lunedì 24 gennaio 2011

Giornale dell'assedio di Gaeta (1860-1861) (Charles Garnier) - Quarta parte

Batteria piemontese all’Atratina protetta con sacchi di terra. In secondo piano, la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo (o degli Scalzi) nel Borgo di Gaeta. Fotografo Eugenio Sevaistre.


  • 23 gennaio 1861

    Ho percorsa la città. I guasti sono ciò che dovevano essere; ma mi pare che questa volta la parte superiore è stata più maltrattata. Si turano i buchi nelle strade, e sulle batterie si ripone tutto in sesto. I cammini delle batterie sono veri precipizi. Al piede del castello, le cui migliaia di bombe simmetricamente ammucchiate sono ricoperte da una superficie di polvere bianca caduta dai merli; il topo di La Fontaine direbbe che questi blocchi infarinati non annunziano nulla di buono. Le fisionomie sono generalmente gaie. La musica suonava innanzi la gran guardia; quando à eseguito l'inno Borbonico, tutti si sono scoverte la testa, ed alla fine si è gridato tre volte Viva il Re! Sì clamoroso che sia il popolo napoletano, queste dimostrazioni sono estremamente rare nell'armata. Risalendo alla mia casamatta, ho incontrato una riunione di soldati portando ognuno una granata; cantavano di buon cuore. Il Re e la Regina hanno visitato oggi, ma separatamente, l'uno dopo l'altro, l'ospedaleTorrione Francese. La Regina ha fatto portare agli ammalati tutto ciò che ha potuto trovare presso di se. Il Re si è fermato vicino ad ogni letto. Non è stato tirato un colpo di cannone durante questa giornata. La squadra Piemontese è innanzi Mola; ma dei bastimenti incrociano all'entrata del golfo; ciò che non ha impedito due barche napoletane di arrivare fino al porto; esse hanno portato delle lettere e ne hanno prese.

  • 22 gennaio 1861

    Grande e gloriosa giornata! La natura si è ornata come alla primavera per la lotta che è cominciata questa mattina. Alle nove, un colpo di cannone è partito dalla batteria Regina per dare il segnale a tutte le batterie del fronte di terra. Subito le nostre bocche a fuoco hanno vomitata la morte con un fracasso spaventevole. L'inimico non ha tardato a rispondere dalle sue 15 batterie. In qualche momento, quella situata dietro i Cappuccini, 1500 metri, cioè a dire la più vicina, è stata rovesciata e ridotta al silenzio; solo nella sera ha potuto ripigliare il suo tiro, ma assai debolmente. I nostri cannoni si sono diretti verso le altre posizioni nemiche. Due o tre batterie del fronte di mare s'univano a quella del fronte di terra. Nello stesso tempo, nove bastimenti piemontesi, bombardiere, cannoniere e fregate, s'avanzano contro il fronte di mare. Là pure il fuoco è stato imponente; ma delle palle e granate avendo colpito una fregata e due cannoniere, ed un cannone rigato essendo scoppiato su d'un dei bastimenti, la squadra abbandonava la sua linea di battaglia per ritirarsi indietro. I bastimenti si dirigevano in seguito verso il piede del monte Orlando, ove colpivano più spesso gli scogli che le batterie, poi ritornavano, ma scagliando tutti i loro colpi nel mare. Alle cinque della sera, dietro ordine sovrano, il fronte di terra ha quasi cessato il fuoco per far riposare i pezzi e gli artiglieri, e non si è mandata che qualche granata di tanto in tanto; ma gli assedianti hanno continuato a bombardare dalla parte di terra durante la metà della notte. La squadra si è allontanata la notte cadente per ripigliare l'ancoraggio di Mola. Nello spazio di ott'ore la piazza non ha tirato meno di undici mila colpi e con una precisione sodisfacentissima. Si contano da undici a dodici mila proiettili di ogni specie lanciati dagli assedianti. Le nostre perdite consistono in una ventina d'uomini uccisi, di cui il maggiore Solimene, comandante la batteria Sant'Antonio e 110 feriti. Il capitano De Filippis comandante la batteria Dente di Sega Sant'Antonio, à ricevuto 7 ferite di cui nessuna è mortale; i suoi abiti sembrano esser passati tra le mascelle d'un armento ruminante. La batteria Regina, di cui parlo specialmente perchè posso meglio conoscere ciò che vi succede, à tirato essa sola più di 2000 colpi; figura nella statistica delle perdite di 29 feriti e 2 morti. I proiet¬tili arrivano qui in tale quantità che più di 50 volte delle pietre e della terra sono entrate nella nostra casamatta. Qualche abitante è ferito, di cui una donna con un figlio poppante. Dodici o quindici affusti sono stati, infranti due cannoni messi fuori d'uso. Quattrocento camice destinate agli ammalati sono state bruciate nell'antico ospedale di S. Francesco; è una perdita enorme, visto la deficienza degli approvvigionamenti. Si è creduto per un momento che la polveriera di S. Giacomo era saltata; non ve n'era nulla; solamente il fuoco s'era appiccato ad un quartiere vicino; è stato subitamente spento. Ufficiali e soldati hanno ammirabilmente adempito al loro dovere. Tutti si affollavano ove maggiore il pericolo, anche quelli che non erano di servizio quel giorno. È difficile distinguere quelli che si sono meglio condotti, e non ho qualità per farlo; ma non posso dispensarmi dal dire che tutta la giornata il generale Riedmatten s'è esposto con una magnifica abnegazione; non vi è batteria che non abbia visitata sotto il fuoco più ardente ed ove non siasi fermato con un imperturbabile sangue freddo. I signori Lautrec ed Urbano Charrette ai suoi lati, hanno esposto la loro persona collo stesso coraggio. Il colonnello Ussani, che comanda sotto il generale Riedmatten, il tenente-colonnello Nagle, che comanda la linea delle batterie Philipstad, hanno offerto agli ufficiali subalterni ed agli artiglieri dei nobili esempi di bravura. Se questo giornale fosse un rapporto militare, dovrei drizzare una lunga lista di nomi; ma ciò è impossibile. Abbiamo veduto delle cose a far piangere di gioia. Quando i marinai che sono accasermati presso la nostra casamatta sono stati avvertiti di portarsi sulla batteria che servono, si sono slanciati come ad una festa, spingendo delle frenetiche esclamazioni di gioia: Viva Dio! Viva il Re! Il mio stupore era al colmo. Quando uno di essi era colpito, gridava ancora cadendo: Viva il Re! Gli altri agitavano i loro bonetti o i loro cappelletti in aria e ripetevano :Morremo tutti per una causa santa! La musica dell'8° e 9° battaglione cacciatori s'era istallata allo scoperto sulle batterie del fronte di mare, ed à suonato l'inno borbonico. I suoni degli istrumenti doveano giungere fino ai bastimenti piemontesi. Su di un'altra batteria dello stesso fronte di mare, si ballava con più trasporto che nelle notti balsamiche di Partenope. Era un sublime delirio. E però quella brava gente non hanno avuto, per la maggior parte, la loro razione di pane, di vino, e cacio che verso le cinque della sera. Bisognava, certamente, che l'entusiasmo provenisse dal fondo dei cuori, e niuno lo ha eccitato. Innanzi un'altra batteria, un'obice, immerso nell'acqua, lanciò sulla banchina un grossissimo pesce della specie che chiamasi spinola. Malgrado il fuoco, un marinaio di nome Falconiere, discese dal parapetto sulla banchina, risalì col prodotto di questa singolare pesca. La spinola fu offerta al Re, che degnò accettarla e che ne fece mangiare a tutta la corte. S'ignorano le perdite degli assedianti, ma debbono essere più considerabili che le nostre. Hanno subito un grande scacco morale; non solamente non hanno avuto l'onore di cominciare l'attacco, ma si è provato che la salvezza di Gaeta dipende da altre cause che dalla presenza d'una squadra. Cialdini ed il conte Persano debbono comprendere che la iattanza non è più di stagione e che non si trovano avanti Ancona. La giornata del 22 gennaio copre tutte le deficienze passate da una porzione dell'armata napolitana; è degna d'essere scritta in caratteri d'oro negli annali del regno delle Due Sicilie; onorerebbe le più grandi nazioni militari di Europa. Quelli che non credevano al sublime, vi credono dopo essere stati testimoni del combattimento, e quei che disperavano della causa, si dicono ora con confidenza; l'avvenire è a noi. Dico io, che la città potrà essere obbligata di rendersi, mancanti viveri e munizioni, ma non sarà presa.

