mercoledì 2 luglio 2008

La leggenda dei santi bevitori


Ricevo da Due Sicilie e posto:


Andrebbe riscritta la storia di questo Paese raccontato come una comunità di buoni e cattivi, fannulloni e intraprendenti, imprenditori sagaci e parassiti indolenti. Bisognerebbe mettere insieme il mosaico di un’Italia unita più di quanto si immagini, dove alcune “famiglie” del Sud e imprenditori intraprendenti del Nord hanno fatto, insieme, fortuna. Dobbiamo sfatarla la leggenda di un nord che si scrolla di dosso i clan come fossero mosche cocchiere, e di un Mezzogiorno che li fa nascere e li alleva. L’industria del Nord si è alleata con le mafie tutte le volte che gli è convenuto farlo. Gli episodi che provano in modo inconfutabile questa storica alleanza sono tanti e sotto gli occhi di tutti.Il più recente riguarda l’Italcementi.La Dda di Caltanissetta ha iscritto nel registro degli indagati Carlo Pesenti, amministratore delegato della Italcementi, nell'ambito dell'inchiesta antimafia della Calcestruzzi spa, con l’accusa di concorso in riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilita' di provenienza illecita, frode nelle pubbliche forniture, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e truffa, reati aggravati dall'avere avvantaggiato Cosa nostra. Appena una settimana fa il Capo dello Stato ha ricordato al leghismo indignato ed insofferente della Padania che le imprese del nord est hanno usato le discariche campane per lo smaltimento dei rifiuti tossici con il concorso dei clan camorristici. Un grande business, benedetto con il silenzio dal Nord duro e puro. I clan di camorra hanno messo a disposizione delle imprese del nord-est 800 tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di un'azienda chimica, per le discariche illegali a prezzi stracciati. Nel settore dell’Alta velocità, restando in Campania, gli intrallazzi fra imprese settentrionali e clan camorristici hanno rastrellato risorse pubbliche per diecimila miliardi di lire, di cui solo mille hanno remunerato le imprese per le opere realizzate. L’alleanza fra grandi gruppi industriali e mafie meridionali non è un fenomeno recente. Già negli anni novanta la magistratura scoperchiò la pentola della Feruzzi Spa, una holding di Ravenna, presente nell’Isola nel campo delle costruzioni, scoprendo che i suoi manager trescavano con i corleonesi per aggiudicarsi gli appalti pubblici più remunerativi. Le indagini, avviate a suo tempo da Falcone, hanno provato che la Calcestruzzi di Ravenna nel 1986 si era intestata fittizziamente le quote di una società di proprietà del boss di Passo di Rignano per sottrarla alla confisca. La santa Alleanza fra managment del nord e boss meridionali, è ancora più vecchia. Nelle aree industriali della Sicilia sono nati e si sono radicate le più potenti organizzazioni criminali siciliane. Se avessero incontrato resistenze l’esodo dei gruppi criminali non si sarebbe verificato. Il caso della Lodigiani, una grande impresa del nord molto presente in Sicilia, ci permette di capire più da vicino il rapporto fra impresa e mafia: la Lodigiani negli ani di “mani pulite” fu incriminata da undici Procure per le mazzette, ma in Sicilia dovette rispondere di un realto “supplementare”, il collegamento con la mafia. Che non si sia trattato di un fenomeno sporadico, legato a singole persone o imprese e circoscrivibile ad alcune zone ed imprese del nord è abbondantemente provato: la “colonizzazione” mafiosa delle aree industriali non ha infatti risparmiato alcuna area industriale né le imprese a partecipazione statale. Cioè un pezzo dello Stato, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo di scardinamento dei potentati politico-mafiosi. Arrivate in Sicilia per liberare l’Isola dal sottosviluppo, le partecipazioni statali finirono con l’alimentare l’industria del malaffare con il loro managment prevalentemente padano. La storia di Gela è esemplare. Era una comunità litigiosa, ma non ospitava racket né crimini di mafia. Un paesone vivace ma lontano dal Vallone e dalla lupara riesina. Fino all'inizio degli anni settanta, i boss – arrivati a frotte e tutelati dalla politica nissena – si ritagliavano in pace, comunque senza spargimento di sangue, le loro aree di competenza lungo il fiume di denaro che affluiva a Gela dall'Eni e dalla Cassa per il Mezzogiorno. Fino a che Cosa nostra pretese obbedienza e la Stidda pretese di fare da sé, prendendosi il controllo del traffico gommato (il capo dei padroncini era anche il capo della Stidda). Non ne sapevano niente i dirigenti dell’industria di Stato? Gela di buon animo assecondò il suo destino, uguale a quello delle aree del sud chiamate ad ospitare l'industria. Depositaria di virtù taumaturgiche, che gli esperti definivano effetti moltiplicativi, la fabbrica conquistava anche le migliori coscienze. Quando le trivelle dell’Agip toccavano lo strato di greggio, la gente aveva la sensazione che nelle tasche stessero per depositarsi banconote di grosso taglio. Ma non era così, credevano nelle favole. Gli effetti moltiplicativi ci furono, solo che non riguardarono nuove fabbriche, ma le bande criminali: le mafie trasformarono la città in un inferno, fu l’americanizzazione dell’onorata società (bande di gangster con regole antiche). Lo Stato non c'era, e se c'era, dormiva. La popolazione e i bisogni triplicarono in pochi anni, ma tutto rimase come prima: stessa quantità di acqua nei rubinetti, di aule scolastiche, di letti d’ospedale, di medici, poliziotti. I magistrati non c’erano prima e continuarono a non esserci. L'aria sapeva di zolfo, avvelenava gli alberi, appestava gli animali e la gente, i pesci morivano o scappavano dal loro mare insieme con le lampare. L'industria desolava la città, ma nessuno capiva niente di quello che effettivamente stava succedendo, ma tutti erano d'accordo che succedesse, perché finalmente arrivava il lavoro e gli strumenti di produzione erano in mano allo Stato e non in mano ai padroni. Occhi bendati e occhi spalancati non videro il dominio mafioso sull’appalto pubblico delle grandi opere e sull’appalto pubblico-privato distribuito dai grand commis di Stato, che da Milano e Roma dirigevano il traffico senza rischiare le pallottole. In Sicilia, come in Campania ed in Calabria, clientele politico-mafiose, manager del nord, cecità ideologiche hanno partecipato al disastro meridionale, e continuano a farlo. Siccome di questo disastro hanno tratto utili in tanti, è possibile nutrire dubbi sulla volontà di ricostruire. Salvatore Parlagreco

