venerdì 21 gennaio 2011

Interrogazione parlamentare bombe mare Adriatico (su inchiesta di Gianni Lannes)

CAMERA DEI DEPUTATI Interrogazione parlamentare bombe mare Adriatico (su inchiesta di Gianni Lannes)

Resoconti dell’Assemblea

Allegato B
Seduta n. 402 del 25/11/2010

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE



Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere – premesso che:
secondo dati aggiornati e forniti dall’Adoc Basilicata, Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori, in Basilicata 14 comuni sono privi di un servizio di depurazione e 38 comuni sono serviti solo parzialmente da Acquedotto Lucano: questo significa che 28.186 abitanti non sono serviti, mentre 309.665 sono serviti solo parzialmente;
i comuni parzialmente serviti sono: Accettura, Aliano, Calciano, Ferrandina, Garaguso, Irsina, Matera, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Pisticci, Salandra, Tursi, Acerenza, Atella, Avigliano, Castelgrande, Castronuovo di Sant’Andrea, Episcopia, Filiano, Genzano di Lucania, Latronico, Maratea, Marsico Nuovo, Muro Lucano, Nemoli, Palazzo San Gervaso, Picerno, Potenza, Rivello, Roccanova, San Fele,

San Severino Lucano, Sarconi, Savoia di Lucania, Tito, Trecchina, Vietri di Potenza, Viggianello;
i comuni totalmente sprovvisti di depurazione sono: Tricarico, Albano di Lucania, Barile, Calvera, Carbone, Cersosimo, Chiaromonte, Fardella, Pietragalla, San Chirico Nuovo, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, Sasso di Castalda, Teana;
la sentenza della Corte costituzionale n. 335/2008 ha introdotto il principio secondo il quale gli utenti residenti in comuni che fossero sprovvisti di impianti centralizzati di depurazione, o dove questi fossero temporaneamente inattivi, non sono tenuti al pagamento della relativa tariffa;
moltissimi utenti di Acquedotto Lucano hanno provveduto ad inoltrare domanda per chiedere la sospensione e la restituzione del pagamento della tassa. Nel frattempo gli utenti che hanno presentato domanda e che sono effettivamente scollegati dagli impianti di depurazione, in attesa di definire i criteri per la restituzione del canone, si sono visti sospendere il pagamento della tassa;
l’Unione europea ha da tempo aperto una procedura di infrazione per il mancato trattamento delle acque reflue in ben 525 comuni italiani con oltre 15mila abitanti -:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, assumere iniziative al riguardo, considerate le gravi conseguenze ambientali di tale carenza, e la necessità di rispettare gli obblighi assunti nell’ambito dell’Unione europea.
(4-09709)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
secondo quanto risulta da archivi militari britannici (National Archives: dossier WO 188/685) e fonti bibliografiche attendibili (Infield, Glenn B., Disaster at Bari, The Macmillan, New York, 1971; Atkinson Rick, The Day of the Battle: The War in Sicily and Italy, 1943-1944, Henry Holt and Company, New York) sarebbero state inabissate davanti alla costa pugliese a partire dal dicembre 1943 fino a tutto il 1946 centinaia di migliaia di tonnellate, di ordigni bellici a caricamento convenzionale ed a caricamento speciale, i quali ultimi contenenti yprite, adamsite, lewisite, fosforo bianco, arsenico, acido solforico, cianuro, cloruro di pricrina, cloruro di cianogeno, e altro, in tutto 26 tipi di veleni diversi;
secondo documenti tratti dai predetti archivi militari e dell’Archivio di Stato di Bari, come anche dall’articolo di Gianni Lannes «Un mare pieno di bombe» pubblicato sul n. 49 di Diario 7 dicembre 2001 pagine 22-23, tali inabissamenti hanno interessato anche la costa di Manfredonia, Vieste, Ortona, Pescara, Teramo, Pesaro, Rimini, Ischia, Aviano, il lago di Garda, ed altri siti ancora;
già a partire dal 1970 i primi ordigni e fusti contenti tali sostanze, hanno rilasciato lentamente il loro contenuto mortale, nei fondali e nelle acque antistati la costa del medio e basso Adriatico, come in altri siti secondo campioni sottoposti ad analisi tossicologiche (Nave Calypso); nel 1999 lo studio Achab dell’Icram aveva evidenziato tali anomalie;
in particolare, a partire da 1998, progressivamente è scomparso il pesce stanziale dei litorali pugliesi ed è rimasto imbrigliato nelle reti dei pescatori solo pesce migratore, anch’esso in quantità molto ridotte;
sui fondali le alghe e la posidonia oceanica dell’area antistante la costa molfettese che fa parte integrante del «Parco

