domenica 27 aprile 2014

PERCHE' BRIGANTI? di Domenico Iannantuoni e Francesco Cefalì


https://www.youtube.com/watch?v=uKo-PVShJ3o

 Motta Santa Lucia - 12 Aprile 2014 Presentazione di: PERCHE' BRIGANTI - La vera storia del "brigante" Giuseppe Villella di Motta S. Lucia (di Domenico Iannantuoni e Francesco Cefalì) LOMBROSO E IL BRIGANTE - Storia di un cranio conteso (di Maria Teresa Milicia)

Un contributo verso la vera storia del Risorgimento italiano (il libro si può leggere su ebook a soli euro 3,50: www.inmondadori.itper averlo in forma cartacea contattare "Arte Grafica di Gigliotti Franco" Via XX Settembre Lamezia Terme


LOMBROSO, il negazionismo e il diritto criminale

Di Domenico Romeo          

Fonte:Lameziainstrada

Sono scorie di veleno quelle che scendono nel campo della scienza forense e nel campo della ricerca storica. 
Veleno che scende a fiume, arsenico che trasuda e si getta in un mare di curaro che lascia in eredità un alone implacabile. 
E’ Lombroso a scatenare queste discussioni, è il presunto padre dell’antropologia criminale a creare fazioni, scuole di pensiero, tesi più o meno uguali e difformi. 
Procediamo con ordine in quel che sarà, con tale pezzo, una disamina investigativa che non ha intenzione di offendere reputazioni di alcun soggetto che verrà citato, ma solo fornire un‘analisi attenta ed un confronto culturale fra le parti chiamate in causa.  
Venerdì 28 Marzo usciva un articolo su Repubblica, a firma del giornalista Massimo Novelli, che riportava una notizia  inedita e da prime pagine: una studiosa, autrice di un libro su Lombroso, avrebbe subito minacce in seguito alla stesura del proprio libro in cui elogia la figura di Lombroso. 
La notizia, come detto, sollevava un polverone perché citava soggetti, personaggi, enti, istituzioni varie. 
L’autrice di questo libro, Prof.ssa Maria Teresa Milicia, è una stimata docente calabrese che insegna all’ Università di Padova ed in questo libro descrive la correlazione avuta fra Lombroso con il "brigate" Villella, il successivo analisi del suo cranio. La docente arriva ad una conclusione: le teorie lombrosiane non sono accusabili di razzismo scientifico. Per doverosa comunicazione ad eventuali ignari della materia, il cranio di Villella analizzato da Lombroso, rappresenta il feticcio dell’antropologia criminale su cui Lombroso ha ricavato la teoria del delinquente per natura (teoria astrusa, inventata, debellata dalla scienza).  
Per doverosa informazione è necessario fare un’ulteriore correlazione fra il testo, la casa editrice (Salerno) e la sua gestione culturale. 
Questo libro, difatti, esce in una collana diretta e seguita dal Prof. Alessandro Barbero, noto negazionista dell’olocausto dei Savoia verso i meridionali, risaputo negatore dell’istituzione del lager di Fenestrelle. 
Si aggancia, dunque, la figura di questo accademico, come collante ideologico in ciò che sarà il messaggio definitivo del libro, ed è sul Prof. Barbero che adesso si spenderanno due righe. 
Il negazionismo di quest’uomo su ciò che è stato l’ultimo crimine di fine Ottocento, il massacro del popolo del Meridione, appare non solo imbarazzante, a fronte della comprovata, acclarata, inconfutabile documentazione storica che lo accerta, ma diviene lucida dissertazione quando tali tesi vengono spiattellate in trasmissioni Rai, senza un contradditorio. Disinformazione che scorre come verità certa. 
Dal  profiling emerge  l’uso della parola "frottola" al crimine etnico perpetrato, stessa tipologia di parola utilizzata dal negazionista della Shoah Faurisson, in sede di negazione di tale eccidio (“le camere a gas sono state una frottola di guerra, causa impossibilità tecnica di fuoriuscita”).
Altro particolare che porta ad attenzionare subito la psicologia del negazionista in genere, è l’utilizzo continuo del termine "revisionista". "Sei un revisionista"… "basta con questo revisionismo"…sono aspetti mentali di chi tende ad imporre una realtà costruita, spesso, artificiosamente e tramandata per verità storica sicura. 
Pansa, giornalista autore di numerosi libri sul dopo il 25 Aprile in Italia, fu accusato violentemente, da specifici schieramenti politici, di "revisionismo", soltanto per avere detto il vero, ossia che il movimento partigiano italiano non era uniforme sugli intenti della post liberazione: alcuni partigiani optavano per una Nazione con Costituzione democratica, o Repubblicana, altri  partigiani filo-sovietici  optavano per una Nazione comunista (e, documenti alla mano, considerata tradita la Resistenza, iniziarono a porre inizio ad eccidi). Tutti i partigiani erano antifascisti, ma non tutti i partigiani erano liberali. 
La parola di accusa "revisionista", nella psiche negazionista, indica un fastidio generato dalla volontà di chi sta di fronte, di dimostrare non solo accadimenti storici diversi nelle tesi, ma esposti in forma che indurrebbero al negazionista la perdita della sua credibilità e carisma sociale.   
In realtà, non solo chi accusa di revisionismo è immerso in un pantano di negazionismo/oscurantismo, ma è evidente che vi è un linkage psicologico fra coloro i quali negano crimini accaduti,  pur essendo soggetti di diversa nazionalità, contestualità storica, epoca. 
In tale trasmissione lo show del negazionista, è proseguito, attribuendo il fenomeno del brigantaggio ad una mera lotta di ricchi contro poveri, collocando Pontelandolfo in Lucania (Professore, con rispetto parlando, la invitiamo non solo a riguardare la storia, ma anche  la geografia in considerazione del fatto che tale località si trova in Campania).
Davanti agli schermi Rai, il nostro insigne luminare, dapprima nega l’ olocausto savoiardo, poi si contraddice confermando la discesa agli inferi dei liberatori piemontesi. Egregio Prof, ci ha un pò confusi, ci scusi, ricominciamo, repetita iuvant. Insomma, chiediamo scusa e sempre con rispetto parlando: sono scesi o non sono scesi al Mezzogiorno questi benedetti Savoia? Vuoi vedere che quell’esercito, con Lombroso al seguito, era sceso al Sud per trovare moglie meridionale tutta casa e chiesa?    
Oltre alla negazione di massacri, eccidi, deportazioni, è bene sapere che il Prof. Barbero ha curato la prefazione del libro "Le catene dei Savoia" (scritto da altri autori), dove non solo si nega l’olocausto sabaudo, ma l’ accademico arriva ad una tesi, incredibilmente e lucidamente disarmante: ai meridionali deportati a Fenestrelle, era giusto destinare loro la sorte di essere sciolti nella calce viva, perché considerate le usanze dei tempi, si doveva fare ciò "per motivi di igiene". 
Tesi che potrebbe essere interpretata come la solita, viscida, infame, reietta ratio sottesa che porta a fare indurre un messaggio chiaro e preciso: i meridionali puzzavano, puzzano e puzzeranno sempre. Rassegnatevi, sporchi terroni, è la vostra condizione naturale. 
I Savoia, come da storia documentata, possono essere additati come i primi, veri, traditori della Patria, nonché traditori di quell’idea risorgimentale che aspirava di assegnare, ad un’unica Nazione, il concetto di autodeterminazione di un popolo  e l’idea di Patria come casa comune. 
“I Savoia hanno, nel dna della razza, l’assassino di Stato, le stragi innocenti, l’odio contro le masse lavoratrici”. Questa è stata la descrizione su quella dinastia reale prodotta dallo storico Gerlando Lentini, e nulla è più vero. 
