venerdì 2 giugno 2023

Mezzogiorno e fondi europei

 



di Natale Cuccurese

Prima di iniziare alcune considerazioni in merito all’interessante incontro “Mezzogiorno: Fondi europei e squilibri territoriali”, che si è svolto mercoledì scorso 24 maggio 2023 dalla pagina facebook di Transform Italia, a cura dell’osservatorio UE in collaborazione con il Lab-Sud e i Comitati contro ogni autonomia differenziata.

I due relatori, Paola Boffo, economista che si occupa di politiche di coesione da più di vent’anni, lavorando a supporto delle pubbliche amministrazioni centrali e regionali sia sul piano della programmazione che dell’attuazione e per il rafforzamento della capacità amministrativa e Andrea Amato, da anni Presidente dell’Istituto per il Mediterraneo. Precedentemente dirigente nazionale della CGIL, svolgendo, tra l’altro, il ruolo di Responsabile per l’Europa. Per 12 anni membro del Comitato Economico e Sociale Europeo (la seconda Assemblea dell’Unione Europea), hanno svolto un proficuo approfondimento di tematiche quanto mai attuali.

Molte le domande e le considerazioni giunte dal pubblico e che ho posto ai due relatori, presiedendo la diretta. I due relatori, anche con l’aiuto di slide, hanno esaustivamente spiegato perché i Fondi Europei non hanno eliminato gli squilibri. Cosa non ha funzionato in Italia. Se i Fondi Strutturali e PNNR possono rappresentare un argine all’Autonomia differenziata e se e come l’integrazione (territoriale e produttiva) intraeuropea e intra-mediterranea può contribuire alla rinascita del Mezzogiorno.

Voglio solo ricordare brevemente, come ho illustrato anche nell’introduzione dell’incontro parlando della situazione in Italia, che il Mezzogiorno subisce da sempre una serie di sperequazioni ad opera dei vari governi italiani che vanno dai fondi FAS scippati per pagare le quote latte agli agricoltori padani che avevano sforato le quote di produzione dal 1995 al 2009 fino ad arrivare al caos intorno ai fondi del PNRR suscitato la scorsa settimana dalle parole del ministro Fitto. Ricordo che secondo le indicazioni della Commissione europea, l’Italia ha ricevuto la quota di fondi del PNRRpiù alta di tutti i Paesi d’Europa (191,5 miliardi di euro) soprattutto per risolvere la situazione drammatica (maggiore disoccupazione e Pil inferiore) del Mezzogiorno. Al Sud, seguendo tali parametri, doveva essere destinato circa il 65% del PNRR; il Governo Draghi ha poi retrocesso a suo insindacabile giudizio questa quota al 40%, ma anche questa rischia di rimanere sulla carta, oltretutto senza che mai si siano definiti target territoriali. Purtroppo, senza un supporto alle amministrazioni con minore capacità progettuale soprattutto per scarsità di personale, le amministrazioni del Sud – che su questo non hanno colpe visti i tagli richiesti dalla Ue con la spending-review – rischiano di andare in difficoltà e non riuscire a rispettare i tempi richiesti (2026); per cui, questa quota ridotta potrebbe diminuire ulteriormente, come sempre a favore di territori più ricchi e così come richiesto recentemente da alcuni Presidenti di Regione e Sindaci del Nord. Ovviamente il governo Draghi come poi quello Meloni con tutta evidenza si sono prestati a questo gioco, dimenticando che avrebbero potuto richiedere i poteri sostitutivi previsti dall’art.120 della Costituzione per aiutare i Comuni in difficoltà.

