sabato 29 gennaio 2011

FIGLIO DI PARTITO - Il diario segreto della DC siciliana

di Marzio Tristano

C'era una volta (e forse c'è ancora) in Sicilia un allevamento di "talpe istituzionali", carabinieri e poliziotti pronti a tradire la divisa per fornire notizie top secret ai politici inquisiti.
E una stanza in una anonima palazzina dell'agrigentino con centinaia di miliardi in contanti, la "cassa continua" di una corrente Dc a disposizione "per tutte le esigenze". C'era una volta anche un "tesoro" personale, supermercati, alberghi, ville, terreni, yacht e imprese, di un deputato ufficialmente morto povero, affidati a prestanome che invece di consegnarlo alla famiglia hanno pensato bene di tenerlo. E quando il figlio ne ha chiesto la restituzione si è sentito rispondere da uno dei migliori amici di papà che il problema poteva essere risolto da un latitante mafioso.

Per questo Alfonso Sciangula, 33 anni, figlio di Totò, potente deputato Dc morto per un infarto a Palermo nell'aula dell'assemblea regionale il primo giugno del 1995, un giorno è entrato in procura, a Palermo, a raccontare tutti i segreti di quella lobby politico-affaristica, con convinte simpatie mafiose. Tutto, o quasi. Il resto lo ha descritto in un libro non ancora uscito, improvvisamente conteso dalla Sicilia che conta.
Perché dentro ci sono, condite da soprannomi di personaggi riconoscibilissimi, le storie sommerse e illegali di un sistema di potere governato dal padre e raccontato dall'interno dagli occhi di un ragazzino che fin da piccolo si nascondeva dietro le tende di casa per ascoltare i discorsi dei "grandi". Spunti di indagine annidati in ogni pagina, aneddoti inediti sui retroscena della politica regionale ma anche nazionale, come la cena organizzata dal padre la sera della votazione del primo governo Berlusconi per impedire che un senatore dell'opposizione andasse in aula a votare contro.

L'operazione riuscì e Berlusconi, racconta il giovane Sciangula, chiese: "Onorevole, come posso ringraziarla?". "Per adesso, con una stretta di mano", rispose sornione il genitore. Ringraziamenti evidentemente attesi anche da un altro big della politica siciliana, per il quale il giovane "figlio del sistema" fu chiamato a votare dal padre, nonostante fosse esponente di una corrente acerrima nemica: "Papà si portò il dito indice alle labbra, mimando il segno del silenzio - scrive l'autore - quel giovane candidato, sbarcato dal mondo della medicina radiologica, si chiamava Salvatore Cuffaro e da lì ne avrebbe fatta di strada... ".

Oggi Alfonso Sciangula è testimone in un processo per riciclaggio della Dda, è stato sentito anche nell'inchiesta contro il deputato carabiniere accusato di mafia Antonio Borzacchelli, e vive lontano dalla Sicilia alimentando il suo blog "Contromafia" su Internet. La sua famiglia lo ha preso per pazzo, gli amici si sono dileguati: "Dicono che chi cerca la verità è un pazzo che vuole essere ammazzato - scrive - e prima o poi finirà che mi ammazzeranno davvero, e quindi questo libro è il mio testamento storico che voglio lasciare in eredità a tutti i bambini bravi e curiosi come me".

