lunedì 14 dicembre 2009
La parabola della tesi di laurea
di Lino Patruno
Seduta di laurea, una facoltà qualsiasi, Università di Bari. Solita atmosfera febbrile, parenti e amici dei laureandi, fiori, regalini, spumante, foto, videocamere. Bisogna osservare questo pubblico per capire i valori, le attese, le speranze della gente del Sud.
Sono vestiti a festa come s’usa qui per dare dignità all’occasione. Vestiti a festa con lo stesso stile alla buona ma pulito dello struscio domenicale dei nostri paesi: gli anziani fuori moda e infagottati, i giovani stampati in serie nella globalizzazione dei jeans. E ci sono volti che non hanno mai visto un’aula magna, ma dai quali si capisce che quell’aula magna è un simbolo di riscatto, il figlio dottore da sbandierare con orgoglio. E parlate quasi tutte della grande provincia, perché quelli della città vanno a studiare fuori, forse anticipano una scelta o una necessità di vita lontano da casa.
Né i laureandi tradiscono lo scenario. Quasi tutti pendolari: fatica, alzatacce, treni. E a parte gli esami, bisogna averli seguiti nella preparazione della tesi per capire la tenacia, la voglia di far bene, il commovente desiderio di compensare se stessi e i loro genitori. E sempre una cosa da aggiungere all’ultimo momento, e un libro che non si trova né qualcuno che li aiuti a trovarlo, e insonnie. E la petulanza ansiosa delle vigilie, professore qua professore là. E meglio così, si vede che ci tengono, che vogliono arrivare. Dottore. Dottoressa.
Finché il giorno della tesi è il giorno della sacralità, nonostante il progresso e il cambio dei costumi specie da noi è fra gli appuntamenti della vita come la prima comunione, la maturità, il fidanzamento, il matrimonio quando sarà. Date le materie delle tesi, quasi tutti hanno preparato il power point, diapositive e immagini a corredo. Ma così per caso, nell’attesa che la commissione sia al completo, vengono a sapere che quel pomeriggio i computer non funzionano. Piccola tragedia, per alcuni è il panico, dover improvvisare avendo organizzato ben altro. Ma il peggio è che pare non importare nulla a nessuno, nessuno che provi a fare qualcosa, io l’avevo detto, io avevo avvertito, più un rimbalzare di accuse che una soluzione. La solita fatalità, il destino.
Così i ragazzi sono costretti a rendere meno di quanto possano, fossero stati in altre condizioni avrebbero dimostrato di non essere secondi a nessuno. Che fare se non adeguarsi intristiti più che reagire? Del resto, se nessuno se ne preoccupa ancora, domani sarà lo stesso, come programmare in questa situazione? Speriamo che non succeda. Altro affidamento al destino. E altre condizioni in cui anche i talenti, le volontà, l’ostinato studio rischiano la beffa, riecheggia il disgraziato «chi te lo fa fare». Nell’ammorbato clima di indifferenza quasi generale, così deve andare, inutile ribellarsi quando servirebbe che si alzasse qualcuno a dire: io non ci sto.
Quella seduta di laurea è una parabola della Questione Meridionale. Spiega perché la sensazione è che qui non cambi mai niente, anzi non solo la sensazione. Spiega perché il Sud sembra una terra senza valore mentre i meridionali esplodono di valore ovunque vadano. Spiega perché l’assuefazione è il morbo più insidioso, la resa verso qualcosa che sembra immodificabile. Spiega l’abbandono di chi ci ha creduto ma poi si lascia andare, va altrove o vivacchia qui, magari aguzzando la furbizia più che il perduto senso civico. Spiega perché magari un domani i ragazzi, di fronte a imprevisti che una cura più vigile dovrebbe escludere, per le tesi non arrischieranno più, abbasseranno giocoforza il livello del loro rendimento, a danno di un Sud che avrebbe bisogno di crescere soprattutto coi suoi giovani. Spiega tante cose più di mille dibattiti.
Prevedibile la reazione: è stato solo un episodio. Non la facciamo grossa. È vero. Ma la vita sudista di ogni giorno è costellata di tanti piccoli episodi di inefficienza, di disorganizzazione, di disattenzione che mortificano, e ingiustamente, i meridionali per primi. E attirano su di loro la taccia di piagnoni incapaci e in eterna attesa che qualcuno risolva i loro problemi. Meridionali invece piccoli eroi di ingegno e di sopravvivenza, traditi sempre da una pigrizia ambientale di cui sono un po’ protagonisti un po’ vittime.
Quei ragazzi si sono laureati ugualmente, anche se con un velo di amarezza per ciò che poteva essere e non è stato. E la delusione dei giovani non promette nulla di buono, specie se aggiunta alla successiva via crucis dei curriculum e della ricerca di un lavoro. I loro parenti e amici se ne sono tornati a casa ignari e contenti per un figlio o una figlia che hanno fatto un passo in avanti. Quei computer chissà quando funzioneranno fra io l’avevo detto, io avevo avvertito. Ma un passo in avanti non lo ha fatto il Sud, sempre mortificato dalla maledizione di una presa che non funziona, di un cavetto che non si trova.