  • 21 gennaio 1861

    I Piemontesi certamente riflettono o scrivono i loro testamenti, prima di cominciare l'attacco per terra e per mare. Si dovea prevenirli questa mattina, ed il governatore avea ordinato d'aprire il fuoco alla punta del giorno. Un incidente à fatto dare il contr'ordine questa notte: il Sphinx, vapore marsigliese, carico di farina e di ferro strutto per conto del reale governo, è passato a traverso la squadra nemica per entrare nel porto. Un bastimento piemontese, l'à inseguito lungamente, un altro l'à chiamato a parlamento; ma il Sphinx à spento le sue lanterne, e grazie alle ombre è felicemente arrivato sotto la protezione dei nostro rampari. È per permettergli di sbarcare il suo carico che si differisce la ripresa delle ostilità. La Senna altro vapore di Marsiglia, portando egualmente delle provvisioni, à avuto meno successo; gl'incrociatori piemontesi gli hanno intimato di retrocedere. Sembrami che non potea farsi. 1° Il blocco solo ieri è stato dichiarato, e forse non lo è ancora a Parigi; 2° non è certo che il governo imperiale lo riconosca, almeno officialmente; 3° anche che lo riconoscesse, le navi cariche e partite anteriormente sono legalmente affrancate dai suoi rigori. È però la bandiera francese che è insultata. Gli uomini di Torino sono dunque ben sicuri dell'impunità Oimè! non bisogna abusarsi; niuna riparazione sarà domandata; Torino sa ciò che si pensa e si vuole, ciò che si ama e ciò che si odia a Parigi. È ancora un capitolo sul quale non posso approfondirmi. Gli ospiti della nostra casamatta sono andati questa mane a far celebrare alla Rocca-Spaccata una messa in commemorazione della morte di Luigi XVI. La Rocca Spaccata è un immenso scoglio diviso di su in giù. La leggenda vuole che questo fenomeno abbia avuto luogo nel momento in cui Gesù Cristo spirò sul Calvario. Scendendo lo stretto sentiero tagliato fra le due pareti della rocca, si mostra l'impronta miracolosa della mano d'un Turco che avrebbe abbracciato il cattolicismo. Ammetta chi vorrà questo racconto. Una chiesetta officiata dai monaci dell'ordine di S. Giovanni d'Alcantara, il di cui convento è contiguo, si trova sospeso sull'abisso; al di sotto, il mare vi ondeggia fragorosamente. Dodici bandiere tricolore, colle armi di Sicilia, ornano la volta della Chiesa. Il venerdì santo dell'anno 1849, Pio IX cacciato dalla rivoluzione ed accolto a Gaeta dalla pietà filiale d'un Borbone, era inginocchiato innanzi l'altare della Roc¬ca-Spaccata; Ferdinando II e Maria-Teresa pregavano ai lati del Pontefice. Lo stesso giorno, alla stessa ora la rivoluzione subiva in Sicilia una terribile disfatta, e l'armata reale, entrando vittoriosa in Catania s'impadroniva di questi trofei. Queste memorie nefaste e gloriose si presentavano nei nostri pensieri, mentre assistevamo al sacrificio espiatorio. Abbiamo domandato a Dio di terminare finalmente le pruove della più augusta razza che abbia portato la corona, di riunire i principi di questa casa di Francia erranti o bombardati, d'applicare a Francesco II i frutti del sangue di Luigi XVI. Aimè! delle tombe vengono ad aprirsi ancora per dei principi ed una principessa della famiglia Borbone; una branca reale è stata strappata dopo lunghi uragani. La Previdenza non abbrevierà essa i cattivi giorni che passiamo!

