giovedì 24 maggio 2012

Il sospetto e l’intrigo

Gramsci, il Pci, Stalin negli scritti del carcere
Con gli strumenti del filologo Luciano Canfora offre una ricostruzione originale della genesi, della pubblicazione e della delicata gestione politica dell’opera del leader comunista
Dalla lettera di Grieco al ruolo di Togliatti: tensioni, provocazioni e tradimenti nella lunga notte degli anni 30
di Giulio Ferroni


FILOLOGIA E POLITICA SONO DUE COSE CHE NON SIAMO TANTO ABITUATI A METTERE IN RAPPORTO: ma proprio a proposito della vicenda della pubblicazione delle lettere e dei Quaderni del carcere di Gramsci questo rapporto viene messo in nettissima evidenza da Luciano Canfora, la cui ottica di storico e filologo (e di studioso dell’antichità) giunge a districare nel modo più concreto questioni che troppo spesso vengono affrontate in modo esteriormente polemico. Il nuovo libro Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno Editrice, pagine 304, euro 14,00) ha al suo centro la ricostruzione della travagliata storia di alcune lettere di Gramsci, escluse dalla prima edizione (1947) delle Lettere dal carcere: con un seguito di trascrizioni, copie fotografiche, esitazioni, reticenze, occultamenti, determinati dal fatto che, nel caso di un leader come Gramsci, la gestione stessa della sua eredità e quindi ogni scelta editoriale non poteva non essere sentita come un atto politico. Si tratta in primo luogo di tre lettere del ’28, del ’32 e del ’33, in cui Gramsci si riferiva al danno causato alla sua situazione di prigioniero da una lettera inviatagli a San Vittore con data 2 febbraio 1928 da un dirigente del partito, Ruggiero Grieco, «con informazioni politiche un po’ aberranti e un po’ iattanti», che gli diedero l’impressione di una deliberata malevolenza del partito nei suoi confronti e di essere state causa del fallimento della trattativa con l’Urss per la sua liberazione.
È una vicenda in cui sono in scena moltissimi attori e si esibiscono moltissime carte, con tanti passaggi, nella vita e nei rapporti del prigioniero, nella storia del partito in quegli anni e in quelli successivi, con le varie edizioni delle lettere fino a quella definitiva curata da Chiara Daniele e Aldo Natoli. Ma al centro di tutto è naturalmente Gramsci, con l’eroica tensione di un pensiero capace di resistere alle tremende difficoltà della situazione carceraria. Dopo aver notato che la grandezza dei Quaderni non sta tanto nell’indicazione di immediati modelli politici e programmatici, quanto nella sua tesa problematicità, Canfora insiste sull’interpretazione che vi viene data del fascismo come «rivoluzione passiva», reazione diventata maggioritaria nella società (interpretazione ben diversa da quella data allora dal movimento comunista internazionale).
LA LETTERA DI GRIECO
Molti dubbi si affacciano su Grieco e sulla sua lettera: e si ricorda che, quando egli diresse il partito (tra il ’35 e il ’37), pubblicò dopo la guerra d’Etiopia un appello al popolo italiano per la conciliazione nazionale, in cui si rivolgeva anche «ai fratelli in camicia nera», affermando addirittura l’intenzione dei comunisti di fare proprio «il programma fascista del 1919», che sarebbe stato tradito dal fascismo al potere. Questo appello fu motivo di sbandamento per molti militanti: è un documento poco noto e quasi inquietante, che Canfora riporta in appendice, insieme ad altri documenti spesso sorprendenti (come quelli che riguardano Ezio Taddei, figura di anarchico autore di vari atti di provocazione e di denigrazione, anche nei confronti di Gramsci, ma riuscito nel dopoguerra ad approdare nel Pci).
La linea indicata in quell’appello di Grieco era del tutto contraddittoria rispetto alla politica di adesione ai fronti popolari, allora sostenuta dal Komintern: ed è indice di un momento di grande confusione nel partito (in parte superata dalla rimozione di Grieco dalla segreteria). Ma tutto ciò (proprio a partire da quella famosa lettera del 2 febbraio 1928) trova radice nel difficile groviglio della lotta politica di quegli anni, tra attività del Centro Estero del partito in Urss e nei paesi democratici europei, clandestinità, comunicazioni reticenti o indirette, azioni poliziesche, presenze di infiltrati, provocatori, delatori, ecc.: un mondo con cui Gramsci prigioniero ha rapporti inevitabilmente indiretti (a parte le visite che può ricevere), mentre le sue lettere approdano in mani diverse.
In questo difficile groviglio, che Canfora ripercorre approfondendo e illuminando in modo nuovo anche tanti dati già noti, sta forse una delle ragioni essenziali della sfasatura tra la posizione di Gramsci in carcere (anche dopo la sua tardiva liberazione prima della morte) e quella del partito, del senso di dissidio, di sospetto, di ostilità di cui egli sentì la traccia più pesante in quella lettera del ’28: sfasatura che paradossalmente alimentò il suo originale pensiero, lo portò in un certo senso al di là della stessa situazione politica contingente da cui pure era scaturito e a cui cercava di rispondere. Per questo nella storia dell’edizione delle Lettere dal carcere (come in quella dei Quaderni) il nesso tra filologia e politica risulta determinante. Il tardo emergere di molte lettere (tra cui quelle tre che toccano il caso della lettera di Grieco) trova una sua giustificazione proprio nel carattere politico che il lascito di Gramsci assume nella storia del Pci del dopoguerra: Canfora mostra che il progressivo e faticoso disvelamento storiografico si legava a un impegno a mettere il pensiero di Gramsci «ogni volta in accordo con la trasformazione in atto», riconoscendo nel contempo in esso «la sola “forza intellettuale” capace di garantire continuità e unità nel corso della trasformazione».
In questa operazione è stato centrale il ruolo di Togliatti, che, dopo aver tenute nascoste le lettere in questione, decise negli ultimi anni di fornirle a nuovi editori (sulle cui reticenze e incertezze Canfora dà molte pungenti indicazioni). A Togliatti, del resto, Canfora riconosce il merito di aver compiuto, già con la prima pubblicazione dei Quaderni, un atto di grande «autonomia intellettuale» dal modello sovietico, primo passo verso il contrastato distacco politico, che avrebbe ricondotto il Pci «nell’alveo principale del movimento operaio, cioè nella socialdemocrazia distaccandosi dalla quale il partito era nato». Anche questo, nel solco del pensiero di Gramsci: ma qui la discussione è aperta, con gli stimoli nuovi garantiti da questo libro ricco di tanti anche particolarissimi dati storici e testuali.


