sabato 13 settembre 2008

30 maggio 1799: Giuseppe Federici guida gli Insorgenti riminesi


Estratto dal testo della relazione di Marco Rossi tenuta il 18 dicembre 1999 a Rimini durante il convegno svoltosi nella Sala degli Archi, nel Palazzo dell’Arengo, sul tema: “Bilancio del bicentenario delle Insorgenze antigiacobine a Rimini e nelle altre città degli antichi Stati Italiani. La vittoria della verità storica sulle mistificazioni della storiografia ufficiale”. È stato conservato lo stile parlato. Il relatore, sulla scia degli studi dello storico Francesco Mario Angoli, ripercorre le tappe salienti delle Insorgenze in Romagna, tracciando una mappa provvisoria.



Il 1799 è l'anno della grande Insorgenza che portò alla liberazione della Romagna dalle truppe rivoluzionarie (liberazione momentanea, in quanto l'anno seguente i francesi riprenderanno i territori perduti).
Il 17 maggio 1799 il Conte Matteo Manzoni, proclamato Comandante in campo di tutte le forze controrivoluzionarie di Lugo, forte dell'avanzata delle truppe austro-russe comandate dal gen. Suvarow, al grido di "Viva Francesco II! Viva Pio VI!" abbatte i simboli repubblicani e affigge stemmi pontifici e immagini della Santa Vergine.
Il 7 aprile 1799 avviene la prima Insorgenza di Rimini. Come racconta il cronista Zanotti nel suo manoscritto "Giornale di Rimino", la causa della sollevazione é la negazione da parte delle autorità francesi di portare in processione la statua della S. Vergine dell'Acqua a cui il popolo riminese era particolarmente devoto, invocata in particolare nei periodi di siccità o di abbondanza di piogge. La processione si doveva tenere entro il sagrato della Chiesa e non percorrere le pubbliche vie.

Al momento in cui i sacerdoti giunti al termine del chiostro si apprestavano a rientrare in chiesa, dalla grande moltitudine (le cronache parlano di circa 8.000 persone, fra cui molti contadini confluiti dal contado per la cerimonia) si levò un grido unanime: "Fuori la processione! Viva Maria!".
Scrive lo storico Francesco Mario Agnoli, le cui ricerche d'archivio sono state determinanti per questa mia relazione: "...alcuni preti tentano di rifiutarsi, altri, come don Antonio Chiodini, famoso in città per le sue doti di predicatore e per il suo antigiacobinismo, si adeguano prontamente alla volontà della folla, conducendo verso la piazza la processione, che le guardie nazionali qui collocate a tal fine tentano invano di fermare.
L'ufficiale comandante punta una pistola al petto del chierico che regge la croce, minacciando lui e i vicini della vita, ma, evidentemente, è passata una parola d'ordine. I contadini questa volta sono organizzati e rispondono alla minaccia impugnando i bastoni, le roncole e le mannaie celate fino a quel punto sotto i panni e precipitandosi sulle guardie, che si volgono a precipitosa fuga sicché la processione, pur abbandonata alla chetichella da molti preti, timorosi delle reazioni dell'autorità, può compiere interamente il percorso consacrato dalla tradizione" (da: "Le Insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino (1796-1799)", ed. Apes, Roma 1992, pag. 193)..

Il 27 maggio insorgono Saludecio, Montecerignone, Sasso Feltrio, Pennabilli e tutte le vallate tra il Cesenate e Montefeltro. A Pennabilli gli Insorgenti, guidati dal dottore Luigi Guidi, abbattono l’albero della libertà e, reso omaggio alla Madonna delle Grazie, si dirigono verso S.Leo che dalla presa del 1797 era stata rioccupata dai francesi.
Il 12 luglio sarà ancora una volta in mano degli Insorgenti.

