sabato 22 ottobre 2011

L'industria se ne va dal Sud

www.rassegna.it

I due casi più gravi: i Cantieri navali di Castellammare di Stabia e la Firema di Caserta. Situazioni emblematiche di una realtà non solo campana, ma dell'intero Mezzogiorno. Con la complicità della politica


di Giovanni Rispoli

Fiat di Pomigliano e Fma di Pratola Serra, Irisbus, Cantieri navali di Castellammare e Firema di Caserta, Ansaldo Breda di Napoli e poi ancora Alenia, Eutelia e i distretti tessili e della concia. L’elenco delle situazioni di crisi in Campania sembra non finire mai. Torniamo ora a fare il punto su due dei casi più gravi: i Cantieri navali di Castellammare di Stabia e la Firema di Caserta: situazioni emblematiche di una realtà, non solo campana ma meridionale, in cui le decisioni delle aziende, unite all’ignavia dei poteri pubblici, fanno pensare che quanto sta accadendo nel Sud non sia solo il frutto della gravi difficoltà attuali ma l’esito di una precisa volontà di disimpegno.

CANTIERI SENZA NAVI. “Un quadro nerissimo: sui 670 addetti dei Cantieri al lavoro, oggi, ne abbiamo una settantina; tutti gli altri sono in cassa integrazione. Per i 1200 circa dell’indotto, poi, la cig è scaduta a settembre e stiamo aspettando la deroga”. Catello Di Maio, responsabile della Camera del lavoro di Castellammare di Stabia, dei Cantieri navali ha conoscenza diretta. “Ero un operaio, un operaio elettricista – precisa –, venni assunto nel fatidico ’68. Le crisi non sono una novità, nell’impresa: le ho vissute, hanno un carattere ciclico. Quella che sopportiamo oggi, però, è del tutto diversa”. E la ragione, prosegue, una ragione facilmente intuibile, non è solo nel balbettio dell’azienda, di Fincantieri, è anche nell’assenza degli interlocutori istituzionali. L’ultima grave situazione di crisi vissuta a Castellammare prima di quella odierna, all’inizio degli anni 90, crisi che riguardava l’intero territorio torresestabiese, fu affrontata con un contratto d’area che permise di ricollocare tutti i lavoratori delle diverse aziende, dalla Cmc all’Avis alla Deniver di Torre del Greco, che erano stati espulsi dal ciclo produttivo.

Ne trasse beneficio anche Fincantieri, cui il contratto d’area permise il nuovo capannone di cui Castellammare aveva bisogno. Con le istituzioni si lavorò bene, nonostante l’alternarsi degli schieramenti al governo regionale, prima il centrodestra di Rastrelli poi il centrosinistra di Bassolino. “Oggi non è più così: tanti incontri ma nessun fatto concreto, né da Roma né dalla Regione”. Alla crisi, nata dall’eccesso di capacità produttiva della cantieristica, l’azienda ha dato la risposta più scontata:tagli e ancora tagli, anziché raccogliere la sfida dei mercati, misurarsi con le imprese cinesi e sudcoreane. E così una realtà che ha fatto la storia dell’industria meridionale – i Cantieri navali nascono con i Borboni alla fine del 700 – rischia di sparire.

Che fare, come opporsi al disimpegno di Fincantieri? “Bisogna passare a nuovi modelli – risponde Di Maio –; ma varare le navi oggi richieste, dai traghetti alle mini cruises alle bulk carrier, significa disporre di un adeguato bacino di costruzione. Allestirle sullo scalo, come si è fatto finora, non sarebbe possibile, il bacino è decisivo”. Passi avanti, in questa direzione? “Una promessa e uno studio di fattibilità che la Regione ha affidato a Rina, il Registro navale. Fatti concreti, però, nessuno. Sarebbe necessario un lavoro comune aziendaistituzioni, avremmo bisogno di una politica industriale: condizioni adesso come adesso inesistenti”. “Tutto quello che abbiamo, oggi, sono le commesse per due pattugliatori della Guardia costiera.