Fonte: L'Unità del 22 maggio 2012 


.
........................................................................................................................................


Luciano Canfora
Gramsci, il finto giallo del quaderno sparito
“l dubbi e le discontinuità sono sempre presenti in lui: ipotizzare un anello mancante, magari per insinuare un’abiura dal marxismo, non serve”
di Luca Telese


E poi alla fine della nostra intervista, Luciano Canfora sorride e trae le sue conclusioni. In primo luogo sulla montagna di polemiche nate, dalla proliferazione di pubblicazioni incandescenti e contrapposte sul pensatore di Ales. Gramsci attuale, Gramsci controverso, Gramsciancorauna volta conteso. Gramsci avvolto nel mistero, da quando lo storico Franco Lo Piparo ha posto un interrogativo fondato sulla possibile sparizione di uno dei quaderni: “Vede–diceCanfora-iomirendo conto che questo possa dare fastidio a qualcuno, e scompigliare le teorie preconfezionate di altri: Antonio Gramsci non è stato un pensatore settario, e nemmeno un precursore del pensiero liberaldemocratico. Non ha avuto conversioni in punto di morte, o se così è stato, come proverò a dimostrare, per ora non ce ne sono prove”. Chiedo al più raffinato professoredellafilologiacomunista cosa sia stato Gramsci per lui. Il professore sorride, dietro le sue lenti: “Un comunista eretico in tempi di ortodossia. Le pare poco? Basta questo a renderlo terribilmente contemporaneo”. Il filosofo barese ha appena pubblicato un libro (Gramsci in carcere e il fascismo, Salerno editrice, 14 euro) sul fondatore de l’Unità. Un libro che si inserisce nella contesa storiografica con una tesi “neoclassica”, che ha già fatto arrabbiare Gianni Riotta e Europa, e che invece è piaciuta a l’Unità (recensione entusiasta di Giulio Ferroni).
Professore, la divertono stroncature ed elogi?
Guardi, l’articolo di Ferroni mi ha reso felice, quello di Europa mi è sostanzialmente indifferente. Spero che questo tale che ha firmato la recensione sia un uomo di lettere, sono certo che ha scritto del mio libro senza peritarsi di leggerlo, visto che mi rimprovera di aver omesso temi e problemi a cui dedico un intero capitolo del libro!
Provo a semplificare la disputa: alcuni polemisti, in questi mesi, sostengono che ci sia un quaderno che è stato occultato da Palmiro Togliatti. E che gli studiosi “di sinistra”, fra cui ovviamente anche lei, tendano ad occultare questa verità.
Ovviamente la seconda cosa è una sciocchezza. La prima mi pare non impossibile, ma altamente indimostrabile.
Proviamo a spiegarlo ai lettori de Il Fatto come se fossero i suoi studenti….
Primo fatto. Lo Piparo, che è uno studioso molto serio, e che io stimo, si pone un interrogativo filo-logicamente corretto. Quale? Se fosse un mistero, il giallo comincerebbe così: nel celebre discorso di Napoli del 20 Aprile 1945, Palmiro Togliatti esibisce un quaderno e dice: “Gramsci ci ha lasciato 34 grossi quaderni come questo – eccone uno! – coperti di scrittura minuta, precisa e uguale”. Solo che proprio qui iniziano i problemi: perché, come nota correttamente lo Piparo, i quaderni di cui oggi siamo a conoscenza sono solo 33. Ne manca uno? È stato trafugato? Censurato? C’è un errore di numerazione, come sostengono altri?
Non mi sembra convinto di queste tesi.
