mercoledì 2 febbraio 2011

L'Italia si farà da Roma in giù


Di Marco Fortis

Di tutte le sfide che l'Italia deve affrontare, quella del Mezzogiorno, dopo 150 anni dall'unificazione nazionale, resta la più difficile. Anche perché nell'intera Europa occidentale non esiste nessun altro paese "duale" come il nostro, anche in termini dimensionali, essendo la popolazione del Sud e delle Isole grande all'incirca come quella di Grecia e Portogallo insieme.


Già sappiamo molto sul divario economico Nord-Sud. Innanzitutto riguardo al valore della produzione. Le statistiche Eurostat ci dicono che, a parità di potere d'acquisto, il Pil pro capite del Nord Italia è superiore a quello della Svezia mentre il Pil pro capite dell'intero Nord Centro Italia (un'area che equivale a una nazione europea medio-grande, con quasi 40 milioni di abitanti) è nettamente superiore a quello di Germania o Francia. Per contro, il Pil pro capite del Sud e delle Isole è inferiore al Portogallo. Ciò dovrebbe far riflettere anche sulle "ricette" per riformare l'Italia e rilanciarne la crescita poiché è evidente che una cosa è "curare" il Nord Centro (ai vertici in Europa), un'altra è "curare" il Mezzogiorno (che arranca con i più deboli paesi europei mediterranei).

Il divario tra Nord e Sud Italia è ben riflesso anche dai dati sulla ricchezza finanziaria delle famiglie (sia pure in misura meno accentuata perché le cifre sullo stock di ricchezza accumulata nel tempo probabilmente fanno emergere una parte del sommerso del Mezzogiorno che i dati del reddito non hanno "catturato"). Se il Nord Ovest e il Nord Est vantano una ricchezza finanziaria per abitante al top in Europa, su livelli analoghi o superiori a quelli di Belgio e Olanda, il Mezzogiorno è molto indietro. E il divario si amplia includendo la ricchezza immobiliare. Per quanto riguarda l'export e il surplus manifatturiero, il Nord Centro Italia nel 2009 ha esportato prodotti industriali non alimentari all'incirca come la Gran Bretagna intera (178 miliardi contro 189) potendo però vantare un gigantesco surplus manifatturiero con l'estero (45 miliardi), secondo nella Ue solo a quello tedesco, mentre la Gran Bretagna è in profondo deficit (60 miliardi).

Viceversa, l'apporto del Mezzogiorno all'export manifatturiero italiano è molto basso (16 miliardi), cioè meno di quanto esporti il Portogallo (24 miliardi) e anche il surplus manifatturiero con l'estero del Sud e delle Isole (meno di 3 miliardi) non è minimamente confrontabile con quello del resto d'Italia. Anche le statistiche sulla disoccupazione mostrano enormi divergenze tra Nord e Sud. Si pensi alla disoccupazione giovanile, oggi al centro dell'attenzione generale, che nelle regioni del Nord Ovest e nel Nord Est è di 5-10 punti più bassa che nella Londra "interna" o in Svezia, mentre nel Sud Italia è simile o più alta che nella disastrata Spagna.

La novità a livello statistico è oggi rappresentata dallo sviluppo della banca dati Eu-Silc, dove Silc sta per Statistics on Income and Living Conditions: un bagaglio davvero fondamentale di informazioni messe in rete dall'Eurostat, a cui tutti gli analisti attribuiscono grande importanza. La stessa Commissione europea ha posto i dati Eu-Silc alla base dell'individuazione dei suoi obiettivi 2020 di riduzione della povertà e dell'esclusione sociale in Europa. Tali dati sono cruciali anche per meglio inquadrare il divario tra Nord Centro e Mezzogiorno d'Italia ed evidenziarne, se mai ce ne fosse ulteriore bisogno, la drammaticità.