Di questi due uno è certo e i lavori sono iniziati, per l’altro non si sa. I lavoratori prevedibilmente impegnati? Dovrebbero essere trecento per un massimo di sei-sette mesi: una toppa”. C’è anche uno studio di Cetena, società di ricerca sempre Fincantieri, in cui si parla della costruzione di due ‘zatteroni’, due chiatte, da utilizzare per produrre materia prima per l’edilizia attraverso la lavorazione dei rifiuti. “Un progetto, chissà se fattibile, che in fatto di lavoro non darebbe granché. Certo, in tempi di magra tutto va bene, ma per saturare i Cantieri ci vuole ben altro. Il futuro non può essere questo”.

“Temo che se non si arriverà a una soluzione diversa – aggiunge Di Maio – i Cantieri navali finiranno in uno spezzatino. Una prospettiva allarmante, non solo per Castellammare ma per l’intero tessuto industriale di Napoli e della regione”. Una brutta prospettiva, resa ancora più avvilente dalle condizioni in cui versano le altre attività dell’area. “Ha fatto bene la Fiom a indire per il 21 lo sciopero della cantieristica – dice ancora il nostro interlocutore – ma è l’intero territorio, oggi, a risentire i morsi della crisi”. Il progetto Stabia Porto, del centrosinistra, è stato bloccato dall’attuale amministrazione di centrodestra. I lavoratori impegnati erano in 42, oggi sono 17.

Alle Terme stabiane da cinque mesi i dipendenti non prendono lo stipendio. L’Avis, riparazione carrozze ferroviarie e carri merci, un centinaio di dipendenti, è chiusa. E a dicembre scade la cig. Merid bulloni, 115 lavoratori, non solo è in cig ma sembra si voglia spostarla in un’altra area, essendo vicina al porto turistico. Si parla di un progetto di riconversione, però non si vede. A questo si aggiunge un’amministrazione comunale sorda (il sindaco Bobbio è stato condannato anche per comportamento antisindacale) che ha aumentato Irpef, Tarsu, acqua, mentre spende in consulenze. È dura”.

IL CONVOGLIO BLOCCATO. Proprietari i Fiore, famiglia di imprenditori campani, Firema, azienda di progettazione e costruzione di materiale rotabile (treni, tram e metro, fra gli altri il Meneghino per la metropolitana milanese) entra in crisi nel dicembre 2009, passando poi nell’estate del 2010 alla gestione commissariale. Una fabbrica tecnologicamente avanzata, il treno che esce finito, chiavi in mano, due binari elettrificati per i collaudi (utilizzati anche da Ntv, il treno ad alta velocità di Montezemolo), e una progettualità arricchita dalla collaborazione con l’università, la Federico II di Napoli. Tutto questo improvvisamente azzerato a causa di un buco dai 420 ai 450 milioni creato dalla proprietà – distrazione di fondi –, cui seguono l’intervento della magistratura e la nomina del commissario Ernesto Stajano.

Mesi durissimi, con la cig ordinaria partita nel dicembre 2009 che si pensa debba durare poco e invece si prolunga per mesi, e nel luglio 2010 la decisione dell’assessore regionale ai Trasporti Vetrella di bloccare i pagamenti della Regione. Poi, dopo una lotta durissima, che vede anche cinque operai salire per nove giorni sul tetto dell’azienda, la buona novella: la comunicazione dell’accordo, siamo a metà aprile del 2011, con cui Vetrella e Stajano annunciano di aver sbloccato le due commesse – Metrocampania Nord Est e Sepsa – necessarie alla sopravvivenza dell’impresa. “Una buona notizia – ci dice Massimiliano Guglielmi, giovane segretario della Fiom casertana –, l’avevamo accolta con fiducia, poi è venuta di nuovo la delusione”. “Dei circa 12 milioni che la Regione doveva sbloccare – prosegue – ne sono arrivati infatti soltanto due ad aprile-maggio. Le commesse regionali ci sono, certo, ma in produzione oggi abbiamo treni per soli 3 milioni di euro. Sono risorse del tutto insufficienti, andare avanti mi sembra assai complicato”.