Ricordo poi che coi Fondi Coesione in maniera del tutto paradossale da anni l’Italia sta rischiando di allargare il gap Nord-Sud, ottenendo l’effetto opposto a quello teoricamente voluto: «Si rileva che, confermando, purtroppo, un trend ormai pluriennale, persistono, generalmente, evidenti differenze nella effettiva capacità di spesa tra le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate: le prime, più strutturate, spendono più delle seconde. La conseguenza di ciò è che le politiche di coesione rischiano di ampliare il divario di sviluppo tra le prime e le seconde, anziché ridurlo». A lanciare l’allarme è stata la Corte dei Conti, Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali, nella relazione deliberata nel 2021. In sostanza, i giudici hanno evidenziato quello che alcuni governatori del Mezzogiorno reclamano da tempo: le Regioni del Sud, avendo meno risorse umane per la progettazione e meno risorse economiche per co-partecipare alla spesa dei fondi europei, e allo stesso tempo essendo destinatarie di più ingenti somme, non riescono a utilizzare nei tempi imposti i soldi che arrivano dall’Europa. E spesso il definanziamento è il risultato finale.

Certo che ora la questione visto la recente presa di posizione di Fitto su La Stampa, parole poi subito smentite dallo stesso ministro visto il caos che ne è seguito, di voler smantellare gran parte degli investimenti pubblici previsti dal PNRR e dirottare i fondi verso (ulteriori) sussidi alle imprese. Cioè nei fatti privatizzare i fondi del PNRR distribuendoli a pioggia agli industriali (ovviamente principalmente del Nord vista la composizione della filiera italiana) che poi tutti i cittadini, a prescindere dal territorio di residenza, dovranno ripagare in ugual misura con le tasse nei prossimi decenni.

Se così fosse sarebbe una scelta molto negativa, gravissima soprattutto nei confronti del Mezzogiorno, su cui scenderebbe un buio Fitto, ma anche questa deriva negativa potrebbe essere addirittura superata visto che la Commissione europea, ha pochi giorni fa suggerito di destinare 1 mld di fondi pubblici per accelerare la produzione dell’industria della difesa, di cui metà proveniente da risorse nazionali Pnrr (soldi che oltretutto saranno da restituire in larga parte pagando anche degli interessi) e Fondi Coesione. In altre parole si sottrae ancora una volta a chi ha meno, come il Mezzogiorno a cui nella teoria dovevano essere destinati la gran parte di questi fondi, per sperperare soldi in armi a vantaggio di Lobby e potentati finanziari, invece di costruire, asili, scuole, ospedali, infrastrutture.

Così grazie allo stallo sul PNRR, dopo due anni in cui già ne erano evidenti tutte le criticità, è finalmente approdato anche sulla “grande stampa”. E’ stato Federico Fubini domenica 21 maggio sul Corsera a lanciare l’allarme. Non solo per i 7 mesi di proclami inconcludenti da parte del Governo Meloni sui ritardi nei progetti, ma anche per i conti dello Stato.
“Il Tesoro ormai ha bisogno di sapere al più presto se deve prepararsi a collocare bond sul mercato per 20-40 miliardi più del previsto nei prossimi mesi”.

Meglio tardi che mai, bastava farlo prima, come si va ripetendo da mesi, e non ci si sarebbe incatenati al volere della Commissione europea e alle sue richieste incessanti di “riforme” in senso liberista, con cessione di sovranità e commissariamento, nei fatti, del Parlamento. Non a caso il collocamento dei BTP italiani la scorsa settimana ha avuto, come sempre, richieste ampiamente superiori all’offerta, lo stesso dicasi per i BOT pochi giorni fa. C’era proprio bisogno di mettere le strategie di ripresa del Paese in mano alla Commissione?!