  • 20 gennaio 1861

    Si supponeva che l'inimico si affretterebbe di attac¬care ieri, appena la partenza della squadra francese. È più di due mesi che si esclamava da Torino: Se i vascelli francesi non fossero innanzi Gaeta, l'ammiraglio Persano piglierebbe la piazza come ha fatto ad Ancona : La notte s'è passata tranquillamente ed il Signor Persano non si è avvicinato; si prepara, senza dubbio, ma avrebbe dovuto esser pronto. Il blocco ci è stato notificato da un vapore sardo che si è presentato con bandiera parlamenrtaria. Lo stesso vapore ha fatto molte volte il tragitto tra Mola e Gaeta. Sono da ieri sera in una casamatta sotto la batte¬ria Regina, in buona compagnia. Questa casamatta è quella del tenente generale Riedmatten, che à il co¬mando in capo del fronte di terra. S. E. ha con sè il suo capo di stato-maggiore, il capitano visconte de Lautrec; suo aiutante di campo, il tenente barone Urbain de Charrette; il tenente Flugy d'Aspermont ed il sotto-tenente visconte di Peyferrut, allo stato-maggiore. Il Signor Flugy è svizzero, come il generale; gli altri ufficiali sono Bretoni o Vandeisti. Il Siècle direbbe che è un vero nido di chouans. La casamatta si ospitaliera per me à 25 passi di lunghezza, 8 di larghezza e 5 metri di altezza. Il fondo somiglia ad una nicchia, la volta vi sì abbassa subitaneamente fino al terrapieno della batteria. Le mura sono state recentemente biancheggiate, ma non da scacciarne l'umidità. Per entrare, bisogna salire quattro scalini, poi scenderne altrettanti. I nostri 6 letti, poco soffici, meno duri però di quelli di molti monaci, sono simmetricamente drizzati su due linee co¬me nel dormitorio d'un collegio. Le nostre balici ne ingombrano i lati. In fondo, una piccola finestra si¬mile ad un cammino, e che da sulla batteria, è sta¬ta ermeticamente chiusa e blindata. Cinque o sei ban-diere di segnali rossi, bianchi, gialli, blù, cucite in¬sieme, separano il nostro dormitorio, il nostro san¬tuario, se si vuole, dalla parte della casamatta che ci serve di salone e stanza da pranzo. Tre piccole tavole ben ferme su i loro piedi e cariche di tazze, bicchieri, calamai, carta, e giornali; sette sedie colle spalliere rotte; a terra delle bottiglie, dei sacchi da notte, dei sacchi di truppa, un paniere con cucchiai e forchette, qualche utensile di cucina, una cesta di biscotti e pane di munizione, un resto di prosciutto e fichi; dei fucili malinconicamente rilegati in un an¬golo, ecco il quadro del nostro alloggio. Quando il bravo generale Riedmatten non è sulle batterie coi suoi aiutanti di campo, ciarliamo con più o meno allegria intorno ad una tavola. Il generale fa scrivere dei dispacci e dei rapporti a Flugy; il capitano Lautrec prende una dozzina di tazze da thè; Urbain de Char-rette gusta un sigaro facendo delle burle ai suoi vi-cini; Puyferrat, ex maresciallo degli alloggi ai coraz¬zieri della guardia imperiale, depone la sua grossa pipa per disegnare le batterie piemontesi o per rac¬contarci delle istorie di Tatars, che ci prega di non confondere coi Tartari; ed io, stropicciando coi go¬miti forati sulla carta, disegno il profile di questi si¬gnori, affinchè non sia perduta per la prosterità.
  • 19 gennaio 1861