nazionale della Posidonia Oceanica San Vito di Barletta» sono assenti del tutto;
secondo una documentata inchiesta giornalistica di Gianni Lannes, pubblicata dal settimanale Left (Avvenimenti) il 16 marzo 2007 (numero 11, pagine 14-26) dal 1946 a tutt’oggi numerosi pescatori sono risultati vittime di incidenti in mare a causa di predetti ordigni; altri più recentemente hanno cominciato ad avvertire forti bruciori agli occhi durante le battute di pesca, con occhi gonfi che lacrimano, offuscamento della vista, mani e zone esposte all’acqua che si spaccano e si riempiono di bolle piene di siero, che diventano, nei giorni successivi, dolorosissime. Inoltre avvertono problemi respiratori. Dopo una giornata di pesca i marinai di Molfetta sono costretti a rimanere a letto molti giorni, circa venti, perché non hanno forze e perché non si reggono in piedi. A bordo, quando le reti sono sul ponte ad asciugare con la barca attraccata, essi non possono fermarsi nemmeno dieci minuti, perché gli occhi cominciano a lacrimare e bruciano. Inoltre, compaiono difficoltà respiratoria con dispnea e cianosi. I pescatori devono fare dieci minuti a bordo e venti a terra, per riprendersi dalle esalazioni che le reti da pesca emanano;
alcune volte, le reti, una volta salpate a bordo, prendono fuoco spontaneamente e incomprensibilmente. Inoltre, molti pescatori quando salpano le reti a bordo, perdono conoscenza inaspettatamente e misteriosamente;
è stata segnalata inoltre la presenza inaspettata della Ostreopsis ovata, la cosiddetta alga killer, in tutti i siti in cui furono inabissati questi veleni; è la caratteristica costante dei mari e delle acque, tipica espressione del grave dissesto e della grave perdita di diversità biologica e della vita di tali siti;
in concomitanza alla bonifica del porto iniziata nel 2008, si è verificato un aggravamento dei problemi agli occhi ed alle mani dei pescatori, nonché dei problemi respiratori ed è stato segnalato un calo dell’80 per cento del pescato;
a Molfetta la bonifica è effettuata da parte dei sommozzatori del gruppo SDAI (servizio difesa antimezzi insidiosi) della marina militare comandati dal comandante di fregata Giambattista Acquatico, e dalla ditta Lucatelli incaricata dei lavori di bonifica;
la superficie oggetto della bonifica, che viene chiamata zona rossa, si trova all’imboccatura del porto e nell’area antistante il porto, dove sarà costruito il nuovo porto commerciale e dove vi sarebbe un’enorme quantità di ordigni;
a giudizio degli interroganti, questa bonifica, dove sono state concentrate tutte le risorse, è irrisoria ed insufficiente, trattandosi di una area limitatissima rispetto a quella che fu interessata all’inabissamento (ad esempio Torre Gavetone);
notizie attestate dal giornalista Gianni Lannes «Un mare pieno di bombe». Diario,numero 49, 7 dicembre 2001, pagine 22 23 riferiscono di una «bonifica» che avviene recuperando gli ordigni facendoli esplodere tutti, convenzionali e non convenzionali, al largo delle coste;
va rilevato che, dopo più di 67 anni dall’affondamento dei primi ordigni a caricamento speciale e la semina di tali bombe davanti all’ingresso del porto molfettese, nella cosiddetta zona rossa, per opera dei pescatori che facevano parte degli equipaggi di quei pescherecci che trovavano tali ordigni impigliati nelle reti e li ributtavano a mare proprio davanti all’ingresso del porto prima di attraccare ai moli, il riconoscimento di quelli a caricamento speciale non è più possibile per naturali fenomeni di corrosione da parte dell’acqua marina;
l’Arpa Puglia e l’università Federico II di Napoli, hanno condotto le indagini e le analisi sulle acque su segnalazione della capitaneria di porto nel 1998;
mentre l’arpa Puglia dice che c’è solo la presenza di alga killer, l’università di