Infatti. Però, se restiamo nel campo della scienza, la cosa più improbabile è partire da un dato vero per sostenere un’idea non provata né dimostrabile. Che il quaderno mancante sia l’ultimo, quello in cui Gramsci avrebbe esplicitato la sua inverosimile presa di distanze dal comunismo, fino ad abbracciare improbabili conversioni.
Mi spieghi perché è così scettico.
I quaderni sono un corpus in evoluzione, non un fotoromanzo a puntateanimatodacolpidiscena. Come provo a ricostruire nel mio libro, gli strappi e i passaggi di discontinuità di Gramsci sono tanti, e molteplici. Non serve ipotizzare un quaderno segreto, per apprezzarli, basta leggere per trovare una miniera di pensieri non conformi ai suoi tempi e alla disciplina del partito in cui militava.
Mi faccia un esempio…
Basta legge la pagina 1949-1950 dell’edizione di Gerratana per trovare una riflessione perfettamente sistematizzata sui sistemi politici. Gramsci descrive quelli che definisce “sistemi totalitari”: ‘Entrambi fanno pedagogia alle massechevengonoviziate’. Èevidente che sta parlando sia del comunismo reale che del nazismo. Ma che quel giudizio riferito al paese di Stalin, ed espresso da un comunista, è durissimo….
In quella pagina si parla male anche dei sistemi liberali, dicendo che non sono rappresentativi
Oh, sì. Le ripeto, Gramsci resta comunista, senza dubbio. Ma visto che bisogna leggere il contesto, aggiunga anche che le stesse coselepensavaunostudiosonon sospetto di ostilità al pensiero liberale come Benedetto Croce, che lo aveva scritto già nel 1910.
I “revisionisti” dicono: Gramsci supera il marxismo.
Partiamo da un altro dettaglio: nelle lettere a Mussolini Gramsci chiede a Mussolini di poter leggere testi di De Man, un pensatore che teorizza il superamento del marxismo. Ma il fatto che Gramsci leggesse idee diverse dalle sue non prova nulla sulla presunta conversione.
E se invece dovesse rispondere con una pagina a quelli che contestano la modernità di Gramsci?
Indicherei la sua riflessione attualissima sul “Cesarismo”. Una interpretazione che, sia detto per inciso, veniva sconsigliata da Togliatti e anche da Marx. Mentre i materialisti dialettici esaltano il ruolo delle masse e sottovalutano quello dei leader, Gramsci nel quaderno 11 prende a modello Napoleone III per uno studio attuale sul carisma del capo.
Sarei blasfemo se dicessi che in questa categoria potrebbe trovare posto anche Berlusconi?
Il paragone con Napoleone III sarebbe troppo lusinghiero per lui, a mio parere. Gramsci ipotizza un cesarismo regressivo e uno progressivo, e forse ha più in mente Mussolini.
Perché Gramsci oggi torna prepotentemente sulla scena?
Perché come vede ha delle cose da dire. Ci sono tanti testi dimenticati che saltano fuori. Ci sono dei classici, delle perle come “Odio gli indifferenti”, pubblicato da Chiarelettere e. Oppure la preziosa antologia di D’Orsi e Chiarotto. Anche quella è una miniera di idee.
Quindi le polemiche non la preoccupano?
No. Perché credo che le crisi finanziarie e i popoli in rivolta, ovvero i due elementi su cui pensatori come Gramsci si sono rotti la testa sono i ferri del mestiere contemporanei. Non un Gramsci liberale, quindi, ma un Gramsci più attuale: proprio perché passa dieci anni a interrogarsi su quale rivoluzione sogna, e su come realizzarla.