    La squadra è partita un poco prima del tramonto. L'ammiraglio ha fatto salutare la bandiera reale, e la batteria Santa Maria à reso il saluto alla Francese. Ho seguito lungamente cogli occhi la Bretagne, il Fonte-noy ed i due altri vapori che sono scomparsi all'orizzonte nei vapori rosei del Ponente. Sulle stesse acque passavano i bastimenti spagnuoli, il governo di Madrid non avendo osato sostituirsi a quello dell'Imperatore Napoleone. I quattro vapori marsigliesi al servizio del Re si sono pure allontanati, si è dovuto congedarli. Il Dahome ha accettato quest'oggi ancora la missione di trasportare alla cittadella di Messina 5 o 600 donne donne e ragazzi. Un altro di questi vapori à depositato questa mane, a Terracina 250 ammalati e con valescenti. È veramente la giornata degli abbandoni. Gli ambasciatori hanno abbandonato Gaeta"; non di meno ne è restato qualcuno, sono d'Austria, di Baviera, di Sassonia ed il Nunzio. Non ho bisogno di dire che quello di Spagna è sempre costantemente al suo posto. È abbastanza interessante di sapere come le cose sono accadute. Il Re, considerando che sarebbe bloccato, e, par tendo, che non potrebbe più aver comunicazione col corpo diplomatico se si ritirasse a Roma; consideran do, inoltre, che avea bisogno di testimoni officiali della sua condotta a fronte dell'Europa, domandò a questi signori di voler restare in Gaeta. Le Eccellenze furono sorprese e sconcertate; avevano, al loro arrivo ecci tato il coraggio di S. M. e l'avevano indotto a lottare fino all'ultimo. Cambiarono subito linguaggio, obiet tarono che l'onore era salvo, ecc., ed uscirono per riflettere alla risposta che bisognava dare. Una volta fuori della casamatta reale, il capo diplomatico mani- festò vivamente la sua repulsione per il soggiorno di Gaeta. In questo stato di cose fu loro rimesso una nota in cui era reitirata in iscritto la domanda di S. M. Allora il corpo diplomatico si divise in due campi: l'uno composto da diplomatici accreditati unicamente presso la corte delle Due Sicilie; l'altro di quelli che rappresentano nello stesso tempo la loro corte presso la Santa Sede. Per questi ultimi, il pretesto di partenza era trovato, e si affrettarono di farlo valere; non vi era nulla a replicare. Quanto all'altra metà, agisce con meno unione: il Nunzio ed il ministro di Baviera si decisero i primi a restare; il ministro di Sassonia si lasciò vincere; quello di Russia dichiarò che era chiamato a Roma da affari particolari, e che là sarebbe più utile al Re; l'incaricato degli affari di Prussia affermò che nulla sarebbe capace di ritenerlo in Gaeta. Finalmente il ministro d'Austria, conte Szechèny, essendo stato biasimato del suo governo quando abbandonò Gaeta per la prima volta, ha fatto di necessità virtù; ma da questo scoglio volge lo sguardo desolato verso Roma. Le 11 suore della Carità si sono divise in tre gruppi, e sono istallate nei tre ospedali, in previsione dei feriti che andremo ad avere nella piazza.

  • 18 gennaio 1861

    Trecento malati sono stati mandati a Terracina; la maggior parte erano febbricitanti. Molta gente vuol dubitare della partenza degli ultimi due vascelli francesi; la loro illusione si dissiperà domani. Non mi sono mai ingannato a questo riguardo, e, amor proprio da parte, giudico diversamente che publico debbonario, la politica che ha tenuta la flotta francese nelle acque di Gaeta. Ecco dei sintomi certi di partenza: L'ammiraglio è andato a rendere i suoi omaggi col Re e la Regina; si è lagnato col Re che era stato dimenticato nella distribuzione dei ritratti delle LL. MM. fatta recentemente a diversi ufficiali della squadra, ed ha detto che ne era geloso. Il Re si è benignato offrirgliene due dei migliori. Questi ritratti hanno al rovescio la firma delle di LL. MM. Gli ufficiali che ne sono stati gratificati sono: Sig. Gisquel des Touches, capo dello stato-maggiore dell'ammiraglio; l'abbate Bourgade, elemosiniere in capo della squadra; Signor Bastard, aiutante di campo dell'ammiraglio; il medico in capo che ne ignoro il nome; il capitano di fregata Conte Missiessy, comandante del Prony; il visconte di Gran-cey tenente di vascello; Signor di la Suchette, tenente di vascello; Signor Vavin, alfiere di vascello. Questi signori debbono un tal favore alla Regina. Certamente vi erano sulla squadra altri ufficiali le di cui simpatie sono acquistate alla causa di Francesco II; ma era difficile operare una specie di enumerazione. Devo pure aggiungere, affinchè i miei complimenti non imbarazzino alcuno che un certo numero d'ufficiali della marina francese sono più o meno imbevuti d'idee rivoluzionarie e fanno voti per la caduta di Gaeta. Il signor di Tinan è andato pure a visitare le suore della Carità all'ospedale; era visibilmente commosso. Congedandosi da queste dame, ha detto loro : « Non è solamente per il Re e la Regina che bisogna pregare; sorelle mie, pregate ancora per la Francia che ne ha gran bisogno! » Il signor di Tinan à dato alle religiose una vacca, come pure differente provvisioni per loro uso individuale e quello degli ammalati. Molte volte, durante il suo soggiorno nelle acque di Gaeta, i signor di Tinan avea di sua propria borsa sollevato i feriti dell'armata napoletana. Il signor Gisquel des Touches avendo dovuto vedere quest'oggi il generale Cialdini, questi ha affettata la più bella sicurezza; ha espresso che non aveva niuna inquietudine sulla riuscita dell'assedio, ed ha detto « avere 10.000 uomini di più che non sapea cosa farne ».