La gigantesca mole di informazioni delle Eu-Silc è sintetizzata in un Indice di povertà ed esclusione (Ipe) composto da tre sottoindici: un Indice di povertà basato sul 60% della mediana del reddito; un Indice di severa deprivazione materiale basato sull'incapacità di una famiglia di permettersi quattro o più consumi rispetto a un paniere selezionato di nove beni e servizi (tra cui auto, tv a colori, telefono, un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni, una vacanza di almeno una settimana all'anno); e un Indice di bassa intensità di lavoro (cioè se gli adulti di una famiglia hanno lavorato nell'anno precedente meno del 20% del loro potenziale). L'Ipe è la somma della percentuale di popolazione a rischio di povertà più quella di non poveri ma "deprivati", più quella di non poveri né "deprivati" ma a bassa intensità di lavoro.

L'analisi dei dati dell'Ipe per il 2009 conferma la straordinaria peculiarità del divario geografico economico-sociale italiano. Infatti, il Nord Est ha il più basso Ipe in rapporto a quello dei paesi della Ue-15, migliore di quello dell'Olanda, che è la nazione meno povera e a rischio di esclusione, mentre il Nord Ovest a sua volta precede la Svezia, che è la seconda nazione europea meno disagiata. Anche il Centro Italia è in una posizione non critica, stando esattamente in mezzo a Francia e Germania, mentre il Sud e le Isole presentano invece gli Ipe nettamente più alti, di 11-17 punti percentuali al di sopra della Grecia, ultima in classifica. Ciò peggiora terribilmente la media italiana, che tuttavia proprio per questi divari territoriali "interni" appare assolutamente fuorviante ed è poco significativa anche ai fini dell'individuazione di politiche di intervento. Diverse regioni italiane, infatti, presentano valori molto bassi dell'Ipe, tra cui Trentino Alto Adige e Lombardia (entrambe al 10,9%), Valle d'Aosta (13%), Emilia Romagna (13,7%), Veneto (14%), tutte con percentuali inferiori a quelle dell'Olanda (15,1%). Mentre i valori più critici dell'Ipe nel Mezzogiorno sono quelli di Sicilia (49,3%, vale a dire che una persona su due è a rischio di povertà o esclusione), Campania (42,5%) e Calabria (41,8%).

Queste nuove statistiche comparate dell'Eurostat sono fondamentali per capire meglio l'Italia e i suoi problemi. Ribadiscono la gravità e l'urgenza della questione meridionale. Inoltre, evidenziano una volta di più quanto siano semplicistiche certe tesi urlate ma non dimostrate che associano tra loro la scarsa crescita, nonché i bassi livelli medi di reddito, di alta disoccupazione giovanile e di disagio sociale dell'Italia alla mancanza di competitività e alla debolezza del nostro sistema produttivo o del nostro modello di piccole e medie imprese. Infatti, il Nord Italia, che di tale modello è la massima espressione paradigmatica, primeggia per Pil pro capite, ricchezza delle famiglie, export e surplus di manufatti, bassa disoccupazione. E ora anche per i più bassi livelli di povertà ed esclusione sociale (misurati dalle nuove Eu-Silc) rispetto alle nazioni Ue più evolute, competendo alla pari con grandi regioni europee molto ammirate come Baviera e Baden-Württemberg. E lo stesso Centro Italia (pur con alcune criticità nel Lazio) è ottimamente posizionato quanto a statistiche economiche e sociali.

Sia chiaro: più competitività, energia a prezzi più bassi, meno posti di lavoro "blindati" e meno precari, più liberalizzazioni, più meritocrazia e meno burocrazia non possono che farci del bene, anche al Nord Centro. Ma non perché dobbiamo risalire dal fondo classifica dell'economia europea (come spesso si argomenta superficialmente discutendo dei valori medi italiani) bensì perché il Nord Centro vuole rimanerne ai vertici. La questione di fondo è però come riprogettare una strategia per il nostro Mezzogiorno che punti non soltanto a ridurre il divario insopportabile con il resto d'Italia ma possa rappresentare anche un'occasione per aggiungere margini significativi al potenziale complessivo di crescita dell'intero paese. Passando per un rilancio epocale delle infrastrutture, del turismo e dell'agricoltura di qualità da Roma in giù, con una buona iniezione di innovazione e "green economy".

