giovedì 17 marzo 2011

I prigionieri dei savoia - La storia della Caienna italiana nel Borneo Sugarco edizioni

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“ Se ci ponessimo in Italia ad applicare la pena di morte con un’implacabile frequenza, se ad ogni istante si alzasse il patibolo, l’opinione e i costumi in Italia vi ripugnerebbero, i giurati stessi finirebbero o per assolvere , o per ammettere in ogni caso le circostanze attenuanti. Bisogna dunque pensare ad aggiungere alla pena di morte un’altra pena, quella della deportazione, tanto più che presso le impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa morte”.

La lettera del Ministro degli Esteri del Regno d’Italia, Emilio Visconti Venosta è del 1872 ma segue intenzioni e progetti manifestati già anni prima : quando l’Italia unita muoveva i suoi primi passi e doveva affrontare il fenomeno del brigantaggio. E’ questo il contesto nel quale il governo decide di deportare i briganti dall’altra parte del mondo : l’idea di abbandonare la famiglia, il proprio territorio è il deterrente individuato per sconfiggere oppositori, delinquenti, renitenti alla leva e al nuovo ordine.

Le missioni per trovare un “angolo di terra” dove confinare i prigionieri italiani furono diverse ed occuparono dieci anni: tra il 1862 e il 1873 le corvette della Marina perlustrarono mari e luoghi esotici fino a quella lunga esplorazione del Borneo, affidata al comandante Carlo Alberto Racchia e alla nave “ Principessa Clotilde”.

“ Il rapporto che io le domando “, scrive all’ufficiale il presidente del Consiglio Luigi Federico Menabrea nel 1869, “ dovrebbe contenere una descrizione della località che si vorrebbe scegliere (…) Lo stabilimento che l’Italia vorrebbe fondare dovrebbe essere capace di almeno dieci o quindicimila deportati e dovrebbe per la fertilità o per altre produzioni naturali del paese fornire alla numerosa colonia i mezzi necessari di sussistenza”. Ma i tentativi italiani incontrarono resistenze, dovettero fare i conti con le potenze coloniali, in particolare Inghilterra e Olanda, incrociarono avventurieri , difficoltà di finanziamento, incertezze e dabbenaggini. Dopo l’ “Operazione Borneo” sarebbero trascorsi molti anni prima che l’Italia potesse riaffacciarsi fuori dal Mediterraneo, nei continenti più lontani.


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“ Se ci ponessimo in Italia ad applicare la pena di morte con un’implacabile frequenza, se ad ogni istante si alzasse il patibolo, l’opinione e i costumi in Italia vi ripugnerebbero, i giurati stessi finirebbero o per assolvere , o per ammettere in ogni caso le circostanze attenuanti. Bisogna dunque pensare ad aggiungere alla pena di morte un’altra pena, quella della deportazione, tanto più che presso le impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa morte”.

La lettera del Ministro degli Esteri del Regno d’Italia, Emilio Visconti Venosta è del 1872 ma segue intenzioni e progetti manifestati già anni prima : quando l’Italia unita muoveva i suoi primi passi e doveva affrontare il fenomeno del brigantaggio. E’ questo il contesto nel quale il governo decide di deportare i briganti dall’altra parte del mondo : l’idea di abbandonare la famiglia, il proprio territorio è il deterrente individuato per sconfiggere oppositori, delinquenti, renitenti alla leva e al nuovo ordine.

Le missioni per trovare un “angolo di terra” dove confinare i prigionieri italiani furono diverse ed occuparono dieci anni: tra il 1862 e il 1873 le corvette della Marina perlustrarono mari e luoghi esotici fino a quella lunga esplorazione del Borneo, affidata al comandante Carlo Alberto Racchia e alla nave “ Principessa Clotilde”.

“ Il rapporto che io le domando “, scrive all’ufficiale il presidente del Consiglio Luigi Federico Menabrea nel 1869, “ dovrebbe contenere una descrizione della località che si vorrebbe scegliere (…) Lo stabilimento che l’Italia vorrebbe fondare dovrebbe essere capace di almeno dieci o quindicimila deportati e dovrebbe per la fertilità o per altre produzioni naturali del paese fornire alla numerosa colonia i mezzi necessari di sussistenza”. Ma i tentativi italiani incontrarono resistenze, dovettero fare i conti con le potenze coloniali, in particolare Inghilterra e Olanda, incrociarono avventurieri , difficoltà di finanziamento, incertezze e dabbenaggini. Dopo l’ “Operazione Borneo” sarebbero trascorsi molti anni prima che l’Italia potesse riaffacciarsi fuori dal Mediterraneo, nei continenti più lontani.


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