lunedì 26 agosto 2019

Su Left, La crisi di governo vista dal Sud

Di Natale Cuccurese
Mentre Giuseppe Conte, nel suo discorso al Senato il 20 agosto scorso, ha omesso completamente la responsabilità del M5s sulla questione migranti, tacendo anche sulla responsabilità nell’aver portato al governo la peggior destra antimeridionale, preoccupa la sua disponibilità a procedere con decisione nell’applicazione del Regionalismo differenziato. Sarà un caso, ma questo passaggio del suo discorso è stato l’unico in cui Salvini ha annuito compiaciuto. Anche su questo punto Conte ha deluso, così come sul non aver evidenziato alcuna discontinuità con la disastrosa esperienza di governo appena conclusa, decreti sicurezza compresi.

Permangono quindi la pervicace volontà da parte del M5s di procedere con la “Secessione dei ricchi” e il pericolo che, per non scontentare l’elettorato e l’imprenditoria del Nord, Pd e M5s – che al Nord hanno sostenuto con forza le ragioni delle Regioni “secessioniste” – trovino un accordo, nell’eventuale formazione di un governo di scopo, convergendo sulla proposta di Regionalismo emiliano, presentandolo come «temperato». Il tema dell’autonomia differenziata resta così all’ordine del giorno del dibattito politico, a prescindere dalla crisi. Il sistema fin qui determinato in assenza della definizione di Lep (livelli essenziali di prestazione, ndr) e fabbisogni standard, che i Cinquestelle non han voluto o saputo affrontare o imporre, finirà per aumentare ancora di più le differenze tra le regioni. Il pericolo è evidenziato anche dalla polemica, nata pochi giorni fa al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini dopo una tavola rotonda sul tema, scoppiata fra Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, e Adriano Giannola, presidente dello Svimez. Tavola rotonda in cui Giannola ha giustamente attaccato il progetto autonomista della Lega e le richieste che vengono dalle tre Regioni del nord, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

«Per fermare l’eutanasia del Paese – ha dichiarato – il Nord deve capire che solo recuperando il Sud e il suo mercato interno (che assorbe il 70% delle merci prodotte al Nord) può recuperare esso stesso». Giannola ha inoltre rivendicato «l’operazione verità, che ha silurato le pretese iniziali del disegno autonomista». Ma ha messo in guardia sul «motivo accuratamente nascosto del fallimento del disegno autonomista, che fa prevedere una più virulenta ripresa, senza mediazioni, dopo l’eventuale vittoria elettorale della Lega» e riferendosi in particolare a Veneto e Lombardia, ha aggiunto, indicando il vero pericolo in essere per il futuro del Sud: «Torneranno alla carica, se vincenti, più aggressivi e più forti, con Salvini ancor più dipendente dai governatori». Punto sul vivo, Zaia ha affidato la sua risposta, poche ore dopo, a un lungo comunicato, con un veemente attacco contro chi difende – con numeri incontrovertibili – le ragioni di un Sud tacciato, come nella migliore tradizione leghista, come piagnone e sprecone: «È ora di finirla con la bufala della secessione dei ricchi e dell’Italia di serie A e serie B»…

Peccato però che, in questo caso, chi si lamenta da tempo siano proprio i governatori “secessionisti” del Nord, che battono cassa dolendosi di ricevere pochi denari anche se, proprio dai dati Svimez recentemente diffusi, si evince che principalmente su scuola, sanità, infrastrutture e trasporti il Sud negli ultimi 10 anni, anche grazie alla mai avvenuta definizione di Lep e fabbisogni standard, ha visto un imponente travaso di finanziamenti a vantaggio delle Regioni del Centro-Nord. Il “differenziale a vantaggio del Centro Nord” avviene considerando che il dato della spesa pubblica nel 2017 è stato di 696,7 miliardi di euro per il Centro nord, dove abita il 65,7% della popolazione, e di soli 272,6 miliardi di euro per il Sud, in cui risiede il 34,3% dei cittadini. Ecco da dove nasce l’espressione di cittadini di «serie A», al Nord, e «serie B», al Sud: dal fatto che il meridione riceve percentualmente molto meno solo per motivi geografici, con buona pace di Zaia.
Romano Prodi, sulle autonomie regionali, il 18 agosto all’interno di una intervista al Messaggero sulla situazione politica, ha dichiarato: «Non possono essere lasciate all’iniziativa di alcune Regioni, ma debbono coinvolgere tutti gli italiani». L’auspicio è che questa presa di posizione chiara contro il regionalismo differenziato, da parte di un personaggio molto autorevole all’interno del Pd, porti il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ad un ripensamento, se non ad una rapida retromarcia sul tema.