Intanto gli italiani boccheggiano sempre più e non a caso i giornali nei giorni scorsi ci hanno informato che i cittadini italiani in tre mesi hanno prelevato 50 miliardi di euro dai loro conti correnti perché ormai gli stipendi non bastano per arrivare a fine mese. In Grecia è capitata la stessa cosa che ora sta capitando all’Italia. Per il sacco all’Italia serviva solo più tempo visto che eravamo, e in parte ancora lo siamo, annoverati fra le maggiori potenze economiche mondiali.
Come si ripete da un paio d’anni, la distruzione delle “zombie firms”, cioè delle piccole e medie imprese di cui l’Italia detiene o meglio deteneva il primato mondiale, e quindi la distruzione del ceto medio, per fare spazio a multinazionali straniere e a pochi oligarchi italiani era infatti prevista nel documento dei trenta del dicembre 2020 a firma Mario Draghi.
Il passo successivo – già in atto con gli aumenti generalizzati di generi alimentari, bollette, benzina, blocco salari, inflazione – è quello di depredare il risparmio e gli immobili privati, anche qui oggi in Italia ancora ai livelli fra i più alti al mondo, costringendo aziende e famiglie a intaccare le riserve: in meno di 100 giorni, da dicembre 2022 a marzo scorso, il totale dei depositi bancari è sceso del 2,4%, da 2.065 a 2.015 miliardi.

Nel frattempo per il PNRR gli sviluppi in corso paiono sempre più inquietanti ogni giorno che passa. Domenica 28 sempre Fubini sul Corsera ci ha informato che il Governo – sempre più con il cappello in mano – chiede “per la rata del Pnrr attesa ormai da mesi e per quella successiva — la terza e la quarta del piano da 191,5 miliardi sia a Bruxelles che a Roma si prendano le misure di un nuovo strumento: le «sospensioni di pagamento parziali». In sostanza, il Paese perderebbe così una parte dei soldi del Recovery. Questa procedura legale servirebbe a mettere la Commissione Ue e i suoi funzionari al riparo delle contestazioni della Corte dei conti europea. Diversi governi in questi mesi stanno in realtà manifestando fastidio per il gran numero di controlli sui loro piani, proprio perché a Bruxelles si lavora sotto la spada di Damocle della magistratura contabile di Lussemburgo”. Contemporaneamente il Fatto sempre di domenica ci informa che anche il Governo Meloni ha problemi con la Corte de Conti italiana e la vorrebbe silenziare limitandone i poteri di controllo, visto che ha osato certificare i ritardi del PNRR.

“Il governo Meloni si appresta a presentare due emendamenti al decreto Pa, ora in discussione in Parlamento, con l’obiettivo di limitare i poteri della Corte dei Conti. Da un lato verrebbe circoscritto il perimetro d’azione del collegio del controllo concomitante presieduto da Massimiliano Minerva, che si occupa proprio di monitorare la gestione dei fondi del Recovery plan e rilevare eventuali irregolarità”.

Insomma il Pnrr ci sta portando non solo ad essere ricattabili dalla Commissione europea ma anche alla democratura o meglio alla deriva di stampo ungherese.

Resta il fatto che i 19 miliardi della terza rata sono fermi per i rilievi della Commissione, la quarta rata, in scadenza a luglio, è avvolta nel buio più assoluto mentre il tempo passa e il 2026 si avvicina. Una trappola ad orologeria perfetta e in grado di rendere ricattabile l’Italia ed il suo Governo, che vede il paradosso di essere composto da sovranisti senza nessuna sovranità.

Come se non bastasse avanza un altro balzello che potrebbe assestare il definitivo colpo di grazia al Paese e cioè il MES, sponsorizzato con toni perentori dal Corsera in un editoriale di pochi giorni fa da Mario Monti. Stupisce innanzitutto il linguaggio adottato dal Senatore. “Abiura, conversione, incoerenze dottrinali, rogo”. Sembra di essere ai tempi dell’Inquisizione, come se discutere delle scelte di politica economica di un Paese fosse una questione di fede e non di analisi razionale sulla base della scienza economica e delle valutazioni di convenienza. Insomma un’altra mela avvelenata che la Commissione si prepara a rifilarci. Ci restituiscono (forse) soldi nostri, versati senza condizioni, con condizionalità, così come per il PNRR. Sono tutte operazioni che aprono la porta a “Memorandum, Raccomandazioni e Troika”, cioè quanto di peggio si possa pensare. Cose di cui l’Italia non ha certo bisogno, soprattutto in questo momento. Non a caso il 26 maggio il Ministro dell’Economia Giorgetti, al Festival dell’Economia di Trento, ha dichiarato che “l’aumento del nostro debito è nato anche per “reagire a degli shock che avevano origini esterne. Ora si tratta di affrontarlo, lo stiamo riducendo e anche l’impegno che noi ci siamo assunti. In settimana è stata qui la delegazione del Fondo monetario internazionale che ovviamente ci ha chiesto questo tipo di azione. È un impegno – ha aggiunto – che fa parte delle nostre responsabilità e che affronteremo”.