Napoli riferisce che c’è arsenico, la lewisite, ed altro ancora, oltre alla presenza della citata alga -:
se quanto riferito in premessa sia vero;
se e quali iniziative si intendano assumere per finanziare la bonifica di tutti i siti del nostro mare interessati dalla presenza di tali ordigni, estendendo, per quanto riguarda Molfetta, l’area della bonifica ben oltre l’attuale sito del porto di Molfetta interessato dalla costruzione del nuova porto commerciale;
se e con quali risorse si intenda sostenere il ripristino dell’habitat naturale, ossia del «Parco nazionale della posidonia oceanica San Vito di Barletta» e della flora a fauna marina, con campagne di semina delle così dette «olive» della posidonia oceanica e delle alghe, e quindi ottenere il ripopolamento, al fine di permettere la ricomparsa e la successiva conservazione delle specie marine e ripristinare la pescosità dei nostri mari, per consentire la sopravvivenza alimentare delle generazioni future.
(4-09713)

OCCHIUTO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
si apprende da organi di stampa che la conclusione delle indagini ambientali sul fiume Oliva in particolare nei comuni di Amantea, San Pietro in Amantea e Serra D’Aiello, ordinati dalla procura di Paola, che sta indagando sulle possibili cause dell’aumento delle malattie tumorali nella zona, hanno evidenziato la presenza indebita di numerose migliaia di metri cubi di fanghi industriali altamente inquinanti e pericolosi per la salute dei cittadini residenti nell’area;
la zona è quella circostante il letto del fiume Oliva dove, dalla relazione allegata alla perizia, risultano essere stati ritrovati elementi quali il cesio 137, berillio, cobalto, rame, stagno, mercurio, zinco, antimonio, cadmio e altri radionuclidi di uso medicinale e industriale, fortemente nocivi per la salute di chi è esposto al contatto;
tra la popolazione residente nei comuni adiacenti al corso d’acqua, infatti, negli ultimi anni si è registrata una fortissima incidenza di patologie maligne che certificano un eccesso statisticamente significativo di mortalità rispetto al restante territorio della provincia di Cosenza e della regione Calabria in generale, che vanno ricondotte, sempre da quanto sottolineato dalla perizia sopra menzionata, alla presenza dei contaminanti radioattivi presenti di cui si sospetta l’origine esogena;
la salute e la vita stessa dei cittadini che abitano in queste zone sotto il pericolo continuo di ammalarsi necessitano di un intervento forte e risolutivo da parte del Governo e delle autorità competenti per attivare in tempi ristrettissimi le opere di bonifica delle aree in questione e con l’impiego di tutti gli strumenti consentiti dalle tecnologie più avanzate per rimuovere tutto ciò che di nocivo sia possibile rinvenire, facendo prevalere la salute pubblica su ogni altra esigenza;
quanto sopra esposto costituisce l’ultimo di una serie di episodi di saccheggio e utilizzo «criminale» del territorio dell’intera regione Calabria come evidenziano gli episodi recentemente venuti alla luce a Crotone o a Reggio Calabria nel Comune di Motta S. Giovanni dove è stato scoperto un pericoloso traffico di rifiuti, per finire con le nota vicenda delle navi dei veleni cariche di rifiuti radioattivi affondate dalla criminalità a largo delle coste tirreniche calabresi;
la Calabria, dagli ultimi indicatori di analisi effettuate dagli istituti di studio sul settore, viene indicata tra le prime regioni nella classifica delle illegalità ambientali del 2009 con ben più di duemila infrazioni commesse e un giro di affari vastissimo legato alla attività criminali che testimonia ancora di più come sia necessario un intervento chiaro e risolutore che preveda

