Di Antonio Rosato
Novembre 1943, la feroce battaglia sulla linea GUSTAV assume
aspetti che Dante avrebbe potuto descrivere solo aggiungendo un girone in più
nell’Inferno della sua divina commedia, il girone peggiore, quello più crudele
e zeppo di sofferenze inenarrabili forse.
Fortificazioni tedesche ben
congeniate e alleati dall’altra parte del Garigliano convinti di sfondare si
giocano la crudele partita a suon di assalti e bombardamenti incessanti via
mare, terra e aria. Al centro la popolazione civile, ignara e ottenebrata dagli
eventi al centro della disputa. Perlopiù vecchi donne e bambini perché gli
uomini in salute sono chi al fronte, chi prigioniero nei vari campi di lavoro o
concentramento sparsi in giro per il mondo.
Manca cibo, manca acqua potabile.
Le bestie quali requisite per soddisfare le esigenze alimentari dei tedeschi,
quali cadute sotto le bombe assieme ai loro padroni. Fame e freddo sono solo un
contorno alle sofferenze dei feriti, mutilati o morti sotto gli attacchi.
Ricoveri non ve ne sono, ne tantomeno ripari poiché il 100% delle abitazioni in
alcuni comuni come Castelforte e San Cosma e Damiano sono state abbattute dai
bombardamenti. Gli altri invece, quelle donne e bambini o anziani graziati da
quella mano invisibile che ha deviato quella scheggia o quella raffica, si
porteranno per il resto della vita fino
alla tomba danni psicologici mai sanati. Giorni e giorni senza dormire, e notti
illuminate a giorno dai traccianti o dalle granate. Lacrime non se ne versano
più, finite da tempo, e i bambini,
quando i bombardamenti erano meno fitti o si spostavano sulle montagne,
giocavano tra le macerie con la neve caduta copiosa o i resti delle granate, e
spesso anche inesplose o esplose tra piccole ed innocenti mani che hanno come unica colpa quella di
essere venuti al mondo negli anni sbagliati.
Ma dopo mesi e mesi insonni, mangiando erba destinate
solitamente alle capre, sradicata tra i muri o nei fossi in paese, perchè fuori
paese i campi minati non permettevano di andare, e rassegnati alla morte, arriva
la speranza di salvezza. Sotto i bombardamenti vengono sfilati gli abitanti per
portarli la dove la guerra non c’è. Mia nonna mi raccontava sempre di quella
notte.
Mio zio che appena camminava e mio padre di pochi giorni nato sotto i bombardamenti del 23 dicembre
del “43 legato con una sciarpa dietro le spalle, si incamminarono assieme ad
altre persone. Con gli occhi ancora pieni di terrore e sgranati come se fosse
stato ieri mi narrava di quando per non inciampare sulle mine a strappo
passavano sui morti del Rio Ravi. Senza scarpe e senza bagagli. Mettendo i
piedi uno dietro l’altro sui morti perchè il passaggio era più sicuro. Spesso,
senza toccare terra per metri e metri. Giorni di cammino, e poi i camion.
Salirono su senza neanche sapere la destinazione, senza chiedere, senza cibo
acqua e con l’unico bagaglio al seguito quello della speranza.
La guerra oramai era alle spalle anche se i fischi delle
granate e dei proiettili ancora restavano nelle orecchie. Ad essere sincero
penso che questi non siano mai andati via e sia poi invecchiata con questi
sibili nelle orecchie e nella testa,
solo che non ne parlava, ma sicuramente ci conviveva. I mezzi diretti a sud,
quel profondo sud che Lei non aveva mai ne visto nè visitato. Quel Sud
meraviglioso che ha accolto questi sfollati a braccia aperte. Lei nello
specifico fu destinata assieme ad altre famiglie in quel di CARBONE in
provincia di Potenza. Furono accolti con pane appositamente sfornato e
formaggio. Sapori oramai dimenticati da mesi. Mi racconta di compaesani che
appena messo il primo boccone in bocca hanno dato di stomaco perche vuoto da
troppi giorni e non più abituato a ricevere cibo. Ogni famiglia di Carbone, ma
cosi anche a Castrovillari, Cittanova, Maratea etc, aprirono le porte di casa a
questi profughi di guerra. Profughi definiti allora SFOLLATI.
