domenica 19 ottobre 2008

La Cassazione non ha dubbi: chi dà del rimbambito ad un uomo politico, esercita un diritto e adempie ad un dovere


Di Salvatore Parlagreco

Sono poche le buone notizie e quando ne arriva una occorre valorizzarla, conservarla nella memoria e nutrirsene quanto più a lungo possibile. Non è facile, ma bisogna assolutamente riuscirci per farne uno strumento che ci preservi dalla depressione (psicologica prima che economica).

La buona notizia, dunque. La Cassazione ha sdoganato gli insulti rivolti agli uomini politici: è lecito dare del rimbambito a qualcuno a patto che sia un uomo politico. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, contraddicendo la sentenza di un tribunale e di una Corte di Appello (pronunciatisi per il risarcimento del danno morale), ha annullato la condanna senza rinvio, sulla base dell’articolo 51 del codice penale: non può essere punito colui che esercita un diritto o adempie ad un dovere.

Secondo la Corte dare del rimbambito a qualcuno, dunque, costituisce l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere. Non si scappa.

E vi pare niente?

Lo storico verdetto nasce da un episodio vecchio di qualche anno. Il sindaco di un piccolo comune si era rivolto ad un consigliere comunale, intervenuto durante l’assemblea, con una espressione assai colorita: “Mi scusi, per un attimo avevo dimenticato che lei è il solito rimbambito”.

Il consigliere, risentito, umiliato ed offeso, ha presentato querela per diffamazione. Gli pè stato dato torto.

Se il sindaco avesse usato altri insulti, come buffone o ridicolo, non sarebbe cambiato niente.

L’importante, spiega nella motivazione la Corte, è che l’insulto sia calato in un contesto politico. Una pubblica assemblea è un contesto che consente l’impunità a chi insulta.

Rimbambito, buffone o ridicolo, scrivono i giudici, "nel preciso contesto di una pubblica assemblea avente per oggetto temi dibattuti di interesse amministrativo locale, non sono state ritenute eccedenti i limiti della lecita manifestazione di dissensop su iniziative e comportamenti politici”.

I magistrati della Cassazione, però, concedono un limite alla libera espressione dell’insulto: va punito chi “con assoluta certezza” intenda “riferirsi alla persona in sé” e non “al suo comportamento come uomo pubblico”.

Il problema può nascere; in tal caso come fa il giudice a stabilire oltre ogni ragione dubbio, come dicono gli americani, che l’attribuzione della caratteristica di rimbambito sia riferita alla persona in sé e non al suo ruolo di pubblico ufficiale?

Intendiamoci, il fatto che non sia un’aggravante insultare un uompo politico - nella fatispecie un consigliere comunale - e costituisca una ragione di non punibilità, dovrebbe appagare antichi bisogni di cittadini comuni e suggerirci di non andare a fondo della questione (A chi non è capitato di volere dare del rimbambito ad un amministratore, autore di imbecillità quotidiane e causa di guai).

Va bene vincere, non è saggio stravincere.

Ad essere onesti bisogna ricordare che la nostra Costituzione non discrimina alcun cittadino, qualunque sia il mestiere che fa e le opinioni che ha. Una lancia va spezzata a favore dell’uomo politico, non tutelato in questa circostanza.

Vorremmo sapere perché non si possa attribuire il rimbambimento ad un giornalista che scrive fesserie, o ad un professore che dice corbellerie, o ancora ad un giudice che prende lucciole per lanterne o ancora ad un medico che sbaglia diagnosi.

La politica è la più alta espressione della cittadinanza, lo strumento della democrazia, il mezzo di cui bisogna servirsi per giungere a decisioni condivise per governare interessi generali. Concedere l’impunità a chi insulta un uomo politico, significa, magari senza volerlo, discriminare un uomo politico rimbambito da un medico rimbambito, un giornalista rimbambito o un magistrato rimbambito. Semmai bisognerebbe discriminare i rimbambiti tout court dal resto della popolazione, ma sarebbe un obiettivo troppo ampio e di non facile soluzione.

E’ opportuno, perciò che la liberalità manifestata dalla Corte di cassazione nei confronti di chi elargisce “in un preciso contesto”, l’insulto per manifestare il proprio dissenso, sia mantenuta in altri contesti, a meno che - s’intende - non ci si riferisca alla persona in sé, piuttosto che al suo comportamento come professionista. Giusto come è stato avvedutamente stabilito a proposito dell'umo politico ninsultato dal sindaco.

La ratio del verdetto va rispettata in ogni ambito.

Non ci sorprenderemmo, pertanto, che l’epiteto di rimbambito sia dissequestrato dall’ambito ristretto cui è stato costretto nel pronunciamento in esame e sia accettato altrove come esercizio di un diritto.

La Cassazione ha aperto una strada che potrà essere percorsa anche da chi non abita le assemblee politiche ed espleta il suo lavoro altrove (un ospedale, una fabbrica, una scuola, l’università).

Nutriamo, tuttavia, qualche perplessità: verrà permesso che in ambito accademico, uno studente, nel contesto dato, possa giudicare rimbambito il professore, che pure a causa di quanto detto sarebbe lecito sospettaredi rimbambimento?

Non aspettiamoci grandi novità. Il recinto dei rimbambiti resta quello della politica. Secondo la Cassazione, allo stato attuale non bisogna rimanere dentro il recinto.