la bonifica di tutte le aree interessate al dissesto ambientale e il controllo ancora più capillare del territorio -:
quali urgenti iniziative in suo potere intenda adottare per verificare l’effettivo stato della situazione e della problematica in questione, monitorando la bonifica dell’area interessata e scongiurando così il pericolo per la salute dei cittadini residenti.
(4-09714)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
in un servizio del Tgr Basilicata del 18 novembre 2010 emerge il sospetto che i terreni nelle vicinanze del pozzo petrolifero Tempa Rossa 2 nelle campagne di Corleto Perticara, provincia di Potenza, possano ospitare una vera e propria discarica per lo smaltimento di fanghi e detriti derivanti dalle perforazioni petrolifere;
fino al mese di giugno 2010 le campagne dell’area erano coltivate e i prodotti di queste terre finivano sulle nostre tavole. Eppure, c’è il timore che ormai da decenni sotto questi terreni giacciano fanghi derivanti dalle perforazioni;
da quest’estate i carabinieri del Nucleo Operativo sequestro e il 18 novembre 2010, hanno terminato una 3 giorni di campionamenti finalizzati alle analisi;
si tratta dell’agro di Corleto Perticara, 6.000 metri quadrati a valle del pozzo Tempa Rossa 2, in località Tempa Rossa, e due ettari a monte in località Serra d’Eboli: aree agricole affittate negli anni Novanta dalla Total Mineraria spa, nelle quali c’è il sospetto possano essere stati sversati fanghi e detriti provenienti dalle perforazioni petrolifere;
nel 1992 la giunta regionale allora presieduta da Antonio Boccia autorizzò il progetto presentato dalla multinazionale per la realizzazione di una discarica: due vasche in terra, proprio in quella zona di Corleto, che avrebbero dovuto accogliere 2.000 metri quadri di rifiuti e che all’epoca non erano soggette neppure alla procedura di valutazione di impatto ambientale; l’ente deputato a vigilare la provincia di Potenza;
è stata, pertanto, messa in funzione una discarica utilizzata durante tutti gli anni Novanta. In seguito, i terreni su cui è sorta sono stati restituiti al legittimo proprietario senza preoccuparsi della messa in sicurezza dell’area. Di conseguenza, su quei terreni si è ripreso a coltivare almeno fino all’intervento dei Noe. Al momento sono in corso da parte della procura di Potenza -:
quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione ai fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo.
(4-09717)

Fonte:http://www.camera.it/417?idSeduta=402&resoconto=bt58&param=bt58

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Resoconti dell’Assemblea

Allegato B
Seduta n. 402 del 25/11/2010

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE



Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere – premesso che:
secondo dati aggiornati e forniti dall’Adoc Basilicata, Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori, in Basilicata 14 comuni sono privi di un servizio di depurazione e 38 comuni sono serviti solo parzialmente da Acquedotto Lucano: questo significa che 28.186 abitanti non sono serviti, mentre 309.665 sono serviti solo parzialmente;
i comuni parzialmente serviti sono: Accettura, Aliano, Calciano, Ferrandina, Garaguso, Irsina, Matera, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Pisticci, Salandra, Tursi, Acerenza, Atella, Avigliano, Castelgrande, Castronuovo di Sant’Andrea, Episcopia, Filiano, Genzano di Lucania, Latronico, Maratea, Marsico Nuovo, Muro Lucano, Nemoli, Palazzo San Gervaso, Picerno, Potenza, Rivello, Roccanova, San Fele,