Fonte:Il Fatto Quotidiano 24.5.12


.

Leggi tutto »
Gramsci, il Pci, Stalin negli scritti del carcere
Con gli strumenti del filologo Luciano Canfora offre una ricostruzione originale della genesi, della pubblicazione e della delicata gestione politica dell’opera del leader comunista
Dalla lettera di Grieco al ruolo di Togliatti: tensioni, provocazioni e tradimenti nella lunga notte degli anni 30
di Giulio Ferroni


FILOLOGIA E POLITICA SONO DUE COSE CHE NON SIAMO TANTO ABITUATI A METTERE IN RAPPORTO: ma proprio a proposito della vicenda della pubblicazione delle lettere e dei Quaderni del carcere di Gramsci questo rapporto viene messo in nettissima evidenza da Luciano Canfora, la cui ottica di storico e filologo (e di studioso dell’antichità) giunge a districare nel modo più concreto questioni che troppo spesso vengono affrontate in modo esteriormente polemico. Il nuovo libro Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno Editrice, pagine 304, euro 14,00) ha al suo centro la ricostruzione della travagliata storia di alcune lettere di Gramsci, escluse dalla prima edizione (1947) delle Lettere dal carcere: con un seguito di trascrizioni, copie fotografiche, esitazioni, reticenze, occultamenti, determinati dal fatto che, nel caso di un leader come Gramsci, la gestione stessa della sua eredità e quindi ogni scelta editoriale non poteva non essere sentita come un atto politico. Si tratta in primo luogo di tre lettere del ’28, del ’32 e del ’33, in cui Gramsci si riferiva al danno causato alla sua situazione di prigioniero da una lettera inviatagli a San Vittore con data 2 febbraio 1928 da un dirigente del partito, Ruggiero Grieco, «con informazioni politiche un po’ aberranti e un po’ iattanti», che gli diedero l’impressione di una deliberata malevolenza del partito nei suoi confronti e di essere state causa del fallimento della trattativa con l’Urss per la sua liberazione.
È una vicenda in cui sono in scena moltissimi attori e si esibiscono moltissime carte, con tanti passaggi, nella vita e nei rapporti del prigioniero, nella storia del partito in quegli anni e in quelli successivi, con le varie edizioni delle lettere fino a quella definitiva curata da Chiara Daniele e Aldo Natoli. Ma al centro di tutto è naturalmente Gramsci, con l’eroica tensione di un pensiero capace di resistere alle tremende difficoltà della situazione carceraria. Dopo aver notato che la grandezza dei Quaderni non sta tanto nell’indicazione di immediati modelli politici e programmatici, quanto nella sua tesa problematicità, Canfora insiste sull’interpretazione che vi viene data del fascismo come «rivoluzione passiva», reazione diventata maggioritaria nella società (interpretazione ben diversa da quella data allora dal movimento comunista internazionale).
LA LETTERA DI GRIECO
Molti dubbi si affacciano su Grieco e sulla sua lettera: e si ricorda che, quando egli diresse il partito (tra il ’35 e il ’37), pubblicò dopo la guerra d’Etiopia un appello al popolo italiano per la conciliazione nazionale, in cui si rivolgeva anche «ai fratelli in camicia nera», affermando addirittura l’intenzione dei comunisti di fare proprio «il programma fascista del 1919», che sarebbe stato tradito dal fascismo al potere. Questo appello fu motivo di sbandamento per molti militanti: è un documento poco noto e quasi inquietante, che Canfora riporta in appendice, insieme ad altri documenti spesso sorprendenti (come quelli che riguardano Ezio Taddei, figura di anarchico autore di vari atti di provocazione e di denigrazione, anche nei confronti di Gramsci, ma riuscito nel dopoguerra ad approdare nel Pci).