Giova a questo punto ricordare che il Sud con la caduta del governo vede anche interrompersi l’attuazione di quel «piano per il Sud» di cui il premier Conte ha fatto cenno nel suo discorso al Senato. I cui punti di forza sarebbero stati l’estensione della decontribuzione per le nuove assunzioni al Sud, a partire dai giovani, la nomina di Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, ndr) a “braccio operativo” degli enti locali, per sveltire la realizzazione di opere infrastrutturali e l’istituzione della Banca degli investimenti per aiutare le piccole e medie imprese meridionali ad accedere al credito in maniera più conveniente rispetto allo scenario attuale, coinvolgendo Banca del Mezzogiorno e Cassa depositi e prestiti. Per non parlare delle vertenze industriali, come, ad esempio, quella della Whirlpool. Impossibile, adesso, prevedere cosa di questo sarà ripreso o meno da un eventuale nuovo governo.
Di sicuro i tempi inevitabilmente si allungheranno a fronte di uno scenario da brividi per il Sud, sull’orlo di una recessione che meriterebbe decisioni molto più forti, rapide e condivise. In uno scenario economico che nel Sud vede una frenata più accentuata rispetto al Centro-Nord, con l’occupazione che si riduce già a partire dalla metà del 2018, e uno scenario negativo per il 2019 che fa prevedere un’ulteriore caduta dell’occupazione e del Pil. In sintesi: un 2019 di stagnazione italiana e di recessione meridionale.

Uno scenario che potrebbe ancora peggiorare se dovesse poi scattare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. La Svimez regionalizza l’impatto delle clausole e prevede un effetto recessivo diffuso su tutto il Paese ma più accentuato al Meridione, dove il più basso livello medio dei redditi esalta gli effetti della regressività dell’aumento Iva, cioè il fatto che pesi proporzionalmente di più sui consumatori a reddito basso. Per non parlare poi dell’eventuale applicazione della Flat tax sostenuta dalla Lega nel caso di nuove elezioni e di vittoria del centro-destra. Uno scenario assolutamente negativo per il Sud, in previsione di una manovra “lacrime e sangue” nei prossimi mesi, se i conti, come probabile, dovessero ulteriormente peggiorare.
Prima del precipitare della situazione è perciò necessario strutturare proposte di possibile e sensata realizzazione per rilanciare il Sud. È in gioco la tenuta democratica del Paese e la sua stessa natura unitaria.
Ad esempio, fra i cinque punti proposti dal Partito democratico per l’eventuale formazione di un nuovo governo con il M5s il quinto, «sterzata sulle politiche economiche», andrebbe approfondito ed integrato con una visione redistributiva, di rilancio del lavoro e di maggiore equità territoriale, con investimenti pubblici che necessariamente ripartano dal Sud e soprattutto, per mettere in sicurezza dall’egoismo leghista il Mezzogiorno nel prossimo futuro, arrivare finalmente a definire ed applicare una volta per tutte Lep e fabbisogni standard, affinché non vi siano più cittadini e servizi di serie A e di serie B. È questo un passaggio fondamentale perché i diritti sociali non rimangano vuota enunciazione, ma siano effettivamente esigibili. Misura dell’uguaglianza del Paese e reale indicatore che il regionalismo differenziato miri realmente ad una migliore efficienza e non sia destinato ad aumentare le diseguaglianze, già presenti, in nome dell’egoismo territoriale (come evidenziato dalla Corte dei conti il 17 luglio 2019).

Da questa proposta e da questo impegno di equità riparta anche la proposta progressista, sia nel caso di formazione di un nuovo governo, sia nel caso di elezioni, mettendo in campo uno sforzo straordinario per raccontare cosa comporterebbe per il Sud nei prossimi anni l’applicazione del regionalismo differenziato senza queste preliminari e necessarie definizioni (e raccontarlo dati alla mano, indicando quanto già è stato “scippato” e quanto lo sarà). Spiegando le conseguenze nel dettaglio a tutti gli elettori e non solo a quelli del Sud.

