mercoledì 20 agosto 2008

La Primavera di Praga: che resta? Una riflessione


Solo pochi anni dopo la presa di potere da parte del Partito comunista ceco, i suoi membri compresero i bisogni della società ceca. I nomi di cittadini dissidenti, Vaclav Havel o Petr Uhl e gli uomini del Partito, Dubcek soprattutto, rappresentano l’emblema di una società nuova e libera.
Il “socialismo dal volto umano”, punto d’arrivo di un distacco della popolazione dalla logica
sistemica imposta dall’Urss, sembrava infine possibile.
Ma l’anniversario della “Primavera di Praga” ci autonomia fu gelata, esito scontato del potere di un regime che non esitò a definire questa fase, e il periodo che ne seguirà, “normalizzazione”.

Forse più che il giorno della repressione dovremmo ricordarci di questa lunga ricerca di libertà che si arrestò il giorno dell’intervento sovietico.
Petr Fleischman è Consigliere al Ministero degli Esteri della Repubblica Ceca.
Nel 1968, era sulle barricate di Parigi: «Mi divertivo con gli amici, ma appena potevo, cercavo una radio per sapere che succedeva a Praga. Perché? Quello che succedeva lì era ben più importante, a livello simbolico, del Maggio 1968», ricorda.
La riflessione di Fleischman prosegue:
«Gli avvenimenti di Praga hanno permesso alla sinistra dei Paesi democratici di sognare, anche solo per un momento, che fosse possibile un regime politico-economico capace di eliminare le ingiustizie del capitalismo senza toccare la libertà degli esseri umani».
Commemorare la “Primavera di Praga” in un momento in cui il liberalismo economico è trionfante rischia di far dimenticare che l’aspirazione di quel momento non era disfarsi di un sistema, ma umanizzarlo.

E, soprattutto, con la fine del comunismo, è arrivata la libertà? Se il Paese si costruisce sulla purificazione del suo passato, senza lasciare spazio all’idea di una redenzione del comunismo, si esime dal pensare a un mondo in cui il comunismo fu, un giorno, un’aspirazione collettiva? Possiamo pensare con Fleishmann che «mentre il regime è caduto, le strutture mentali create a suo tempo continuano a esistere in un anti-comunismo altrettanto dogmatico»?

La storia, quando viene sepolta, riesce sempre a trovare un modo per riemergere.

Grazie a Vítek Nejedlo
Leggi tutto »

Solo pochi anni dopo la presa di potere da parte del Partito comunista ceco, i suoi membri compresero i bisogni della società ceca. I nomi di cittadini dissidenti, Vaclav Havel o Petr Uhl e gli uomini del Partito, Dubcek soprattutto, rappresentano l’emblema di una società nuova e libera.
Il “socialismo dal volto umano”, punto d’arrivo di un distacco della popolazione dalla logica
sistemica imposta dall’Urss, sembrava infine possibile.
Ma l’anniversario della “Primavera di Praga” ci autonomia fu gelata, esito scontato del potere di un regime che non esitò a definire questa fase, e il periodo che ne seguirà, “normalizzazione”.

Forse più che il giorno della repressione dovremmo ricordarci di questa lunga ricerca di libertà che si arrestò il giorno dell’intervento sovietico.
Petr Fleischman è Consigliere al Ministero degli Esteri della Repubblica Ceca.
Nel 1968, era sulle barricate di Parigi: «Mi divertivo con gli amici, ma appena potevo, cercavo una radio per sapere che succedeva a Praga. Perché? Quello che succedeva lì era ben più importante, a livello simbolico, del Maggio 1968», ricorda.
La riflessione di Fleischman prosegue:
«Gli avvenimenti di Praga hanno permesso alla sinistra dei Paesi democratici di sognare, anche solo per un momento, che fosse possibile un regime politico-economico capace di eliminare le ingiustizie del capitalismo senza toccare la libertà degli esseri umani».
Commemorare la “Primavera di Praga” in un momento in cui il liberalismo economico è trionfante rischia di far dimenticare che l’aspirazione di quel momento non era disfarsi di un sistema, ma umanizzarlo.

E, soprattutto, con la fine del comunismo, è arrivata la libertà? Se il Paese si costruisce sulla purificazione del suo passato, senza lasciare spazio all’idea di una redenzione del comunismo, si esime dal pensare a un mondo in cui il comunismo fu, un giorno, un’aspirazione collettiva? Possiamo pensare con Fleishmann che «mentre il regime è caduto, le strutture mentali create a suo tempo continuano a esistere in un anti-comunismo altrettanto dogmatico»?

La storia, quando viene sepolta, riesce sempre a trovare un modo per riemergere.

Grazie a Vítek Nejedlo

Nessun commento:

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India