La linea indicata in quell’appello di Grieco era del tutto contraddittoria rispetto alla politica di adesione ai fronti popolari, allora sostenuta dal Komintern: ed è indice di un momento di grande confusione nel partito (in parte superata dalla rimozione di Grieco dalla segreteria). Ma tutto ciò (proprio a partire da quella famosa lettera del 2 febbraio 1928) trova radice nel difficile groviglio della lotta politica di quegli anni, tra attività del Centro Estero del partito in Urss e nei paesi democratici europei, clandestinità, comunicazioni reticenti o indirette, azioni poliziesche, presenze di infiltrati, provocatori, delatori, ecc.: un mondo con cui Gramsci prigioniero ha rapporti inevitabilmente indiretti (a parte le visite che può ricevere), mentre le sue lettere approdano in mani diverse.
In questo difficile groviglio, che Canfora ripercorre approfondendo e illuminando in modo nuovo anche tanti dati già noti, sta forse una delle ragioni essenziali della sfasatura tra la posizione di Gramsci in carcere (anche dopo la sua tardiva liberazione prima della morte) e quella del partito, del senso di dissidio, di sospetto, di ostilità di cui egli sentì la traccia più pesante in quella lettera del ’28: sfasatura che paradossalmente alimentò il suo originale pensiero, lo portò in un certo senso al di là della stessa situazione politica contingente da cui pure era scaturito e a cui cercava di rispondere. Per questo nella storia dell’edizione delle Lettere dal carcere (come in quella dei Quaderni) il nesso tra filologia e politica risulta determinante. Il tardo emergere di molte lettere (tra cui quelle tre che toccano il caso della lettera di Grieco) trova una sua giustificazione proprio nel carattere politico che il lascito di Gramsci assume nella storia del Pci del dopoguerra: Canfora mostra che il progressivo e faticoso disvelamento storiografico si legava a un impegno a mettere il pensiero di Gramsci «ogni volta in accordo con la trasformazione in atto», riconoscendo nel contempo in esso «la sola “forza intellettuale” capace di garantire continuità e unità nel corso della trasformazione».
In questa operazione è stato centrale il ruolo di Togliatti, che, dopo aver tenute nascoste le lettere in questione, decise negli ultimi anni di fornirle a nuovi editori (sulle cui reticenze e incertezze Canfora dà molte pungenti indicazioni). A Togliatti, del resto, Canfora riconosce il merito di aver compiuto, già con la prima pubblicazione dei Quaderni, un atto di grande «autonomia intellettuale» dal modello sovietico, primo passo verso il contrastato distacco politico, che avrebbe ricondotto il Pci «nell’alveo principale del movimento operaio, cioè nella socialdemocrazia distaccandosi dalla quale il partito era nato». Anche questo, nel solco del pensiero di Gramsci: ma qui la discussione è aperta, con gli stimoli nuovi garantiti da questo libro ricco di tanti anche particolarissimi dati storici e testuali.


