martedì 1 marzo 2011

Lo Stato sottrae 33,3 miliardi alla Sicilia



di Angela Carrubba

Nord-Sud. La Cgia di Mestre mostra sperequazione pro Sud.
Dati fiscali fuorvianti. Che secondo l’associazione giustificano la “voglia di secessione” delle regioni del Nord che pagano più tasse di quanto ricevono dallo Stato in servizi.
Statistiche senza informazione. I dati non spiegano soprattutto se davvero le regioni a Statuto autonomo ricevano tutto ciò che è previsto dalle leggi e dall’imminente Federalismo.


Quando le tabelle non dicono la verità. è questo il caso dell’ultima indagine resa nota dalla Cgia di Mestre, la confederazione degli Artigiani in provincia di Venezia. è impossibile, infatti, raffrontare Regioni ordinarie e Regioni a Statuto speciale senza tenere conto delle autonomie speciali appunto. E così risulta che la Sicilia riceve più di quanto paga di tasse, mentre è completamente al contrario, anzi certe tasse che ci spettano, secondo lo Statuto, proprio non sono versate e la Corte costituzionale, quest’anno, ha respinto il ricorso della Regione. E poi c’è l’ultimo scandalo del Cipe che su venti miliardi per opere cantierabili, ha destinato 16,6 miliardi al Nord e zero euro alla Sicilia. Per non dire del contributo di solidarietà nazionale ex articolo 38 dello Statuto che dal 1990 è stato risucchiato, perdendo la Sicilia fino ad oggi più di 30 miliardi di euro.
Il 24 novembre scorso la Cgia (Associazione artigiani piccole imprese) di Mestre ha diffuso i dati di una rilevazione effettuata dal proprio ufficio studi secondo la quale solo quattro regioni su venti versano imposte, tasse e contributi in quantità superiore a quanto ricevono in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato centrale.

A sostegno di quest’affermazione, l’associazione ha elaborato la tabella titolata “Residuo fiscale” relativa all’anno 2008 dalla quale risulterebbe giustificata la “voglia di secessione” dei cittadini, degli imprenditori e dei Sindaci del Nord che – sostiene Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – “chiedono a gran voce di trasferirsi nelle Regioni a Statuto Speciale”.
È tutta da ridere! I siciliani, secondo Bortolussi, dovrebbero prepararsi ad accogliere gli “immigrati” non dal Nord Africa né dai Paesi dell’Est, bensì dalla sviluppatissime Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte!

“Dalla lettura dei dati – conclude Bortolussi – non balza agli occhi solo la grande differenza esistente tra Nord e Sud del Paese, in parte giustificata dai forti squilibri economici esistenti, ma, soprattutto, dalle sperequazioni esistenti tra le Regioni a Statuto ordinario e quelle a Statuto speciale del Nord. Una diversità di trattamento che sta spingendo molti sindaci delle aree di confine a chiedere di trasferirsi verso le Regioni autonome che, rispetto alle altre, pagano meno, trattengono più risorse sul proprio territorio e, spesso, ricevono maggiori trasferimenti dallo Stato”.

Peccato che l’ufficio studi, nell’obiettivo di “giustificare la voglia di secessione” e di dimostrare la scientificità delle affermazioni, usi i numeri come nella barzelletta sulla Statistica: se due persone mangiano due polli, vuol dire che ne hanno mangiato uno a testa, ignorando che il ricercatore deve dare (e soprattutto deve usare) un’informazione completa per ottenere un risultato corretto!

Torniamo allora allo studio e cerchiamo di capire se sia completo e quali dati manchino.
Primo: manca l’informazione completa su quali siano i dati da classificare come “Entrate” e “Spese”. Sono “Entrate” solo le imposte pagate? E tra le “Spese” non vanno considerate anche quelle che lo Stato non “trasferisce” alle Regioni lasciando infrastrutture carenti, territorio sfruttato dagli impianti industriali, interventi non effettuati nel controllo del territorio, nell’istruzione, nella semplificazione della burocrazia e via dicendo?

Secondo: manca l’informazione sul metodo con cui si effettuano le scelte sui servizi da fornire e sulla gestione degli stessi.

Terzo: manca l’informazione su cosa si intenda per “forti squilibri economici esistenti”. Sono divari solo quelli che portano la Cgia a fare le classifiche su chi e quanto paga di più senza spiegare perché?
In conclusione lo studio non spiega in modo completo tutti i termini del problema e, soprattutto, non spiega se davvero le regioni a Statuto autonomo ricevano tutto ciò che è previsto.