San Severino Lucano, Sarconi, Savoia di Lucania, Tito, Trecchina, Vietri di Potenza, Viggianello;
i comuni totalmente sprovvisti di depurazione sono: Tricarico, Albano di Lucania, Barile, Calvera, Carbone, Cersosimo, Chiaromonte, Fardella, Pietragalla, San Chirico Nuovo, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, Sasso di Castalda, Teana;
la sentenza della Corte costituzionale n. 335/2008 ha introdotto il principio secondo il quale gli utenti residenti in comuni che fossero sprovvisti di impianti centralizzati di depurazione, o dove questi fossero temporaneamente inattivi, non sono tenuti al pagamento della relativa tariffa;
moltissimi utenti di Acquedotto Lucano hanno provveduto ad inoltrare domanda per chiedere la sospensione e la restituzione del pagamento della tassa. Nel frattempo gli utenti che hanno presentato domanda e che sono effettivamente scollegati dagli impianti di depurazione, in attesa di definire i criteri per la restituzione del canone, si sono visti sospendere il pagamento della tassa;
l’Unione europea ha da tempo aperto una procedura di infrazione per il mancato trattamento delle acque reflue in ben 525 comuni italiani con oltre 15mila abitanti -:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, assumere iniziative al riguardo, considerate le gravi conseguenze ambientali di tale carenza, e la necessità di rispettare gli obblighi assunti nell’ambito dell’Unione europea.
(4-09709)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
secondo quanto risulta da archivi militari britannici (National Archives: dossier WO 188/685) e fonti bibliografiche attendibili (Infield, Glenn B., Disaster at Bari, The Macmillan, New York, 1971; Atkinson Rick, The Day of the Battle: The War in Sicily and Italy, 1943-1944, Henry Holt and Company, New York) sarebbero state inabissate davanti alla costa pugliese a partire dal dicembre 1943 fino a tutto il 1946 centinaia di migliaia di tonnellate, di ordigni bellici a caricamento convenzionale ed a caricamento speciale, i quali ultimi contenenti yprite, adamsite, lewisite, fosforo bianco, arsenico, acido solforico, cianuro, cloruro di pricrina, cloruro di cianogeno, e altro, in tutto 26 tipi di veleni diversi;
secondo documenti tratti dai predetti archivi militari e dell’Archivio di Stato di Bari, come anche dall’articolo di Gianni Lannes «Un mare pieno di bombe» pubblicato sul n. 49 di Diario 7 dicembre 2001 pagine 22-23, tali inabissamenti hanno interessato anche la costa di Manfredonia, Vieste, Ortona, Pescara, Teramo, Pesaro, Rimini, Ischia, Aviano, il lago di Garda, ed altri siti ancora;
già a partire dal 1970 i primi ordigni e fusti contenti tali sostanze, hanno rilasciato lentamente il loro contenuto mortale, nei fondali e nelle acque antistati la costa del medio e basso Adriatico, come in altri siti secondo campioni sottoposti ad analisi tossicologiche (Nave Calypso); nel 1999 lo studio Achab dell’Icram aveva evidenziato tali anomalie;
in particolare, a partire da 1998, progressivamente è scomparso il pesce stanziale dei litorali pugliesi ed è rimasto imbrigliato nelle reti dei pescatori solo pesce migratore, anch’esso in quantità molto ridotte;
sui fondali le alghe e la posidonia oceanica dell’area antistante la costa molfettese che fa parte integrante del «Parco