Fonte: L'Unità del 22 maggio 2012 


.
........................................................................................................................................


Luciano Canfora
Gramsci, il finto giallo del quaderno sparito
“l dubbi e le discontinuità sono sempre presenti in lui: ipotizzare un anello mancante, magari per insinuare un’abiura dal marxismo, non serve”
di Luca Telese


E poi alla fine della nostra intervista, Luciano Canfora sorride e trae le sue conclusioni. In primo luogo sulla montagna di polemiche nate, dalla proliferazione di pubblicazioni incandescenti e contrapposte sul pensatore di Ales. Gramsci attuale, Gramsci controverso, Gramsciancorauna volta conteso. Gramsci avvolto nel mistero, da quando lo storico Franco Lo Piparo ha posto un interrogativo fondato sulla possibile sparizione di uno dei quaderni: “Vede–diceCanfora-iomirendo conto che questo possa dare fastidio a qualcuno, e scompigliare le teorie preconfezionate di altri: Antonio Gramsci non è stato un pensatore settario, e nemmeno un precursore del pensiero liberaldemocratico. Non ha avuto conversioni in punto di morte, o se così è stato, come proverò a dimostrare, per ora non ce ne sono prove”. Chiedo al più raffinato professoredellafilologiacomunista cosa sia stato Gramsci per lui. Il professore sorride, dietro le sue lenti: “Un comunista eretico in tempi di ortodossia. Le pare poco? Basta questo a renderlo terribilmente contemporaneo”. Il filosofo barese ha appena pubblicato un libro (Gramsci in carcere e il fascismo, Salerno editrice, 14 euro) sul fondatore de l’Unità. Un libro che si inserisce nella contesa storiografica con una tesi “neoclassica”, che ha già fatto arrabbiare Gianni Riotta e Europa, e che invece è piaciuta a l’Unità (recensione entusiasta di Giulio Ferroni).
Professore, la divertono stroncature ed elogi?
Guardi, l’articolo di Ferroni mi ha reso felice, quello di Europa mi è sostanzialmente indifferente. Spero che questo tale che ha firmato la recensione sia un uomo di lettere, sono certo che ha scritto del mio libro senza peritarsi di leggerlo, visto che mi rimprovera di aver omesso temi e problemi a cui dedico un intero capitolo del libro!
Provo a semplificare la disputa: alcuni polemisti, in questi mesi, sostengono che ci sia un quaderno che è stato occultato da Palmiro Togliatti. E che gli studiosi “di sinistra”, fra cui ovviamente anche lei, tendano ad occultare questa verità.
Ovviamente la seconda cosa è una sciocchezza. La prima mi pare non impossibile, ma altamente indimostrabile.
Proviamo a spiegarlo ai lettori de Il Fatto come se fossero i suoi studenti….
Primo fatto. Lo Piparo, che è uno studioso molto serio, e che io stimo, si pone un interrogativo filo-logicamente corretto. Quale? Se fosse un mistero, il giallo comincerebbe così: nel celebre discorso di Napoli del 20 Aprile 1945, Palmiro Togliatti esibisce un quaderno e dice: “Gramsci ci ha lasciato 34 grossi quaderni come questo – eccone uno! – coperti di scrittura minuta, precisa e uguale”. Solo che proprio qui iniziano i problemi: perché, come nota correttamente lo Piparo, i quaderni di cui oggi siamo a conoscenza sono solo 33. Ne manca uno? È stato trafugato? Censurato? C’è un errore di numerazione, come sostengono altri?
Non mi sembra convinto di queste tesi.