Ridotti a poco più che ruderi umani, dove non si capiva se la
pelle era osso o ancora poteva definirsi pelle, entrarono in una casa vera dopo
mesi. Casa aperta e messa a disposizione di persone sconosciute. Cose che solo
al Sud forse possono accadere. La gara di solidarietà in paese fu commovente,
con scene da da libro “Cuore”. Latte per i bambini, uova e maccheroni fatti in
casa, cotti sul fuoco del camino. Quel fuoco che emanava non calore, ma amore.
Quell’amore meridionale che abbiamo nel sangue. Da noi l’ospite ancora oggi è
sacro. Queste persone erano sfortunate,
erano sfollati come i Siriani oggi. E si parlava con i propri figli mettendoli
al corrente che da quella sera avrebbero diviso la stanza con un bambino
bisognoso, più sfortunato di loro, per questo bisognava stringersi un
pochettino di più e condividere tutto.
Scarpe nuove e vestiti per i bambini “SFOLLATI”
e per le mamme. Un letto, cibo e il caldo di una casa. Tutto questo, pensate,
senza chiedere nulla in cambio e spessissimo senza neanche capirsi perché i
dialetti erano troppo diversi e non tutti conoscevano l’italiano imposto 60
anni prima. Sfollati, cosi si chiamavano.
Ma oggi il sud non ha perso quel
grande cuore e quell’amore che ha verso l’essere umano e per il prossimo. Anche
oggi il nostro meridione strappa dall’acqua quei migranti disperati provenienti
chi sa da dove. Sulle coste siciliane non si chiede il passaporto, quelle sono
cose per buracrati senza faccia e senza cuore. Ma si offre una coperta per
scaldarsi, o un paio di ciabatte. Non si chiede al bambino da dove viene, ma gli
si offre il cartone di latte e qualche biscotto. Non siamo come alcuni
governanti gelidi e senza cuore del nord italia e nord europa. Noi siamo il
sud. Che si chiamino sfollati, o profughi, o migranti a noi non interessa. Ho
visto in Tv donne meridionali piangere, commosse dalle condizioni e dai
racconti di quella povera gente che qualcuno invece vorrebbe affondare a mare.
Ho visto anziani portare dei panini e vestitini dismessi dei nipotini. Senza
chiedere nulla in cambio, come nel “44. E il cuore che è diverso, la
sensibilità verso il prossimo, di cui ne vado fiero, che è diversa. Mai nessuno
si sognerebbe nel nostro sud di costruire muri o barricate. Nessuno si
sognerebbe di tatuare su un braccio un numero. Nessuno si preoccuperebbe di
innalzare barriere di filo spinato o far rincorrere dai cani i migranti. Noi
siamo il sud, cosi diverso, cosi civile, cosi solidale e cosi ospitale. Non ci
importa il colore della pelle, nè il passaporto.
E mentre nei palazzi Europei
in francese o in inglese non si
prendono decisioni, da noi al sud senza capirsi , senza conoscere l’arabo o il
francese si aiutano queste persone a prescindere da ogni altra considerazione. Si
porge la mano verso il mare e si tira
fuori quell’essere spaventato e indifeso che in quel momento ha bisogno. Questo
è il nostro sud, e ne vado fiero e orgoglioso. Mentre ad altre latitudini politivi
e faccendieri si accapigliano nei palazzi facendo a gara a chi è più razzista,noi
siamo diversi da sempre. E la storia lo dice. Vorrei concludere questo mio post
con delle parole prese in prestito da un grandissimo meridionale, Totò.
Parole
che vorrei dedicare a quelli che fanno barricate o vorrebbero bombardare i
barconi. Parole però, che forse solo noi riusciamo seriamente a comprendere e
farle nostre nell’animo:
“Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"
.
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