Il 30 maggio 1799 viene liberata Faenza che, occupata di forza dalle truppe del gen. Hulin, viene assalita dagli insorti di Forlì, Lugo e Ravenna coalizzati insieme, tanto da costringere il generale con tutte le sue truppe ad una precipitosa fuga.
A Forlì il marchese Francesco Paolucci, a capo del “Direttorio Segreto della Felice Insorgenza”, disarma la Guardia nazionale, procede all’abbattimento di ogni simbolo rivoluzionario e ordina l’arresto di tutti i collaborazionisti giacobini.
Nello stesso giorno divampa la Grande Insorgenza riminese.
Questa nostra giornata commemorativa si riferisce principalmente a quel 30 maggio del 1799: è la pagina storica in cui compare con tutta la sua forza e la sua audacia la figura di Giuseppe Federici, alla cui memoria oggi abbiamo scoperto una lapide tra le mura del Borgo San Giuliano che, insieme al Borgo S. Nicolò, raccoglieva il maggior numero di pescatori.

All'epoca dei fatti, come narra sempre lo Zanotti, Rimini era occupata dalle truppe del gen. Fabert, che erano in allarme in seguito all'avvistamento al largo della costa riminese di un vascello austriaco, comandato dal tenente Carlo Martiniz.
Il generale temendo uno sbarco improvviso fa costruire delle trincee nelle quali colloca alcuni cannoni per rispondere ad eventuali bordate della nave, ma proprio quando si apprestava ad ordinare il fuoco, venne assalito da un gruppo di marinai e pescatori riminesi, incitati da un anziano "Parone" (proprietario di barca) di nome Giuseppe Federici, soprannominato il "Glorioso", che con sassi, remi e bastoni si precipitarono sui francesi costretti a riparare in città.

Lo Zanotti, nella sua opera già citata, così descrive il Federici:
"(...) Li precede il Parone Giuseppe Federici nostro borgheggiano chiamato volgarmente "il glorioso". Uomo alto di statura, ed attempato, che da lunga ed oscura berretta in testa distinto, e da nera giubba vestito, abbraccia un grosso e tronco fucile e capo si scorge dell'insorta marinareccia. Si tengon dietro alcuni suoi fratelli, è una turba numerosa di gente sussurrante dal porto...".

Il Martiniz, resosi conto dell'accaduto, ha in questo modo la possibilità di entrare in porto, scendere a terra e marciare al fianco dei pescatori verso la città dove erano rifugiati i francesi.
I soldati di guardia alle porte non oppongono resistenza e gli insorti per le strade del centro chiamano i cittadini alle armi al grido di "Morte alla Repubblica! Morte ai giacobini! Viva il Papa! Viva l'Imperatore! Viva la Religione!".
La folla degli insorti ingrossa ed il Fabert preferisce lasciare Rimini per la porta di San Giuliano. Alla fuga dei francesi segue l'abbruciamento degli alberi della libertà, la distruzione delle insegne repubblicane, la neutralizzazione dei giacobini riminesi.

Il giorno seguente è dedicato ai festeggiamenti: una gran massa di contadini proveniente dai monti armati di falci, zappe, mannaie, spade rugginose e qualche archibugio festeggia nelle piazze, ma la festa è interrotta dalla notizia che il Fabert anziché dirigersi verso Bologna, come si era creduto, sta rientrando in Rimini attraverso il Borgo San Giuliano.

Il Martiniz, coadiuvato dal Federici, riorganizzano la massa di insorti e dopo uno scontro di circa un'ora costringe il Fabert a ripiegare su Santa Giustina. A questo punto emerge l'esperienza militare del tenente Martiniz che anziché ritornare alla tranquillità sino a nuovo attacco del nemico, organizza rapidamente una sessantina di cavalleggeri con i quali piomba nel cuore della notte sulle truppe del Fabert, accampate appunto a Santa Giustina, costringendolo, dopo un breve combattimento, ad una definitiva rotta. Il Fabert riuscirà a fuggire a San Leo, dove però sarà catturato e fatto prigioniero dagli insorti.
Con questo episodio termina la breve cronologia delle più importanti Insorgenze della Romagna pontificia durante il triennio giacobino.
Prima di concludere vorrei attirare l'attenzione su un avvenimento che si verificò a Rimini nel 1796, apparentemente senza legami con i moti insurrezionali antigiacobini. In quell'anno un'immagine della Madonna mosse miracolosamente gli occhi, fatto registrato anche in altri luoghi dello Stato della Chiesa.
Inserisco questo episodio all'interno della cronaca delle Insorgenze antirivoluzionarie poichè ritengo che la Santa Vergine, con questi miracoli, abbia voluto rafforzare la fede dei suoi figli in un momento di particolare prova, come premio per la fedeltà rivoltale nel corso di tanti secoli.
L'Immagine della Santa Vergine oggetto del miracolo era quella conservata nella Chiesa della confraternita di San Girolamo, (chiesa andata distrutta con gli indiscriminati bombardamenti americani della seconda guerra mondiale) opera di Giovan Battista Costa; una copia fu eseguita dal Soleri e collocata nella chiesa di Santa Chiara, protagonista del famoso miracolo del 1850.