E’ una dichiarazione riportata solo da qualche agenzia, non rilanciata da nessun telegiornale e da nessun giornale nazionale che ci informa che gli inviati del FMI già sono stati a Roma nei giorni scorsi. Giova a questo punto ricordare che a marzo scorso gli svizzeri hanno risolto in pochi giorni i problemi di Credit Suisse in difficoltà, senza il “backstop” del MES, senza PNRR peloso, senza interpellare i soloni Ue, senza multe, riforme e letterine di raccomandazioni, ma semplicemente facendo intervenire la loro banca centrale con un prestito da 50 miliardi. Pochi giorni dopo la FED ha salvato i correntisti della fallita SVB.

In poche parole le banche centrali fanno quello per cui esistono e riescono a farlo meglio quando un paese batte moneta, non quando bisogna mettersi d’accordo in tanti e con interessi quasi sempre contrastanti. Tra California e Svizzera, in tre giorni le assurde regole dell’eurozona sono state ridicolizzate facendo esattamente il contrario. Bisognerebbe ricordarlo a Lagarde e ai “cessionisti” di sovranità nostrani da sempre proni alla Commissione UE, mentre la peggiore destra di sempre avanza indisturbata nel deserto provocato dai “riformisti”, che ancora appesi al “voto utile” perdono rovinosamente quasi tutti i ballottaggi, con l’astensionismo che raggiunge nuovi record. A sinistra serve un rapido cambiamento di guida e di politiche, ma che non sia solo di facciata.

Fonte: Transform-Italia



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di Natale Cuccurese

Prima di iniziare alcune considerazioni in merito all’interessante incontro “Mezzogiorno: Fondi europei e squilibri territoriali”, che si è svolto mercoledì scorso 24 maggio 2023 dalla pagina facebook di Transform Italia, a cura dell’osservatorio UE in collaborazione con il Lab-Sud e i Comitati contro ogni autonomia differenziata.

I due relatori, Paola Boffo, economista che si occupa di politiche di coesione da più di vent’anni, lavorando a supporto delle pubbliche amministrazioni centrali e regionali sia sul piano della programmazione che dell’attuazione e per il rafforzamento della capacità amministrativa e Andrea Amato, da anni Presidente dell’Istituto per il Mediterraneo. Precedentemente dirigente nazionale della CGIL, svolgendo, tra l’altro, il ruolo di Responsabile per l’Europa. Per 12 anni membro del Comitato Economico e Sociale Europeo (la seconda Assemblea dell’Unione Europea), hanno svolto un proficuo approfondimento di tematiche quanto mai attuali.

Molte le domande e le considerazioni giunte dal pubblico e che ho posto ai due relatori, presiedendo la diretta. I due relatori, anche con l’aiuto di slide, hanno esaustivamente spiegato perché i Fondi Europei non hanno eliminato gli squilibri. Cosa non ha funzionato in Italia. Se i Fondi Strutturali e PNNR possono rappresentare un argine all’Autonomia differenziata e se e come l’integrazione (territoriale e produttiva) intraeuropea e intra-mediterranea può contribuire alla rinascita del Mezzogiorno.