Infatti. Però, se restiamo nel campo della scienza, la cosa più improbabile è partire da un dato vero per sostenere un’idea non provata né dimostrabile. Che il quaderno mancante sia l’ultimo, quello in cui Gramsci avrebbe esplicitato la sua inverosimile presa di distanze dal comunismo, fino ad abbracciare improbabili conversioni.
Mi spieghi perché è così scettico.
I quaderni sono un corpus in evoluzione, non un fotoromanzo a puntateanimatodacolpidiscena. Come provo a ricostruire nel mio libro, gli strappi e i passaggi di discontinuità di Gramsci sono tanti, e molteplici. Non serve ipotizzare un quaderno segreto, per apprezzarli, basta leggere per trovare una miniera di pensieri non conformi ai suoi tempi e alla disciplina del partito in cui militava.
Mi faccia un esempio…
Basta legge la pagina 1949-1950 dell’edizione di Gerratana per trovare una riflessione perfettamente sistematizzata sui sistemi politici. Gramsci descrive quelli che definisce “sistemi totalitari”: ‘Entrambi fanno pedagogia alle massechevengonoviziate’. Èevidente che sta parlando sia del comunismo reale che del nazismo. Ma che quel giudizio riferito al paese di Stalin, ed espresso da un comunista, è durissimo….
In quella pagina si parla male anche dei sistemi liberali, dicendo che non sono rappresentativi
Oh, sì. Le ripeto, Gramsci resta comunista, senza dubbio. Ma visto che bisogna leggere il contesto, aggiunga anche che le stesse coselepensavaunostudiosonon sospetto di ostilità al pensiero liberale come Benedetto Croce, che lo aveva scritto già nel 1910.
I “revisionisti” dicono: Gramsci supera il marxismo.
Partiamo da un altro dettaglio: nelle lettere a Mussolini Gramsci chiede a Mussolini di poter leggere testi di De Man, un pensatore che teorizza il superamento del marxismo. Ma il fatto che Gramsci leggesse idee diverse dalle sue non prova nulla sulla presunta conversione.
E se invece dovesse rispondere con una pagina a quelli che contestano la modernità di Gramsci?
Indicherei la sua riflessione attualissima sul “Cesarismo”. Una interpretazione che, sia detto per inciso, veniva sconsigliata da Togliatti e anche da Marx. Mentre i materialisti dialettici esaltano il ruolo delle masse e sottovalutano quello dei leader, Gramsci nel quaderno 11 prende a modello Napoleone III per uno studio attuale sul carisma del capo.
Sarei blasfemo se dicessi che in questa categoria potrebbe trovare posto anche Berlusconi?
Il paragone con Napoleone III sarebbe troppo lusinghiero per lui, a mio parere. Gramsci ipotizza un cesarismo regressivo e uno progressivo, e forse ha più in mente Mussolini.
Perché Gramsci oggi torna prepotentemente sulla scena?
Perché come vede ha delle cose da dire. Ci sono tanti testi dimenticati che saltano fuori. Ci sono dei classici, delle perle come “Odio gli indifferenti”, pubblicato da Chiarelettere e. Oppure la preziosa antologia di D’Orsi e Chiarotto. Anche quella è una miniera di idee.
Quindi le polemiche non la preoccupano?
No. Perché credo che le crisi finanziarie e i popoli in rivolta, ovvero i due elementi su cui pensatori come Gramsci si sono rotti la testa sono i ferri del mestiere contemporanei. Non un Gramsci liberale, quindi, ma un Gramsci più attuale: proprio perché passa dieci anni a interrogarsi su quale rivoluzione sogna, e su come realizzarla.




Fonte:Il Fatto Quotidiano 24.5.12


.

Nessun commento:

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India