venerdì 18 febbraio 2011

Giornale dell'assedio di Gaeta (1860-1861) (Charles Garnier) - Sesta parte



  • 13 febbraio 1861

    Ricordati, o uomo, che sei polvere e che ritornerai in polvere! Queste sono le parole che il Cappellano ci ha indirizzate questa mattina mettendoci la cenere sul fronte. Ah! non avevamo bisogno di questa cerimonia per rammentarci della morte! Mentre che assistevamo alla messa nella casamatta, le pietre che si staccavano dal muro, i feriti che si trasportavano ci mostravano abbastanza che la morte era tra noi. Il bombardamento continuava senza posa, egualmente spanventevole che nei due giorni precedenti. Vi erano fra noi eroici marinai che si disponevano a rilevare sulla batteria Regina i loro camerati; vi erano degni ufficiali che avevano abbandonato per mezz'ora il posto del pericolo per inginocchiarsi innanzi a Dio, tra i quali molti doveano essere giudicati il giorno stesso. Ricordati, o uomo, che sei polvere e che diventerai polvere! L'ultima ora di Gaeta è scoccata. La capitolazione è stata firmata a Mola da un momento il cannoneggiamento è cessato. L'inimico sapeva ciò che faceva puntando alle polveriere. Erano stati, mi dicono, costruiti, come pure molte casematte, sotto la direzione d'un capitano del genio chiamato Guarinelli, favorito di Ferdinando II. Costui aveva abusato della sua posizione, messo nelle sue casse bellissime somme, ed eseguiti i travagli senza dare alle mura ed alle volte la spessezza e la solidità necessaria. Il suddetto à seguito l'esempio dei Nunziante, e si aggiunge che era incaricato di molte batterie nel campo Piemontese. Bisogna anche rimarcare che l'invenzione del cannone rigato à cambiato notabilmente le condizioni della difesa d'una città; tale muro che era a pruova di bomba non lo è più a palla rigata. Gli assedianti hanno lanciato circa 60.000 proiettili vuoti della sera del 10 finora, 60.000 proiettili vuoti in tre giorni, 60.000 proiettili vuoti tra la domanda di capitolazione e la firma dell'atto. Le vittime di questi 60.000 proiettili grideranno eterna vendetta contro Cialdini. Da questa mattina, i Piemontesi aveano ancora smascherate due batterie, di cui l'uria in mezzo al Borgo, a 1000 metri dalla piazza. Lusso superfluo! Due o tre batterie napolitane, del fronte di mare risposero da quella parte, mentre che quelle del fronte di terra cercavano sostenere una lotta disperata. In quanto alla squadra Sarda, non ha lasciato l'ancoraggio di Mola. Il fuoco degli assedianti copriva la città colla stessa veemenza che un uragano delle Antille. Mai più grandioso e doloroso spettacolo si presentò agli umani sguardi. Verso le tre p. m., la riserva di munizioni delle batterie Philipstad e S. Andrea saltò. Altre batterie più lontane aveano già perdute le loro da una simile esplosione, cagionata dai tironemico. Non restano più che le batterie Regina, Trinità, Transilvania, Malpasso ed Orlando che possono tirare; anche Regina avea buon numero di pezzi smontati. Alle 4 sentimmo una scossa di tremuoto ed una detonazione capace di ghiacciare di spavento i più intrepidi, scosse gli echi della montagna. La grande riserva di polvere situata a Transilvania, colpita dalle palle rigate, era saltata. Nello stesso tempo, il laboratorio di Transilvania, la batteria di Transilvania, quella di Malpasso, e la batteria Picco di Malpasso erano lanciate in aria, o si sprofondavano, aprendo una voragine ardente. Ufficiali, artiglieri, cannoni, tutto è scomparso. La morte ha colpito sino a delle distanze considerevoli dalla parte sinistra. Ignoro il numero dei morti. Un francese, che ho citato due volte il nome, sig. Pierrel, è rimasto qualche momento svenuto ma n'è uscito sano e salvo. Domani senza dubbio sarebbe stata la polverista Regina che sarebbe saltata, e la nostra casamatta nello stesso tempo. La flotta Sarda avrebbe potuto venire a piazzarsi impunemente verso il quartiere della Trinità ed avrebbe cooperato all'opera di distruzione, senza che un solo cannone rispondesse. Da quel punto, tutto sarebbe finito. Per colmo di disgrazia, le bombe penetravano nell'ospedale dell'Annunziata e vi uccidevano degli ammalati. Il Re ha fatto subito firmare la capitolazione. Cialdini voleva che si rendesse in una volta Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Questa pretensione è stata messa da parte. Cialdini voleva entrare ancora dalla breccia cessando la piazza il fuoco, e le batterie Piemontesi continuando il loro, fino all'arrivo delle prime colonne nella città. Questa condizione è stata pure respinta. La guarnigione avrà tutti gli onori militari e sarà prigioniera di guerra fino alla resa della Cittadella di Messina che farà le sue condizioni particolari, quando lo giudicherà a proposito. I gradi degli ufficiali sono riconosciuti fino al 7 settembre 1860. Uffinciali e soldati riceveranno il loro soldo e prenderanno servizio nell'armata sarda o rientreanno nei loro focolari. Le pensioni saranno pagate ai militari avendo dritto al ritiro, sieno nazionali o stranieri. Il Re e la famiglia Reale sono liberi di condurre chi loro conviene. Si domanderà se l'onore è salvo? Da molto tempo lo era, da molto non si combatteva più per l'onore. Sulle tombe di tanti bravi che hanno sofferto con rassegnazione inalterabile, e che sono morti con una magnanima semplicità sulle rovine d'una città che si è difesa 100 giorni con risorse così limitate; con mezzi si sproporzionati, io, straniero, semplice testimone, ma non testimone insensibile, affermo che l'assedio di Gaeta sarà una delle più belle pagini dell'istoria contemporanea. La gloria sarà, non per i vincitori, ma per i vinti, è non vi è uomo di cuore che ricusi d'inchinarsi con rispetto innanzi la guarnigione come innanzi le Loro Maestà. Prima di chiudere questo giornale, vorrei poter pagare un tributo d'elogi a tutti quei che si sono specialmente distinti. Questo mi è assolutamente impossibile, e domando perdono a quei che non sono citati; esso si ricorderanno però che questo non è un rapporto ufficiale. Tra i più bravi, ed al primo rango, bisogna nominare il generale Riedmatten; avrebbe dovuto essere ucciso 100 volte. I giorni di gran bombardamento era¬no i suoi giorni di festa. Il signor Lautrec ch'è stato promosso al grado di maggiore e signor Urbani di Charrette, suoi aiutanti di campo, hanno eccitata l'universale ammirazione. Ecco una lista dei nomi che hanno tutto il dritto di essere scritti in lettere d'oro: Il colonnello Gabriele Ussani; il tenente-colonnello Nagle; il capitano De Paolis; il capitano Starace; il capitano La Morcese; il maggiore Solofra; il maggiore Steiner il capitano De Leonardis; il colonnello Afan de Rivera, direttore dell'arsenale; il capitano De Filippis; il maggior Wicland; il tenente Sutter; Anfora, da tenente colonnello, e che non ha 25 anni; il capitano Uhde, ufficiale dell'armata