Voglio solo ricordare brevemente, come ho illustrato anche nell’introduzione dell’incontro parlando della situazione in Italia, che il Mezzogiorno subisce da sempre una serie di sperequazioni ad opera dei vari governi italiani che vanno dai fondi FAS scippati per pagare le quote latte agli agricoltori padani che avevano sforato le quote di produzione dal 1995 al 2009 fino ad arrivare al caos intorno ai fondi del PNRR suscitato la scorsa settimana dalle parole del ministro Fitto. Ricordo che secondo le indicazioni della Commissione europea, l’Italia ha ricevuto la quota di fondi del PNRRpiù alta di tutti i Paesi d’Europa (191,5 miliardi di euro) soprattutto per risolvere la situazione drammatica (maggiore disoccupazione e Pil inferiore) del Mezzogiorno. Al Sud, seguendo tali parametri, doveva essere destinato circa il 65% del PNRR; il Governo Draghi ha poi retrocesso a suo insindacabile giudizio questa quota al 40%, ma anche questa rischia di rimanere sulla carta, oltretutto senza che mai si siano definiti target territoriali. Purtroppo, senza un supporto alle amministrazioni con minore capacità progettuale soprattutto per scarsità di personale, le amministrazioni del Sud – che su questo non hanno colpe visti i tagli richiesti dalla Ue con la spending-review – rischiano di andare in difficoltà e non riuscire a rispettare i tempi richiesti (2026); per cui, questa quota ridotta potrebbe diminuire ulteriormente, come sempre a favore di territori più ricchi e così come richiesto recentemente da alcuni Presidenti di Regione e Sindaci del Nord. Ovviamente il governo Draghi come poi quello Meloni con tutta evidenza si sono prestati a questo gioco, dimenticando che avrebbero potuto richiedere i poteri sostitutivi previsti dall’art.120 della Costituzione per aiutare i Comuni in difficoltà.

Ricordo poi che coi Fondi Coesione in maniera del tutto paradossale da anni l’Italia sta rischiando di allargare il gap Nord-Sud, ottenendo l’effetto opposto a quello teoricamente voluto: «Si rileva che, confermando, purtroppo, un trend ormai pluriennale, persistono, generalmente, evidenti differenze nella effettiva capacità di spesa tra le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate: le prime, più strutturate, spendono più delle seconde. La conseguenza di ciò è che le politiche di coesione rischiano di ampliare il divario di sviluppo tra le prime e le seconde, anziché ridurlo». A lanciare l’allarme è stata la Corte dei Conti, Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali, nella relazione deliberata nel 2021. In sostanza, i giudici hanno evidenziato quello che alcuni governatori del Mezzogiorno reclamano da tempo: le Regioni del Sud, avendo meno risorse umane per la progettazione e meno risorse economiche per co-partecipare alla spesa dei fondi europei, e allo stesso tempo essendo destinatarie di più ingenti somme, non riescono a utilizzare nei tempi imposti i soldi che arrivano dall’Europa. E spesso il definanziamento è il risultato finale.

Certo che ora la questione visto la recente presa di posizione di Fitto su La Stampa, parole poi subito smentite dallo stesso ministro visto il caos che ne è seguito, di voler smantellare gran parte degli investimenti pubblici previsti dal PNRR e dirottare i fondi verso (ulteriori) sussidi alle imprese. Cioè nei fatti privatizzare i fondi del PNRR distribuendoli a pioggia agli industriali (ovviamente principalmente del Nord vista la composizione della filiera italiana) che poi tutti i cittadini, a prescindere dal territorio di residenza, dovranno ripagare in ugual misura con le tasse nei prossimi decenni.

Se così fosse sarebbe una scelta molto negativa, gravissima soprattutto nei confronti del Mezzogiorno, su cui scenderebbe un buio Fitto, ma anche questa deriva negativa potrebbe essere addirittura superata visto che la Commissione europea, ha pochi giorni fa suggerito di destinare 1 mld di fondi pubblici per accelerare la produzione dell’industria della difesa, di cui metà proveniente da risorse nazionali Pnrr (soldi che oltretutto saranno da restituire in larga parte pagando anche degli interessi) e Fondi Coesione. In altre parole si sottrae ancora una volta a chi ha meno, come il Mezzogiorno a cui nella teoria dovevano essere destinati la gran parte di questi fondi, per sperperare soldi in armi a vantaggio di Lobby e potentati finanziari, invece di costruire, asili, scuole, ospedali, infrastrutture.