Lo Zanotti, nel suo "Giornale di Rimino", così descrive il miracoloso episodio del 1796: "La sera del 20 luglio si sparse la voce a Rimini di uno strepitoso prodigio in un'immagine della B.ma Vergine che le pupille alzava al cielo, ora e le abbassava a terra. A tale notizia tutto il popolo si affollò ad ammirarlo e veduto da non pochi ne rimase estremamente commosso prorompendo in pianti sospiri ed esclamazioni. Per ben due ore mi stetti assai da vicino di proposito all'immagine, ed ebbi la particolarissima consolazione di scorgere le brillanti sue pupille volgersi ora da uno ora dall'alto lato, ed ora alzarsi ed ora abbassarsi. Un soave angelico piacere inondò allora l'umiliato mio cuore l'alma rallegrassi in non usitato modo". Questo miracolo fu seguito nei giorni successivi da cerimonie e processioni a cui partecipò l'intera popolazione riminese.

Concludo con una considerazione finale. Il fenomeno della controrivoluzione è del tutto sconosciuto al grande pubblico. Studiando e approfondendo questo periodo storico si resta impressionati da come nelle Legazioni romagnole ed in tutti gli antichi Stati italiani, migliaia di persone siano insorte per difendere la religione cattolica e la civiltà. Si rimane ancora più stupiti quando si pensa come la storiografia ufficiale abbia saputo occultare tutto questo e cancellarlo dalla coscienza popolare.

Eppure gli Insorgenti della fine del XVIII secolo hanno molto da insegnare agli uomini del XX secolo: in particolare ci insegnano che la Fede non deve essere strumentalizzata o avvilita dall'autorità costituita ma, al contrario, posta come fondamento di ogni istituzione e presa come punto di riferimento da ogni buon governo.
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Estratto dal testo della relazione di Marco Rossi tenuta il 18 dicembre 1999 a Rimini durante il convegno svoltosi nella Sala degli Archi, nel Palazzo dell’Arengo, sul tema: “Bilancio del bicentenario delle Insorgenze antigiacobine a Rimini e nelle altre città degli antichi Stati Italiani. La vittoria della verità storica sulle mistificazioni della storiografia ufficiale”. È stato conservato lo stile parlato. Il relatore, sulla scia degli studi dello storico Francesco Mario Angoli, ripercorre le tappe salienti delle Insorgenze in Romagna, tracciando una mappa provvisoria.



Il 1799 è l'anno della grande Insorgenza che portò alla liberazione della Romagna dalle truppe rivoluzionarie (liberazione momentanea, in quanto l'anno seguente i francesi riprenderanno i territori perduti).
Il 17 maggio 1799 il Conte Matteo Manzoni, proclamato Comandante in campo di tutte le forze controrivoluzionarie di Lugo, forte dell'avanzata delle truppe austro-russe comandate dal gen. Suvarow, al grido di "Viva Francesco II! Viva Pio VI!" abbatte i simboli repubblicani e affigge stemmi pontifici e immagini della Santa Vergine.
Il 7 aprile 1799 avviene la prima Insorgenza di Rimini. Come racconta il cronista Zanotti nel suo manoscritto "Giornale di Rimino", la causa della sollevazione é la negazione da parte delle autorità francesi di portare in processione la statua della S. Vergine dell'Acqua a cui il popolo riminese era particolarmente devoto, invocata in particolare nei periodi di siccità o di abbondanza di piogge. La processione si doveva tenere entro il sagrato della Chiesa e non percorrere le pubbliche vie.