Già nel 1995 il Quotidiano di Sicilia scriveva nell’editoriale che gli investimenti vengono attratti dai centri decisionali forti del Nord del paese, che ingrassa, che non ha disoccupati e che guadagna non solo per proprio merito ma perle condizioni più favorevoli”; già quindici anni fa era chiaro che “per sanare il bilancio dello Stato si era imboccata la strada del risparmio; una strada a senso unico perché il risparmio riguarda solo le regioni meridionali, che hanno un enorme deficit di infrastrutture”. Allora come oggi tutte le Regioni, che siano a Statuto speciale o no, dovevano preoccuparsi di reperire autonomamente le risorse necessarie al proprio sviluppo.

E la Regione siciliana aveva allora ed ha ancora oggi la necessità di trovare fra le pieghe del suo bilancio qualche centinaio di milioni per sostenere alcuni importanti disegni di legge e si trova ancora nella necessità di svolgere una forte azione nei confronti del governo nazionale per esigere crediti che ammontavano allora a 10 mila miliardi di lire. Ben prima dell’attuale “voglia di federalismo” la Regione siciliana richiamava lo Stato all’osservanza degli articoli 36 e 37 e 38 dello Statuto (approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 e pubblicato nella G.U. del Regno d’Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 2 pubblicata nella Guri n. 58 del 9 marzo 1948) che prevedono che le imposte relative ai redditi prodotti in Sicilia, salvo quelli delle imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del latte, vadano alla Regione.
“Il credito vantato dalla Sicilia – scriveva nell’editoriale nel 1995 il Qds – supera i 4.000 miliardi. II governo ha riconosciuto 1.900 miliardi ma sugli altri tira in lungo”.

Eppure a conferma del buon diritto della Regione vi era la sentenza della Corte costituzionale del 1974 che riconosce la piena applicazione dei due citati articoli dello Statuto. La Sicilia vantava, infine, crediti dallo Stato per oltre 2.000 miliardi, in quanto aveva avuto attribuite nuove competenze in materia di sanità e istruzione senza i relativi trasferimenti finanziari.
Una bella somma con la quale si sarebbero costruite molte infrastrutture per mettere in moto un circolo virtuoso che creasse nuovo lavoro.

Statuto siciliano. Articoli 37 e 38 riguardanti le imposte
ARTICOLO 37
1. Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi.
2. L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima.
ARTICOLO 38
1. Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici.
2. Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto della media nazionale.
3. Si procederà ad una revisione quinquennale della detta assegnazione con
riferimento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo.


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di Angela Carrubba

Nord-Sud. La Cgia di Mestre mostra sperequazione pro Sud.
Dati fiscali fuorvianti. Che secondo l’associazione giustificano la “voglia di secessione” delle regioni del Nord che pagano più tasse di quanto ricevono dallo Stato in servizi.
Statistiche senza informazione. I dati non spiegano soprattutto se davvero le regioni a Statuto autonomo ricevano tutto ciò che è previsto dalle leggi e dall’imminente Federalismo.


Quando le tabelle non dicono la verità. è questo il caso dell’ultima indagine resa nota dalla Cgia di Mestre, la confederazione degli Artigiani in provincia di Venezia. è impossibile, infatti, raffrontare Regioni ordinarie e Regioni a Statuto speciale senza tenere conto delle autonomie speciali appunto. E così risulta che la Sicilia riceve più di quanto paga di tasse, mentre è completamente al contrario, anzi certe tasse che ci spettano, secondo lo Statuto, proprio non sono versate e la Corte costituzionale, quest’anno, ha respinto il ricorso della Regione. E poi c’è l’ultimo scandalo del Cipe che su venti miliardi per opere cantierabili, ha destinato 16,6 miliardi al Nord e zero euro alla Sicilia. Per non dire del contributo di solidarietà nazionale ex articolo 38 dello Statuto che dal 1990 è stato risucchiato, perdendo la Sicilia fino ad oggi più di 30 miliardi di euro.
Il 24 novembre scorso la Cgia (Associazione artigiani piccole imprese) di Mestre ha diffuso i dati di una rilevazione effettuata dal proprio ufficio studi secondo la quale solo quattro regioni su venti versano imposte, tasse e contributi in quantità superiore a quanto ricevono in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato centrale.

A sostegno di quest’affermazione, l’associazione ha elaborato la tabella titolata “Residuo fiscale” relativa all’anno 2008 dalla quale risulterebbe giustificata la “voglia di secessione” dei cittadini, degli imprenditori e dei Sindaci del Nord che – sostiene Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – “chiedono a gran voce di trasferirsi nelle Regioni a Statuto Speciale”.
È tutta da ridere! I siciliani, secondo Bortolussi, dovrebbero prepararsi ad accogliere gli “immigrati” non dal Nord Africa né dai Paesi dell’Est, bensì dalla sviluppatissime Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte!