Non è giusto, ma è così.

Fonte: Sicilia informazioni

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Di Salvatore Parlagreco

Sono poche le buone notizie e quando ne arriva una occorre valorizzarla, conservarla nella memoria e nutrirsene quanto più a lungo possibile. Non è facile, ma bisogna assolutamente riuscirci per farne uno strumento che ci preservi dalla depressione (psicologica prima che economica).

La buona notizia, dunque. La Cassazione ha sdoganato gli insulti rivolti agli uomini politici: è lecito dare del rimbambito a qualcuno a patto che sia un uomo politico. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, contraddicendo la sentenza di un tribunale e di una Corte di Appello (pronunciatisi per il risarcimento del danno morale), ha annullato la condanna senza rinvio, sulla base dell’articolo 51 del codice penale: non può essere punito colui che esercita un diritto o adempie ad un dovere.

Secondo la Corte dare del rimbambito a qualcuno, dunque, costituisce l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere. Non si scappa.

E vi pare niente?

Lo storico verdetto nasce da un episodio vecchio di qualche anno. Il sindaco di un piccolo comune si era rivolto ad un consigliere comunale, intervenuto durante l’assemblea, con una espressione assai colorita: “Mi scusi, per un attimo avevo dimenticato che lei è il solito rimbambito”.

Il consigliere, risentito, umiliato ed offeso, ha presentato querela per diffamazione. Gli pè stato dato torto.

Se il sindaco avesse usato altri insulti, come buffone o ridicolo, non sarebbe cambiato niente.

L’importante, spiega nella motivazione la Corte, è che l’insulto sia calato in un contesto politico. Una pubblica assemblea è un contesto che consente l’impunità a chi insulta.

Rimbambito, buffone o ridicolo, scrivono i giudici, "nel preciso contesto di una pubblica assemblea avente per oggetto temi dibattuti di interesse amministrativo locale, non sono state ritenute eccedenti i limiti della lecita manifestazione di dissensop su iniziative e comportamenti politici”.

I magistrati della Cassazione, però, concedono un limite alla libera espressione dell’insulto: va punito chi “con assoluta certezza” intenda “riferirsi alla persona in sé” e non “al suo comportamento come uomo pubblico”.

Il problema può nascere; in tal caso come fa il giudice a stabilire oltre ogni ragione dubbio, come dicono gli americani, che l’attribuzione della caratteristica di rimbambito sia riferita alla persona in sé e non al suo ruolo di pubblico ufficiale?

Intendiamoci, il fatto che non sia un’aggravante insultare un uompo politico - nella fatispecie un consigliere comunale - e costituisca una ragione di non punibilità, dovrebbe appagare antichi bisogni di cittadini comuni e suggerirci di non andare a fondo della questione (A chi non è capitato di volere dare del rimbambito ad un amministratore, autore di imbecillità quotidiane e causa di guai).

Va bene vincere, non è saggio stravincere.

Ad essere onesti bisogna ricordare che la nostra Costituzione non discrimina alcun cittadino, qualunque sia il mestiere che fa e le opinioni che ha. Una lancia va spezzata a favore dell’uomo politico, non tutelato in questa circostanza.

Vorremmo sapere perché non si possa attribuire il rimbambimento ad un giornalista che scrive fesserie, o ad un professore che dice corbellerie, o ancora ad un giudice che prende lucciole per lanterne o ancora ad un medico che sbaglia diagnosi.

La politica è la più alta espressione della cittadinanza, lo strumento della democrazia, il mezzo di cui bisogna servirsi per giungere a decisioni condivise per governare interessi generali. Concedere l’impunità a chi insulta un uomo politico, significa, magari senza volerlo, discriminare un uomo politico rimbambito da un medico rimbambito, un giornalista rimbambito o un magistrato rimbambito. Semmai bisognerebbe discriminare i rimbambiti tout court dal resto della popolazione, ma sarebbe un obiettivo troppo ampio e di non facile soluzione.

E’ opportuno, perciò che la liberalità manifestata dalla Corte di cassazione nei confronti di chi elargisce “in un preciso contesto”, l’insulto per manifestare il proprio dissenso, sia mantenuta in altri contesti, a meno che - s’intende - non ci si riferisca alla persona in sé, piuttosto che al suo comportamento come professionista. Giusto come è stato avvedutamente stabilito a proposito dell'umo politico ninsultato dal sindaco.

La ratio del verdetto va rispettata in ogni ambito.

Non ci sorprenderemmo, pertanto, che l’epiteto di rimbambito sia dissequestrato dall’ambito ristretto cui è stato costretto nel pronunciamento in esame e sia accettato altrove come esercizio di un diritto.

La Cassazione ha aperto una strada che potrà essere percorsa anche da chi non abita le assemblee politiche ed espleta il suo lavoro altrove (un ospedale, una fabbrica, una scuola, l’università).

Nutriamo, tuttavia, qualche perplessità: verrà permesso che in ambito accademico, uno studente, nel contesto dato, possa giudicare rimbambito il professore, che pure a causa di quanto detto sarebbe lecito sospettaredi rimbambimento?

Non aspettiamoci grandi novità. Il recinto dei rimbambiti resta quello della politica. Secondo la Cassazione, allo stato attuale non bisogna rimanere dentro il recinto.

Non è giusto, ma è così.

Fonte: Sicilia informazioni

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