Fonte: Il Sole 24 ore

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Di Marco Fortis

Di tutte le sfide che l'Italia deve affrontare, quella del Mezzogiorno, dopo 150 anni dall'unificazione nazionale, resta la più difficile. Anche perché nell'intera Europa occidentale non esiste nessun altro paese "duale" come il nostro, anche in termini dimensionali, essendo la popolazione del Sud e delle Isole grande all'incirca come quella di Grecia e Portogallo insieme.


Già sappiamo molto sul divario economico Nord-Sud. Innanzitutto riguardo al valore della produzione. Le statistiche Eurostat ci dicono che, a parità di potere d'acquisto, il Pil pro capite del Nord Italia è superiore a quello della Svezia mentre il Pil pro capite dell'intero Nord Centro Italia (un'area che equivale a una nazione europea medio-grande, con quasi 40 milioni di abitanti) è nettamente superiore a quello di Germania o Francia. Per contro, il Pil pro capite del Sud e delle Isole è inferiore al Portogallo. Ciò dovrebbe far riflettere anche sulle "ricette" per riformare l'Italia e rilanciarne la crescita poiché è evidente che una cosa è "curare" il Nord Centro (ai vertici in Europa), un'altra è "curare" il Mezzogiorno (che arranca con i più deboli paesi europei mediterranei).

Il divario tra Nord e Sud Italia è ben riflesso anche dai dati sulla ricchezza finanziaria delle famiglie (sia pure in misura meno accentuata perché le cifre sullo stock di ricchezza accumulata nel tempo probabilmente fanno emergere una parte del sommerso del Mezzogiorno che i dati del reddito non hanno "catturato"). Se il Nord Ovest e il Nord Est vantano una ricchezza finanziaria per abitante al top in Europa, su livelli analoghi o superiori a quelli di Belgio e Olanda, il Mezzogiorno è molto indietro. E il divario si amplia includendo la ricchezza immobiliare. Per quanto riguarda l'export e il surplus manifatturiero, il Nord Centro Italia nel 2009 ha esportato prodotti industriali non alimentari all'incirca come la Gran Bretagna intera (178 miliardi contro 189) potendo però vantare un gigantesco surplus manifatturiero con l'estero (45 miliardi), secondo nella Ue solo a quello tedesco, mentre la Gran Bretagna è in profondo deficit (60 miliardi).

Viceversa, l'apporto del Mezzogiorno all'export manifatturiero italiano è molto basso (16 miliardi), cioè meno di quanto esporti il Portogallo (24 miliardi) e anche il surplus manifatturiero con l'estero del Sud e delle Isole (meno di 3 miliardi) non è minimamente confrontabile con quello del resto d'Italia. Anche le statistiche sulla disoccupazione mostrano enormi divergenze tra Nord e Sud. Si pensi alla disoccupazione giovanile, oggi al centro dell'attenzione generale, che nelle regioni del Nord Ovest e nel Nord Est è di 5-10 punti più bassa che nella Londra "interna" o in Svezia, mentre nel Sud Italia è simile o più alta che nella disastrata Spagna.

La novità a livello statistico è oggi rappresentata dallo sviluppo della banca dati Eu-Silc, dove Silc sta per Statistics on Income and Living Conditions: un bagaglio davvero fondamentale di informazioni messe in rete dall'Eurostat, a cui tutti gli analisti attribuiscono grande importanza. La stessa Commissione europea ha posto i dati Eu-Silc alla base dell'individuazione dei suoi obiettivi 2020 di riduzione della povertà e dell'esclusione sociale in Europa. Tali dati sono cruciali anche per meglio inquadrare il divario tra Nord Centro e Mezzogiorno d'Italia ed evidenziarne, se mai ce ne fosse ulteriore bisogno, la drammaticità.