Così grazie allo stallo sul PNRR, dopo due anni in cui già ne erano evidenti tutte le criticità, è finalmente approdato anche sulla “grande stampa”. E’ stato Federico Fubini domenica 21 maggio sul Corsera a lanciare l’allarme. Non solo per i 7 mesi di proclami inconcludenti da parte del Governo Meloni sui ritardi nei progetti, ma anche per i conti dello Stato.
“Il Tesoro ormai ha bisogno di sapere al più presto se deve prepararsi a collocare bond sul mercato per 20-40 miliardi più del previsto nei prossimi mesi”.

Meglio tardi che mai, bastava farlo prima, come si va ripetendo da mesi, e non ci si sarebbe incatenati al volere della Commissione europea e alle sue richieste incessanti di “riforme” in senso liberista, con cessione di sovranità e commissariamento, nei fatti, del Parlamento. Non a caso il collocamento dei BTP italiani la scorsa settimana ha avuto, come sempre, richieste ampiamente superiori all’offerta, lo stesso dicasi per i BOT pochi giorni fa. C’era proprio bisogno di mettere le strategie di ripresa del Paese in mano alla Commissione?!

Intanto gli italiani boccheggiano sempre più e non a caso i giornali nei giorni scorsi ci hanno informato che i cittadini italiani in tre mesi hanno prelevato 50 miliardi di euro dai loro conti correnti perché ormai gli stipendi non bastano per arrivare a fine mese. In Grecia è capitata la stessa cosa che ora sta capitando all’Italia. Per il sacco all’Italia serviva solo più tempo visto che eravamo, e in parte ancora lo siamo, annoverati fra le maggiori potenze economiche mondiali.
Come si ripete da un paio d’anni, la distruzione delle “zombie firms”, cioè delle piccole e medie imprese di cui l’Italia detiene o meglio deteneva il primato mondiale, e quindi la distruzione del ceto medio, per fare spazio a multinazionali straniere e a pochi oligarchi italiani era infatti prevista nel documento dei trenta del dicembre 2020 a firma Mario Draghi.
Il passo successivo – già in atto con gli aumenti generalizzati di generi alimentari, bollette, benzina, blocco salari, inflazione – è quello di depredare il risparmio e gli immobili privati, anche qui oggi in Italia ancora ai livelli fra i più alti al mondo, costringendo aziende e famiglie a intaccare le riserve: in meno di 100 giorni, da dicembre 2022 a marzo scorso, il totale dei depositi bancari è sceso del 2,4%, da 2.065 a 2.015 miliardi.

Nel frattempo per il PNRR gli sviluppi in corso paiono sempre più inquietanti ogni giorno che passa. Domenica 28 sempre Fubini sul Corsera ci ha informato che il Governo – sempre più con il cappello in mano – chiede “per la rata del Pnrr attesa ormai da mesi e per quella successiva — la terza e la quarta del piano da 191,5 miliardi sia a Bruxelles che a Roma si prendano le misure di un nuovo strumento: le «sospensioni di pagamento parziali». In sostanza, il Paese perderebbe così una parte dei soldi del Recovery. Questa procedura legale servirebbe a mettere la Commissione Ue e i suoi funzionari al riparo delle contestazioni della Corte dei conti europea. Diversi governi in questi mesi stanno in realtà manifestando fastidio per il gran numero di controlli sui loro piani, proprio perché a Bruxelles si lavora sotto la spada di Damocle della magistratura contabile di Lussemburgo”. Contemporaneamente il Fatto sempre di domenica ci informa che anche il Governo Meloni ha problemi con la Corte de Conti italiana e la vorrebbe silenziare limitandone i poteri di controllo, visto che ha osato certificare i ritardi del PNRR.