L'INCENERITORE DI BRESCIA INQUINA? LO SI CEDE A NAPOLI


NAPOLI - Sopralluoghi, incontri, ricognizioni. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi torna tra poche ore a Napoli per fare nuovamente il punto sull'emergenza rifiuti. Arriva quando oltre 6mila famiglie, in città, hanno dato il via alla raccolta differenziata e quando un ricercatore del Cnr lancia un allarme sulla validità del termovalorizzatore. Il Cnr prende le distanze dalle sue posizioni, ma lui intanto dice: "l'inceneritore, anche quello di Brescia, inquina". E dire che il premier farà il punto sulla situazione proprio ad Acerra, nel cantiere del termovalorizzatore che dovrebbe rappresentare una svolta in questa lunga emergenza. Una logica, quella dell'incenerimento, che viene bocciata senza riserve da Ennio Italico Noviello, primo ricercatore dell'area ricerca del Cnr di Roma dal quale Sesto Viticoli, direttore del Dipartimento progettazione molecolare Cnr, prende le distanze precisando che "non rappresenta la posizione dell'Ente". "L'incenerimento trasforma i rifiuti da solidi in aeroformi, ma restano tossici e nocivi - ha detto Noviello - E, infatti, in Giappone, uno dei primi paesi a utilizzare questa tecnologia, stanno rapidamente facendo marcia indietro". Poi, lancia ancora un altro allarme. Secondo Noviello "Brescia avrebbe proposto di vendere l'intero impianto alla Campania". "L'ho saputo proprio stamattina - ha spiegato Noviello in un incontro a Napoli - La proposta era di cederlo per 25 milioni di euro, cioé meno di quanto serve per completare quello di Acerra". Una proposta "giustificata dal fatto che quell'impianto sta inquinando l'intera Lombardia. A Brescia non c'é un solo allevamento di bovini che sia senza diossina". Intanto parte dal quartiere dei Colli Aminei, la nuova campagna 'Porta a porta' per la raccolta differenziata a Napoli che coinvolgerà 18.817 abitanti, 6.917 famiglie e 732 utenze non domestiche. Un primo passo che entro il 2008, così come previsto dal piano per l'attivazione della raccolta differenziata, mira a coinvolgere 100mila napoletani. Anche gli alpini saranno impegnati per far fronte all'emergenza. E in attesa che arrivi il premier i cittadini di Bagnoli come di Acerra e di Giugliano, per ragioni diverse, ribadiscono il loro no: ad Acerra, contro il termovalorizzatore, a Giugliano per il non rispetto di alcune norme previste dall'intesa sull'utilizzo del sito di ecoballe di Taverna del Re. E poi a Bagnoli dove alcune centinaia di cittadini oggi hanno protestato contro l'ipotesi di un termovalorizzatore ad Agnano: momenti di tensione quando i rappresentanti dei comitati hanno interrotto la seduta del consiglio della Municipalità. Un comitato del no che secondo il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, è comunque in ritirata. "Rispetto al passato, quando tutto sembrava bloccato da veti, paure e proteste, finalmente si intravede una via di uscita - dice Bassolino sul suo blog - Attenzione però. I segnali positivi non implicano che la soluzione sia a portata di mano. La partita é tutta da giocare e coinvolge tutti, istituzioni, cittadini, imprese, chiesa, associazioni. Dobbiamo giocarla con lungimiranza e buon senso".