Le 120 pagine di "Figlio di partito" (Armando Siciliano editore) sono lo sconvolgente affresco del sistema di potere politico mafioso in Sicilia raccontato dall'interno, dagli occhi di un ragazzino curioso e determinato: "Gli amici di papà non mi hanno dato molta scelta - scrive - o con loro o contro di loro: tertium non datur". Con alcune rivelazioni sorprendenti che spiegano le inchieste di questi ultimi mesi condotte dalla procura su mafia e politica: ecco saltare fuori, infatti, la rete di "talpe" istituzionali, pronte ad informare politici ed imprenditori degli sviluppi di ogni inchiesta. Papà e i suoi amici le allevavano in laboratorio: "Prima una villetta, tutto spesato, magari vicino casa dell'allevatore - scrive - poi la macchina a prezzo di favore, un bel posto di lavoro alla moglie, la destinazione ad altro incarico fino ad arrivare a venti milioni al mese, "come un senatore" sentivo dire". Nomi nel libro non ne fa, ma offre qualche indicazione: "Alcune di queste persone le ho incontrate dopo, sono state premiate, hanno cambiato mestiere, hanno fatto il salto tre gradini alla volta in ciò aiutate da chi ha ereditato il testimone di quel sistema. Anche questo si eredita in politica. Una, nome in codice Paolo, si è fatta una di quelle salitone a rifarla una persona normale ci mette tre generazioni che uno si chiede: ma come avrà fatto?".
Tra campagne elettorali condotte a colpi di buoni benzina, vacanze tra Saint Moritz e Porto Cervo con ministri e sottosegretari, bacchettate ai falsi moralisti dc e degli altri partiti, anche dell'opposizione, orologi da 50 milioni di vecchie lire finiti nelle tasche di funzionari corrotti e altri regali improvvisamente spariti nel calderone dell'occultamento delle prove, corrieri carichi di valigie stracolme di miliardi dirette in Svizzera, il teatrino della politica siciliana va in scena nel libro del giovane "figlio di partito" che racconta anche Cosa Nostra, per averla vista da vicino, sempre a braccetto, oggi come ieri, del potere politico: "La mafia è formata da due tipologie di persone: quelle che pensano e quelle che uccidono. Quelle che pensano difficilmente finiscono in galera e mai per reati di mafia, quelle che uccidono si, oppure si danno alla latitanza o muoiono ammazzati.
Ed è questa l'unica differenza".

Una mafia respirata in casa sin da bambino: "Una volta un amico di papà colpì il figlio con un ceffone perchè aveva pronunciato la parola "mafia". Chi ti ha insegnato queste stronzate?, gli chiese. Io ci rimasi molto male, perchè quella parola gliel'avevo insegnata io". "Ora mi dicono che sono cascittuni, muffutu, sbirro, Buscetta e tragediaturi, parole che vogliono dire che parlo troppo - conclude il giovane autore - e questo è il racconto di un tragediatore, perchè in Sicilia chi dice la verità è sovente definito così. Ma ci sono tragediatori laddove sussistono i presupposti per le tragedie...".

Fonte: l'Unità

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di Marzio Tristano

C'era una volta (e forse c'è ancora) in Sicilia un allevamento di "talpe istituzionali", carabinieri e poliziotti pronti a tradire la divisa per fornire notizie top secret ai politici inquisiti.
E una stanza in una anonima palazzina dell'agrigentino con centinaia di miliardi in contanti, la "cassa continua" di una corrente Dc a disposizione "per tutte le esigenze". C'era una volta anche un "tesoro" personale, supermercati, alberghi, ville, terreni, yacht e imprese, di un deputato ufficialmente morto povero, affidati a prestanome che invece di consegnarlo alla famiglia hanno pensato bene di tenerlo. E quando il figlio ne ha chiesto la restituzione si è sentito rispondere da uno dei migliori amici di papà che il problema poteva essere risolto da un latitante mafioso.

Per questo Alfonso Sciangula, 33 anni, figlio di Totò, potente deputato Dc morto per un infarto a Palermo nell'aula dell'assemblea regionale il primo giugno del 1995, un giorno è entrato in procura, a Palermo, a raccontare tutti i segreti di quella lobby politico-affaristica, con convinte simpatie mafiose. Tutto, o quasi. Il resto lo ha descritto in un libro non ancora uscito, improvvisamente conteso dalla Sicilia che conta.
Perché dentro ci sono, condite da soprannomi di personaggi riconoscibilissimi, le storie sommerse e illegali di un sistema di potere governato dal padre e raccontato dall'interno dagli occhi di un ragazzino che fin da piccolo si nascondeva dietro le tende di casa per ascoltare i discorsi dei "grandi". Spunti di indagine annidati in ogni pagina, aneddoti inediti sui retroscena della politica regionale ma anche nazionale, come la cena organizzata dal padre la sera della votazione del primo governo Berlusconi per impedire che un senatore dell'opposizione andasse in aula a votare contro.