pontificia, citato onorabilmente nel rapporto del generale Lamoricière, e che era venuto espressamente per prendere il comando d'una batteria del fronte di mare; il capitano Tabacchi; il tenente Tarsia; i due fratelli Rossi. Questi signori sono tutti ufficiali d'artigliera. Ne dimentico forse molti altri, e, di nuovo, domando loro perdono. Non posso però dispensarmi di nominare gli ufficiali della batteria estera; il capitano Sury, che è nominato maggiore, ed il di cui sangue freddo non si smentisce mai; il tenente Ferdinando di Charrette, che sa portare il suo nome, e che fu leggermente ferito l'otto gennaio; il sotto tenente di Saint-Bris sempre arrampicato su i parapetti; signori Hueber, Ber-thol, Fouet, Vauthier, Harrington di la Chesnaye, ecc., si sono nobilmente condotti. Ma i primi eroi dell'assedio, quelli il di cui valore à popolarizzato i nomi in tutta Europa, sono: il Re, la Regina, i conti di Trani e Caserta. I principi della razza di Enrico IV hanno dovuto scuotersi nelle tombe di S. Dionigi. Non si celebrerà mai abbastanza la grandezza d'animo delle di Loro Maestà ed Altezze. Avrei potuto in questo giornale, moltiplicare gli aneddoti; me ne sono astenuto. Non ho voluto aggiungere dei vani ornamenti al piedistallo sul quale si drizzano oggi i Borboni di Napoli al cospetto degli altri sovrani confusi. Queste maestose figure non hanno bisogno dell'arte per imporre al mondo. Al ricordo di ciò che ho veduto, mi scopro con rispetto che non proverei al piede del trono del più possente Cesare. 14 Febbraio, a bordo dell'aviso francese la Mouette innanzi Terracina. Se vivessi dei secoli, questo giorno non si cancellerebbe dalla mia memoria. Alle 8 del mattino, l'avanguardia piemotese s'im-possessava delle batterie di terra e saliva sulla montagna di torre Orlando. La guarnigione, conforme a ciò che era stato regolato tra il governatore, tenente generale Milon, nominato invece del tenente generale Ritucci, demissionario, ed il generale, in capo piemontese, si era ritirata durante la notte verso il fronte di mare. Alla stessa ora, l'aviso francese la Mouette, inviato da Napoli, arrivava nella rada di Gaeta. Le truppe napoletane erano spiegate in linea dalla casamatta del Re fino alla porta di mare; è un tratto di strada meno di 300 passi. Le loro Maestà uscirono dalla casamatta per rendersi a bordo della Mouette: erano nei stessi costumi riprodotti dalla fotografìa, il Re in tenuta di semplice ufficiale, la sciabla al lato gli sproni ai stivali; la Regina era in capellino con piume verde. La musica suonò la marcia reale, la di cui espressione melanconica produsse una commozione istantanea nella folla che copriva la piazza della Gran Guardia. Io seguiva il corteggio a qualche distanza. Non saprei dire il carattere d'augusta semplicità, e di grandiosa tristezza che offriva questa scena. I soldati laceri, estenuati di fatica, presentavano un ultima volta le armi al loro sovrano, e delle grosse lagrime scendevano sulle loro gote. L'espressione del generale dolore diventava maggiore a misura che si avanzava verso la porta di mare. Si precipitavano per baciare la mano al Re. Subito i singhiozzi risuonavano per le strade. La popolazione, tanto duramente provata durante l'assedio, la popolazione decimata, la popolazione le di cui case sono state devastate, dimenticavano le proprie sventure per piangere su di quelle dei loro principi. Il Re, che è diventato macilente, era estremamente pallido; si leggeva su i suoi lineamenti la commozione del suo animo. Non potei scorgere il volto della regina. Mi intesi il cuore oppresso, e rivolsi altrove gli occhi. Perchè non dovrei confessarlo, anche in faccia ai scettici della rivoluzione? Sì, ancora io, ho pianto, come un fanciullo; ed allontanandomi dal corteggio, mi sono intromesso in una straduccia per asciugarmi gli occhi. Nel momento in cui le di Loro Maestà passarono il soglio della porta di mare, il grido di Viva il Re! spinta dal popolo e dalla guarnigione, salutò colui del quale si è voluto fare un tiranno spaventevole. Gli onori reali furono resi alle Maestà Loro sulla Mouette. Ufficiali e marinai erano in gran gala, i marinai su i pennoni. La bandiera reale ondeggiava sull'albero maestro. Un centinaio di persone, cioè a dire gli ambasciatori, i ministri, molti generali, ed ufficiali, i servitori di casa reale ed una mezza dozzina di ufficiali francesi salirono in seguito a bordo della Mouette; vari di quest'ultimi, considerati come aiutanti di campo del Re, sfuggivano così a Cialdini che avea proferito grosse minacce contro di essi. Cialdini domandò la lista delle persone imbarcate, ma non osò fare alcuna obiezione. Ebbi anche io l'onore di essere ammesso sul bastimento che portava la famiglia reale. Le navi della squadra sarda si avanzarono sino nel mezzo della rada per meglio godere del trionfo e vedere da più vicino la partenza degli esiliati. Il Re e la Regina guardarono freddamente con un cannocchiale la flotta del signor Persano. La Mouette restò più di un ora in rada; subito che ebbe ricevuto i suoi ospiti, la bandiera reale fu tolta, e quella francese copri colle sue pieghe il glorioso vinto. Quando le ruote del vapore cominciarono a girare, la batteria del porto salutò il monarca con 20 colpi di cannone; una gran bandiera inalberata sul bastione s'inchinò 3 volte con lentezza, poi fu tolta dal ramparo. La guarnigione, in massa sullo spiazzo della batteria fece rimbombare le grida di Viva il Re! sino a tanto che la Mouette fu arrivata dietro gli scogli della Trinità. Sul ponte noi chinavamo la testa e cercavamo nascondere le nostre lagrime. I Piemontesi guardavano dall'alto del monte Orlando. Durante la breve traversata da Gaeta a Terracina, il Re ed i Principi suoi fratelli hanno mostrata una serenità ammirevole e si sono degnati parlare con ciascuno di noi. La Regina è stata molto tempo sola alla poppa del bastimento, appoggiata sul parapetto e contemplando gli scogli di Gaeta. Nel momento in cui i francesi facevano colazione nel salone, il Re è comparso e ci ha detto con seducente affabilità : buono appetito. Ci siamo alzati ma Sua Maestà è sparito. Ecco questi tiranni! disse uno tra noi quando ci fummo rimessi a tavola; il minimo borghese non ha cento volte più orgoglio di lui? In quest'istante le di loro Maestà ed Altezze sbarcano a Terracina; la guarnigione francese li attende sulla riva. Gli esiliati si ritirano provvisoriamente a Roma; il solo Vicario di Cristo si degna offrirgli un asilo. Eccomi al termine di questa dolorosa via. Ho raccontato lealmente, senza pretensione, ma non senza provare spesso delle pungenti emozioni. Non ho il coraggio di nulla aggiungere a questo semplice racconto. L'editore volendo far cosa grata ai lettori riporta per intero ed originale la Capitolazione della resa di Gaeta, che manca nell'edizione francese.