  • Fonte:150Gaeta.org

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Batteria piemontese all’Atratina protetta con sacchi di terra. In secondo piano, la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo (o degli Scalzi) nel Borgo di Gaeta. Fotografo Eugenio Sevaistre.


  • 23 gennaio 1861

    Ho percorsa la città. I guasti sono ciò che dovevano essere; ma mi pare che questa volta la parte superiore è stata più maltrattata. Si turano i buchi nelle strade, e sulle batterie si ripone tutto in sesto. I cammini delle batterie sono veri precipizi. Al piede del castello, le cui migliaia di bombe simmetricamente ammucchiate sono ricoperte da una superficie di polvere bianca caduta dai merli; il topo di La Fontaine direbbe che questi blocchi infarinati non annunziano nulla di buono. Le fisionomie sono generalmente gaie. La musica suonava innanzi la gran guardia; quando à eseguito l'inno Borbonico, tutti si sono scoverte la testa, ed alla fine si è gridato tre volte Viva il Re! Sì clamoroso che sia il popolo napoletano, queste dimostrazioni sono estremamente rare nell'armata. Risalendo alla mia casamatta, ho incontrato una riunione di soldati portando ognuno una granata; cantavano di buon cuore. Il Re e la Regina hanno visitato oggi, ma separatamente, l'uno dopo l'altro, l'ospedaleTorrione Francese. La Regina ha fatto portare agli ammalati tutto ciò che ha potuto trovare presso di se. Il Re si è fermato vicino ad ogni letto. Non è stato tirato un colpo di cannone durante questa giornata. La squadra Piemontese è innanzi Mola; ma dei bastimenti incrociano all'entrata del golfo; ciò che non ha impedito due barche napoletane di arrivare fino al porto; esse hanno portato delle lettere e ne hanno prese.

  • 22 gennaio 1861

    Grande e gloriosa giornata! La natura si è ornata come alla primavera per la lotta che è cominciata questa mattina. Alle nove, un colpo di cannone è partito dalla batteria Regina per dare il segnale a tutte le batterie del fronte di terra. Subito le nostre bocche a fuoco hanno vomitata la morte con un fracasso spaventevole. L'inimico non ha tardato a rispondere dalle sue 15 batterie. In qualche momento, quella situata dietro i Cappuccini, 1500 metri, cioè a dire la più vicina, è stata rovesciata e ridotta al silenzio; solo nella sera ha potuto ripigliare il suo tiro, ma assai debolmente. I nostri cannoni si sono diretti verso le altre posizioni nemiche. Due o tre batterie del fronte di mare s'univano a quella del fronte di terra. Nello stesso tempo, nove bastimenti piemontesi, bombardiere, cannoniere e fregate, s'avanzano contro il fronte di mare. Là pure il fuoco è stato imponente; ma delle palle e granate avendo colpito una fregata e due cannoniere, ed un cannone rigato essendo scoppiato su d'un dei bastimenti, la squadra abbandonava la sua linea di battaglia per ritirarsi indietro. I bastimenti si dirigevano in seguito verso il piede del monte Orlando, ove colpivano più spesso gli scogli che le batterie, poi ritornavano, ma scagliando tutti i loro colpi nel mare. Alle cinque della sera, dietro ordine sovrano, il fronte di terra ha quasi cessato il fuoco per far riposare i pezzi e gli artiglieri, e non si è mandata che qualche granata di tanto in tanto; ma gli assedianti hanno continuato a bombardare dalla parte di terra durante la metà della notte. La squadra si è allontanata la notte cadente per ripigliare l'ancoraggio di Mola. Nello spazio di ott'ore la piazza non ha tirato meno di undici mila colpi e con una precisione sodisfacentissima. Si contano da undici a dodici mila proiettili di ogni specie lanciati dagli assedianti. Le nostre perdite consistono in una ventina d'uomini uccisi, di cui il maggiore Solimene, comandante la batteria Sant'Antonio e 110 feriti. Il capitano De Filippis comandante la batteria Dente di Sega Sant'Antonio, à ricevuto 7 ferite di cui nessuna è mortale; i suoi abiti sembrano esser passati tra le mascelle d'un armento ruminante. La batteria Regina, di cui parlo specialmente perchè posso meglio conoscere ciò che vi succede, à tirato essa sola più di 2000 colpi; figura nella statistica delle perdite di 29 feriti e 2 morti. I proiet¬tili arrivano qui in tale quantità che più di 50 volte delle pietre e della terra sono entrate nella nostra casamatta. Qualche abitante è ferito, di cui una donna con un figlio poppante. Dodici o quindici affusti sono stati, infranti due cannoni messi fuori d'uso. Quattrocento camice destinate agli ammalati sono state bruciate nell'antico ospedale di S. Francesco; è una perdita enorme, visto la deficienza degli approvvigionamenti. Si è creduto per un momento che la polveriera di S. Giacomo era saltata; non ve n'era nulla; solamente il fuoco s'era appiccato ad un quartiere vicino; è stato subitamente spento. Ufficiali e soldati hanno ammirabilmente adempito al loro dovere. Tutti si affollavano ove maggiore il pericolo, anche quelli che non erano di servizio quel giorno. È difficile distinguere quelli che si sono meglio condotti, e non ho qualità per farlo; ma non posso dispensarmi dal dire che tutta la giornata il generale Riedmatten s'è esposto con una magnifica abnegazione; non vi è batteria che non abbia visitata sotto il fuoco più ardente ed ove non siasi fermato con un imperturbabile sangue freddo. I signori Lautrec ed Urbano Charrette ai suoi lati, hanno esposto la loro persona collo stesso coraggio. Il colonnello Ussani, che comanda sotto il generale Riedmatten, il tenente-colonnello Nagle, che comanda la linea delle batterie Philipstad, hanno offerto agli ufficiali subalterni ed agli artiglieri dei nobili esempi di bravura. Se questo giornale fosse un rapporto militare, dovrei drizzare una lunga lista di nomi; ma ciò è impossibile. Abbiamo veduto delle cose a far piangere di gioia. Quando i marinai che sono accasermati presso la nostra casamatta sono stati avvertiti di portarsi sulla batteria che servono, si sono slanciati come ad una festa, spingendo delle frenetiche esclamazioni di gioia: Viva Dio! Viva il Re! Il mio stupore era al colmo. Quando uno di essi era colpito, gridava ancora cadendo: Viva il Re! Gli altri agitavano i loro bonetti o i loro cappelletti in aria e ripetevano :Morremo tutti per una causa santa! La musica dell'8° e 9° battaglione cacciatori s'era istallata allo scoperto sulle batterie del fronte di mare, ed à suonato l'inno borbonico. I suoni degli istrumenti doveano giungere fino ai bastimenti piemontesi. Su di un'altra batteria dello stesso fronte di mare, si ballava con più trasporto che nelle notti balsamiche di Partenope. Era un sublime delirio. E però quella brava gente non hanno avuto, per la maggior parte, la loro razione di pane, di vino, e cacio che verso le cinque della sera. Bisognava, certamente, che l'entusiasmo provenisse dal fondo dei cuori, e niuno lo ha eccitato. Innanzi un'altra batteria, un'obice, immerso nell'acqua, lanciò sulla banchina un grossissimo pesce della specie che chiamasi spinola. Malgrado il fuoco, un marinaio di nome Falconiere, discese dal parapetto sulla banchina, risalì col prodotto di questa singolare pesca. La spinola fu offerta al Re, che degnò accettarla e che ne fece mangiare a tutta la corte. S'ignorano le perdite degli assedianti, ma debbono essere più considerabili che le nostre. Hanno subito un grande scacco morale; non solamente non hanno avuto l'onore di cominciare l'attacco, ma si è provato che la salvezza di Gaeta dipende da altre cause che dalla presenza d'una squadra. Cialdini ed il conte Persano debbono comprendere che la iattanza non è più di stagione e che non si trovano avanti Ancona. La giornata del 22 gennaio copre tutte le deficienze passate da una porzione dell'armata napolitana; è degna d'essere scritta in caratteri d'oro negli annali del regno delle Due Sicilie; onorerebbe le più grandi nazioni militari di Europa. Quelli che non credevano al sublime, vi credono dopo essere stati testimoni del combattimento, e quei che disperavano della causa, si dicono ora con confidenza; l'avvenire è a noi. Dico io, che la città potrà essere obbligata di rendersi, mancanti viveri e munizioni, ma non sarà presa.