Scuola: a Napoli e Roma record tagli, via 4. 000 docenti
Risparmi per 3, 2 miliardi. Meno colpite Isernia, Gorizia


(ANSA) - ROMA, 30 GIU - Sara' Napoli a pagare il maggiore tributo di cattedre per i tagli alla scuola previsti dalla manovra economica nei prossimi 4 anni. Emerge da calcoli de Il Sole 24 ore. Via il 10% delle cattedre (87.245 insegnanti) e il 17% del personale tecnico (42.500). Ai primi posti per cattedre perse,dopo Napoli (4.000 docenti),si piazzano Roma (3.892)) e Milano (3.451). Le meno colpite invece Isernia (116), Gorizia (140), Asti (196) e Verbania (197).Risparmi previsti, 3,2 mld entro il 2012.
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Ricevo da Due Sicilie e posto:


Andrebbe riscritta la storia di questo Paese raccontato come una comunità di buoni e cattivi, fannulloni e intraprendenti, imprenditori sagaci e parassiti indolenti. Bisognerebbe mettere insieme il mosaico di un’Italia unita più di quanto si immagini, dove alcune “famiglie” del Sud e imprenditori intraprendenti del Nord hanno fatto, insieme, fortuna. Dobbiamo sfatarla la leggenda di un nord che si scrolla di dosso i clan come fossero mosche cocchiere, e di un Mezzogiorno che li fa nascere e li alleva. L’industria del Nord si è alleata con le mafie tutte le volte che gli è convenuto farlo. Gli episodi che provano in modo inconfutabile questa storica alleanza sono tanti e sotto gli occhi di tutti.Il più recente riguarda l’Italcementi.La Dda di Caltanissetta ha iscritto nel registro degli indagati Carlo Pesenti, amministratore delegato della Italcementi, nell'ambito dell'inchiesta antimafia della Calcestruzzi spa, con l’accusa di concorso in riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilita' di provenienza illecita, frode nelle pubbliche forniture, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e truffa, reati aggravati dall'avere avvantaggiato Cosa nostra. Appena una settimana fa il Capo dello Stato ha ricordato al leghismo indignato ed insofferente della Padania che le imprese del nord est hanno usato le discariche campane per lo smaltimento dei rifiuti tossici con il concorso dei clan camorristici. Un grande business, benedetto con il silenzio dal Nord duro e puro. I clan di camorra hanno messo a disposizione delle imprese del nord-est 800 tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di un'azienda chimica, per le discariche illegali a prezzi stracciati. Nel settore dell’Alta velocità, restando in Campania, gli intrallazzi fra imprese settentrionali e clan camorristici hanno rastrellato risorse pubbliche per diecimila miliardi di lire, di cui solo mille hanno remunerato le imprese per le opere realizzate. L’alleanza fra grandi gruppi industriali e mafie meridionali non è un fenomeno recente. Già negli anni novanta la magistratura scoperchiò la pentola della Feruzzi Spa, una holding di Ravenna, presente nell’Isola nel campo delle costruzioni, scoprendo che i suoi manager trescavano con i corleonesi per aggiudicarsi gli appalti pubblici più remunerativi. Le indagini, avviate a suo tempo da Falcone, hanno provato che la Calcestruzzi di Ravenna nel 1986 si era intestata fittizziamente le quote di una società di proprietà del boss di Passo di Rignano per sottrarla alla confisca. La santa Alleanza fra managment del nord e boss meridionali, è ancora più vecchia. Nelle aree industriali della Sicilia sono nati e si sono radicate le più potenti organizzazioni criminali siciliane. Se avessero incontrato resistenze l’esodo dei gruppi criminali non si sarebbe verificato. Il caso della Lodigiani, una