E la cassa integrazione?, chiediamo. “Duecento persone, oggi, su un organico di 400-450 unità. Circa un mese fa abbiamo proclamato lo stato di agitazione e chiesto un incontro al presidente della Regione Caldoro per lo sblocco di altri 9-10 milioni, il 21 è previsto un appuntamento con l’assessore al Lavoro Nappi. Ci aspettiamo che almeno la Regione faccia la sua parte”.

Almeno la Regione, dice Guglielmi.Perché chi questa parte – una parte positiva – non la vuole interpretare è Finmeccanica. “Orsi, amministratore delegato di Finmeccanica e uomo della Lega, dice di no alla soluzione che, guardando agli assetti futuri dell’azienda, noi auspichiamo: l’acquisizione di Firema da parte di Ansaldo Breda”. “Firema è dentro un comparto, il ferroviario, oggetto di grandi tensioni – interviene Massimo Masat, coordinatore nazionale Fiom Finmeccanica –. Noi, pensando a un polo ferroviario nazionale, a un soggetto capace di fare massa critica, abbiamo spinto perché l’azienda casertana venisse acquisita appunto da Ansaldo Breda. Sapevamo che la trattativa era in fase avanzata, tanto che il commissario Stajano prevedeva di chiudere la sua gestione a giugno.

Invece è accaduto che Finmeccanica, oltre a rallentare l’operazione, ha dichiarato addirittura di volercedere Ansaldo Breda (e insieme anche Ansaldo Sts). Il rischio è di perdere l’intera industria ferroviaria”. “Sarebbe un tragedia per tutti, non solo per l’area casertana – conclude Guglielmi –. Temiamo che Firema, in questo quadro, venga inghiottita dentro un qualche progetto speculativo. Non sarebbe una novità, visto come vanno le cose nell’industria italiana. I lavoratori sono molto preoccupati. Con l’assemblea aperta organizzata il 21, presenti Fiom, Fim e Uil nazionali, questa preoccupazione vogliamo manifestarla ancora una volta”.

http://www.rassegna.it/articoli/2011/10/21/79364/lindustria-se-ne-va-dal-sud


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I due casi più gravi: i Cantieri navali di Castellammare di Stabia e la Firema di Caserta. Situazioni emblematiche di una realtà non solo campana, ma dell'intero Mezzogiorno. Con la complicità della politica


di Giovanni Rispoli

Fiat di Pomigliano e Fma di Pratola Serra, Irisbus, Cantieri navali di Castellammare e Firema di Caserta, Ansaldo Breda di Napoli e poi ancora Alenia, Eutelia e i distretti tessili e della concia. L’elenco delle situazioni di crisi in Campania sembra non finire mai. Torniamo ora a fare il punto su due dei casi più gravi: i Cantieri navali di Castellammare di Stabia e la Firema di Caserta: situazioni emblematiche di una realtà, non solo campana ma meridionale, in cui le decisioni delle aziende, unite all’ignavia dei poteri pubblici, fanno pensare che quanto sta accadendo nel Sud non sia solo il frutto della gravi difficoltà attuali ma l’esito di una precisa volontà di disimpegno.

CANTIERI SENZA NAVI. “Un quadro nerissimo: sui 670 addetti dei Cantieri al lavoro, oggi, ne abbiamo una settantina; tutti gli altri sono in cassa integrazione. Per i 1200 circa dell’indotto, poi, la cig è scaduta a settembre e stiamo aspettando la deroga”. Catello Di Maio, responsabile della Camera del lavoro di Castellammare di Stabia, dei Cantieri navali ha conoscenza diretta. “Ero un operaio, un operaio elettricista – precisa –, venni assunto nel fatidico ’68. Le crisi non sono una novità, nell’impresa: le ho vissute, hanno un carattere ciclico. Quella che sopportiamo oggi, però, è del tutto diversa”. E la ragione, prosegue, una ragione facilmente intuibile, non è solo nel balbettio dell’azienda, di Fincantieri, è anche nell’assenza degli interlocutori istituzionali. L’ultima grave situazione di crisi vissuta a Castellammare prima di quella odierna, all’inizio degli anni 90, crisi che riguardava l’intero territorio torresestabiese, fu affrontata con un contratto d’area che permise di ricollocare tutti i lavoratori delle diverse aziende, dalla Cmc all’Avis alla Deniver di Torre del Greco, che erano stati espulsi dal ciclo produttivo.