  • 21 gennaio 1861

    I Piemontesi certamente riflettono o scrivono i loro testamenti, prima di cominciare l'attacco per terra e per mare. Si dovea prevenirli questa mattina, ed il governatore avea ordinato d'aprire il fuoco alla punta del giorno. Un incidente à fatto dare il contr'ordine questa notte: il Sphinx, vapore marsigliese, carico di farina e di ferro strutto per conto del reale governo, è passato a traverso la squadra nemica per entrare nel porto. Un bastimento piemontese, l'à inseguito lungamente, un altro l'à chiamato a parlamento; ma il Sphinx à spento le sue lanterne, e grazie alle ombre è felicemente arrivato sotto la protezione dei nostro rampari. È per permettergli di sbarcare il suo carico che si differisce la ripresa delle ostilità. La Senna altro vapore di Marsiglia, portando egualmente delle provvisioni, à avuto meno successo; gl'incrociatori piemontesi gli hanno intimato di retrocedere. Sembrami che non potea farsi. 1° Il blocco solo ieri è stato dichiarato, e forse non lo è ancora a Parigi; 2° non è certo che il governo imperiale lo riconosca, almeno officialmente; 3° anche che lo riconoscesse, le navi cariche e partite anteriormente sono legalmente affrancate dai suoi rigori. È però la bandiera francese che è insultata. Gli uomini di Torino sono dunque ben sicuri dell'impunità Oimè! non bisogna abusarsi; niuna riparazione sarà domandata; Torino sa ciò che si pensa e si vuole, ciò che si ama e ciò che si odia a Parigi. È ancora un capitolo sul quale non posso approfondirmi. Gli ospiti della nostra casamatta sono andati questa mane a far celebrare alla Rocca-Spaccata una messa in commemorazione della morte di Luigi XVI. La Rocca Spaccata è un immenso scoglio diviso di su in giù. La leggenda vuole che questo fenomeno abbia avuto luogo nel momento in cui Gesù Cristo spirò sul Calvario. Scendendo lo stretto sentiero tagliato fra le due pareti della rocca, si mostra l'impronta miracolosa della mano d'un Turco che avrebbe abbracciato il cattolicismo. Ammetta chi vorrà questo racconto. Una chiesetta officiata dai monaci dell'ordine di S. Giovanni d'Alcantara, il di cui convento è contiguo, si trova sospeso sull'abisso; al di sotto, il mare vi ondeggia fragorosamente. Dodici bandiere tricolore, colle armi di Sicilia, ornano la volta della Chiesa. Il venerdì santo dell'anno 1849, Pio IX cacciato dalla rivoluzione ed accolto a Gaeta dalla pietà filiale d'un Borbone, era inginocchiato innanzi l'altare della Roc¬ca-Spaccata; Ferdinando II e Maria-Teresa pregavano ai lati del Pontefice. Lo stesso giorno, alla stessa ora la rivoluzione subiva in Sicilia una terribile disfatta, e l'armata reale, entrando vittoriosa in Catania s'impadroniva di questi trofei. Queste memorie nefaste e gloriose si presentavano nei nostri pensieri, mentre assistevamo al sacrificio espiatorio. Abbiamo domandato a Dio di terminare finalmente le pruove della più augusta razza che abbia portato la corona, di riunire i principi di questa casa di Francia erranti o bombardati, d'applicare a Francesco II i frutti del sangue di Luigi XVI. Aimè! delle tombe vengono ad aprirsi ancora per dei principi ed una principessa della famiglia Borbone; una branca reale è stata strappata dopo lunghi uragani. La Previdenza non abbrevierà essa i cattivi giorni che passiamo!