grande impresa del nord molto presente in Sicilia, ci permette di capire più da vicino il rapporto fra impresa e mafia: la Lodigiani negli ani di “mani pulite” fu incriminata da undici Procure per le mazzette, ma in Sicilia dovette rispondere di un realto “supplementare”, il collegamento con la mafia. Che non si sia trattato di un fenomeno sporadico, legato a singole persone o imprese e circoscrivibile ad alcune zone ed imprese del nord è abbondantemente provato: la “colonizzazione” mafiosa delle aree industriali non ha infatti risparmiato alcuna area industriale né le imprese a partecipazione statale. Cioè un pezzo dello Stato, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo di scardinamento dei potentati politico-mafiosi. Arrivate in Sicilia per liberare l’Isola dal sottosviluppo, le partecipazioni statali finirono con l’alimentare l’industria del malaffare con il loro managment prevalentemente padano. La storia di Gela è esemplare. Era una comunità litigiosa, ma non ospitava racket né crimini di mafia. Un paesone vivace ma lontano dal Vallone e dalla lupara riesina. Fino all'inizio degli anni settanta, i boss – arrivati a frotte e tutelati dalla politica nissena – si ritagliavano in pace, comunque senza spargimento di sangue, le loro aree di competenza lungo il fiume di denaro che affluiva a Gela dall'Eni e dalla Cassa per il Mezzogiorno. Fino a che Cosa nostra pretese obbedienza e la Stidda pretese di fare da sé, prendendosi il controllo del traffico gommato (il capo dei padroncini era anche il capo della Stidda). Non ne sapevano niente i dirigenti dell’industria di Stato? Gela di buon animo assecondò il suo destino, uguale a quello delle aree del sud chiamate ad ospitare l'industria. Depositaria di virtù taumaturgiche, che gli esperti definivano effetti moltiplicativi, la fabbrica conquistava anche le migliori coscienze. Quando le trivelle dell’Agip toccavano lo strato di greggio, la gente aveva la sensazione che nelle tasche stessero per depositarsi banconote di grosso taglio. Ma non era così, credevano nelle favole. Gli effetti moltiplicativi ci furono, solo che non riguardarono nuove fabbriche, ma le bande criminali: le mafie trasformarono la città in un inferno, fu l’americanizzazione dell’onorata società (bande di gangster con regole antiche). Lo Stato non c'era, e se c'era, dormiva. La popolazione e i bisogni triplicarono in pochi anni, ma tutto rimase come prima: stessa quantità di acqua nei rubinetti, di aule scolastiche, di letti d’ospedale, di medici, poliziotti. I magistrati non c’erano prima e continuarono a non esserci. L'aria sapeva di zolfo, avvelenava gli alberi, appestava gli animali e la gente, i pesci morivano o scappavano dal loro mare insieme con le lampare. L'industria desolava la città, ma nessuno capiva niente di quello che effettivamente stava succedendo, ma tutti erano d'accordo che succedesse, perché finalmente arrivava il lavoro e gli strumenti di produzione erano in mano allo Stato e non in mano ai padroni. Occhi bendati e occhi spalancati non videro il dominio mafioso sull’appalto pubblico delle grandi opere e sull’appalto pubblico-privato distribuito dai grand commis di Stato, che da Milano e Roma dirigevano il traffico senza rischiare le pallottole. In Sicilia, come in Campania ed in Calabria, clientele politico-mafiose, manager del nord, cecità ideologiche hanno partecipato al disastro meridionale, e continuano a farlo. Siccome di questo disastro hanno tratto utili in tanti, è possibile nutrire dubbi sulla volontà di ricostruire. Salvatore Parlagreco