Una gloriosa carriera criminale, quella sabauda, iniziata con la corruzione, le devastazioni, la pulizia etnica del Sud, proseguita con la firma delle leggi razziali e conclusa in forma dignitosa con la fuga vigliacca di notte al porto di Pescara, approfittando di  una nazione sotto le macerie del Secondo conflitto mondiale. 
Vigliacchi e ladri, assassini impuniti. 
Ma sia chiaro che, quando in questa disamina, si utilizzano detti riferimenti al casato Savoia, si specifica che i riferimenti vanno solo ed esclusivamente "a quei Savoia", quei signori che dal 1861 al 1943 erano presenti nel territorio nazionale a compiere le peggiori gesta criminali. E’ opportuno e doveroso indicare che tali riferimenti escludono gli eredi, i congiunti e gli affini dei fuggiaschi sabaudi, cittadini al di fuori di ogni colpa, meritevoli del consueto rispetto umano e che, rientrando in Italia dopo l’approvazione di legge, hanno accettato le norme sancite dalla Costituzione divenendo cittadini uguali agli altri  nei diritti e nei doveri.     
Avendo posto chiarezza sulla collana che gestisce il saggio della Prof. Milicia, dopo avere decritto, seppur in forma lieve, le assonanze psicologiche dei negazionisti, è bene spiegare a questo punto, che cos’è il negazionismo, l’oscurantismo e chi sono i negazionisti. 
In termini sia scientifici che nell’ottica dell’investigazione psicologica, la differenza è sostanzialmente questa: l’oscurantismo è il nascondimento di crimini ideologici prodotto a monte, ossia da governi che, detenendo il potere, cercano di nascondere crimini ideologici commessi; il negazionismo è quella forma di negazione di un crimine ideologico, non sempre commesso da governi, ma da ambiti sociali o ideologici, che protendono a negare (anche pacchianamente) o a sminuire crimini efferati commessi in nome di una qualsiasi idea.    
Il negazionista è colui che, innanzi all’evidenza, nega un crimine profanando la verità, o per un proprio delirio ideologico proteso all’avversione verso una razza, etnia, ecc.,  o in forma "guidata"  al servizio di un Governo. In ultima analisi, può anche essere un folle più o meno dichiarato.
E così, nell’ universo dei negazionisti, troviamo una vasta gamma di coloro che negano con tutte le loro forze: la Shoah ebraica, l’eccidio degli indiani, le Foibe, il massacro del Sud da parte dei Savoia, la mafia, la Nakba e …. persino la nascita di Gesù Cristo (si può non credere alla figura messanica di Yousha Ben Joseph, ma la sua esistenza vissuta è realtà storica, desumibile sia in ambito teologico che dalla storia romana).  
Basta solo pensare che la Turchia fatica, ad oggi, a trovare un serio riconoscimento per l’ingresso all’interno della Comunità Europea, in virtù di una presenza molto forte (anche in sede governativa), di negatori del massacro degli armeni, il primo eccidio del secolo novecento. 
A questo, si aggiunge un particolare. In Italia, è rimasta in sospeso una legge che cataloga "il negazionismo" come reato. Dovesse passare questa legge, negare ogni genocidio accaduto, è reato, così’ come è reato diffondere tesi, diffamatorie, oscurantiste, propendenti alla negazione del genocidio in questione. 
Bene, in considerazione che i massacri avvenuti in fase post-unitaria a Pontelandolfo e Casalduni ed in tutto il meridione dello Stivale (le predette località si trovano in Campania, Professore Barbero, non in Lucania, repetita iuvant semper), sono stati  riconosciuti dal Governo italiano come genocidio (tempo fa l’ On. Amato si è recato in quei luoghi al fine di rendere onore alla stele dei martiri), dovesse passare la legge, negare tale  pulizia etnica diverrà reato. 
Torniamo all’origine del tema e pensiamo a ciò che è stato spunto di riflessione per molti.  Come fa un’autrice calabrese ad essere promossa editorialmente da una collana negazionista ? 
Per molti versi, non ce ne voglia nessuno, è come se un autore, o un’autrice, di chiare origine ebraiche, scrivesse un testo sul negazionismo della Shoah, facendosi sponsorizzare da una collana editoriale guidata da Faurisson. 
Si ritiene che all’opinione pubblica tale notizia potrebbe provocare sconcerto e disgusto.   
Se l’intento della Dott.ssa Milicia era quello di fare pubblicità al libro o di sponsorizzarlo mediante una fine campagna mediatica, allora possiamo dire che l’ operazione è perfettamente riuscita.  
Ad ogni modo, la risposta la si individua  nel vuoto normativo ad oggi esistente riguardante la legge sul ‘negazionismo’ rimasta immobile in sede di legiferazione ed è riconducibile ad una differenza sostanziale che c’è fra ciò che è immorale e ciò che è illegale. 
In Italia, i negazionisti non rispondono penalmente, ma subiscono solo la pubblica esecrazione della  scienza, dalla  storia, dall’opinione pubblica. Ma non vanno in galera, purtroppo. Almeno per adesso. Le loro idee di profanazione sui crimini riconosciuti come genocidi,  vengono fatte passare come scusante della libertà di pensiero, di opinione, di conduzione della ricerca storica. 
All’estero, invece, in Paesi come l’ Austria, la moda del negazionismo come dirupo della scienza deviata, è quasi debellato in virtù di numerosi arresti condotti a criminali del pensiero o grazie numerosi internamenti in manicomi a soggetti che giuravano di avere parlato con testimoni della Shoah e testimoniavano l’assenza dei lager nazisti. 
E’, pertanto, fuor di dubbio il fatto che coloro i quali, in Italia, negano il genocidio al popolo meridionale, non solo un giorno avranno buone possibilità di riempire le patrie galere, una volta passata la legge, ma andranno in galera coloro i quali diffonderanno libri, pseudo tesi, scritti, che recheranno nocumento alla dignità del dolore derivante dalle pulizie etniche. E le persone che si affiancheranno ideologicamente, culturalmente, intellettualmente, come da testo di legge, risponderanno di un ulteriore reato altrettanto : il concorso morale, forse più grave, perché recepito dall’esterno.   
Questa impunità presente in Italia, fa scaturire un pericoloso diritto occulto, invisibile, che non è un diritto scritto, né tacito, ma una presa di posizione che nasce dall’automatismo delle tesi infami portate come certe: il diritto criminale. 
Questo diritto si consolida con la volontà piena di volere, quindi con la volontà di ‘sentirsi in diritto’, di calpestare il crimine oggetto di attenzione, di essere ancora nel ‘diritto’ di alterare,  mistificare la realtà a proprio piacimento. Il diritto criminale è quella sorta di moda culturale che intellettualoidi in odore di spirito di negazione, rendono ad adepti, incapaci al momento della volontà di  discernimento fra verità e faziosità. Il diritto criminale, nasce quando la negazione e/o l’atteggiamento criminale preso in riferimento, diviene legalizzato spiritualmente, psicologicamente e/o di fatto. Si configura questa singolare forma di diritto, attraverso una volontà che porta a rimarcare , anche, o la liceità del crimine effettuato dall’offender, il quale ha agito per necessità storica o morale, e/o per evitare conseguenze peggiori verso la vittima, che in tale contesto dovrebbe essere grata al suo carnefice e che lo porta ad una forma di dipendenza/riconoscenza per lunghi tratti della vita. 
