. Nessuno prende in seria considerazione l’allarme lanciato da Caritas e Fondazione Zancan: oggi 15 milioni di italiani sono a rischio povertà. Di questi, 7 milioni e mezzo vivono con un reddito mensile di 500-600 euro. E come se non bastasse, anche da noi i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. L’Italia è al sesto posto nella classifica Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con le più alte disuguaglianze, dopo Messico, Turchia, Portogallo, Stati Uniti e Polonia.

La crisi colpisce in misura drammatica le famiglie, stressate e in attesa di interventi di lunga durata, e non più di briciole, bonus o elemosine. Crescono i poveri, ma si impenna anche il numero di disoccupati e cassaintegrati. A fronte di una Casta arrogantemente arroccata a difesa dei propri privilegi. La sfiducia nella politica è una marea che monta. Pericolosamente. «La credibilità della politica non è mai stata così bassa e l’ostilità così alta»: parola di Fini, quando correva l’ottobre 2007 e i politici promettevano di dare il "buon esempio". Promesse da marinai allora e ancora oggi.

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