Al momento in cui i sacerdoti giunti al termine del chiostro si apprestavano a rientrare in chiesa, dalla grande moltitudine (le cronache parlano di circa 8.000 persone, fra cui molti contadini confluiti dal contado per la cerimonia) si levò un grido unanime: "Fuori la processione! Viva Maria!".
Scrive lo storico Francesco Mario Agnoli, le cui ricerche d'archivio sono state determinanti per questa mia relazione: "...alcuni preti tentano di rifiutarsi, altri, come don Antonio Chiodini, famoso in città per le sue doti di predicatore e per il suo antigiacobinismo, si adeguano prontamente alla volontà della folla, conducendo verso la piazza la processione, che le guardie nazionali qui collocate a tal fine tentano invano di fermare.
L'ufficiale comandante punta una pistola al petto del chierico che regge la croce, minacciando lui e i vicini della vita, ma, evidentemente, è passata una parola d'ordine. I contadini questa volta sono organizzati e rispondono alla minaccia impugnando i bastoni, le roncole e le mannaie celate fino a quel punto sotto i panni e precipitandosi sulle guardie, che si volgono a precipitosa fuga sicché la processione, pur abbandonata alla chetichella da molti preti, timorosi delle reazioni dell'autorità, può compiere interamente il percorso consacrato dalla tradizione" (da: "Le Insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino (1796-1799)", ed. Apes, Roma 1992, pag. 193)..

Il 27 maggio insorgono Saludecio, Montecerignone, Sasso Feltrio, Pennabilli e tutte le vallate tra il Cesenate e Montefeltro. A Pennabilli gli Insorgenti, guidati dal dottore Luigi Guidi, abbattono l’albero della libertà e, reso omaggio alla Madonna delle Grazie, si dirigono verso S.Leo che dalla presa del 1797 era stata rioccupata dai francesi.
Il 12 luglio sarà ancora una volta in mano degli Insorgenti.

Il 30 maggio 1799 viene liberata Faenza che, occupata di forza dalle truppe del gen. Hulin, viene assalita dagli insorti di Forlì, Lugo e Ravenna coalizzati insieme, tanto da costringere il generale con tutte le sue truppe ad una precipitosa fuga.
A Forlì il marchese Francesco Paolucci, a capo del “Direttorio Segreto della Felice Insorgenza”, disarma la Guardia nazionale, procede all’abbattimento di ogni simbolo rivoluzionario e ordina l’arresto di tutti i collaborazionisti giacobini.
Nello stesso giorno divampa la Grande Insorgenza riminese.
Questa nostra giornata commemorativa si riferisce principalmente a quel 30 maggio del 1799: è la pagina storica in cui compare con tutta la sua forza e la sua audacia la figura di Giuseppe Federici, alla cui memoria oggi abbiamo scoperto una lapide tra le mura del Borgo San Giuliano che, insieme al Borgo S. Nicolò, raccoglieva il maggior numero di pescatori.

All'epoca dei fatti, come narra sempre lo Zanotti, Rimini era occupata dalle truppe del gen. Fabert, che erano in allarme in seguito all'avvistamento al largo della costa riminese di un vascello austriaco, comandato dal tenente Carlo Martiniz.
Il generale temendo uno sbarco improvviso fa costruire delle trincee nelle quali colloca alcuni cannoni per rispondere ad eventuali bordate della nave, ma proprio quando si apprestava ad ordinare il fuoco, venne assalito da un gruppo di marinai e pescatori riminesi, incitati da un anziano "Parone" (proprietario di barca) di nome Giuseppe Federici, soprannominato il "Glorioso", che con sassi, remi e bastoni si precipitarono sui francesi costretti a riparare in città.

Lo Zanotti, nella sua opera già citata, così descrive il Federici:
"(...) Li precede il Parone Giuseppe Federici nostro borgheggiano chiamato volgarmente "il glorioso". Uomo alto di statura, ed attempato, che da lunga ed oscura berretta in testa distinto, e da nera giubba vestito, abbraccia un grosso e tronco fucile e capo si scorge dell'insorta marinareccia. Si tengon dietro alcuni suoi fratelli, è una turba numerosa di gente sussurrante dal porto...".

Il Martiniz, resosi conto dell'accaduto, ha in questo modo la possibilità di entrare in porto, scendere a terra e marciare al fianco dei pescatori verso la città dove erano rifugiati i francesi.
I soldati di guardia alle porte non oppongono resistenza e gli insorti per le strade del centro chiamano i cittadini alle armi al grido di "Morte alla Repubblica! Morte ai giacobini! Viva il Papa! Viva l'Imperatore! Viva la Religione!".
La folla degli insorti ingrossa ed il Fabert preferisce lasciare Rimini per la porta di San Giuliano. Alla fuga dei francesi segue l'abbruciamento degli alberi della libertà, la distruzione delle insegne repubblicane, la neutralizzazione dei giacobini riminesi.