    CAPITOLAZIONE per la resa della Piazza di Gaeta stipulata fra il Comandante Generale delle truppe di S. M. Sarda ed il Governatore della Fortezza, rispettivamente rappresentati dai sottoscritti.
    • Art. 1. La Piazza di Gaeta, il suo armamento completo, bandiere, magazzeni a polvere, vestiario, viveri, equipaggi, cavalli di truppa, navi imbarcazioni, ed in generale tutti gli oggetti di spettanza del Governo, sieno militari che civili, saranno consegnati all' uscita della guarnigione alle truppe di S. M. Vittorio Emanuele.
    • Art. .2. Domattina alle ore 7 saranno consegnate alle truppe suddette le porte e poterne della città dal lato di terra, non che le opere di fortificazione attinenti a quelle porte, cioè dalla cittadella inchiusa sino alla batteria Transilvania, ed inoltre Torre Orlando.
    • Art. 3. Tutta la guarnigione della Piazza compresi gl'impiegati militari ivi rinchiusi, usciranno cogli onori della guerra.
    • Art. 4. Le truppe componenti la guarnigione esciranno colle bandiere armi e bagagli. Queste dopo aver reso gli onori militari, deporranno le armi e le bandiere sull'istmo, ad eccezione degli ufficiali, che conserveranno le loro armi, i loro cavalli bardati e tutto ciò che loro appartiene, e sono facoltati artresì a ritenere presso di loro i trabanti rispettivi.
    • Art. 5. Esciranno per le prime le truppe straniere, le altre in seguito, secondo il loro ordine di battaglia, colla sinistra in testa.
    • Art. 6. L'uscita della guarnigione della Piazza si farà per porta di terra a cominciare dal giorno 15 corrente alle ore 8 del mattino, in modo da essere terminata alle 4 pomeridiane.
    • Art. 7. Gli ammalati e feriti ed il personale sanitario degli ospedali rimarranno nella Piazza; tutti gli altri militari od impiegati, che rimanessero nella piazza senza motivo legittimo e senza apposita autorizzazione dopo l'ora prestabilita dall'articolo precedente, saranno considerati come disertori di guerra.
    • Art. 8. Tutte le truppe componenti la guarnigione di Gaeta rimarranno prigioniere di guerra finchè non siansi rese la cittadella di Messina e la fortezza di Civitella del Tronto.
    • Art. 9. Dopo la resa di quelle due fortezze, le truppe componenti la guarnigione saranno rese alla libertà. Tuttavia i militari stranieri, dopo la prigionia, non potranno soffermarsi nel Regno e saranno trasportati nei rispettivi paesi. Assumeranno inoltre l'ob bligo di non servire per un anno contro il governo, a partire dalla data della presente capitolazione.
    • Art. 10 A tutti gli ufficiali ed impiegati militari nazionali capitolati sono accordati due mesi di paga considerati in tempo di pace. Questi stessi ufficiali avranno due mesi di tempo a partire dalla data in cui furono messi in libertà, o prima se lo vogliono, per dichiarare se intendono prendere servizio nell'esercito nazionale od essere ritirati; oppure rimanere sciolti da ogni servizio militare. A quelli che intendono servire nell'esercito nazionale o essere ritirati, saranno, come gli altri ufficiali del già esercito napoletano, applicate le norme del R, decreto dato in Napoli il 28 novembre 1860.
    • Art. 11 Gli individui di truppa, ossia di bassa forza, dopo terminata la prigionia di guerra, otterranno il loro congedo assoluto, se hanno compiuta la loro ferma, ossia il loro impegno. A quelli che non l'avessero compiuta sarà concesso un congedo di due mesi, dopo il qual termine potranno essere richiamati sotto le armi. A tutti indistintamente, dopo la prigionia, saranno dati due mesi di paga, ossia di pane e prestito per ripatriare.
    • Art. 12 I sott'uffìciali e caporali nazionali che volessero continuare a servire nell'esercito nazionale saranno accettati coi loro gradi purchè abbiano le idoneità richieste.
    • Art. 13. E' accordato agli ufficiali, sott'uffìciali e soldati esteri provenienti dagli antichi cinque corpi svizzeri quanto hanno dritto per le antiche capitolazioni e decreti posteriori no al 7 settembre 1860. Agli ufficiali, sott'uffìciali e soldati esteri che hanno preso servizio dopo l'agosto 1859 nei nuovi corpi e che non facevano parte dei vecchi è concesso quanto i decreti di formazione, sempre anteriori al 7 settembre 1860, loro accordano.
    • Art. 14 Tutti i vecchi, gli storpii o mutilati militari, qualunque essi siano, senza tener conto della nazionalità saranno accolti nei depositi degli invalidi militari, qualora non preferissero ritirarsi in famiglia col sussidio quotidiano, a norma dei regolamenti del già Regno delle Due Sicilie.
    • Art. 15 A tutti gl'impiegati civili sì napoletani che siciliani racchiusi in Gaeta, ed appartenenti ai rami amministrativi e giudiziario, è confermato il diritto al ritiro che potrebbero reclamare, corrispondente al grado che avevano al 7 settembre 1860.