Ne trasse beneficio anche Fincantieri, cui il contratto d’area permise il nuovo capannone di cui Castellammare aveva bisogno. Con le istituzioni si lavorò bene, nonostante l’alternarsi degli schieramenti al governo regionale, prima il centrodestra di Rastrelli poi il centrosinistra di Bassolino. “Oggi non è più così: tanti incontri ma nessun fatto concreto, né da Roma né dalla Regione”. Alla crisi, nata dall’eccesso di capacità produttiva della cantieristica, l’azienda ha dato la risposta più scontata:tagli e ancora tagli, anziché raccogliere la sfida dei mercati, misurarsi con le imprese cinesi e sudcoreane. E così una realtà che ha fatto la storia dell’industria meridionale – i Cantieri navali nascono con i Borboni alla fine del 700 – rischia di sparire.

Che fare, come opporsi al disimpegno di Fincantieri? “Bisogna passare a nuovi modelli – risponde Di Maio –; ma varare le navi oggi richieste, dai traghetti alle mini cruises alle bulk carrier, significa disporre di un adeguato bacino di costruzione. Allestirle sullo scalo, come si è fatto finora, non sarebbe possibile, il bacino è decisivo”. Passi avanti, in questa direzione? “Una promessa e uno studio di fattibilità che la Regione ha affidato a Rina, il Registro navale. Fatti concreti, però, nessuno. Sarebbe necessario un lavoro comune aziendaistituzioni, avremmo bisogno di una politica industriale: condizioni adesso come adesso inesistenti”. “Tutto quello che abbiamo, oggi, sono le commesse per due pattugliatori della Guardia costiera.

Di questi due uno è certo e i lavori sono iniziati, per l’altro non si sa. I lavoratori prevedibilmente impegnati? Dovrebbero essere trecento per un massimo di sei-sette mesi: una toppa”. C’è anche uno studio di Cetena, società di ricerca sempre Fincantieri, in cui si parla della costruzione di due ‘zatteroni’, due chiatte, da utilizzare per produrre materia prima per l’edilizia attraverso la lavorazione dei rifiuti. “Un progetto, chissà se fattibile, che in fatto di lavoro non darebbe granché. Certo, in tempi di magra tutto va bene, ma per saturare i Cantieri ci vuole ben altro. Il futuro non può essere questo”.

“Temo che se non si arriverà a una soluzione diversa – aggiunge Di Maio – i Cantieri navali finiranno in uno spezzatino. Una prospettiva allarmante, non solo per Castellammare ma per l’intero tessuto industriale di Napoli e della regione”. Una brutta prospettiva, resa ancora più avvilente dalle condizioni in cui versano le altre attività dell’area. “Ha fatto bene la Fiom a indire per il 21 lo sciopero della cantieristica – dice ancora il nostro interlocutore – ma è l’intero territorio, oggi, a risentire i morsi della crisi”. Il progetto Stabia Porto, del centrosinistra, è stato bloccato dall’attuale amministrazione di centrodestra. I lavoratori impegnati erano in 42, oggi sono 17.

Alle Terme stabiane da cinque mesi i dipendenti non prendono lo stipendio. L’Avis, riparazione carrozze ferroviarie e carri merci, un centinaio di dipendenti, è chiusa. E a dicembre scade la cig. Merid bulloni, 115 lavoratori, non solo è in cig ma sembra si voglia spostarla in un’altra area, essendo vicina al porto turistico. Si parla di un progetto di riconversione, però non si vede. A questo si aggiunge un’amministrazione comunale sorda (il sindaco Bobbio è stato condannato anche per comportamento antisindacale) che ha aumentato Irpef, Tarsu, acqua, mentre spende in consulenze. È dura”.