Il diritto criminale trova la sua applicazione, altresì,  quando, in particolari Stati teocratici di oggi, viene preteso dalla massa che in virtù di severe tradizioni e codici sociali, legifera il crimine verso un soggetto, come espiazione di un male irredimibile e gravemente offensivo. Capita, pertanto, che numerose donne vengono lapidate perché presunte adultere, capita che chi professa una religione ‘non ufficiale’, venga sgozzato. E’ crimine, ma è legge, quindi crimine non è.  
E’ ossatura Costituzionale, parimenti a come consideriamo sacri i nostri dettati di legge ( seppur diversi, ovviamente, nell’esplicazione tipica di una Democrazia occidentale).       
Il diritto criminale è, quindi, un’applicazione psicologica che prima di fondarsi sulla pratica storica, agisce con aggressiva profondità  come ‘mindhunters’ verso il genere umano.  
Dispiace per la prolissità dell’incipit, si è fatta questa premessa doverosa, fondamentale per tracciare un profilo prodromico , del tutto oggettivo, su quanto sarà in  disamina.               
Tornando all’articolo si  riportano alcuni stralci di fondamentale importanza. 
Scrive il giornalista Massimo Novelli che la presentazione della Prof. Milicia, da farsi nella patria di Giuseppe Villella, Motta S. Lucia, non si è svolta perché ‘ si temevano contestazioni da parte di esponenti di quei movimenti neoborbonici e antiunitari che da tempo, mediante uno stravolgimento e manipolazione della storia d’ Italia e del Risorgimento, impazzano sul web, attaccando ed insultando chi non la pensi come loro’
Questa notizia riportata  è falsa
La falsità, si tramuta in diffamazione, stortura della verità, quando, successivamente nell’articolo, si cita il Comitato No Lombroso, associandolo sottesamente ad un movimento di natura quasi anarco- insurrezionalista. Disinformazione gratuita, messa in moto senza conoscere gli intenti di questo Comitato scientifico.  Quest’ultimo, applica una finalità, come da atto costitutivo, di condurre un’ opera di abbattimento alle teorie eugenetiche condotte dal capostipite dell’Antropologia Criminale, promuovendo un disegno di legge per la messa al bando della memoria di uomini colpevoli direttamente e indirettamente di delitti connessi con crimini di guerra e razzismo.
Un fine nobile di tale Comitato Scientifico, rigorosamente apolitico, apartitico composto da uomini e donne di diversa  levatura intellettuale, che combattono per una causa comune: i diritti umani. Attaccare il Comitato Scientifico significa attaccare i diritti umani, né più, né meno. Attaccare i diritti umani, diventa, un’ azione disdicevole da qualsivoglia persona la metta in pratica. 
La causa perorata dal Comitato Scientifico, è sì quella legata al cranio di Villella, ma anche quella legata alla restituzione di ogni resto umano esposto in maniera barbara ed indecente, senza alcun motivo né fondamento scientifico, all’interno del Museo Lombroso di Torino. Quei resti appartengono ad essere umani fatti passare artificiosamente per delinquenti , in una nazione che tutela il diritto al decoro dell’essere umano, in vita e dopo, in un sistema internazionale tutelato dalla Carta di Nizza. 
Con il coinvolgimento di artisti, enti, personalità di spicco nei vari campi della Nazione, il Comitato Scientifico viene vissuto dagli appartenenti come una dimensione umana preponderante, figlia di un senso di appartenenza comunitario e spirituale, slegato da oltranzismi religiosi, politici, personali. 
Fatta chiarezza su questo, si potrebbe intendere l’attacco ad un Comitato Scientifico che lotta per la salvaguardia dei diritti umani, come una manovra artificiosa di spostare il baricentro della verità in canali di disinformazione per creare denigrazione gratuita. 
Passare dall’attività scientifica, dai diritti umani, al nostalgismo neoborbonico…certo che ce ne vuole  ! 
A tal uopo, si precisa che dopo simili notizie giornalistiche, il Presidente del prefato Comitato, Dott. Domenico Iannantuoni, ha avuto un incontro telefonico con il Sig. Novelli, il quale ha mostrato sincera costernazione nell’apprendere le attività reali del ‘ No Lombroso’ e , pertanto, si dirà: chi ha dettato l’inquietante testo all’ignaro giornalista ?  A quest’ultimo, non si vuole ascrivere nessuna colpa, se non la leggerezza di avere riportato notizie che ha ritenuto, erroneamente,  fondate dalla fonte. E questa fonte, chi sarebbe ? Peccato, ancora, che all’invito estesogli di fare dovute integrazioni doverose all’articolo, ad oggi, tale invito è rimasto disatteso.   
Il pezzo di Repubblica continua ad affondare in forma diffamatoria sugli abitanti del paese di Villella, affermando che un’Informativa dei Carabinieri aveva intimato al Sindaco, Dott. Amedeo Colacino, di evitare questa presentazione per motivazioni legate all’ordine pubblico. 
Non solo non è mai esistita alcuna Informativa, ma il Sindaco del paese chiamato in causa ha sporto querela verso tale giornalista, perché i fatti descritti non rispondono al vero. 
Per la cronaca, il libro non solo è stato presentato in data successiva, ma in contradditorio con un altro libro ( ‘Perché Briganti?’ )  dei Dott. ri Domenico Iannantuoni e Francesco Cefalì.
Ma il bello deve ancora venire, concentriamoci su quanto asserito dalla Dott. ssa Milicia in tale articolo. 
Da come riportato, la ricercatrice asserisce che Villella viene considerato un patriota dai suoi concittadini, quando  in realtà era un ladruncolo: scoperta che ha lasciato in molti perplessi.  
Per la semplice ragione che fra le motivazioni racchiuse nella richiesta da parte del Comune, assolutamente legittima, di riavere indietro il teschio, è correlata una inconfutabile descrizione storica sull’identità e sul profilo soggettivo del soggetto in questione, sottoposto a fermo, all’epoca,  per avere fatto da palo ad un furto. Non un brigate, dunque, ma un poveraccio che per fame, ha fatto da palo. Fin qui, dunque, niente di nuovo, vecchie verità già accertate. 
Motivazione che amplifica le ragioni di coloro che invocano la degna sepoltura, perché avvalorano ulteriormente l’aberrazione su Lombroso e nei riguardi della sua  criminale tesi dell’atavismo. 
Ma è altro che lascia sconcertati in molti, ossia quando si legge che la Prof.ssa Milicia asserisce che : “ Se non ci fosse stato di mezzo Lombroso, il cranio del povero Villella sarebbe stato sepolto in una fossa comune…”
Fermiamoci un attimo e ragioniamo. 
Con tutto il rispetto per la docente calabrese, se la chiave di lettura di questa frase è intesa come senso della salvaguardia della pietas dei defunti, a questo punto si avvalora ulteriormente la domanda che cosa ci possa fare un cranio ‘salvato’ ed esposto musealmente, nonostante sia privo di ogni particolare scientifico. 
Se la chiave di lettura, è intesa come forma di privilegio, perché il suo feticcio è reso immortale da un folle tagliatore di teste, non ce ne voglia la Dott.ssa Milicia, ma, a parere di molti, siamo al dileggio dell’essere umano nei valori più sacri ( sicuramente involontario da parte della docente, che intende prediligere l’aspetto museale ).  Tutt’al più dovrebbe essere Lombroso, l’offender, il massacratore, l’assassino seriale parafiliaco e dovere ringraziare la sua vittima per averlo reso immortale. Solo l’ Italia ha potuto dare retta ad un folle simile, precursore ideologico del nazismo,  in considerazione del fatto che all’estero ridono e sbeffeggiano su tali teorie lombrosiane.