    • Art. 16 Saranno provvedute di mezzi di trasporto tutte quelle famiglie dei militari esistenti in Gaeta, che volessero uscire dalla fortezza.
    • Art. 17 Saranno conservate agli ufficiali ritirati che sono nella Piazza le rispettive pensioni, qualora siano conformi ai regolamenti.
    • Art. 18 Alle vedove ed agli orfani dei militari di Gaeta saranno conservate le pensioni che in atto tengono e riconosciuto il diritto per dimandare tali pensioni pel tratto avvenire ai termini della legge.
    • Art. 19 Tutti gli abitanti di Gaeta non saranno molestati nelle persone e proprietà per opinioni passate.
    • Art. 20 Le famiglie dei militari di Gaeta che trovansi nella Piazza sono poste sotto la protezione dell'esercito del re Vittorio Emmanuele.
    • Art. 21 Ai militari nazionali di Gaeta, che per motivi di convenienza uscissero dallo Stato saranno pure applicate le disposizioni contenute negli articoli antecedenti.
    • Art. 22. Resta convenuto che, dopo la firma della presente capitolazione, non vi deve restare nella Piazza nessuna mina carica; ove se ne trovassero la presente capitolazione sarebbe nulla, e la guarnigione considerata come resa a discrezione. Uguale conseguenza avrebbe luogo ove si trovassero le armi distrutte a bella posta, nonchè le munizioni, salvo che l'autorità della Piazza consegnasse i colpevoli, quali saranno immediatamente fucilati.
    • Art. 23 Sarà nominata d'ambe le parti una Commissione composta di un ufficiale d'artiglieria, di uno del genio, di uno della marina, di uno d'intendenza militare, ossia commissario di guerra col personale necessario per la consegna della Piazza. Firmati: Per l'armata Sarda: Il Capo di Stato Maggiore Colonnello PIOLA CASELLI. Il luogotenente generale comandante superiore del genio L. F. MENABREA. Visto, ratificato ed approvato, il generale d'armata, comandante le truppe d'assedio, CIALDINI. Per la Piazza di Gaeta: GIOVANNI DELLI FRANCI, tenente colonnello capo dello Stato Maggiore d'Artiglieria i ROBERTO PASCA, generale della real Marina. Il generale capo dello Stato Maggiore, Visto, ratificato, ed approvato, il governatore della Piazza di Gaeta FRANCESCO MILON, tenente generale. Elenco delle persone partite da Gaeta con S. M. il Re Francesco II. Principe di Ruffano, maggiordomo di S. M. Duchessa di S. Cesario, dama d'onore di S. M. la Regina. Conte di Capaccio Derda, Cav. di compagnia del conte di Trani. Cav. Ulloa, ministro - Gen. del Re - Mons. Gallo e suo assistente - Cav. Ruiz de Ballestreros, segretario di S. M. - Tenente generale Riedmatten - Generale Bosco - Generale Schumacher - Generale Pasca -Colonnello Pisacane - Tenente colonnello Besio -Maggiore Winspeare - Ferrari, capitano ajutante del generale Brancaccio - Colonnello Criscuolo - Capitano Lubeck, ajutante del generale Riedmatten - Capitano Alfonso Pfiffer, ajutante del generale Schumacher - Secondo tenente Renda, ajutante del generale Bosco - Alfiere di Vascello Renda, ajutante del generale Pasca. Segretarii ed impiegati de' ministeri: Orlandi, Polpi, Monti, Necco.
  • 12 febbraio 1861

    La giornata è stata simile a quella di ieri. Tutti i fuochi del cielo sembravano cadere sulle nostre teste e voler mettere l'incendio sino alle viscere della terra. Bisogna aver veduto ed inteso un tal bombardamento per formarsene il quadro, e dubito che ogni penna, ogni pennello non potrà mai dipingere l'orrore. Le case crollano, le casematte si scuotono, le polveriste si lesionano, i parapetti e le batterie rovesciansi, le cannoniere si livellano colla spianata, i rari blindaggi che si erano costruiti per i pezzi sono abbattuti. Il terreno delle batterie e delle strade sono solcate; le macerie si ammonticchiano. È l'immagine della desolazione. Appena la metà delle batterie napoletane sostengono il fuoco; l'eroismo è inutile, le altre batterie sono annullate. Ognuno però adempisce al suo dovere. Non si combatte che per morire. Si muore semplicemente, oscuramente; i nomi delle vittime resteranno quasi tutti sconosciuti, ma la coscienza è sodisfatta. Ah! colui che avrà un conto terribile a rendere a Dio, è l'autore di questo bombardamento è Cialdini. Lo domando in nome dell'umanità oltraggiata, perchè distruggere una città che offre di rendersi? perchè affaticarsi contro una guarnigione pronta a deporre le armi? perchè tanto sangue sparso senza profitto? perchè tante rovine? la capitolazione non è ancora segnata; si tratta ancora e Cialdini gode della potenza dei suoi cannoni rigati. Ecco una piazza nella quale l'assedio finirà senza che siasi aperta una trincea, senza che gli assedianti si sieno avvicinati a più di 1500 metri! Quando 1 francesi assediarono Gaeta nel 1806, spinsero le trincee fino a 500 metri, e risparmiarono interamente la città. E poi, se ho buona memoria, molti generali francesi seppero farsi uccidere nelle trincee; ma Cialdini fa colazione, pranza, cena e dorme pacificamente a Castellone, nella Villa Reale di Mola lontana più di 5 chilometri da Gaeta! Il generale Piemontese sì lagna molto del generale Ritucci governatore della piazza per aver fatto, dice egli, riparare la breccia. Se anche il fatto fosse vero, sarebbe perfettamente giustificato come rappresaglia, poichè, nel tempo dell'ultima tregua i Piemontesi hanno smascherata una nuova batteria; ma è falso. Per facilitare lo sgombro e ritirare con più lestezza le vittime, si era solamente gettato al più prossimo a dritta e sinistra la terra e le pietre, ed una porzione s'era trovata ammonticchiata sulla breccia; ma questa non era chiusa ne riparata. Si ebbe pure nella piazza l'idea di situare dei cannoni sulla breccia durante la tregua, quando si vide la nuova batteria degli assedianti; ma questa idea non fu eseguita. E lo stesso generale Cialdini se avesse avuto in mente risparmiare novelle vittime, poteva spedire un parlamentario nella piazza per accertarsi se la breccia ve- niva riparata, senza continuare il bombardamento, allorchè si trattava la resa.