IL CONVOGLIO BLOCCATO. Proprietari i Fiore, famiglia di imprenditori campani, Firema, azienda di progettazione e costruzione di materiale rotabile (treni, tram e metro, fra gli altri il Meneghino per la metropolitana milanese) entra in crisi nel dicembre 2009, passando poi nell’estate del 2010 alla gestione commissariale. Una fabbrica tecnologicamente avanzata, il treno che esce finito, chiavi in mano, due binari elettrificati per i collaudi (utilizzati anche da Ntv, il treno ad alta velocità di Montezemolo), e una progettualità arricchita dalla collaborazione con l’università, la Federico II di Napoli. Tutto questo improvvisamente azzerato a causa di un buco dai 420 ai 450 milioni creato dalla proprietà – distrazione di fondi –, cui seguono l’intervento della magistratura e la nomina del commissario Ernesto Stajano.

Mesi durissimi, con la cig ordinaria partita nel dicembre 2009 che si pensa debba durare poco e invece si prolunga per mesi, e nel luglio 2010 la decisione dell’assessore regionale ai Trasporti Vetrella di bloccare i pagamenti della Regione. Poi, dopo una lotta durissima, che vede anche cinque operai salire per nove giorni sul tetto dell’azienda, la buona novella: la comunicazione dell’accordo, siamo a metà aprile del 2011, con cui Vetrella e Stajano annunciano di aver sbloccato le due commesse – Metrocampania Nord Est e Sepsa – necessarie alla sopravvivenza dell’impresa. “Una buona notizia – ci dice Massimiliano Guglielmi, giovane segretario della Fiom casertana –, l’avevamo accolta con fiducia, poi è venuta di nuovo la delusione”. “Dei circa 12 milioni che la Regione doveva sbloccare – prosegue – ne sono arrivati infatti soltanto due ad aprile-maggio. Le commesse regionali ci sono, certo, ma in produzione oggi abbiamo treni per soli 3 milioni di euro. Sono risorse del tutto insufficienti, andare avanti mi sembra assai complicato”.

E la cassa integrazione?, chiediamo. “Duecento persone, oggi, su un organico di 400-450 unità. Circa un mese fa abbiamo proclamato lo stato di agitazione e chiesto un incontro al presidente della Regione Caldoro per lo sblocco di altri 9-10 milioni, il 21 è previsto un appuntamento con l’assessore al Lavoro Nappi. Ci aspettiamo che almeno la Regione faccia la sua parte”.

Almeno la Regione, dice Guglielmi.Perché chi questa parte – una parte positiva – non la vuole interpretare è Finmeccanica. “Orsi, amministratore delegato di Finmeccanica e uomo della Lega, dice di no alla soluzione che, guardando agli assetti futuri dell’azienda, noi auspichiamo: l’acquisizione di Firema da parte di Ansaldo Breda”. “Firema è dentro un comparto, il ferroviario, oggetto di grandi tensioni – interviene Massimo Masat, coordinatore nazionale Fiom Finmeccanica –. Noi, pensando a un polo ferroviario nazionale, a un soggetto capace di fare massa critica, abbiamo spinto perché l’azienda casertana venisse acquisita appunto da Ansaldo Breda. Sapevamo che la trattativa era in fase avanzata, tanto che il commissario Stajano prevedeva di chiudere la sua gestione a giugno.

Invece è accaduto che Finmeccanica, oltre a rallentare l’operazione, ha dichiarato addirittura di volercedere Ansaldo Breda (e insieme anche Ansaldo Sts). Il rischio è di perdere l’intera industria ferroviaria”. “Sarebbe un tragedia per tutti, non solo per l’area casertana – conclude Guglielmi –. Temiamo che Firema, in questo quadro, venga inghiottita dentro un qualche progetto speculativo. Non sarebbe una novità, visto come vanno le cose nell’industria italiana. I lavoratori sono molto preoccupati. Con l’assemblea aperta organizzata il 21, presenti Fiom, Fim e Uil nazionali, questa preoccupazione vogliamo manifestarla ancora una volta”.

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