Natale Cuccurese è presidente e segretario nazionale del Partito del Sud-meridionalisti progressisti

Fonte: Left


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Di Natale Cuccurese
Mentre Giuseppe Conte, nel suo discorso al Senato il 20 agosto scorso, ha omesso completamente la responsabilità del M5s sulla questione migranti, tacendo anche sulla responsabilità nell’aver portato al governo la peggior destra antimeridionale, preoccupa la sua disponibilità a procedere con decisione nell’applicazione del Regionalismo differenziato. Sarà un caso, ma questo passaggio del suo discorso è stato l’unico in cui Salvini ha annuito compiaciuto. Anche su questo punto Conte ha deluso, così come sul non aver evidenziato alcuna discontinuità con la disastrosa esperienza di governo appena conclusa, decreti sicurezza compresi.

Permangono quindi la pervicace volontà da parte del M5s di procedere con la “Secessione dei ricchi” e il pericolo che, per non scontentare l’elettorato e l’imprenditoria del Nord, Pd e M5s – che al Nord hanno sostenuto con forza le ragioni delle Regioni “secessioniste” – trovino un accordo, nell’eventuale formazione di un governo di scopo, convergendo sulla proposta di Regionalismo emiliano, presentandolo come «temperato». Il tema dell’autonomia differenziata resta così all’ordine del giorno del dibattito politico, a prescindere dalla crisi. Il sistema fin qui determinato in assenza della definizione di Lep (livelli essenziali di prestazione, ndr) e fabbisogni standard, che i Cinquestelle non han voluto o saputo affrontare o imporre, finirà per aumentare ancora di più le differenze tra le regioni. Il pericolo è evidenziato anche dalla polemica, nata pochi giorni fa al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini dopo una tavola rotonda sul tema, scoppiata fra Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, e Adriano Giannola, presidente dello Svimez. Tavola rotonda in cui Giannola ha giustamente attaccato il progetto autonomista della Lega e le richieste che vengono dalle tre Regioni del nord, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

«Per fermare l’eutanasia del Paese – ha dichiarato – il Nord deve capire che solo recuperando il Sud e il suo mercato interno (che assorbe il 70% delle merci prodotte al Nord) può recuperare esso stesso». Giannola ha inoltre rivendicato «l’operazione verità, che ha silurato le pretese iniziali del disegno autonomista». Ma ha messo in guardia sul «motivo accuratamente nascosto del fallimento del disegno autonomista, che fa prevedere una più virulenta ripresa, senza mediazioni, dopo l’eventuale vittoria elettorale della Lega» e riferendosi in particolare a Veneto e Lombardia, ha aggiunto, indicando il vero pericolo in essere per il futuro del Sud: «Torneranno alla carica, se vincenti, più aggressivi e più forti, con Salvini ancor più dipendente dai governatori». Punto sul vivo, Zaia ha affidato la sua risposta, poche ore dopo, a un lungo comunicato, con un veemente attacco contro chi difende – con numeri incontrovertibili – le ragioni di un Sud tacciato, come nella migliore tradizione leghista, come piagnone e sprecone: «È ora di finirla con la bufala della secessione dei ricchi e dell’Italia di serie A e serie B»…

Peccato però che, in questo caso, chi si lamenta da tempo siano proprio i governatori “secessionisti” del Nord, che battono cassa dolendosi di ricevere pochi denari anche se, proprio dai dati Svimez recentemente diffusi, si evince che principalmente su scuola, sanità, infrastrutture e trasporti il Sud negli ultimi 10 anni, anche grazie alla mai avvenuta definizione di Lep e fabbisogni standard, ha visto un imponente travaso di finanziamenti a vantaggio delle Regioni del Centro-Nord. Il “differenziale a vantaggio del Centro Nord” avviene considerando che il dato della spesa pubblica nel 2017 è stato di 696,7 miliardi di euro per il Centro nord, dove abita il 65,7% della popolazione, e di soli 272,6 miliardi di euro per il Sud, in cui risiede il 34,3% dei cittadini. Ecco da dove nasce l’espressione di cittadini di «serie A», al Nord, e «serie B», al Sud: dal fatto che il meridione riceve percentualmente molto meno solo per motivi geografici, con buona pace di Zaia.
Romano Prodi, sulle autonomie regionali, il 18 agosto all’interno di una intervista al Messaggero sulla situazione politica, ha dichiarato: «Non possono essere lasciate all’iniziativa di alcune Regioni, ma debbono coinvolgere tutti gli italiani». L’auspicio è che questa presa di posizione chiara contro il regionalismo differenziato, da parte di un personaggio molto autorevole all’interno del Pd, porti il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ad un ripensamento, se non ad una rapida retromarcia sul tema.