  • 20 gennaio 1861

    Si supponeva che l'inimico si affretterebbe di attac¬care ieri, appena la partenza della squadra francese. È più di due mesi che si esclamava da Torino: Se i vascelli francesi non fossero innanzi Gaeta, l'ammiraglio Persano piglierebbe la piazza come ha fatto ad Ancona : La notte s'è passata tranquillamente ed il Signor Persano non si è avvicinato; si prepara, senza dubbio, ma avrebbe dovuto esser pronto. Il blocco ci è stato notificato da un vapore sardo che si è presentato con bandiera parlamenrtaria. Lo stesso vapore ha fatto molte volte il tragitto tra Mola e Gaeta. Sono da ieri sera in una casamatta sotto la batte¬ria Regina, in buona compagnia. Questa casamatta è quella del tenente generale Riedmatten, che à il co¬mando in capo del fronte di terra. S. E. ha con sè il suo capo di stato-maggiore, il capitano visconte de Lautrec; suo aiutante di campo, il tenente barone Urbain de Charrette; il tenente Flugy d'Aspermont ed il sotto-tenente visconte di Peyferrut, allo stato-maggiore. Il Signor Flugy è svizzero, come il generale; gli altri ufficiali sono Bretoni o Vandeisti. Il Siècle direbbe che è un vero nido di chouans. La casamatta si ospitaliera per me à 25 passi di lunghezza, 8 di larghezza e 5 metri di altezza. Il fondo somiglia ad una nicchia, la volta vi sì abbassa subitaneamente fino al terrapieno della batteria. Le mura sono state recentemente biancheggiate, ma non da scacciarne l'umidità. Per entrare, bisogna salire quattro scalini, poi scenderne altrettanti. I nostri 6 letti, poco soffici, meno duri però di quelli di molti monaci, sono simmetricamente drizzati su due linee co¬me nel dormitorio d'un collegio. Le nostre balici ne ingombrano i lati. In fondo, una piccola finestra si¬mile ad un cammino, e che da sulla batteria, è sta¬ta ermeticamente chiusa e blindata. Cinque o sei ban-diere di segnali rossi, bianchi, gialli, blù, cucite in¬sieme, separano il nostro dormitorio, il nostro san¬tuario, se si vuole, dalla parte della casamatta che ci serve di salone e stanza da pranzo. Tre piccole tavole ben ferme su i loro piedi e cariche di tazze, bicchieri, calamai, carta, e giornali; sette sedie colle spalliere rotte; a terra delle bottiglie, dei sacchi da notte, dei sacchi di truppa, un paniere con cucchiai e forchette, qualche utensile di cucina, una cesta di biscotti e pane di munizione, un resto di prosciutto e fichi; dei fucili malinconicamente rilegati in un an¬golo, ecco il quadro del nostro alloggio. Quando il bravo generale Riedmatten non è sulle batterie coi suoi aiutanti di campo, ciarliamo con più o meno allegria intorno ad una tavola. Il generale fa scrivere dei dispacci e dei rapporti a Flugy; il capitano Lautrec prende una dozzina di tazze da thè; Urbain de Char-rette gusta un sigaro facendo delle burle ai suoi vi-cini; Puyferrat, ex maresciallo degli alloggi ai coraz¬zieri della guardia imperiale, depone la sua grossa pipa per disegnare le batterie piemontesi o per rac¬contarci delle istorie di Tatars, che ci prega di non confondere coi Tartari; ed io, stropicciando coi go¬miti forati sulla carta, disegno il profile di questi si¬gnori, affinchè non sia perduta per la prosterità.
  • 19 gennaio 1861

