venerdì 19 luglio 2013

SU’ E GIU’ PER LA POLITICA; DA CATTANEO A (scendi)LETTA

di Bruno Pappalardo

Sappiamo, per aver letto, ch’era contro Cavour che lo riteneva un biasimevole faccendiere e che le sue trame fossero solo quelle di squallide commedie da teatranti e non proba politica.
Riteneva che il Mazzini neppure fosse troppo lontano dal primo per aver sostenuto e voluto la falsa conquista di una parte d’Italia, il Sud, annacquando il suo “repubblicanesimo” con quello monarchico savoiardo. Diceva anzi il Cattaneo: “Mazzini ha sempre saputo mettersi sull’altare, ha il merito della(…) perseveranza e di sapersi sedere sulla prima scranna”.
Insomma stò parlando del milanese Carlo Cattaneo contemporaneo di costoro.
Visto che il programma di Mazzini si condensava in : “Dio e popolo, unità e repubblica, pensiero e azione” e che mai aveva propalato (nei suoi scritti, nei circoli e in quelle fondazioni che PER mezza Europa andava costituendo)  e manco mai teorizzato una Repubblica” monarchica, … beh, non fu un bel gesto tirarsi giù i pantaloni e accettare il meschino interesse piemontese.  
Se l’idea di Repubblica per Mazzini poteva sorgere soltanto attraverso l’unità della nazione, ebbene, solo con l’insieme di tutte le unità nazionali, allora, sarebbe stata possibile realizzare una unione europea. Questa però a differenza di quella francese, si sarebbe formata solo attraverso il collegio di popoli liberi, sulla base della comune civiltà europea che chiama il banchetto delle Nazioni sorelle.  Pura utopia!
Ben più seri concetti e realizzazioni di “federazioni e confederazione” erano già state avviate e teorizzate con maggiore sostanza e realismo ma nessuna attraverso delle monarchie.

Il buon e furibondo Cattaneo già considerava (anticipando il senso moderno di politica-partito-istituzioni) la politica come una scienza e il politico come uno scienziato.
Il politico come tecnico dell’amministrazione che lottava contro le congreghe partitiche e i loro personalistici sporchi interessi.
Solo così, con estrema acume realistico poteva concepire un federalismo possibile e non solo, diremmo oggi, “regionale” all’interno della nazione ma anche, su scala più grande, per il consorzio europeo.
La lotte di classe non era prevista dalla sua concezione politica federalista perché affondava in quella “borghesia liberale” dei liberi comuni, dunque, stentatamente unitarista. Nel 1854 scriveva un saggio sull’età comunale e disse” Dall’Italia partì l’impulso per quella eroica rivoluzione comunale da cui ebbe principio il mondo moderno” “L’Italia, quindi, può chiamarsi la sua culla e  pare a noi che, solo considerata sotto questo aspetto, la storia italiana possa acquistare un carattere razionale.”
Condannò, tuttavia, la sua “borghesia civile” perché la ritenne incapace di allearsi e porsi alla testa dei movimenti di massa degli anni ’50 postmarxisti.
Troppo legato alla sue radici, …questo forse fu una vera minorazione e non riuscì mai a capire la natura di quel suo ceto.
Nel 1860 scrisse “Hanno voluto fare un’Italia politica“…dovevano invece lasciare ad ogni paese già libero o liberto la propria assemblea”
Salì sulle barricate delle cinque giornate di Milano nel ’48 non per l’idealismo risorgimentale ma per opporsi all’ingresso in città di Carlo Alberto col suo gretto centralismo di casa Savoia.
Per la sua naturale indisposizione al compromesso, una vita di dimissioni da cariche politiche.
Per ben tre, - …anzi quattro-  volte giunse in Parlamento ma ne uscì sempre perché, più forte di lui, non riuscì mai a giurare per la corona Sabauda.
Un uomo con molti difetti? Certo, …ma un uomo!
Un uomo che per mera coerenza e fedeltà ad un ideale politico ma soprattutto a se stesso, alla propria dignità, non cedette mai ad utili attrattive  e convenienti strategie di governo.