    Fonte:150Gaeta

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  • 13 febbraio 1861

    Ricordati, o uomo, che sei polvere e che ritornerai in polvere! Queste sono le parole che il Cappellano ci ha indirizzate questa mattina mettendoci la cenere sul fronte. Ah! non avevamo bisogno di questa cerimonia per rammentarci della morte! Mentre che assistevamo alla messa nella casamatta, le pietre che si staccavano dal muro, i feriti che si trasportavano ci mostravano abbastanza che la morte era tra noi. Il bombardamento continuava senza posa, egualmente spanventevole che nei due giorni precedenti. Vi erano fra noi eroici marinai che si disponevano a rilevare sulla batteria Regina i loro camerati; vi erano degni ufficiali che avevano abbandonato per mezz'ora il posto del pericolo per inginocchiarsi innanzi a Dio, tra i quali molti doveano essere giudicati il giorno stesso. Ricordati, o uomo, che sei polvere e che diventerai polvere! L'ultima ora di Gaeta è scoccata. La capitolazione è stata firmata a Mola da un momento il cannoneggiamento è cessato. L'inimico sapeva ciò che faceva puntando alle polveriere. Erano stati, mi dicono, costruiti, come pure molte casematte, sotto la direzione d'un capitano del genio chiamato Guarinelli, favorito di Ferdinando II. Costui aveva abusato della sua posizione, messo nelle sue casse bellissime somme, ed eseguiti i travagli senza dare alle mura ed alle volte la spessezza e la solidità necessaria. Il suddetto à seguito l'esempio dei Nunziante, e si aggiunge che era incaricato di molte batterie nel campo Piemontese. Bisogna anche rimarcare che l'invenzione del cannone rigato à cambiato notabilmente le condizioni della difesa d'una città; tale muro che era a pruova di bomba non lo è più a palla rigata. Gli assedianti hanno lanciato circa 60.000 proiettili vuoti della sera del 10 finora, 60.000 proiettili vuoti in tre giorni, 60.000 proiettili vuoti tra la domanda di capitolazione e la firma dell'atto. Le vittime di questi 60.000 proiettili grideranno eterna vendetta contro Cialdini. Da questa mattina, i Piemontesi aveano ancora smascherate due batterie, di cui l'uria in mezzo al Borgo, a 1000 metri dalla piazza. Lusso superfluo! Due o tre batterie napolitane, del fronte di mare risposero da quella parte, mentre che quelle del fronte di terra cercavano sostenere una lotta disperata. In quanto alla squadra Sarda, non ha lasciato l'ancoraggio di Mola. Il fuoco degli assedianti copriva la città colla stessa veemenza che un uragano delle Antille. Mai più grandioso e doloroso spettacolo si presentò agli umani sguardi. Verso le tre p. m., la riserva di munizioni delle batterie Philipstad e S. Andrea saltò. Altre batterie più lontane aveano già perdute le loro da una simile esplosione, cagionata dai tironemico. Non restano più che le batterie Regina, Trinità, Transilvania, Malpasso ed Orlando che possono tirare; anche Regina avea buon numero di pezzi smontati. Alle 4 sentimmo una scossa di tremuoto ed una detonazione capace di ghiacciare di spavento i più intrepidi, scosse gli echi della montagna. La grande riserva di polvere situata a Transilvania, colpita dalle palle rigate, era saltata. Nello stesso tempo, il laboratorio di Transilvania, la batteria di Transilvania, quella di Malpasso, e la batteria Picco di Malpasso erano lanciate in aria, o si sprofondavano, aprendo una voragine ardente. Ufficiali, artiglieri, cannoni, tutto è scomparso. La morte ha colpito sino a delle distanze considerevoli dalla parte sinistra. Ignoro il numero dei morti. Un francese, che ho citato due volte il nome, sig. Pierrel, è rimasto qualche momento svenuto ma n'è uscito sano e salvo. Domani senza dubbio sarebbe stata la polverista Regina che sarebbe saltata, e la nostra casamatta nello stesso tempo. La flotta Sarda avrebbe potuto venire a piazzarsi impunemente verso il quartiere della Trinità ed avrebbe cooperato all'opera di distruzione, senza che un solo cannone rispondesse. Da quel punto, tutto sarebbe finito. Per colmo di disgrazia, le bombe penetravano nell'ospedale dell'Annunziata e vi uccidevano degli ammalati. Il Re ha fatto subito firmare la capitolazione. Cialdini voleva che si rendesse in una volta Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Questa pretensione è stata messa da parte. Cialdini voleva entrare ancora dalla breccia cessando la piazza il fuoco, e le batterie Piemontesi continuando il loro, fino all'arrivo delle prime colonne nella città. Questa condizione è stata pure respinta. La guarnigione avrà tutti gli onori militari e sarà prigioniera di guerra fino alla resa della Cittadella di Messina che farà le sue condizioni particolari, quando lo giudicherà a proposito. I gradi degli ufficiali sono riconosciuti fino al 7 settembre 1860. Uffinciali e soldati riceveranno il loro soldo e prenderanno servizio nell'armata sarda o rientreanno nei loro focolari. Le pensioni saranno pagate ai militari avendo dritto al ritiro, sieno nazionali o stranieri. Il Re e la famiglia Reale sono liberi di condurre chi loro conviene. Si domanderà se l'onore è salvo? Da molto tempo lo era, da molto non si combatteva più per l'onore. Sulle tombe di tanti bravi che hanno sofferto con rassegnazione inalterabile, e che sono morti con una magnanima semplicità sulle rovine d'una città che si è difesa 100 giorni con risorse così limitate; con mezzi si sproporzionati, io, straniero, semplice testimone, ma non testimone insensibile, affermo che l'assedio di Gaeta sarà una delle più belle pagini dell'istoria contemporanea. La gloria sarà, non per i vincitori, ma per i vinti, è non vi è uomo di cuore che ricusi d'inchinarsi con rispetto innanzi la guarnigione come innanzi le Loro Maestà. Prima di chiudere questo giornale, vorrei poter pagare un tributo d'elogi a tutti quei che si sono specialmente distinti. Questo mi è assolutamente impossibile, e domando perdono a quei che non sono citati; esso si ricorderanno però che questo non è un rapporto ufficiale. Tra i più bravi, ed al primo rango, bisogna nominare il generale Riedmatten; avrebbe dovuto essere ucciso 100 volte. I giorni di gran bombardamento era¬no i suoi giorni di festa. Il signor Lautrec ch'è stato promosso al grado di maggiore e signor Urbani di Charrette, suoi aiutanti di campo, hanno eccitata l'universale ammirazione. Ecco una lista dei nomi che hanno tutto il dritto di essere scritti in lettere d'oro: Il colonnello Gabriele Ussani; il tenente-colonnello Nagle; il capitano De Paolis; il capitano Starace; il capitano La Morcese; il maggiore Solofra; il maggiore Steiner il capitano De Leonardis; il colonnello Afan de Rivera, direttore dell'arsenale; il capitano De Filippis; il maggior Wicland; il tenente Sutter; Anfora, da tenente colonnello, e che non ha 25 anni; il capitano Uhde, ufficiale dell'armata pontificia, citato