Se così fosse, ci si può ricondurre alla teoria che giustifica il male ponendolo come legge, come Ius imperii per definizione naturale: il diritto criminale, che in questo caso, in forma ovvia, si tramuta in diritto criminale di eugenetica. 
Senza offesa per nessuno, sono disamine forti, oggettive, che si ritiene possano mettere d’accordo mondo cristiano e mondo ateo con valori etici.
A parere di molti, appaiono altrettanto lacunose e che potrebbero provocare sincero imbarazzo fra gli addetti ai lavori, le ulteriori dichiarazioni della Prof. Milicia, rilasciate al sito Approdonew, quando sostiene che il Lombroso non aveva catalogato i calabresi come criminali o delinquenti per natura, in virtù degli scritti contenuti nel saggio ‘ In Calabria’.
A comprova ulteriore della sua particolare attenzione morbosa nei riguardi della conformazione cranica dei calabresi, al fine di ricavare i lineamenti de ‘ L’uomo Delinquente’, vi è la sua ‘missione di pace’ come Ufficiale medico dell’esercito savoiardo, in cui lo psicopatico millantatore, da buon mercenario al servizio dei criminali sabaudi, ha avuto tutto il tempo per misurare crani, squartare teste consegnate dopo la macelleria degli antesignani dei nazisti. La terra di conquista delle razze inferiori semitiche, non ha scampo.     
Si rispetta il diritto di opinione della docente, ma in tutta franchezza, probabilmente nell’ambito dell’ analisi del testo, a parere di molti, sembra le sia sfuggito il capitolo in cui lo stesso Lombroso descriveva in forma chiara, la conformazione cranica dei calabresi, facendo confluire la logica del proprio discorso, in un contesto di soggetti arretrati ed inferiori su scala umana e sociale, stereotipati per via razziale.  
E’ anche, riguardo al Museo che l’autrice del libro, utilizza parole di apprezzamento e che lo esclude dall’essere un Museo razzista. 
Per  molti , non solo è razzista, ma è di più: è sottilmente veteronazista, attraverso messaggi a volte diretti o indiretti, alle volte sottesi, alle volte subliminali, che evocano all’ignaro visitatore, l’elenco di razze inferiori, superiori. 
I passaggi diabolici verso il visitatore si possono riscontrare attraverso descrizioni apposte sui resti umani : ‘omo quadrumàno” delle specie inferiori’, rimarcando nella guida del Museo a pagina 75 che: “L'indagine lombrosiana tesa a scoprire quale grande monstrum si celi dietro il ladruncolo o il brigante. Derivando una propensione innata a delinquere dalla struttura anatomica dell'individuo o più semplicemente dall'appartenere a una determinata razza si profila la nuova figura del delinquente nato “. 
A questi deliri, il Direttore del Museo ha risposto che l’ente, comunque, informa il visitatore dell’infondatezza scientifica di tali teorie ed a questo punto la domanda è sempre quella: attestata l’infondatezza, che motivo c’e’ di esibire resti umani, cavie da laboratorio ? 
E’ come se, ad oggi, in Germania si istituisse un Museo che rielaborerebbe le nefandezze del Dott. Mengele ed esposti i poveri cadaveri dei lager nazisti. 
In un’ Europa che è uscita con le ossa rotta da due Guerre Mondiali, siamo all’assurdo, alla profanazione dei valori più sacri ed inviolabili, all’apologia del protonazismo.
Il nazismo, di fatti, non è da considerarsi come l’inventore dell’antisemitismo, ma l’organizzatore perfetto di quelle pratiche, convogliate nel famoso diritto criminale, che hanno portato alla deportazione ed esibizione di uomini perché classificati come esseri inferiori, sulla base della pretesa della massa, in sinergia con l’ideologia: una simbiosi inscindibile. 
E queste idee, morte il nazismo, si sono svestite della croce uncinata, ma si sono riciclate nei Governi del mondo, nella scienza, nella medicina deviata, nella biologia mistificata, nelle ideologie segregazioniste di cui Mandela fu un alfiere combattente.  
L’ultima frontiera, in Italia, è rappresentata da questa ignobile esposizione di crani, teschi, e quant’altro. Che Dio ci perdoni.     
La vicenda Lombroso-Villella, in un ottica di osservazione sociale, è divenuta anche una moda da parte di molti, di blaterare di criminologia, di scrivere di argomenti pertinenti alla scienza criminologica, senza che molti degli interessati abbiano una carta che attesti una minima competenza in questa materia. 
Questa moda del Lombroso , non è altro che una prosecuzione della moda lanciata dai telefilm Criminal Mind, da cui molti traggono spunti ‘romanzati’ e lontani dalla scienza investigativa reale, in cui tutti diventano criminologi, tutti trovano l’assassino, tutti sanno andare sulla crime scene.
Qualcosa che rimanda ad un fantastico articolo prodotto dal Prof. Marco Strano ( criminologo di rango internazionale), denominato ‘ I criminologi e il circo mediatico’. Si raccomanda  assolutamente la lettura.  
Per connessione automatica a questa vicenda, si richiama al gusto del buon senso da parte di molti: non basta leggere la corrispondenza fra Lombroso e Villella, non basta leggere gli scritti di Lombroso, tantomeno recarsi in vacanza nei Comuni calabresi per esaminare atti, per essere conoscitori reali delle origini dell’antropologia criminale. E’ ciò che si legge in alcuni scritti in generale, è di un sincero imbarazzo da non riuscire nemmeno a controbattere. 
E’ vero anche che vi sono persone che, al di fuori del mondo criminologico, essendo storici di primo taglio nel panorama nazionale, sono ottimi conoscitori dei  contenuti di Lombroso ( come il Dott. Iannantuoni e Dott. Cefalì, tanto di cappello), ma l’appello che si rivolge non a loro, ma a terze, eventuali persone è quello di non sentirsi padroni della materia in forma compiuta, non solo senza avere certificazioni di competenza criminologiche, ma senza avere fatto affondi in ambito investigativo, su: fisiognomica, identificazione preventiva e segnalamento fotodattiloscopico, frenologia, criminologia clinica ed applicata, e tutto quello che riguarda la concettualizzazione dell’antropologia criminale. 
Per fare un esempio assolutamente fuori da riferimenti a cose e/o persone,  un conto è essere degli ottimi docenti di storia, letteratura, psicologia, matematica, antropologia, altro è avere certificazioni di competenza sull’antropologia criminale, quindi di autentica criminologia; un conto è sapere parlare bene di calcio ed intendersi sugli schemi a zona, altro è fare l’allenatore o il calciatore; un conto è sapere distinguere le varie tipologie d’uccelli, altro è saper volare. Qui libet in arte sua perito est credendum, sostenevano i latini.
Siamo figli di una Costituzione democratica, repubblicana, nata dal bagno di sangue versato dai nostri nonni per liberarci dall’oppressore e dall’oppressione del pregiudizio scientifico e morale. 
Non abbiamo bisogno di re, regine o stemmi di casati fasulli. 
Abbiamo bisogno del giusto buon senso che faccia rinsavire gli italiani tutti di questa nazione, facendoli sentire legati dal sentimento di nazione e di civiltà dell’etica morale. 
Ma affinché arrivi questo, appare necessario svegliare le coscienze ed ergerci a portatori e difensori della civiltà della scienza ed avere il coraggio di abbattere qualsiasi contaminazione o servilismo intellettuale. 