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di Bruno Pappalardo

Sappiamo, per aver letto, ch’era contro Cavour che lo riteneva un biasimevole faccendiere e che le sue trame fossero solo quelle di squallide commedie da teatranti e non proba politica.
Riteneva che il Mazzini neppure fosse troppo lontano dal primo per aver sostenuto e voluto la falsa conquista di una parte d’Italia, il Sud, annacquando il suo “repubblicanesimo” con quello monarchico savoiardo. Diceva anzi il Cattaneo: “Mazzini ha sempre saputo mettersi sull’altare, ha il merito della(…) perseveranza e di sapersi sedere sulla prima scranna”.
Insomma stò parlando del milanese Carlo Cattaneo contemporaneo di costoro.
Visto che il programma di Mazzini si condensava in : “Dio e popolo, unità e repubblica, pensiero e azione” e che mai aveva propalato (nei suoi scritti, nei circoli e in quelle fondazioni che PER mezza Europa andava costituendo)  e manco mai teorizzato una Repubblica” monarchica, … beh, non fu un bel gesto tirarsi giù i pantaloni e accettare il meschino interesse piemontese.  
Se l’idea di Repubblica per Mazzini poteva sorgere soltanto attraverso l’unità della nazione, ebbene, solo con l’insieme di tutte le unità nazionali, allora, sarebbe stata possibile realizzare una unione europea. Questa però a differenza di quella francese, si sarebbe formata solo attraverso il collegio di popoli liberi, sulla base della comune civiltà europea che chiama il banchetto delle Nazioni sorelle.  Pura utopia!
Ben più seri concetti e realizzazioni di “federazioni e confederazione” erano già state avviate e teorizzate con maggiore sostanza e realismo ma nessuna attraverso delle monarchie.

Il buon e furibondo Cattaneo già considerava (anticipando il senso moderno di politica-partito-istituzioni) la politica come una scienza e il politico come uno scienziato.
Il politico come tecnico dell’amministrazione che lottava contro le congreghe partitiche e i loro personalistici sporchi interessi.
Solo così, con estrema acume realistico poteva concepire un federalismo possibile e non solo, diremmo oggi, “regionale” all’interno della nazione ma anche, su scala più grande, per il consorzio europeo.
La lotte di classe non era prevista dalla sua concezione politica federalista perché affondava in quella “borghesia liberale” dei liberi comuni, dunque, stentatamente unitarista. Nel 1854 scriveva un saggio sull’età comunale e disse” Dall’Italia partì l’impulso per quella eroica rivoluzione comunale da cui ebbe principio il mondo moderno” “L’Italia, quindi, può chiamarsi la sua culla e  pare a noi che, solo considerata sotto questo aspetto, la storia italiana possa acquistare un carattere razionale.”
Condannò, tuttavia, la sua “borghesia civile” perché la ritenne incapace di allearsi e porsi alla testa dei movimenti di massa degli anni ’50 postmarxisti.
Troppo legato alla sue radici, …questo forse fu una vera minorazione e non riuscì mai a capire la natura di quel suo ceto.
Nel 1860 scrisse “Hanno voluto fare un’Italia politica“…dovevano invece lasciare ad ogni paese già libero o liberto la propria assemblea”
Salì sulle barricate delle cinque giornate di Milano nel ’48 non per l’idealismo risorgimentale ma per opporsi all’ingresso in città di Carlo Alberto col suo gretto centralismo di casa Savoia.
Per la sua naturale indisposizione al compromesso, una vita di dimissioni da cariche politiche.
Per ben tre, - …anzi quattro-  volte giunse in Parlamento ma ne uscì sempre perché, più forte di lui, non riuscì mai a giurare per la corona Sabauda.
Un uomo con molti difetti? Certo, …ma un uomo!
Un uomo che per mera coerenza e fedeltà ad un ideale politico ma soprattutto a se stesso, alla propria dignità, non cedette mai ad utili attrattive  e convenienti strategie di governo.




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