onorabilmente nel rapporto del generale Lamoricière, e che era venuto espressamente per prendere il comando d'una batteria del fronte di mare; il capitano Tabacchi; il tenente Tarsia; i due fratelli Rossi. Questi signori sono tutti ufficiali d'artigliera. Ne dimentico forse molti altri, e, di nuovo, domando loro perdono. Non posso però dispensarmi di nominare gli ufficiali della batteria estera; il capitano Sury, che è nominato maggiore, ed il di cui sangue freddo non si smentisce mai; il tenente Ferdinando di Charrette, che sa portare il suo nome, e che fu leggermente ferito l'otto gennaio; il sotto tenente di Saint-Bris sempre arrampicato su i parapetti; signori Hueber, Ber-thol, Fouet, Vauthier, Harrington di la Chesnaye, ecc., si sono nobilmente condotti. Ma i primi eroi dell'assedio, quelli il di cui valore à popolarizzato i nomi in tutta Europa, sono: il Re, la Regina, i conti di Trani e Caserta. I principi della razza di Enrico IV hanno dovuto scuotersi nelle tombe di S. Dionigi. Non si celebrerà mai abbastanza la grandezza d'animo delle di Loro Maestà ed Altezze. Avrei potuto in questo giornale, moltiplicare gli aneddoti; me ne sono astenuto. Non ho voluto aggiungere dei vani ornamenti al piedistallo sul quale si drizzano oggi i Borboni di Napoli al cospetto degli altri sovrani confusi. Queste maestose figure non hanno bisogno dell'arte per imporre al mondo. Al ricordo di ciò che ho veduto, mi scopro con rispetto che non proverei al piede del trono del più possente Cesare. 14 Febbraio, a bordo dell'aviso francese la Mouette innanzi Terracina. Se vivessi dei secoli, questo giorno non si cancellerebbe dalla mia memoria. Alle 8 del mattino, l'avanguardia piemotese s'im-possessava delle batterie di terra e saliva sulla montagna di torre Orlando. La guarnigione, conforme a ciò che era stato regolato tra il governatore, tenente generale Milon, nominato invece del tenente generale Ritucci, demissionario, ed il generale, in capo piemontese, si era ritirata durante la notte verso il fronte di mare. Alla stessa ora, l'aviso francese la Mouette, inviato da Napoli, arrivava nella rada di Gaeta. Le truppe napoletane erano spiegate in linea dalla casamatta del Re fino alla porta di mare; è un tratto di strada meno di 300 passi. Le loro Maestà uscirono dalla casamatta per rendersi a bordo della Mouette: erano nei stessi costumi riprodotti dalla fotografìa, il Re in tenuta di semplice ufficiale, la sciabla al lato gli sproni ai stivali; la Regina era in capellino con piume verde. La musica suonò la marcia reale, la di cui espressione melanconica produsse una commozione istantanea nella folla che copriva la piazza della Gran Guardia. Io seguiva il corteggio a qualche distanza. Non saprei dire il carattere d'augusta semplicità, e di grandiosa tristezza che offriva questa scena. I soldati laceri, estenuati di fatica, presentavano un ultima volta le armi al loro sovrano, e delle grosse lagrime scendevano sulle loro gote. L'espressione del generale dolore diventava maggiore a misura che si avanzava verso la porta di mare. Si precipitavano per baciare la mano al Re. Subito i singhiozzi risuonavano per le strade. La popolazione, tanto duramente provata durante l'assedio, la popolazione decimata, la popolazione le di cui case sono state devastate, dimenticavano le proprie sventure per piangere su di quelle dei loro principi. Il Re, che è diventato macilente, era estremamente pallido; si leggeva su i suoi lineamenti la commozione del suo animo. Non potei scorgere il volto della regina. Mi intesi il cuore oppresso, e rivolsi altrove gli occhi. Perchè non dovrei confessarlo, anche in faccia ai scettici della rivoluzione? Sì, ancora io, ho pianto, come un fanciullo; ed allontanandomi dal corteggio, mi sono intromesso in una straduccia per asciugarmi gli occhi. Nel momento in cui le di Loro Maestà passarono il soglio della porta di mare, il grido di Viva il Re! spinta dal popolo e dalla guarnigione, salutò colui del quale si è voluto fare un tiranno spaventevole. Gli onori reali furono resi alle Maestà Loro sulla Mouette. Ufficiali e marinai erano in gran gala, i marinai su i pennoni. La bandiera reale ondeggiava sull'albero maestro. Un centinaio di persone, cioè a dire gli ambasciatori, i ministri, molti generali, ed ufficiali, i servitori di casa reale ed una mezza dozzina di ufficiali francesi salirono in seguito a bordo della Mouette; vari di quest'ultimi, considerati come aiutanti di campo del Re, sfuggivano così a Cialdini che avea proferito grosse minacce contro di essi. Cialdini domandò la lista delle persone imbarcate, ma non osò fare alcuna obiezione. Ebbi anche io l'onore di essere ammesso sul bastimento che portava la famiglia reale. Le navi della squadra sarda si avanzarono sino nel mezzo della rada per meglio godere del trionfo e vedere da più vicino la partenza degli esiliati. Il Re e la Regina guardarono freddamente con un cannocchiale la flotta del signor Persano. La Mouette restò più di un ora in rada; subito che ebbe ricevuto i suoi ospiti, la bandiera reale fu tolta, e quella francese copri colle sue pieghe il glorioso vinto. Quando le ruote del vapore cominciarono a girare, la batteria del porto salutò il monarca con 20 colpi di cannone; una gran bandiera inalberata sul bastione s'inchinò 3 volte con lentezza, poi fu tolta dal ramparo. La guarnigione, in massa sullo spiazzo della batteria fece rimbombare le grida di Viva il Re! sino a tanto che la Mouette fu arrivata dietro gli scogli della Trinità. Sul ponte noi chinavamo la testa e cercavamo nascondere le nostre lagrime. I Piemontesi guardavano dall'alto del monte Orlando. Durante la breve traversata da Gaeta a Terracina, il Re ed i Principi suoi fratelli hanno mostrata una serenità ammirevole e si sono degnati parlare con ciascuno di noi. La Regina è stata molto tempo sola alla poppa del bastimento, appoggiata sul parapetto e contemplando gli scogli di Gaeta. Nel momento in cui i francesi facevano colazione nel salone, il Re è comparso e ci ha detto con seducente affabilità : buono appetito. Ci siamo alzati ma Sua Maestà è sparito. Ecco questi tiranni! disse uno tra noi quando ci fummo rimessi a tavola; il minimo borghese non ha cento volte più orgoglio di lui? In quest'istante le di loro Maestà ed Altezze sbarcano a Terracina; la guarnigione francese li attende sulla riva. Gli esiliati si ritirano provvisoriamente a Roma; il solo Vicario di Cristo si degna offrirgli un asilo. Eccomi al termine di questa dolorosa via. Ho raccontato lealmente, senza pretensione, ma non senza provare spesso delle pungenti emozioni. Non ho il coraggio di nulla aggiungere a questo semplice racconto. L'editore volendo far cosa grata ai lettori riporta per intero ed originale la Capitolazione della resa di Gaeta, che manca nell'edizione francese.