Giova a questo punto ricordare che il Sud con la caduta del governo vede anche interrompersi l’attuazione di quel «piano per il Sud» di cui il premier Conte ha fatto cenno nel suo discorso al Senato. I cui punti di forza sarebbero stati l’estensione della decontribuzione per le nuove assunzioni al Sud, a partire dai giovani, la nomina di Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, ndr) a “braccio operativo” degli enti locali, per sveltire la realizzazione di opere infrastrutturali e l’istituzione della Banca degli investimenti per aiutare le piccole e medie imprese meridionali ad accedere al credito in maniera più conveniente rispetto allo scenario attuale, coinvolgendo Banca del Mezzogiorno e Cassa depositi e prestiti. Per non parlare delle vertenze industriali, come, ad esempio, quella della Whirlpool. Impossibile, adesso, prevedere cosa di questo sarà ripreso o meno da un eventuale nuovo governo.
Di sicuro i tempi inevitabilmente si allungheranno a fronte di uno scenario da brividi per il Sud, sull’orlo di una recessione che meriterebbe decisioni molto più forti, rapide e condivise. In uno scenario economico che nel Sud vede una frenata più accentuata rispetto al Centro-Nord, con l’occupazione che si riduce già a partire dalla metà del 2018, e uno scenario negativo per il 2019 che fa prevedere un’ulteriore caduta dell’occupazione e del Pil. In sintesi: un 2019 di stagnazione italiana e di recessione meridionale.

Uno scenario che potrebbe ancora peggiorare se dovesse poi scattare l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. La Svimez regionalizza l’impatto delle clausole e prevede un effetto recessivo diffuso su tutto il Paese ma più accentuato al Meridione, dove il più basso livello medio dei redditi esalta gli effetti della regressività dell’aumento Iva, cioè il fatto che pesi proporzionalmente di più sui consumatori a reddito basso. Per non parlare poi dell’eventuale applicazione della Flat tax sostenuta dalla Lega nel caso di nuove elezioni e di vittoria del centro-destra. Uno scenario assolutamente negativo per il Sud, in previsione di una manovra “lacrime e sangue” nei prossimi mesi, se i conti, come probabile, dovessero ulteriormente peggiorare.
Prima del precipitare della situazione è perciò necessario strutturare proposte di possibile e sensata realizzazione per rilanciare il Sud. È in gioco la tenuta democratica del Paese e la sua stessa natura unitaria.
Ad esempio, fra i cinque punti proposti dal Partito democratico per l’eventuale formazione di un nuovo governo con il M5s il quinto, «sterzata sulle politiche economiche», andrebbe approfondito ed integrato con una visione redistributiva, di rilancio del lavoro e di maggiore equità territoriale, con investimenti pubblici che necessariamente ripartano dal Sud e soprattutto, per mettere in sicurezza dall’egoismo leghista il Mezzogiorno nel prossimo futuro, arrivare finalmente a definire ed applicare una volta per tutte Lep e fabbisogni standard, affinché non vi siano più cittadini e servizi di serie A e di serie B. È questo un passaggio fondamentale perché i diritti sociali non rimangano vuota enunciazione, ma siano effettivamente esigibili. Misura dell’uguaglianza del Paese e reale indicatore che il regionalismo differenziato miri realmente ad una migliore efficienza e non sia destinato ad aumentare le diseguaglianze, già presenti, in nome dell’egoismo territoriale (come evidenziato dalla Corte dei conti il 17 luglio 2019).

Da questa proposta e da questo impegno di equità riparta anche la proposta progressista, sia nel caso di formazione di un nuovo governo, sia nel caso di elezioni, mettendo in campo uno sforzo straordinario per raccontare cosa comporterebbe per il Sud nei prossimi anni l’applicazione del regionalismo differenziato senza queste preliminari e necessarie definizioni (e raccontarlo dati alla mano, indicando quanto già è stato “scippato” e quanto lo sarà). Spiegando le conseguenze nel dettaglio a tutti gli elettori e non solo a quelli del Sud.

Natale Cuccurese è presidente e segretario nazionale del Partito del Sud-meridionalisti progressisti

Fonte: Left


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