L'operazione riuscì e Berlusconi, racconta il giovane Sciangula, chiese: "Onorevole, come posso ringraziarla?". "Per adesso, con una stretta di mano", rispose sornione il genitore. Ringraziamenti evidentemente attesi anche da un altro big della politica siciliana, per il quale il giovane "figlio del sistema" fu chiamato a votare dal padre, nonostante fosse esponente di una corrente acerrima nemica: "Papà si portò il dito indice alle labbra, mimando il segno del silenzio - scrive l'autore - quel giovane candidato, sbarcato dal mondo della medicina radiologica, si chiamava Salvatore Cuffaro e da lì ne avrebbe fatta di strada... ".

Oggi Alfonso Sciangula è testimone in un processo per riciclaggio della Dda, è stato sentito anche nell'inchiesta contro il deputato carabiniere accusato di mafia Antonio Borzacchelli, e vive lontano dalla Sicilia alimentando il suo blog "Contromafia" su Internet. La sua famiglia lo ha preso per pazzo, gli amici si sono dileguati: "Dicono che chi cerca la verità è un pazzo che vuole essere ammazzato - scrive - e prima o poi finirà che mi ammazzeranno davvero, e quindi questo libro è il mio testamento storico che voglio lasciare in eredità a tutti i bambini bravi e curiosi come me".

Le 120 pagine di "Figlio di partito" (Armando Siciliano editore) sono lo sconvolgente affresco del sistema di potere politico mafioso in Sicilia raccontato dall'interno, dagli occhi di un ragazzino curioso e determinato: "Gli amici di papà non mi hanno dato molta scelta - scrive - o con loro o contro di loro: tertium non datur". Con alcune rivelazioni sorprendenti che spiegano le inchieste di questi ultimi mesi condotte dalla procura su mafia e politica: ecco saltare fuori, infatti, la rete di "talpe" istituzionali, pronte ad informare politici ed imprenditori degli sviluppi di ogni inchiesta. Papà e i suoi amici le allevavano in laboratorio: "Prima una villetta, tutto spesato, magari vicino casa dell'allevatore - scrive - poi la macchina a prezzo di favore, un bel posto di lavoro alla moglie, la destinazione ad altro incarico fino ad arrivare a venti milioni al mese, "come un senatore" sentivo dire". Nomi nel libro non ne fa, ma offre qualche indicazione: "Alcune di queste persone le ho incontrate dopo, sono state premiate, hanno cambiato mestiere, hanno fatto il salto tre gradini alla volta in ciò aiutate da chi ha ereditato il testimone di quel sistema. Anche questo si eredita in politica. Una, nome in codice Paolo, si è fatta una di quelle salitone a rifarla una persona normale ci mette tre generazioni che uno si chiede: ma come avrà fatto?".
Tra campagne elettorali condotte a colpi di buoni benzina, vacanze tra Saint Moritz e Porto Cervo con ministri e sottosegretari, bacchettate ai falsi moralisti dc e degli altri partiti, anche dell'opposizione, orologi da 50 milioni di vecchie lire finiti nelle tasche di funzionari corrotti e altri regali improvvisamente spariti nel calderone dell'occultamento delle prove, corrieri carichi di valigie stracolme di miliardi dirette in Svizzera, il teatrino della politica siciliana va in scena nel libro del giovane "figlio di partito" che racconta anche Cosa Nostra, per averla vista da vicino, sempre a braccetto, oggi come ieri, del potere politico: "La mafia è formata da due tipologie di persone: quelle che pensano e quelle che uccidono. Quelle che pensano difficilmente finiscono in galera e mai per reati di mafia, quelle che uccidono si, oppure si danno alla latitanza o muoiono ammazzati.
Ed è questa l'unica differenza".

Una mafia respirata in casa sin da bambino: "Una volta un amico di papà colpì il figlio con un ceffone perchè aveva pronunciato la parola "mafia". Chi ti ha insegnato queste stronzate?, gli chiese. Io ci rimasi molto male, perchè quella parola gliel'avevo insegnata io". "Ora mi dicono che sono cascittuni, muffutu, sbirro, Buscetta e tragediaturi, parole che vogliono dire che parlo troppo - conclude il giovane autore - e questo è il racconto di un tragediatore, perchè in Sicilia chi dice la verità è sovente definito così. Ma ci sono tragediatori laddove sussistono i presupposti per le tragedie...".

Fonte: l'Unità

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