    CAPITOLAZIONE per la resa della Piazza di Gaeta stipulata fra il Comandante Generale delle truppe di S. M. Sarda ed il Governatore della Fortezza, rispettivamente rappresentati dai sottoscritti.
    • Art. 1. La Piazza di Gaeta, il suo armamento completo, bandiere, magazzeni a polvere, vestiario, viveri, equipaggi, cavalli di truppa, navi imbarcazioni, ed in generale tutti gli oggetti di spettanza del Governo, sieno militari che civili, saranno consegnati all' uscita della guarnigione alle truppe di S. M. Vittorio Emanuele.
    • Art. .2. Domattina alle ore 7 saranno consegnate alle truppe suddette le porte e poterne della città dal lato di terra, non che le opere di fortificazione attinenti a quelle porte, cioè dalla cittadella inchiusa sino alla batteria Transilvania, ed inoltre Torre Orlando.
    • Art. 3. Tutta la guarnigione della Piazza compresi gl'impiegati militari ivi rinchiusi, usciranno cogli onori della guerra.
    • Art. 4. Le truppe componenti la guarnigione esciranno colle bandiere armi e bagagli. Queste dopo aver reso gli onori militari, deporranno le armi e le bandiere sull'istmo, ad eccezione degli ufficiali, che conserveranno le loro armi, i loro cavalli bardati e tutto ciò che loro appartiene, e sono facoltati artresì a ritenere presso di loro i trabanti rispettivi.
    • Art. 5. Esciranno per le prime le truppe straniere, le altre in seguito, secondo il loro ordine di battaglia, colla sinistra in testa.
    • Art. 6. L'uscita della guarnigione della Piazza si farà per porta di terra a cominciare dal giorno 15 corrente alle ore 8 del mattino, in modo da essere terminata alle 4 pomeridiane.
    • Art. 7. Gli ammalati e feriti ed il personale sanitario degli ospedali rimarranno nella Piazza; tutti gli altri militari od impiegati, che rimanessero nella piazza senza motivo legittimo e senza apposita autorizzazione dopo l'ora prestabilita dall'articolo precedente, saranno considerati come disertori di guerra.
    • Art. 8. Tutte le truppe componenti la guarnigione di Gaeta rimarranno prigioniere di guerra finchè non siansi rese la cittadella di Messina e la fortezza di Civitella del Tronto.
    • Art. 9. Dopo la resa di quelle due fortezze, le truppe componenti la guarnigione saranno rese alla libertà. Tuttavia i militari stranieri, dopo la prigionia, non potranno soffermarsi nel Regno e saranno trasportati nei rispettivi paesi. Assumeranno inoltre l'ob bligo di non servire per un anno contro il governo, a partire dalla data della presente capitolazione.
    • Art. 10 A tutti gli ufficiali ed impiegati militari nazionali capitolati sono accordati due mesi di paga considerati in tempo di pace. Questi stessi ufficiali avranno due mesi di tempo a partire dalla data in cui furono messi in libertà, o prima se lo vogliono, per dichiarare se intendono prendere servizio nell'esercito nazionale od essere ritirati; oppure rimanere sciolti da ogni servizio militare. A quelli che intendono servire nell'esercito nazionale o essere ritirati, saranno, come gli altri ufficiali del già esercito napoletano, applicate le norme del R, decreto dato in Napoli il 28 novembre 1860.
    • Art. 11 Gli individui di truppa, ossia di bassa forza, dopo terminata la prigionia di guerra, otterranno il loro congedo assoluto, se hanno compiuta la loro ferma, ossia il loro impegno. A quelli che non l'avessero compiuta sarà concesso un congedo di due mesi, dopo il qual termine potranno essere richiamati sotto le armi. A tutti indistintamente, dopo la prigionia, saranno dati due mesi di paga, ossia di pane e prestito per ripatriare.
    • Art. 12 I sott'uffìciali e caporali nazionali che volessero continuare a servire nell'esercito nazionale saranno accettati coi loro gradi purchè abbiano le idoneità richieste.
    • Art. 13. E' accordato agli ufficiali, sott'uffìciali e soldati esteri provenienti dagli antichi cinque corpi svizzeri quanto hanno dritto per le antiche capitolazioni e decreti posteriori no al 7 settembre 1860. Agli ufficiali, sott'uffìciali e soldati esteri che hanno preso servizio dopo l'agosto 1859 nei nuovi corpi e che non facevano parte dei vecchi è concesso quanto i decreti di formazione, sempre anteriori al 7 settembre 1860, loro accordano.
    • Art. 14 Tutti i vecchi, gli storpii o mutilati militari, qualunque essi siano, senza tener conto della nazionalità saranno accolti nei depositi degli invalidi militari, qualora non preferissero ritirarsi in famiglia col sussidio quotidiano, a norma dei regolamenti del già Regno delle Due Sicilie.
    • Art. 15 A tutti gl'impiegati civili sì napoletani che siciliani racchiusi in Gaeta, ed appartenenti ai rami amministrativi e giudiziario, è confermato il diritto al ritiro che potrebbero reclamare, corrispondente al grado che avevano al 7 settembre 1860.