Domenico Romeo           



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 Motta Santa Lucia - 12 Aprile 2014 Presentazione di: PERCHE' BRIGANTI - La vera storia del "brigante" Giuseppe Villella di Motta S. Lucia (di Domenico Iannantuoni e Francesco Cefalì) LOMBROSO E IL BRIGANTE - Storia di un cranio conteso (di Maria Teresa Milicia)

Un contributo verso la vera storia del Risorgimento italiano (il libro si può leggere su ebook a soli euro 3,50: www.inmondadori.itper averlo in forma cartacea contattare "Arte Grafica di Gigliotti Franco" Via XX Settembre Lamezia Terme


LOMBROSO, il negazionismo e il diritto criminale

Di Domenico Romeo          

Fonte:Lameziainstrada

Sono scorie di veleno quelle che scendono nel campo della scienza forense e nel campo della ricerca storica. 
Veleno che scende a fiume, arsenico che trasuda e si getta in un mare di curaro che lascia in eredità un alone implacabile. 
E’ Lombroso a scatenare queste discussioni, è il presunto padre dell’antropologia criminale a creare fazioni, scuole di pensiero, tesi più o meno uguali e difformi. 
Procediamo con ordine in quel che sarà, con tale pezzo, una disamina investigativa che non ha intenzione di offendere reputazioni di alcun soggetto che verrà citato, ma solo fornire un‘analisi attenta ed un confronto culturale fra le parti chiamate in causa.  
Venerdì 28 Marzo usciva un articolo su Repubblica, a firma del giornalista Massimo Novelli, che riportava una notizia  inedita e da prime pagine: una studiosa, autrice di un libro su Lombroso, avrebbe subito minacce in seguito alla stesura del proprio libro in cui elogia la figura di Lombroso. 
La notizia, come detto, sollevava un polverone perché citava soggetti, personaggi, enti, istituzioni varie. 
L’autrice di questo libro, Prof.ssa Maria Teresa Milicia, è una stimata docente calabrese che insegna all’ Università di Padova ed in questo libro descrive la correlazione avuta fra Lombroso con il "brigate" Villella, il successivo analisi del suo cranio. La docente arriva ad una conclusione: le teorie lombrosiane non sono accusabili di razzismo scientifico. Per doverosa comunicazione ad eventuali ignari della materia, il cranio di Villella analizzato da Lombroso, rappresenta il feticcio dell’antropologia criminale su cui Lombroso ha ricavato la teoria del delinquente per natura (teoria astrusa, inventata, debellata dalla scienza).  
Per doverosa informazione è necessario fare un’ulteriore correlazione fra il testo, la casa editrice (Salerno) e la sua gestione culturale. 
Questo libro, difatti, esce in una collana diretta e seguita dal Prof. Alessandro Barbero, noto negazionista dell’olocausto dei Savoia verso i meridionali, risaputo negatore dell’istituzione del lager di Fenestrelle. 
Si aggancia, dunque, la figura di questo accademico, come collante ideologico in ciò che sarà il messaggio definitivo del libro, ed è sul Prof. Barbero che adesso si spenderanno due righe. 
Il negazionismo di quest’uomo su ciò che è stato l’ultimo crimine di fine Ottocento, il massacro del popolo del Meridione, appare non solo imbarazzante, a fronte della comprovata, acclarata, inconfutabile documentazione storica che lo accerta, ma diviene lucida dissertazione quando tali tesi vengono spiattellate in trasmissioni Rai, senza un contradditorio. Disinformazione che scorre come verità certa. 
Dal  profiling emerge  l’uso della parola "frottola" al crimine etnico perpetrato, stessa tipologia di parola utilizzata dal negazionista della Shoah Faurisson, in sede di negazione di tale eccidio (“le camere a gas sono state una frottola di guerra, causa impossibilità tecnica di fuoriuscita”).
Altro particolare che porta ad attenzionare subito la psicologia del negazionista in genere, è l’utilizzo continuo del termine "revisionista". "Sei un revisionista"… "basta con questo revisionismo"…sono aspetti mentali di chi tende ad imporre una realtà costruita, spesso, artificiosamente e tramandata per verità storica sicura. 
Pansa, giornalista autore di numerosi libri sul dopo il 25 Aprile in Italia, fu accusato violentemente, da specifici schieramenti politici, di "revisionismo", soltanto per avere detto il vero, ossia che il movimento partigiano italiano non era uniforme sugli intenti della post liberazione: alcuni partigiani optavano per una Nazione con Costituzione democratica, o Repubblicana, altri  partigiani filo-sovietici  optavano per una Nazione comunista (e, documenti alla mano, considerata tradita la Resistenza, iniziarono a porre inizio ad eccidi). Tutti i partigiani erano antifascisti, ma non tutti i partigiani erano liberali. 
La parola di accusa "revisionista", nella psiche negazionista, indica un fastidio generato dalla volontà di chi sta di fronte, di dimostrare non solo accadimenti storici diversi nelle tesi, ma esposti in forma che indurrebbero al negazionista la perdita della sua credibilità e carisma sociale.   
In realtà, non solo chi accusa di revisionismo è immerso in un pantano di negazionismo/oscurantismo, ma è evidente che vi è un linkage psicologico fra coloro i quali negano crimini accaduti,  pur essendo soggetti di diversa nazionalità, contestualità storica, epoca. 
In tale trasmissione lo show del negazionista, è proseguito, attribuendo il fenomeno del brigantaggio ad una mera lotta di ricchi contro poveri, collocando Pontelandolfo in Lucania (Professore, con rispetto parlando, la invitiamo non solo a riguardare la storia, ma anche  la geografia in considerazione del fatto che tale località si trova in Campania).
Davanti agli schermi Rai, il nostro insigne luminare, dapprima nega l’ olocausto savoiardo, poi si contraddice confermando la discesa agli inferi dei liberatori piemontesi. Egregio Prof, ci ha un pò confusi, ci scusi, ricominciamo, repetita iuvant. Insomma, chiediamo scusa e sempre con rispetto parlando: sono scesi o non sono scesi al Mezzogiorno questi benedetti Savoia? Vuoi vedere che quell’esercito, con Lombroso al seguito, era sceso al Sud per trovare moglie meridionale tutta casa e chiesa?    
Oltre alla negazione di massacri, eccidi, deportazioni, è bene sapere che il Prof. Barbero ha curato la prefazione del libro "Le catene dei Savoia" (scritto da altri autori), dove non solo si nega l’olocausto sabaudo, ma l’ accademico arriva ad una tesi, incredibilmente e lucidamente disarmante: ai meridionali deportati a Fenestrelle, era giusto destinare loro la sorte di essere sciolti nella calce viva, perché considerate le usanze dei tempi, si doveva fare ciò "per motivi di igiene". 
Tesi che potrebbe essere interpretata come la solita, viscida, infame, reietta ratio sottesa che porta a fare indurre un messaggio chiaro e preciso: i meridionali puzzavano, puzzano e puzzeranno sempre. Rassegnatevi, sporchi terroni, è la vostra condizione naturale. 
I Savoia, come da storia documentata, possono essere additati come i primi, veri, traditori della Patria, nonché traditori di quell’idea risorgimentale che aspirava di assegnare, ad un’unica Nazione, il concetto di autodeterminazione di un popolo  e l’idea di Patria come casa comune. 
“I Savoia hanno, nel dna della razza, l’assassino di Stato, le stragi innocenti, l’odio contro le masse lavoratrici”. Questa è stata la descrizione su quella dinastia reale prodotta dallo storico Gerlando Lentini, e nulla è più vero. 