Il giorno seguente è dedicato ai festeggiamenti: una gran massa di contadini proveniente dai monti armati di falci, zappe, mannaie, spade rugginose e qualche archibugio festeggia nelle piazze, ma la festa è interrotta dalla notizia che il Fabert anziché dirigersi verso Bologna, come si era creduto, sta rientrando in Rimini attraverso il Borgo San Giuliano.

Il Martiniz, coadiuvato dal Federici, riorganizzano la massa di insorti e dopo uno scontro di circa un'ora costringe il Fabert a ripiegare su Santa Giustina. A questo punto emerge l'esperienza militare del tenente Martiniz che anziché ritornare alla tranquillità sino a nuovo attacco del nemico, organizza rapidamente una sessantina di cavalleggeri con i quali piomba nel cuore della notte sulle truppe del Fabert, accampate appunto a Santa Giustina, costringendolo, dopo un breve combattimento, ad una definitiva rotta. Il Fabert riuscirà a fuggire a San Leo, dove però sarà catturato e fatto prigioniero dagli insorti.
Con questo episodio termina la breve cronologia delle più importanti Insorgenze della Romagna pontificia durante il triennio giacobino.
Prima di concludere vorrei attirare l'attenzione su un avvenimento che si verificò a Rimini nel 1796, apparentemente senza legami con i moti insurrezionali antigiacobini. In quell'anno un'immagine della Madonna mosse miracolosamente gli occhi, fatto registrato anche in altri luoghi dello Stato della Chiesa.
Inserisco questo episodio all'interno della cronaca delle Insorgenze antirivoluzionarie poichè ritengo che la Santa Vergine, con questi miracoli, abbia voluto rafforzare la fede dei suoi figli in un momento di particolare prova, come premio per la fedeltà rivoltale nel corso di tanti secoli.
L'Immagine della Santa Vergine oggetto del miracolo era quella conservata nella Chiesa della confraternita di San Girolamo, (chiesa andata distrutta con gli indiscriminati bombardamenti americani della seconda guerra mondiale) opera di Giovan Battista Costa; una copia fu eseguita dal Soleri e collocata nella chiesa di Santa Chiara, protagonista del famoso miracolo del 1850.

Lo Zanotti, nel suo "Giornale di Rimino", così descrive il miracoloso episodio del 1796: "La sera del 20 luglio si sparse la voce a Rimini di uno strepitoso prodigio in un'immagine della B.ma Vergine che le pupille alzava al cielo, ora e le abbassava a terra. A tale notizia tutto il popolo si affollò ad ammirarlo e veduto da non pochi ne rimase estremamente commosso prorompendo in pianti sospiri ed esclamazioni. Per ben due ore mi stetti assai da vicino di proposito all'immagine, ed ebbi la particolarissima consolazione di scorgere le brillanti sue pupille volgersi ora da uno ora dall'alto lato, ed ora alzarsi ed ora abbassarsi. Un soave angelico piacere inondò allora l'umiliato mio cuore l'alma rallegrassi in non usitato modo". Questo miracolo fu seguito nei giorni successivi da cerimonie e processioni a cui partecipò l'intera popolazione riminese.

Concludo con una considerazione finale. Il fenomeno della controrivoluzione è del tutto sconosciuto al grande pubblico. Studiando e approfondendo questo periodo storico si resta impressionati da come nelle Legazioni romagnole ed in tutti gli antichi Stati italiani, migliaia di persone siano insorte per difendere la religione cattolica e la civiltà. Si rimane ancora più stupiti quando si pensa come la storiografia ufficiale abbia saputo occultare tutto questo e cancellarlo dalla coscienza popolare.

Eppure gli Insorgenti della fine del XVIII secolo hanno molto da insegnare agli uomini del XX secolo: in particolare ci insegnano che la Fede non deve essere strumentalizzata o avvilita dall'autorità costituita ma, al contrario, posta come fondamento di ogni istituzione e presa come punto di riferimento da ogni buon governo.

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