nazionale della Posidonia Oceanica San Vito di Barletta» sono assenti del tutto;
secondo una documentata inchiesta giornalistica di Gianni Lannes, pubblicata dal settimanale Left (Avvenimenti) il 16 marzo 2007 (numero 11, pagine 14-26) dal 1946 a tutt’oggi numerosi pescatori sono risultati vittime di incidenti in mare a causa di predetti ordigni; altri più recentemente hanno cominciato ad avvertire forti bruciori agli occhi durante le battute di pesca, con occhi gonfi che lacrimano, offuscamento della vista, mani e zone esposte all’acqua che si spaccano e si riempiono di bolle piene di siero, che diventano, nei giorni successivi, dolorosissime. Inoltre avvertono problemi respiratori. Dopo una giornata di pesca i marinai di Molfetta sono costretti a rimanere a letto molti giorni, circa venti, perché non hanno forze e perché non si reggono in piedi. A bordo, quando le reti sono sul ponte ad asciugare con la barca attraccata, essi non possono fermarsi nemmeno dieci minuti, perché gli occhi cominciano a lacrimare e bruciano. Inoltre, compaiono difficoltà respiratoria con dispnea e cianosi. I pescatori devono fare dieci minuti a bordo e venti a terra, per riprendersi dalle esalazioni che le reti da pesca emanano;
alcune volte, le reti, una volta salpate a bordo, prendono fuoco spontaneamente e incomprensibilmente. Inoltre, molti pescatori quando salpano le reti a bordo, perdono conoscenza inaspettatamente e misteriosamente;
è stata segnalata inoltre la presenza inaspettata della Ostreopsis ovata, la cosiddetta alga killer, in tutti i siti in cui furono inabissati questi veleni; è la caratteristica costante dei mari e delle acque, tipica espressione del grave dissesto e della grave perdita di diversità biologica e della vita di tali siti;
in concomitanza alla bonifica del porto iniziata nel 2008, si è verificato un aggravamento dei problemi agli occhi ed alle mani dei pescatori, nonché dei problemi respiratori ed è stato segnalato un calo dell’80 per cento del pescato;
a Molfetta la bonifica è effettuata da parte dei sommozzatori del gruppo SDAI (servizio difesa antimezzi insidiosi) della marina militare comandati dal comandante di fregata Giambattista Acquatico, e dalla ditta Lucatelli incaricata dei lavori di bonifica;
la superficie oggetto della bonifica, che viene chiamata zona rossa, si trova all’imboccatura del porto e nell’area antistante il porto, dove sarà costruito il nuovo porto commerciale e dove vi sarebbe un’enorme quantità di ordigni;
a giudizio degli interroganti, questa bonifica, dove sono state concentrate tutte le risorse, è irrisoria ed insufficiente, trattandosi di una area limitatissima rispetto a quella che fu interessata all’inabissamento (ad esempio Torre Gavetone);
notizie attestate dal giornalista Gianni Lannes «Un mare pieno di bombe». Diario,numero 49, 7 dicembre 2001, pagine 22 23 riferiscono di una «bonifica» che avviene recuperando gli ordigni facendoli esplodere tutti, convenzionali e non convenzionali, al largo delle coste;
va rilevato che, dopo più di 67 anni dall’affondamento dei primi ordigni a caricamento speciale e la semina di tali bombe davanti all’ingresso del porto molfettese, nella cosiddetta zona rossa, per opera dei pescatori che facevano parte degli equipaggi di quei pescherecci che trovavano tali ordigni impigliati nelle reti e li ributtavano a mare proprio davanti all’ingresso del porto prima di attraccare ai moli, il riconoscimento di quelli a caricamento speciale non è più possibile per naturali fenomeni di corrosione da parte dell’acqua marina;
l’Arpa Puglia e l’università Federico II di Napoli, hanno condotto le indagini e le analisi sulle acque su segnalazione della capitaneria di porto nel 1998;
mentre l’arpa Puglia dice che c’è solo la presenza di alga killer, l’università di

Napoli riferisce che c’è arsenico, la lewisite, ed altro ancora, oltre alla presenza della citata alga -:
se quanto riferito in premessa sia vero;
se e quali iniziative si intendano assumere per finanziare la bonifica di tutti i siti del nostro mare interessati dalla presenza di tali ordigni, estendendo, per quanto riguarda Molfetta, l’area della bonifica ben oltre l’attuale sito del porto di Molfetta interessato dalla costruzione del nuova porto commerciale;
se e con quali risorse si intenda sostenere il ripristino dell’habitat naturale, ossia del «Parco nazionale della posidonia oceanica San Vito di Barletta» e della flora a fauna marina, con campagne di semina delle così dette «olive» della posidonia oceanica e delle alghe, e quindi ottenere il ripopolamento, al fine di permettere la ricomparsa e la successiva conservazione delle specie marine e ripristinare la pescosità dei nostri mari, per consentire la sopravvivenza alimentare delle generazioni future.
(4-09713)