Una gloriosa carriera criminale, quella sabauda, iniziata con la corruzione, le devastazioni, la pulizia etnica del Sud, proseguita con la firma delle leggi razziali e conclusa in forma dignitosa con la fuga vigliacca di notte al porto di Pescara, approfittando di  una nazione sotto le macerie del Secondo conflitto mondiale. 
Vigliacchi e ladri, assassini impuniti. 
Ma sia chiaro che, quando in questa disamina, si utilizzano detti riferimenti al casato Savoia, si specifica che i riferimenti vanno solo ed esclusivamente "a quei Savoia", quei signori che dal 1861 al 1943 erano presenti nel territorio nazionale a compiere le peggiori gesta criminali. E’ opportuno e doveroso indicare che tali riferimenti escludono gli eredi, i congiunti e gli affini dei fuggiaschi sabaudi, cittadini al di fuori di ogni colpa, meritevoli del consueto rispetto umano e che, rientrando in Italia dopo l’approvazione di legge, hanno accettato le norme sancite dalla Costituzione divenendo cittadini uguali agli altri  nei diritti e nei doveri.     
Avendo posto chiarezza sulla collana che gestisce il saggio della Prof. Milicia, dopo avere decritto, seppur in forma lieve, le assonanze psicologiche dei negazionisti, è bene spiegare a questo punto, che cos’è il negazionismo, l’oscurantismo e chi sono i negazionisti. 
In termini sia scientifici che nell’ottica dell’investigazione psicologica, la differenza è sostanzialmente questa: l’oscurantismo è il nascondimento di crimini ideologici prodotto a monte, ossia da governi che, detenendo il potere, cercano di nascondere crimini ideologici commessi; il negazionismo è quella forma di negazione di un crimine ideologico, non sempre commesso da governi, ma da ambiti sociali o ideologici, che protendono a negare (anche pacchianamente) o a sminuire crimini efferati commessi in nome di una qualsiasi idea.    
Il negazionista è colui che, innanzi all’evidenza, nega un crimine profanando la verità, o per un proprio delirio ideologico proteso all’avversione verso una razza, etnia, ecc.,  o in forma "guidata"  al servizio di un Governo. In ultima analisi, può anche essere un folle più o meno dichiarato.
E così, nell’ universo dei negazionisti, troviamo una vasta gamma di coloro che negano con tutte le loro forze: la Shoah ebraica, l’eccidio degli indiani, le Foibe, il massacro del Sud da parte dei Savoia, la mafia, la Nakba e …. persino la nascita di Gesù Cristo (si può non credere alla figura messanica di Yousha Ben Joseph, ma la sua esistenza vissuta è realtà storica, desumibile sia in ambito teologico che dalla storia romana).  
Basta solo pensare che la Turchia fatica, ad oggi, a trovare un serio riconoscimento per l’ingresso all’interno della Comunità Europea, in virtù di una presenza molto forte (anche in sede governativa), di negatori del massacro degli armeni, il primo eccidio del secolo novecento. 
A questo, si aggiunge un particolare. In Italia, è rimasta in sospeso una legge che cataloga "il negazionismo" come reato. Dovesse passare questa legge, negare ogni genocidio accaduto, è reato, così’ come è reato diffondere tesi, diffamatorie, oscurantiste, propendenti alla negazione del genocidio in questione. 
Bene, in considerazione che i massacri avvenuti in fase post-unitaria a Pontelandolfo e Casalduni ed in tutto il meridione dello Stivale (le predette località si trovano in Campania, Professore Barbero, non in Lucania, repetita iuvant semper), sono stati  riconosciuti dal Governo italiano come genocidio (tempo fa l’ On. Amato si è recato in quei luoghi al fine di rendere onore alla stele dei martiri), dovesse passare la legge, negare tale  pulizia etnica diverrà reato. 
Torniamo all’origine del tema e pensiamo a ciò che è stato spunto di riflessione per molti.  Come fa un’autrice calabrese ad essere promossa editorialmente da una collana negazionista ? 
Per molti versi, non ce ne voglia nessuno, è come se un autore, o un’autrice, di chiare origine ebraiche, scrivesse un testo sul negazionismo della Shoah, facendosi sponsorizzare da una collana editoriale guidata da Faurisson. 
Si ritiene che all’opinione pubblica tale notizia potrebbe provocare sconcerto e disgusto.   
Se l’intento della Dott.ssa Milicia era quello di fare pubblicità al libro o di sponsorizzarlo mediante una fine campagna mediatica, allora possiamo dire che l’ operazione è perfettamente riuscita.  
Ad ogni modo, la risposta la si individua  nel vuoto normativo ad oggi esistente riguardante la legge sul ‘negazionismo’ rimasta immobile in sede di legiferazione ed è riconducibile ad una differenza sostanziale che c’è fra ciò che è immorale e ciò che è illegale. 
In Italia, i negazionisti non rispondono penalmente, ma subiscono solo la pubblica esecrazione della  scienza, dalla  storia, dall’opinione pubblica. Ma non vanno in galera, purtroppo. Almeno per adesso. Le loro idee di profanazione sui crimini riconosciuti come genocidi,  vengono fatte passare come scusante della libertà di pensiero, di opinione, di conduzione della ricerca storica. 
All’estero, invece, in Paesi come l’ Austria, la moda del negazionismo come dirupo della scienza deviata, è quasi debellato in virtù di numerosi arresti condotti a criminali del pensiero o grazie numerosi internamenti in manicomi a soggetti che giuravano di avere parlato con testimoni della Shoah e testimoniavano l’assenza dei lager nazisti. 
E’, pertanto, fuor di dubbio il fatto che coloro i quali, in Italia, negano il genocidio al popolo meridionale, non solo un giorno avranno buone possibilità di riempire le patrie galere, una volta passata la legge, ma andranno in galera coloro i quali diffonderanno libri, pseudo tesi, scritti, che recheranno nocumento alla dignità del dolore derivante dalle pulizie etniche. E le persone che si affiancheranno ideologicamente, culturalmente, intellettualmente, come da testo di legge, risponderanno di un ulteriore reato altrettanto : il concorso morale, forse più grave, perché recepito dall’esterno.   
Questa impunità presente in Italia, fa scaturire un pericoloso diritto occulto, invisibile, che non è un diritto scritto, né tacito, ma una presa di posizione che nasce dall’automatismo delle tesi infami portate come certe: il diritto criminale. 
Questo diritto si consolida con la volontà piena di volere, quindi con la volontà di ‘sentirsi in diritto’, di calpestare il crimine oggetto di attenzione, di essere ancora nel ‘diritto’ di alterare,  mistificare la realtà a proprio piacimento. Il diritto criminale è quella sorta di moda culturale che intellettualoidi in odore di spirito di negazione, rendono ad adepti, incapaci al momento della volontà di  discernimento fra verità e faziosità. Il diritto criminale, nasce quando la negazione e/o l’atteggiamento criminale preso in riferimento, diviene legalizzato spiritualmente, psicologicamente e/o di fatto. Si configura questa singolare forma di diritto, attraverso una volontà che porta a rimarcare , anche, o la liceità del crimine effettuato dall’offender, il quale ha agito per necessità storica o morale, e/o per evitare conseguenze peggiori verso la vittima, che in tale contesto dovrebbe essere grata al suo carnefice e che lo porta ad una forma di dipendenza/riconoscenza per lunghi tratti della vita. 