    La squadra è partita un poco prima del tramonto. L'ammiraglio ha fatto salutare la bandiera reale, e la batteria Santa Maria à reso il saluto alla Francese. Ho seguito lungamente cogli occhi la Bretagne, il Fonte-noy ed i due altri vapori che sono scomparsi all'orizzonte nei vapori rosei del Ponente. Sulle stesse acque passavano i bastimenti spagnuoli, il governo di Madrid non avendo osato sostituirsi a quello dell'Imperatore Napoleone. I quattro vapori marsigliesi al servizio del Re si sono pure allontanati, si è dovuto congedarli. Il Dahome ha accettato quest'oggi ancora la missione di trasportare alla cittadella di Messina 5 o 600 donne donne e ragazzi. Un altro di questi vapori à depositato questa mane, a Terracina 250 ammalati e con valescenti. È veramente la giornata degli abbandoni. Gli ambasciatori hanno abbandonato Gaeta"; non di meno ne è restato qualcuno, sono d'Austria, di Baviera, di Sassonia ed il Nunzio. Non ho bisogno di dire che quello di Spagna è sempre costantemente al suo posto. È abbastanza interessante di sapere come le cose sono accadute. Il Re, considerando che sarebbe bloccato, e, par tendo, che non potrebbe più aver comunicazione col corpo diplomatico se si ritirasse a Roma; consideran do, inoltre, che avea bisogno di testimoni officiali della sua condotta a fronte dell'Europa, domandò a questi signori di voler restare in Gaeta. Le Eccellenze furono sorprese e sconcertate; avevano, al loro arrivo ecci tato il coraggio di S. M. e l'avevano indotto a lottare fino all'ultimo. Cambiarono subito linguaggio, obiet tarono che l'onore era salvo, ecc., ed uscirono per riflettere alla risposta che bisognava dare. Una volta fuori della casamatta reale, il capo diplomatico mani- festò vivamente la sua repulsione per il soggiorno di Gaeta. In questo stato di cose fu loro rimesso una nota in cui era reitirata in iscritto la domanda di S. M. Allora il corpo diplomatico si divise in due campi: l'uno composto da diplomatici accreditati unicamente presso la corte delle Due Sicilie; l'altro di quelli che rappresentano nello stesso tempo la loro corte presso la Santa Sede. Per questi ultimi, il pretesto di partenza era trovato, e si affrettarono di farlo valere; non vi era nulla a replicare. Quanto all'altra metà, agisce con meno unione: il Nunzio ed il ministro di Baviera si decisero i primi a restare; il ministro di Sassonia si lasciò vincere; quello di Russia dichiarò che era chiamato a Roma da affari particolari, e che là sarebbe più utile al Re; l'incaricato degli affari di Prussia affermò che nulla sarebbe capace di ritenerlo in Gaeta. Finalmente il ministro d'Austria, conte Szechèny, essendo stato biasimato del suo governo quando abbandonò Gaeta per la prima volta, ha fatto di necessità virtù; ma da questo scoglio volge lo sguardo desolato verso Roma. Le 11 suore della Carità si sono divise in tre gruppi, e sono istallate nei tre ospedali, in previsione dei feriti che andremo ad avere nella piazza.

  • 18 gennaio 1861

    Trecento malati sono stati mandati a Terracina; la maggior parte erano febbricitanti. Molta gente vuol dubitare della partenza degli ultimi due vascelli francesi; la loro illusione si dissiperà domani. Non mi sono mai ingannato a questo riguardo, e, amor proprio da parte, giudico diversamente che publico debbonario, la politica che ha tenuta la flotta francese nelle acque di Gaeta. Ecco dei sintomi certi di partenza: L'ammiraglio è andato a rendere i suoi omaggi col Re e la Regina; si è lagnato col Re che era stato dimenticato nella distribuzione dei ritratti delle LL. MM. fatta recentemente a diversi ufficiali della squadra, ed ha detto che ne era geloso. Il Re si è benignato offrirgliene due dei migliori. Questi ritratti hanno al rovescio la firma delle di LL. MM. Gli ufficiali che ne sono stati gratificati sono: Sig. Gisquel des Touches, capo dello stato-maggiore dell'ammiraglio; l'abbate Bourgade, elemosiniere in capo della squadra; Signor Bastard, aiutante di campo dell'ammiraglio; il medico in capo che ne ignoro il nome; il capitano di fregata Conte Missiessy, comandante del Prony; il visconte di Gran-cey tenente di vascello; Signor di la Suchette, tenente di vascello; Signor Vavin, alfiere di vascello. Questi signori debbono un tal favore alla Regina. Certamente vi erano sulla squadra altri ufficiali le di cui simpatie sono acquistate alla causa di Francesco II; ma era difficile operare una specie di enumerazione. Devo pure aggiungere, affinchè i miei complimenti non imbarazzino alcuno che un certo numero d'ufficiali della marina francese sono più o meno imbevuti d'idee rivoluzionarie e fanno voti per la caduta di Gaeta. Il signor di Tinan è andato pure a visitare le suore della Carità all'ospedale; era visibilmente commosso. Congedandosi da queste dame, ha detto loro : « Non è solamente per il Re e la Regina che bisogna pregare; sorelle mie, pregate ancora per la Francia che ne ha gran bisogno! » Il signor di Tinan à dato alle religiose una vacca, come pure differente provvisioni per loro uso individuale e quello degli ammalati. Molte volte, durante il suo soggiorno nelle acque di Gaeta, i signor di Tinan avea di sua propria borsa sollevato i feriti dell'armata napoletana. Il signor Gisquel des Touches avendo dovuto vedere quest'oggi il generale Cialdini, questi ha affettata la più bella sicurezza; ha espresso che non aveva niuna inquietudine sulla riuscita dell'assedio, ed ha detto « avere 10.000 uomini di più che non sapea cosa farne ».

  • Fonte:150Gaeta.org

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