“Dalla lettura dei dati – conclude Bortolussi – non balza agli occhi solo la grande differenza esistente tra Nord e Sud del Paese, in parte giustificata dai forti squilibri economici esistenti, ma, soprattutto, dalle sperequazioni esistenti tra le Regioni a Statuto ordinario e quelle a Statuto speciale del Nord. Una diversità di trattamento che sta spingendo molti sindaci delle aree di confine a chiedere di trasferirsi verso le Regioni autonome che, rispetto alle altre, pagano meno, trattengono più risorse sul proprio territorio e, spesso, ricevono maggiori trasferimenti dallo Stato”.

Peccato che l’ufficio studi, nell’obiettivo di “giustificare la voglia di secessione” e di dimostrare la scientificità delle affermazioni, usi i numeri come nella barzelletta sulla Statistica: se due persone mangiano due polli, vuol dire che ne hanno mangiato uno a testa, ignorando che il ricercatore deve dare (e soprattutto deve usare) un’informazione completa per ottenere un risultato corretto!

Torniamo allora allo studio e cerchiamo di capire se sia completo e quali dati manchino.
Primo: manca l’informazione completa su quali siano i dati da classificare come “Entrate” e “Spese”. Sono “Entrate” solo le imposte pagate? E tra le “Spese” non vanno considerate anche quelle che lo Stato non “trasferisce” alle Regioni lasciando infrastrutture carenti, territorio sfruttato dagli impianti industriali, interventi non effettuati nel controllo del territorio, nell’istruzione, nella semplificazione della burocrazia e via dicendo?

Secondo: manca l’informazione sul metodo con cui si effettuano le scelte sui servizi da fornire e sulla gestione degli stessi.

Terzo: manca l’informazione su cosa si intenda per “forti squilibri economici esistenti”. Sono divari solo quelli che portano la Cgia a fare le classifiche su chi e quanto paga di più senza spiegare perché?
In conclusione lo studio non spiega in modo completo tutti i termini del problema e, soprattutto, non spiega se davvero le regioni a Statuto autonomo ricevano tutto ciò che è previsto.

Già nel 1995 il Quotidiano di Sicilia scriveva nell’editoriale che gli investimenti vengono attratti dai centri decisionali forti del Nord del paese, che ingrassa, che non ha disoccupati e che guadagna non solo per proprio merito ma perle condizioni più favorevoli”; già quindici anni fa era chiaro che “per sanare il bilancio dello Stato si era imboccata la strada del risparmio; una strada a senso unico perché il risparmio riguarda solo le regioni meridionali, che hanno un enorme deficit di infrastrutture”. Allora come oggi tutte le Regioni, che siano a Statuto speciale o no, dovevano preoccuparsi di reperire autonomamente le risorse necessarie al proprio sviluppo.

E la Regione siciliana aveva allora ed ha ancora oggi la necessità di trovare fra le pieghe del suo bilancio qualche centinaio di milioni per sostenere alcuni importanti disegni di legge e si trova ancora nella necessità di svolgere una forte azione nei confronti del governo nazionale per esigere crediti che ammontavano allora a 10 mila miliardi di lire. Ben prima dell’attuale “voglia di federalismo” la Regione siciliana richiamava lo Stato all’osservanza degli articoli 36 e 37 e 38 dello Statuto (approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 e pubblicato nella G.U. del Regno d’Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 2 pubblicata nella Guri n. 58 del 9 marzo 1948) che prevedono che le imposte relative ai redditi prodotti in Sicilia, salvo quelli delle imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del latte, vadano alla Regione.
“Il credito vantato dalla Sicilia – scriveva nell’editoriale nel 1995 il Qds – supera i 4.000 miliardi. II governo ha riconosciuto 1.900 miliardi ma sugli altri tira in lungo”.

Eppure a conferma del buon diritto della Regione vi era la sentenza della Corte costituzionale del 1974 che riconosce la piena applicazione dei due citati articoli dello Statuto. La Sicilia vantava, infine, crediti dallo Stato per oltre 2.000 miliardi, in quanto aveva avuto attribuite nuove competenze in materia di sanità e istruzione senza i relativi trasferimenti finanziari.
Una bella somma con la quale si sarebbero costruite molte infrastrutture per mettere in moto un circolo virtuoso che creasse nuovo lavoro.

Statuto siciliano. Articoli 37 e 38 riguardanti le imposte
ARTICOLO 37
1. Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi.
2. L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima.
ARTICOLO 38
1. Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici.
2. Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto della media nazionale.
3. Si procederà ad una revisione quinquennale della detta assegnazione con
riferimento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo.


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