“Il governo Meloni si appresta a presentare due emendamenti al decreto Pa, ora in discussione in Parlamento, con l’obiettivo di limitare i poteri della Corte dei Conti. Da un lato verrebbe circoscritto il perimetro d’azione del collegio del controllo concomitante presieduto da Massimiliano Minerva, che si occupa proprio di monitorare la gestione dei fondi del Recovery plan e rilevare eventuali irregolarità”.

Insomma il Pnrr ci sta portando non solo ad essere ricattabili dalla Commissione europea ma anche alla democratura o meglio alla deriva di stampo ungherese.

Resta il fatto che i 19 miliardi della terza rata sono fermi per i rilievi della Commissione, la quarta rata, in scadenza a luglio, è avvolta nel buio più assoluto mentre il tempo passa e il 2026 si avvicina. Una trappola ad orologeria perfetta e in grado di rendere ricattabile l’Italia ed il suo Governo, che vede il paradosso di essere composto da sovranisti senza nessuna sovranità.

Come se non bastasse avanza un altro balzello che potrebbe assestare il definitivo colpo di grazia al Paese e cioè il MES, sponsorizzato con toni perentori dal Corsera in un editoriale di pochi giorni fa da Mario Monti. Stupisce innanzitutto il linguaggio adottato dal Senatore. “Abiura, conversione, incoerenze dottrinali, rogo”. Sembra di essere ai tempi dell’Inquisizione, come se discutere delle scelte di politica economica di un Paese fosse una questione di fede e non di analisi razionale sulla base della scienza economica e delle valutazioni di convenienza. Insomma un’altra mela avvelenata che la Commissione si prepara a rifilarci. Ci restituiscono (forse) soldi nostri, versati senza condizioni, con condizionalità, così come per il PNRR. Sono tutte operazioni che aprono la porta a “Memorandum, Raccomandazioni e Troika”, cioè quanto di peggio si possa pensare. Cose di cui l’Italia non ha certo bisogno, soprattutto in questo momento. Non a caso il 26 maggio il Ministro dell’Economia Giorgetti, al Festival dell’Economia di Trento, ha dichiarato che “l’aumento del nostro debito è nato anche per “reagire a degli shock che avevano origini esterne. Ora si tratta di affrontarlo, lo stiamo riducendo e anche l’impegno che noi ci siamo assunti. In settimana è stata qui la delegazione del Fondo monetario internazionale che ovviamente ci ha chiesto questo tipo di azione. È un impegno – ha aggiunto – che fa parte delle nostre responsabilità e che affronteremo”.

E’ una dichiarazione riportata solo da qualche agenzia, non rilanciata da nessun telegiornale e da nessun giornale nazionale che ci informa che gli inviati del FMI già sono stati a Roma nei giorni scorsi. Giova a questo punto ricordare che a marzo scorso gli svizzeri hanno risolto in pochi giorni i problemi di Credit Suisse in difficoltà, senza il “backstop” del MES, senza PNRR peloso, senza interpellare i soloni Ue, senza multe, riforme e letterine di raccomandazioni, ma semplicemente facendo intervenire la loro banca centrale con un prestito da 50 miliardi. Pochi giorni dopo la FED ha salvato i correntisti della fallita SVB.

In poche parole le banche centrali fanno quello per cui esistono e riescono a farlo meglio quando un paese batte moneta, non quando bisogna mettersi d’accordo in tanti e con interessi quasi sempre contrastanti. Tra California e Svizzera, in tre giorni le assurde regole dell’eurozona sono state ridicolizzate facendo esattamente il contrario. Bisognerebbe ricordarlo a Lagarde e ai “cessionisti” di sovranità nostrani da sempre proni alla Commissione UE, mentre la peggiore destra di sempre avanza indisturbata nel deserto provocato dai “riformisti”, che ancora appesi al “voto utile” perdono rovinosamente quasi tutti i ballottaggi, con l’astensionismo che raggiunge nuovi record. A sinistra serve un rapido cambiamento di guida e di politiche, ma che non sia solo di facciata.

Fonte: Transform-Italia



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