martedì 22 febbraio 2011

150° Giovedì sera grande successo al Teatro Ariston di... Gaeta!

Nella stessa serata in cui il Festival di Sanremo celebrava il 150° anniversario dell'Unità d'Italia con Roberto Benigni anche a Gaeta, nel SUO teatro Ariston, si celebrava con successo lo stesso anniversario.

Gaeta ha celebrato però a suo modo proiettando il documentario "Ma che storia" del regista pontino Gianfranco Pannone.

La serata è continuata poi con il dibattito con il regista e col grande musicista Ambrogio Sparagna, che ha selezionato le musiche per la colonna sonora del documentario. Gli spettatori hanno apprezzato il film che onora l'unità d'Italia esplorandone tutte le sfaccettature dalla questione meridionale, alle complicazioni politiche e rimarcando le incomprensioni tra la gente più semplice, gli intelletuali e il potere politico che non hanno permesso un vero sentimento di coesione nazionale nonostante la grande rivoluzione risorgimentale.

Il pubblico è accorso davvero numeroso e a tutti quelli che non sono riusciti ad accedere alla serata, che ricordiamo era totalmente gratuita e patrocinata dal Comune di Gaeta, suggeriamo di recuperare questo importante documentario presentato tra l'altro anche al Festival di Venezia dello scorso anno.


Il Risorgimento in un racconto lungo 150 anni: gioie e dolori di un paese grande e complicato.
Un viaggio tragicomico nella nostra storia attraverso il lungo e faticoso percorso unitario italiano. Mazzini, Garibaldi, Cavour…, nomi che oggi ci arrivano lontani, ma che così lontani non sono.
Una grande rivoluzione quella del Risorgimento, salutata come vera e propria epopea nell’800, ma ridimensionata nel secolo successivo dal “male oscuro” italiano.
Potere, intellettuali e popolo, un rapporto difficile, spesso violento e non privo di cinismo, che di fatto ha impedito il formarsi di un sentimento nazionale condiviso. E poi, un popolo di contadini quello italiano del primo novecento, via via cancellato dalle ideologie e da un’ansia del “nuovo” che hanno finito con l’emarginare tradizioni, consuetudini, affetti.
Il racconto di questa epopea a metà, si sviluppa tra i cinegiornali e i documentari, dell’archivio Luce, dagli anni dieci agli ottanta, che attraversano non senza retorica la storia nazionale; un sentimento critico e amaro, anche ironico, tutto presente nelle parole di scrittori e poeti di estrazione politico-culturale diversa; e, vero e proprio controcanto, suoni ed espressioni del popolo, che raccontano gioie e dolori di una storia ricca e violenta. Così il sobrio ricordo di uno zio morto nella Grande guerra risvegliato da Vittorio Foa, si incontra con le strofe cantate di Raffaele Viviani contro ogni guerra, per poi scontrarsi con i retaggi fascisti della storia nazionale, affidati agli impeti di un popolo che si vuole guerriero ad ogni costo.
Un Paese, come ci ricorda Alberto Arbasino, cresciuto a marcette, celebrazioni, lustrini, lumini, icone, fino all’inevitabile rigetto. Un Paese incapace di mettersi in discussione, di elaborare i propri lutti, di guardarsi dentro, tutto proteso verso un finto nuovo che ha finito col procurare grandi tragedie partorite da folli illusioni. Un Paese che si potrebbe dire morto, se non fosse che gli appartengono pagine straordinarie di storia e letteratura oltre che una ricchezza antropologica unica.







http://www.youtube.com/watch?v=bur4zRCEDPU

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Nella stessa serata in cui il Festival di Sanremo celebrava il 150° anniversario dell'Unità d'Italia con Roberto Benigni anche a Gaeta, nel SUO teatro Ariston, si celebrava con successo lo stesso anniversario.

Gaeta ha celebrato però a suo modo proiettando il documentario "Ma che storia" del regista pontino Gianfranco Pannone.

La serata è continuata poi con il dibattito con il regista e col grande musicista Ambrogio Sparagna, che ha selezionato le musiche per la colonna sonora del documentario. Gli spettatori hanno apprezzato il film che onora l'unità d'Italia esplorandone tutte le sfaccettature dalla questione meridionale, alle complicazioni politiche e rimarcando le incomprensioni tra la gente più semplice, gli intelletuali e il potere politico che non hanno permesso un vero sentimento di coesione nazionale nonostante la grande rivoluzione risorgimentale.

Il pubblico è accorso davvero numeroso e a tutti quelli che non sono riusciti ad accedere alla serata, che ricordiamo era totalmente gratuita e patrocinata dal Comune di Gaeta, suggeriamo di recuperare questo importante documentario presentato tra l'altro anche al Festival di Venezia dello scorso anno.


Il Risorgimento in un racconto lungo 150 anni: gioie e dolori di un paese grande e complicato.
Un viaggio tragicomico nella nostra storia attraverso il lungo e faticoso percorso unitario italiano. Mazzini, Garibaldi, Cavour…, nomi che oggi ci arrivano lontani, ma che così lontani non sono.
Una grande rivoluzione quella del Risorgimento, salutata come vera e propria epopea nell’800, ma ridimensionata nel secolo successivo dal “male oscuro” italiano.
Potere, intellettuali e popolo, un rapporto difficile, spesso violento e non privo di cinismo, che di fatto ha impedito il formarsi di un sentimento nazionale condiviso. E poi, un popolo di contadini quello italiano del primo novecento, via via cancellato dalle ideologie e da un’ansia del “nuovo” che hanno finito con l’emarginare tradizioni, consuetudini, affetti.
Il racconto di questa epopea a metà, si sviluppa tra i cinegiornali e i documentari, dell’archivio Luce, dagli anni dieci agli ottanta, che attraversano non senza retorica la storia nazionale; un sentimento critico e amaro, anche ironico, tutto presente nelle parole di scrittori e poeti di estrazione politico-culturale diversa; e, vero e proprio controcanto, suoni ed espressioni del popolo, che raccontano gioie e dolori di una storia ricca e violenta. Così il sobrio ricordo di uno zio morto nella Grande guerra risvegliato da Vittorio Foa, si incontra con le strofe cantate di Raffaele Viviani contro ogni guerra, per poi scontrarsi con i retaggi fascisti della storia nazionale, affidati agli impeti di un popolo che si vuole guerriero ad ogni costo.
Un Paese, come ci ricorda Alberto Arbasino, cresciuto a marcette, celebrazioni, lustrini, lumini, icone, fino all’inevitabile rigetto. Un Paese incapace di mettersi in discussione, di elaborare i propri lutti, di guardarsi dentro, tutto proteso verso un finto nuovo che ha finito col procurare grandi tragedie partorite da folli illusioni. Un Paese che si potrebbe dire morto, se non fosse che gli appartengono pagine straordinarie di storia e letteratura oltre che una ricchezza antropologica unica.







http://www.youtube.com/watch?v=bur4zRCEDPU

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