Il diritto criminale trova la sua applicazione, altresì,  quando, in particolari Stati teocratici di oggi, viene preteso dalla massa che in virtù di severe tradizioni e codici sociali, legifera il crimine verso un soggetto, come espiazione di un male irredimibile e gravemente offensivo. Capita, pertanto, che numerose donne vengono lapidate perché presunte adultere, capita che chi professa una religione ‘non ufficiale’, venga sgozzato. E’ crimine, ma è legge, quindi crimine non è.  
E’ ossatura Costituzionale, parimenti a come consideriamo sacri i nostri dettati di legge ( seppur diversi, ovviamente, nell’esplicazione tipica di una Democrazia occidentale).       
Il diritto criminale è, quindi, un’applicazione psicologica che prima di fondarsi sulla pratica storica, agisce con aggressiva profondità  come ‘mindhunters’ verso il genere umano.  
Dispiace per la prolissità dell’incipit, si è fatta questa premessa doverosa, fondamentale per tracciare un profilo prodromico , del tutto oggettivo, su quanto sarà in  disamina.               
Tornando all’articolo si  riportano alcuni stralci di fondamentale importanza. 
Scrive il giornalista Massimo Novelli che la presentazione della Prof. Milicia, da farsi nella patria di Giuseppe Villella, Motta S. Lucia, non si è svolta perché ‘ si temevano contestazioni da parte di esponenti di quei movimenti neoborbonici e antiunitari che da tempo, mediante uno stravolgimento e manipolazione della storia d’ Italia e del Risorgimento, impazzano sul web, attaccando ed insultando chi non la pensi come loro’
Questa notizia riportata  è falsa
La falsità, si tramuta in diffamazione, stortura della verità, quando, successivamente nell’articolo, si cita il Comitato No Lombroso, associandolo sottesamente ad un movimento di natura quasi anarco- insurrezionalista. Disinformazione gratuita, messa in moto senza conoscere gli intenti di questo Comitato scientifico.  Quest’ultimo, applica una finalità, come da atto costitutivo, di condurre un’ opera di abbattimento alle teorie eugenetiche condotte dal capostipite dell’Antropologia Criminale, promuovendo un disegno di legge per la messa al bando della memoria di uomini colpevoli direttamente e indirettamente di delitti connessi con crimini di guerra e razzismo.
Un fine nobile di tale Comitato Scientifico, rigorosamente apolitico, apartitico composto da uomini e donne di diversa  levatura intellettuale, che combattono per una causa comune: i diritti umani. Attaccare il Comitato Scientifico significa attaccare i diritti umani, né più, né meno. Attaccare i diritti umani, diventa, un’ azione disdicevole da qualsivoglia persona la metta in pratica. 
La causa perorata dal Comitato Scientifico, è sì quella legata al cranio di Villella, ma anche quella legata alla restituzione di ogni resto umano esposto in maniera barbara ed indecente, senza alcun motivo né fondamento scientifico, all’interno del Museo Lombroso di Torino. Quei resti appartengono ad essere umani fatti passare artificiosamente per delinquenti , in una nazione che tutela il diritto al decoro dell’essere umano, in vita e dopo, in un sistema internazionale tutelato dalla Carta di Nizza. 
Con il coinvolgimento di artisti, enti, personalità di spicco nei vari campi della Nazione, il Comitato Scientifico viene vissuto dagli appartenenti come una dimensione umana preponderante, figlia di un senso di appartenenza comunitario e spirituale, slegato da oltranzismi religiosi, politici, personali. 
Fatta chiarezza su questo, si potrebbe intendere l’attacco ad un Comitato Scientifico che lotta per la salvaguardia dei diritti umani, come una manovra artificiosa di spostare il baricentro della verità in canali di disinformazione per creare denigrazione gratuita. 
Passare dall’attività scientifica, dai diritti umani, al nostalgismo neoborbonico…certo che ce ne vuole  ! 
A tal uopo, si precisa che dopo simili notizie giornalistiche, il Presidente del prefato Comitato, Dott. Domenico Iannantuoni, ha avuto un incontro telefonico con il Sig. Novelli, il quale ha mostrato sincera costernazione nell’apprendere le attività reali del ‘ No Lombroso’ e , pertanto, si dirà: chi ha dettato l’inquietante testo all’ignaro giornalista ?  A quest’ultimo, non si vuole ascrivere nessuna colpa, se non la leggerezza di avere riportato notizie che ha ritenuto, erroneamente,  fondate dalla fonte. E questa fonte, chi sarebbe ? Peccato, ancora, che all’invito estesogli di fare dovute integrazioni doverose all’articolo, ad oggi, tale invito è rimasto disatteso.   
Il pezzo di Repubblica continua ad affondare in forma diffamatoria sugli abitanti del paese di Villella, affermando che un’Informativa dei Carabinieri aveva intimato al Sindaco, Dott. Amedeo Colacino, di evitare questa presentazione per motivazioni legate all’ordine pubblico. 
Non solo non è mai esistita alcuna Informativa, ma il Sindaco del paese chiamato in causa ha sporto querela verso tale giornalista, perché i fatti descritti non rispondono al vero. 
Per la cronaca, il libro non solo è stato presentato in data successiva, ma in contradditorio con un altro libro ( ‘Perché Briganti?’ )  dei Dott. ri Domenico Iannantuoni e Francesco Cefalì.
Ma il bello deve ancora venire, concentriamoci su quanto asserito dalla Dott. ssa Milicia in tale articolo. 
Da come riportato, la ricercatrice asserisce che Villella viene considerato un patriota dai suoi concittadini, quando  in realtà era un ladruncolo: scoperta che ha lasciato in molti perplessi.  
Per la semplice ragione che fra le motivazioni racchiuse nella richiesta da parte del Comune, assolutamente legittima, di riavere indietro il teschio, è correlata una inconfutabile descrizione storica sull’identità e sul profilo soggettivo del soggetto in questione, sottoposto a fermo, all’epoca,  per avere fatto da palo ad un furto. Non un brigate, dunque, ma un poveraccio che per fame, ha fatto da palo. Fin qui, dunque, niente di nuovo, vecchie verità già accertate. 
Motivazione che amplifica le ragioni di coloro che invocano la degna sepoltura, perché avvalorano ulteriormente l’aberrazione su Lombroso e nei riguardi della sua  criminale tesi dell’atavismo. 
Ma è altro che lascia sconcertati in molti, ossia quando si legge che la Prof.ssa Milicia asserisce che : “ Se non ci fosse stato di mezzo Lombroso, il cranio del povero Villella sarebbe stato sepolto in una fossa comune…”
Fermiamoci un attimo e ragioniamo. 
Con tutto il rispetto per la docente calabrese, se la chiave di lettura di questa frase è intesa come senso della salvaguardia della pietas dei defunti, a questo punto si avvalora ulteriormente la domanda che cosa ci possa fare un cranio ‘salvato’ ed esposto musealmente, nonostante sia privo di ogni particolare scientifico. 
Se la chiave di lettura, è intesa come forma di privilegio, perché il suo feticcio è reso immortale da un folle tagliatore di teste, non ce ne voglia la Dott.ssa Milicia, ma, a parere di molti, siamo al dileggio dell’essere umano nei valori più sacri ( sicuramente involontario da parte della docente, che intende prediligere l’aspetto museale ).  Tutt’al più dovrebbe essere Lombroso, l’offender, il massacratore, l’assassino seriale parafiliaco e dovere ringraziare la sua vittima per averlo reso immortale. Solo l’ Italia ha potuto dare retta ad un folle simile, precursore ideologico del nazismo,  in considerazione del fatto che all’estero ridono e sbeffeggiano su tali teorie lombrosiane.