La gigantesca mole di informazioni delle Eu-Silc è sintetizzata in un Indice di povertà ed esclusione (Ipe) composto da tre sottoindici: un Indice di povertà basato sul 60% della mediana del reddito; un Indice di severa deprivazione materiale basato sull'incapacità di una famiglia di permettersi quattro o più consumi rispetto a un paniere selezionato di nove beni e servizi (tra cui auto, tv a colori, telefono, un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni, una vacanza di almeno una settimana all'anno); e un Indice di bassa intensità di lavoro (cioè se gli adulti di una famiglia hanno lavorato nell'anno precedente meno del 20% del loro potenziale). L'Ipe è la somma della percentuale di popolazione a rischio di povertà più quella di non poveri ma "deprivati", più quella di non poveri né "deprivati" ma a bassa intensità di lavoro.

L'analisi dei dati dell'Ipe per il 2009 conferma la straordinaria peculiarità del divario geografico economico-sociale italiano. Infatti, il Nord Est ha il più basso Ipe in rapporto a quello dei paesi della Ue-15, migliore di quello dell'Olanda, che è la nazione meno povera e a rischio di esclusione, mentre il Nord Ovest a sua volta precede la Svezia, che è la seconda nazione europea meno disagiata. Anche il Centro Italia è in una posizione non critica, stando esattamente in mezzo a Francia e Germania, mentre il Sud e le Isole presentano invece gli Ipe nettamente più alti, di 11-17 punti percentuali al di sopra della Grecia, ultima in classifica. Ciò peggiora terribilmente la media italiana, che tuttavia proprio per questi divari territoriali "interni" appare assolutamente fuorviante ed è poco significativa anche ai fini dell'individuazione di politiche di intervento. Diverse regioni italiane, infatti, presentano valori molto bassi dell'Ipe, tra cui Trentino Alto Adige e Lombardia (entrambe al 10,9%), Valle d'Aosta (13%), Emilia Romagna (13,7%), Veneto (14%), tutte con percentuali inferiori a quelle dell'Olanda (15,1%). Mentre i valori più critici dell'Ipe nel Mezzogiorno sono quelli di Sicilia (49,3%, vale a dire che una persona su due è a rischio di povertà o esclusione), Campania (42,5%) e Calabria (41,8%).

Queste nuove statistiche comparate dell'Eurostat sono fondamentali per capire meglio l'Italia e i suoi problemi. Ribadiscono la gravità e l'urgenza della questione meridionale. Inoltre, evidenziano una volta di più quanto siano semplicistiche certe tesi urlate ma non dimostrate che associano tra loro la scarsa crescita, nonché i bassi livelli medi di reddito, di alta disoccupazione giovanile e di disagio sociale dell'Italia alla mancanza di competitività e alla debolezza del nostro sistema produttivo o del nostro modello di piccole e medie imprese. Infatti, il Nord Italia, che di tale modello è la massima espressione paradigmatica, primeggia per Pil pro capite, ricchezza delle famiglie, export e surplus di manufatti, bassa disoccupazione. E ora anche per i più bassi livelli di povertà ed esclusione sociale (misurati dalle nuove Eu-Silc) rispetto alle nazioni Ue più evolute, competendo alla pari con grandi regioni europee molto ammirate come Baviera e Baden-Württemberg. E lo stesso Centro Italia (pur con alcune criticità nel Lazio) è ottimamente posizionato quanto a statistiche economiche e sociali.

Sia chiaro: più competitività, energia a prezzi più bassi, meno posti di lavoro "blindati" e meno precari, più liberalizzazioni, più meritocrazia e meno burocrazia non possono che farci del bene, anche al Nord Centro. Ma non perché dobbiamo risalire dal fondo classifica dell'economia europea (come spesso si argomenta superficialmente discutendo dei valori medi italiani) bensì perché il Nord Centro vuole rimanerne ai vertici. La questione di fondo è però come riprogettare una strategia per il nostro Mezzogiorno che punti non soltanto a ridurre il divario insopportabile con il resto d'Italia ma possa rappresentare anche un'occasione per aggiungere margini significativi al potenziale complessivo di crescita dell'intero paese. Passando per un rilancio epocale delle infrastrutture, del turismo e dell'agricoltura di qualità da Roma in giù, con una buona iniezione di innovazione e "green economy".

Fonte: Il Sole 24 ore

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