    • Art. 16 Saranno provvedute di mezzi di trasporto tutte quelle famiglie dei militari esistenti in Gaeta, che volessero uscire dalla fortezza.
    • Art. 17 Saranno conservate agli ufficiali ritirati che sono nella Piazza le rispettive pensioni, qualora siano conformi ai regolamenti.
    • Art. 18 Alle vedove ed agli orfani dei militari di Gaeta saranno conservate le pensioni che in atto tengono e riconosciuto il diritto per dimandare tali pensioni pel tratto avvenire ai termini della legge.
    • Art. 19 Tutti gli abitanti di Gaeta non saranno molestati nelle persone e proprietà per opinioni passate.
    • Art. 20 Le famiglie dei militari di Gaeta che trovansi nella Piazza sono poste sotto la protezione dell'esercito del re Vittorio Emmanuele.
    • Art. 21 Ai militari nazionali di Gaeta, che per motivi di convenienza uscissero dallo Stato saranno pure applicate le disposizioni contenute negli articoli antecedenti.
    • Art. 22. Resta convenuto che, dopo la firma della presente capitolazione, non vi deve restare nella Piazza nessuna mina carica; ove se ne trovassero la presente capitolazione sarebbe nulla, e la guarnigione considerata come resa a discrezione. Uguale conseguenza avrebbe luogo ove si trovassero le armi distrutte a bella posta, nonchè le munizioni, salvo che l'autorità della Piazza consegnasse i colpevoli, quali saranno immediatamente fucilati.
    • Art. 23 Sarà nominata d'ambe le parti una Commissione composta di un ufficiale d'artiglieria, di uno del genio, di uno della marina, di uno d'intendenza militare, ossia commissario di guerra col personale necessario per la consegna della Piazza. Firmati: Per l'armata Sarda: Il Capo di Stato Maggiore Colonnello PIOLA CASELLI. Il luogotenente generale comandante superiore del genio L. F. MENABREA. Visto, ratificato ed approvato, il generale d'armata, comandante le truppe d'assedio, CIALDINI. Per la Piazza di Gaeta: GIOVANNI DELLI FRANCI, tenente colonnello capo dello Stato Maggiore d'Artiglieria i ROBERTO PASCA, generale della real Marina. Il generale capo dello Stato Maggiore, Visto, ratificato, ed approvato, il governatore della Piazza di Gaeta FRANCESCO MILON, tenente generale. Elenco delle persone partite da Gaeta con S. M. il Re Francesco II. Principe di Ruffano, maggiordomo di S. M. Duchessa di S. Cesario, dama d'onore di S. M. la Regina. Conte di Capaccio Derda, Cav. di compagnia del conte di Trani. Cav. Ulloa, ministro - Gen. del Re - Mons. Gallo e suo assistente - Cav. Ruiz de Ballestreros, segretario di S. M. - Tenente generale Riedmatten - Generale Bosco - Generale Schumacher - Generale Pasca -Colonnello Pisacane - Tenente colonnello Besio -Maggiore Winspeare - Ferrari, capitano ajutante del generale Brancaccio - Colonnello Criscuolo - Capitano Lubeck, ajutante del generale Riedmatten - Capitano Alfonso Pfiffer, ajutante del generale Schumacher - Secondo tenente Renda, ajutante del generale Bosco - Alfiere di Vascello Renda, ajutante del generale Pasca. Segretarii ed impiegati de' ministeri: Orlandi, Polpi, Monti, Necco.
  • 12 febbraio 1861

    La giornata è stata simile a quella di ieri. Tutti i fuochi del cielo sembravano cadere sulle nostre teste e voler mettere l'incendio sino alle viscere della terra. Bisogna aver veduto ed inteso un tal bombardamento per formarsene il quadro, e dubito che ogni penna, ogni pennello non potrà mai dipingere l'orrore. Le case crollano, le casematte si scuotono, le polveriste si lesionano, i parapetti e le batterie rovesciansi, le cannoniere si livellano colla spianata, i rari blindaggi che si erano costruiti per i pezzi sono abbattuti. Il terreno delle batterie e delle strade sono solcate; le macerie si ammonticchiano. È l'immagine della desolazione. Appena la metà delle batterie napoletane sostengono il fuoco; l'eroismo è inutile, le altre batterie sono annullate. Ognuno però adempisce al suo dovere. Non si combatte che per morire. Si muore semplicemente, oscuramente; i nomi delle vittime resteranno quasi tutti sconosciuti, ma la coscienza è sodisfatta. Ah! colui che avrà un conto terribile a rendere a Dio, è l'autore di questo bombardamento è Cialdini. Lo domando in nome dell'umanità oltraggiata, perchè distruggere una città che offre di rendersi? perchè affaticarsi contro una guarnigione pronta a deporre le armi? perchè tanto sangue sparso senza profitto? perchè tante rovine? la capitolazione non è ancora segnata; si tratta ancora e Cialdini gode della potenza dei suoi cannoni rigati. Ecco una piazza nella quale l'assedio finirà senza che siasi aperta una trincea, senza che gli assedianti si sieno avvicinati a più di 1500 metri! Quando 1 francesi assediarono Gaeta nel 1806, spinsero le trincee fino a 500 metri, e risparmiarono interamente la città. E poi, se ho buona memoria, molti generali francesi seppero farsi uccidere nelle trincee; ma Cialdini fa colazione, pranza, cena e dorme pacificamente a Castellone, nella Villa Reale di Mola lontana più di 5 chilometri da Gaeta! Il generale Piemontese sì lagna molto del generale Ritucci governatore della piazza per aver fatto, dice egli, riparare la breccia. Se anche il fatto fosse vero, sarebbe perfettamente giustificato come rappresaglia, poichè, nel tempo dell'ultima tregua i Piemontesi hanno smascherata una nuova batteria; ma è falso. Per facilitare lo sgombro e ritirare con più lestezza le vittime, si era solamente gettato al più prossimo a dritta e sinistra la terra e le pietre, ed una porzione s'era trovata ammonticchiata sulla breccia; ma questa non era chiusa ne riparata. Si ebbe pure nella piazza l'idea di situare dei cannoni sulla breccia durante la tregua, quando si vide la nuova batteria degli assedianti; ma questa idea non fu eseguita. E lo stesso generale Cialdini se avesse avuto in mente risparmiare novelle vittime, poteva spedire un parlamentario nella piazza per accertarsi se la breccia ve- niva riparata, senza continuare il bombardamento, allorchè si trattava la resa.
    Fonte:150Gaeta

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