L'INCENERITORE DI BRESCIA INQUINA? LO SI CEDE A NAPOLI


NAPOLI - Sopralluoghi, incontri, ricognizioni. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi torna tra poche ore a Napoli per fare nuovamente il punto sull'emergenza rifiuti. Arriva quando oltre 6mila famiglie, in città, hanno dato il via alla raccolta differenziata e quando un ricercatore del Cnr lancia un allarme sulla validità del termovalorizzatore. Il Cnr prende le distanze dalle sue posizioni, ma lui intanto dice: "l'inceneritore, anche quello di Brescia, inquina". E dire che il premier farà il punto sulla situazione proprio ad Acerra, nel cantiere del termovalorizzatore che dovrebbe rappresentare una svolta in questa lunga emergenza. Una logica, quella dell'incenerimento, che viene bocciata senza riserve da Ennio Italico Noviello, primo ricercatore dell'area ricerca del Cnr di Roma dal quale Sesto Viticoli, direttore del Dipartimento progettazione molecolare Cnr, prende le distanze precisando che "non rappresenta la posizione dell'Ente". "L'incenerimento trasforma i rifiuti da solidi in aeroformi, ma restano tossici e nocivi - ha detto Noviello - E, infatti, in Giappone, uno dei primi paesi a utilizzare questa tecnologia, stanno rapidamente facendo marcia indietro". Poi, lancia ancora un altro allarme. Secondo Noviello "Brescia avrebbe proposto di vendere l'intero impianto alla Campania". "L'ho saputo proprio stamattina - ha spiegato Noviello in un incontro a Napoli - La proposta era di cederlo per 25 milioni di euro, cioé meno di quanto serve per completare quello di Acerra". Una proposta "giustificata dal fatto che quell'impianto sta inquinando l'intera Lombardia. A Brescia non c'é un solo allevamento di bovini che sia senza diossina". Intanto parte dal quartiere dei Colli Aminei, la nuova campagna 'Porta a porta' per la raccolta differenziata a Napoli che coinvolgerà 18.817 abitanti, 6.917 famiglie e 732 utenze non domestiche. Un primo passo che entro il 2008, così come previsto dal piano per l'attivazione della raccolta differenziata, mira a coinvolgere 100mila napoletani. Anche gli alpini saranno impegnati per far fronte all'emergenza. E in attesa che arrivi il premier i cittadini di Bagnoli come di Acerra e di Giugliano, per ragioni diverse, ribadiscono il loro no: ad Acerra, contro il termovalorizzatore, a Giugliano per il non rispetto di alcune norme previste dall'intesa sull'utilizzo del sito di ecoballe di Taverna del Re. E poi a Bagnoli dove alcune centinaia di cittadini oggi hanno protestato contro l'ipotesi di un termovalorizzatore ad Agnano: momenti di tensione quando i rappresentanti dei comitati hanno interrotto la seduta del consiglio della Municipalità. Un comitato del no che secondo il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, è comunque in ritirata. "Rispetto al passato, quando tutto sembrava bloccato da veti, paure e proteste, finalmente si intravede una via di uscita - dice Bassolino sul suo blog - Attenzione però. I segnali positivi non implicano che la soluzione sia a portata di mano. La partita é tutta da giocare e coinvolge tutti, istituzioni, cittadini, imprese, chiesa, associazioni. Dobbiamo giocarla con lungimiranza e buon senso".



Scuola: a Napoli e Roma record tagli, via 4. 000 docenti
Risparmi per 3, 2 miliardi. Meno colpite Isernia, Gorizia


(ANSA) - ROMA, 30 GIU - Sara' Napoli a pagare il maggiore tributo di cattedre per i tagli alla scuola previsti dalla manovra economica nei prossimi 4 anni. Emerge da calcoli de Il Sole 24 ore. Via il 10% delle cattedre (87.245 insegnanti) e il 17% del personale tecnico (42.500). Ai primi posti per cattedre perse,dopo Napoli (4.000 docenti),si piazzano Roma (3.892)) e Milano (3.451). Le meno colpite invece Isernia (116), Gorizia (140), Asti (196) e Verbania (197).Risparmi previsti, 3,2 mld entro il 2012.

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