OCCHIUTO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
si apprende da organi di stampa che la conclusione delle indagini ambientali sul fiume Oliva in particolare nei comuni di Amantea, San Pietro in Amantea e Serra D’Aiello, ordinati dalla procura di Paola, che sta indagando sulle possibili cause dell’aumento delle malattie tumorali nella zona, hanno evidenziato la presenza indebita di numerose migliaia di metri cubi di fanghi industriali altamente inquinanti e pericolosi per la salute dei cittadini residenti nell’area;
la zona è quella circostante il letto del fiume Oliva dove, dalla relazione allegata alla perizia, risultano essere stati ritrovati elementi quali il cesio 137, berillio, cobalto, rame, stagno, mercurio, zinco, antimonio, cadmio e altri radionuclidi di uso medicinale e industriale, fortemente nocivi per la salute di chi è esposto al contatto;
tra la popolazione residente nei comuni adiacenti al corso d’acqua, infatti, negli ultimi anni si è registrata una fortissima incidenza di patologie maligne che certificano un eccesso statisticamente significativo di mortalità rispetto al restante territorio della provincia di Cosenza e della regione Calabria in generale, che vanno ricondotte, sempre da quanto sottolineato dalla perizia sopra menzionata, alla presenza dei contaminanti radioattivi presenti di cui si sospetta l’origine esogena;
la salute e la vita stessa dei cittadini che abitano in queste zone sotto il pericolo continuo di ammalarsi necessitano di un intervento forte e risolutivo da parte del Governo e delle autorità competenti per attivare in tempi ristrettissimi le opere di bonifica delle aree in questione e con l’impiego di tutti gli strumenti consentiti dalle tecnologie più avanzate per rimuovere tutto ciò che di nocivo sia possibile rinvenire, facendo prevalere la salute pubblica su ogni altra esigenza;
quanto sopra esposto costituisce l’ultimo di una serie di episodi di saccheggio e utilizzo «criminale» del territorio dell’intera regione Calabria come evidenziano gli episodi recentemente venuti alla luce a Crotone o a Reggio Calabria nel Comune di Motta S. Giovanni dove è stato scoperto un pericoloso traffico di rifiuti, per finire con le nota vicenda delle navi dei veleni cariche di rifiuti radioattivi affondate dalla criminalità a largo delle coste tirreniche calabresi;
la Calabria, dagli ultimi indicatori di analisi effettuate dagli istituti di studio sul settore, viene indicata tra le prime regioni nella classifica delle illegalità ambientali del 2009 con ben più di duemila infrazioni commesse e un giro di affari vastissimo legato alla attività criminali che testimonia ancora di più come sia necessario un intervento chiaro e risolutore che preveda

la bonifica di tutte le aree interessate al dissesto ambientale e il controllo ancora più capillare del territorio -:
quali urgenti iniziative in suo potere intenda adottare per verificare l’effettivo stato della situazione e della problematica in questione, monitorando la bonifica dell’area interessata e scongiurando così il pericolo per la salute dei cittadini residenti.
(4-09714)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
in un servizio del Tgr Basilicata del 18 novembre 2010 emerge il sospetto che i terreni nelle vicinanze del pozzo petrolifero Tempa Rossa 2 nelle campagne di Corleto Perticara, provincia di Potenza, possano ospitare una vera e propria discarica per lo smaltimento di fanghi e detriti derivanti dalle perforazioni petrolifere;
fino al mese di giugno 2010 le campagne dell’area erano coltivate e i prodotti di queste terre finivano sulle nostre tavole. Eppure, c’è il timore che ormai da decenni sotto questi terreni giacciano fanghi derivanti dalle perforazioni;
da quest’estate i carabinieri del Nucleo Operativo sequestro e il 18 novembre 2010, hanno terminato una 3 giorni di campionamenti finalizzati alle analisi;
si tratta dell’agro di Corleto Perticara, 6.000 metri quadrati a valle del pozzo Tempa Rossa 2, in località Tempa Rossa, e due ettari a monte in località Serra d’Eboli: aree agricole affittate negli anni Novanta dalla Total Mineraria spa, nelle quali c’è il sospetto possano essere stati sversati fanghi e detriti provenienti dalle perforazioni petrolifere;
nel 1992 la giunta regionale allora presieduta da Antonio Boccia autorizzò il progetto presentato dalla multinazionale per la realizzazione di una discarica: due vasche in terra, proprio in quella zona di Corleto, che avrebbero dovuto accogliere 2.000 metri quadri di rifiuti e che all’epoca non erano soggette neppure alla procedura di valutazione di impatto ambientale; l’ente deputato a vigilare la provincia di Potenza;
è stata, pertanto, messa in funzione una discarica utilizzata durante tutti gli anni Novanta. In seguito, i terreni su cui è sorta sono stati restituiti al legittimo proprietario senza preoccuparsi della messa in sicurezza dell’area. Di conseguenza, su quei terreni si è ripreso a coltivare almeno fino all’intervento dei Noe. Al momento sono in corso da parte della procura di Potenza -:
quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione ai fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo.
(4-09717)

Fonte:http://www.camera.it/417?idSeduta=402&resoconto=bt58&param=bt58

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