Se così fosse, ci si può ricondurre alla teoria che giustifica il male ponendolo come legge, come Ius imperii per definizione naturale: il diritto criminale, che in questo caso, in forma ovvia, si tramuta in diritto criminale di eugenetica. 
Senza offesa per nessuno, sono disamine forti, oggettive, che si ritiene possano mettere d’accordo mondo cristiano e mondo ateo con valori etici.
A parere di molti, appaiono altrettanto lacunose e che potrebbero provocare sincero imbarazzo fra gli addetti ai lavori, le ulteriori dichiarazioni della Prof. Milicia, rilasciate al sito Approdonew, quando sostiene che il Lombroso non aveva catalogato i calabresi come criminali o delinquenti per natura, in virtù degli scritti contenuti nel saggio ‘ In Calabria’.
A comprova ulteriore della sua particolare attenzione morbosa nei riguardi della conformazione cranica dei calabresi, al fine di ricavare i lineamenti de ‘ L’uomo Delinquente’, vi è la sua ‘missione di pace’ come Ufficiale medico dell’esercito savoiardo, in cui lo psicopatico millantatore, da buon mercenario al servizio dei criminali sabaudi, ha avuto tutto il tempo per misurare crani, squartare teste consegnate dopo la macelleria degli antesignani dei nazisti. La terra di conquista delle razze inferiori semitiche, non ha scampo.     
Si rispetta il diritto di opinione della docente, ma in tutta franchezza, probabilmente nell’ambito dell’ analisi del testo, a parere di molti, sembra le sia sfuggito il capitolo in cui lo stesso Lombroso descriveva in forma chiara, la conformazione cranica dei calabresi, facendo confluire la logica del proprio discorso, in un contesto di soggetti arretrati ed inferiori su scala umana e sociale, stereotipati per via razziale.  
E’ anche, riguardo al Museo che l’autrice del libro, utilizza parole di apprezzamento e che lo esclude dall’essere un Museo razzista. 
Per  molti , non solo è razzista, ma è di più: è sottilmente veteronazista, attraverso messaggi a volte diretti o indiretti, alle volte sottesi, alle volte subliminali, che evocano all’ignaro visitatore, l’elenco di razze inferiori, superiori. 
I passaggi diabolici verso il visitatore si possono riscontrare attraverso descrizioni apposte sui resti umani : ‘omo quadrumàno” delle specie inferiori’, rimarcando nella guida del Museo a pagina 75 che: “L'indagine lombrosiana tesa a scoprire quale grande monstrum si celi dietro il ladruncolo o il brigante. Derivando una propensione innata a delinquere dalla struttura anatomica dell'individuo o più semplicemente dall'appartenere a una determinata razza si profila la nuova figura del delinquente nato “. 
A questi deliri, il Direttore del Museo ha risposto che l’ente, comunque, informa il visitatore dell’infondatezza scientifica di tali teorie ed a questo punto la domanda è sempre quella: attestata l’infondatezza, che motivo c’e’ di esibire resti umani, cavie da laboratorio ? 
E’ come se, ad oggi, in Germania si istituisse un Museo che rielaborerebbe le nefandezze del Dott. Mengele ed esposti i poveri cadaveri dei lager nazisti. 
In un’ Europa che è uscita con le ossa rotta da due Guerre Mondiali, siamo all’assurdo, alla profanazione dei valori più sacri ed inviolabili, all’apologia del protonazismo.
Il nazismo, di fatti, non è da considerarsi come l’inventore dell’antisemitismo, ma l’organizzatore perfetto di quelle pratiche, convogliate nel famoso diritto criminale, che hanno portato alla deportazione ed esibizione di uomini perché classificati come esseri inferiori, sulla base della pretesa della massa, in sinergia con l’ideologia: una simbiosi inscindibile. 
E queste idee, morte il nazismo, si sono svestite della croce uncinata, ma si sono riciclate nei Governi del mondo, nella scienza, nella medicina deviata, nella biologia mistificata, nelle ideologie segregazioniste di cui Mandela fu un alfiere combattente.  
L’ultima frontiera, in Italia, è rappresentata da questa ignobile esposizione di crani, teschi, e quant’altro. Che Dio ci perdoni.     
La vicenda Lombroso-Villella, in un ottica di osservazione sociale, è divenuta anche una moda da parte di molti, di blaterare di criminologia, di scrivere di argomenti pertinenti alla scienza criminologica, senza che molti degli interessati abbiano una carta che attesti una minima competenza in questa materia. 
Questa moda del Lombroso , non è altro che una prosecuzione della moda lanciata dai telefilm Criminal Mind, da cui molti traggono spunti ‘romanzati’ e lontani dalla scienza investigativa reale, in cui tutti diventano criminologi, tutti trovano l’assassino, tutti sanno andare sulla crime scene.
Qualcosa che rimanda ad un fantastico articolo prodotto dal Prof. Marco Strano ( criminologo di rango internazionale), denominato ‘ I criminologi e il circo mediatico’. Si raccomanda  assolutamente la lettura.  
Per connessione automatica a questa vicenda, si richiama al gusto del buon senso da parte di molti: non basta leggere la corrispondenza fra Lombroso e Villella, non basta leggere gli scritti di Lombroso, tantomeno recarsi in vacanza nei Comuni calabresi per esaminare atti, per essere conoscitori reali delle origini dell’antropologia criminale. E’ ciò che si legge in alcuni scritti in generale, è di un sincero imbarazzo da non riuscire nemmeno a controbattere. 
E’ vero anche che vi sono persone che, al di fuori del mondo criminologico, essendo storici di primo taglio nel panorama nazionale, sono ottimi conoscitori dei  contenuti di Lombroso ( come il Dott. Iannantuoni e Dott. Cefalì, tanto di cappello), ma l’appello che si rivolge non a loro, ma a terze, eventuali persone è quello di non sentirsi padroni della materia in forma compiuta, non solo senza avere certificazioni di competenza criminologiche, ma senza avere fatto affondi in ambito investigativo, su: fisiognomica, identificazione preventiva e segnalamento fotodattiloscopico, frenologia, criminologia clinica ed applicata, e tutto quello che riguarda la concettualizzazione dell’antropologia criminale. 
Per fare un esempio assolutamente fuori da riferimenti a cose e/o persone,  un conto è essere degli ottimi docenti di storia, letteratura, psicologia, matematica, antropologia, altro è avere certificazioni di competenza sull’antropologia criminale, quindi di autentica criminologia; un conto è sapere parlare bene di calcio ed intendersi sugli schemi a zona, altro è fare l’allenatore o il calciatore; un conto è sapere distinguere le varie tipologie d’uccelli, altro è saper volare. Qui libet in arte sua perito est credendum, sostenevano i latini.
Siamo figli di una Costituzione democratica, repubblicana, nata dal bagno di sangue versato dai nostri nonni per liberarci dall’oppressore e dall’oppressione del pregiudizio scientifico e morale. 
Non abbiamo bisogno di re, regine o stemmi di casati fasulli. 
Abbiamo bisogno del giusto buon senso che faccia rinsavire gli italiani tutti di questa nazione, facendoli sentire legati dal sentimento di nazione e di civiltà dell’etica morale. 
Ma affinché arrivi questo, appare necessario svegliare le coscienze ed ergerci a portatori e difensori della civiltà della scienza ed avere il coraggio di abbattere qualsiasi contaminazione o servilismo intellettuale. 

Domenico Romeo           



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