Fonte:LaGazzettadel Mezzogiorno
Segnalazione ASDS
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di Lino Patruno
Seduta di laurea, una facoltà qualsiasi, Università di Bari. Solita atmosfera febbrile, parenti e amici dei laureandi, fiori, regalini, spumante, foto, videocamere. Bisogna osservare questo pubblico per capire i valori, le attese, le speranze della gente del Sud.
Sono vestiti a festa come s’usa qui per dare dignità all’occasione. Vestiti a festa con lo stesso stile alla buona ma pulito dello struscio domenicale dei nostri paesi: gli anziani fuori moda e infagottati, i giovani stampati in serie nella globalizzazione dei jeans. E ci sono volti che non hanno mai visto un’aula magna, ma dai quali si capisce che quell’aula magna è un simbolo di riscatto, il figlio dottore da sbandierare con orgoglio. E parlate quasi tutte della grande provincia, perché quelli della città vanno a studiare fuori, forse anticipano una scelta o una necessità di vita lontano da casa.
Né i laureandi tradiscono lo scenario. Quasi tutti pendolari: fatica, alzatacce, treni. E a parte gli esami, bisogna averli seguiti nella preparazione della tesi per capire la tenacia, la voglia di far bene, il commovente desiderio di compensare se stessi e i loro genitori. E sempre una cosa da aggiungere all’ultimo momento, e un libro che non si trova né qualcuno che li aiuti a trovarlo, e insonnie. E la petulanza ansiosa delle vigilie, professore qua professore là. E meglio così, si vede che ci tengono, che vogliono arrivare. Dottore. Dottoressa.
Finché il giorno della tesi è il giorno della sacralità, nonostante il progresso e il cambio dei costumi specie da noi è fra gli appuntamenti della vita come la prima comunione, la maturità, il fidanzamento, il matrimonio quando sarà. Date le materie delle tesi, quasi tutti hanno preparato il power point, diapositive e immagini a corredo. Ma così per caso, nell’attesa che la commissione sia al completo, vengono a sapere che quel pomeriggio i computer non funzionano. Piccola tragedia, per alcuni è il panico, dover improvvisare avendo organizzato ben altro. Ma il peggio è che pare non importare nulla a nessuno, nessuno che provi a fare qualcosa, io l’avevo detto, io avevo avvertito, più un rimbalzare di accuse che una soluzione. La solita fatalità, il destino.
Così i ragazzi sono costretti a rendere meno di quanto possano, fossero stati in altre condizioni avrebbero dimostrato di non essere secondi a nessuno. Che fare se non adeguarsi intristiti più che reagire? Del resto, se nessuno se ne preoccupa ancora, domani sarà lo stesso, come programmare in questa situazione? Speriamo che non succeda. Altro affidamento al destino. E altre condizioni in cui anche i talenti, le volontà, l’ostinato studio rischiano la beffa, riecheggia il disgraziato «chi te lo fa fare». Nell’ammorbato clima di indifferenza quasi generale, così deve andare, inutile ribellarsi quando servirebbe che si alzasse qualcuno a dire: io non ci sto.
Quella seduta di laurea è una parabola della Questione Meridionale. Spiega perché la sensazione è che qui non cambi mai niente, anzi non solo la sensazione. Spiega perché il Sud sembra una terra senza valore mentre i meridionali esplodono di valore ovunque vadano. Spiega perché l’assuefazione è il morbo più insidioso, la resa verso qualcosa che sembra immodificabile. Spiega l’abbandono di chi ci ha creduto ma poi si lascia andare, va altrove o vivacchia qui, magari aguzzando la furbizia più che il perduto senso civico. Spiega perché magari un domani i ragazzi, di fronte a imprevisti che una cura più vigile dovrebbe escludere, per le tesi non arrischieranno più, abbasseranno giocoforza il livello del loro rendimento, a danno di un Sud che avrebbe bisogno di crescere soprattutto coi suoi giovani. Spiega tante cose più di mille dibattiti.
Prevedibile la reazione: è stato solo un episodio. Non la facciamo grossa. È vero. Ma la vita sudista di ogni giorno è costellata di tanti piccoli episodi di inefficienza, di disorganizzazione, di disattenzione che mortificano, e ingiustamente, i meridionali per primi. E attirano su di loro la taccia di piagnoni incapaci e in eterna attesa che qualcuno risolva i loro problemi. Meridionali invece piccoli eroi di ingegno e di sopravvivenza, traditi sempre da una pigrizia ambientale di cui sono un po’ protagonisti un po’ vittime.
Quei ragazzi si sono laureati ugualmente, anche se con un velo di amarezza per ciò che poteva essere e non è stato. E la delusione dei giovani non promette nulla di buono, specie se aggiunta alla successiva via crucis dei curriculum e della ricerca di un lavoro. I loro parenti e amici se ne sono tornati a casa ignari e contenti per un figlio o una figlia che hanno fatto un passo in avanti. Quei computer chissà quando funzioneranno fra io l’avevo detto, io avevo avvertito. Ma un passo in avanti non lo ha fatto il Sud, sempre mortificato dalla maledizione di una presa che non funziona, di un cavetto che non si trova.
Fonte:LaGazzettadel Mezzogiorno
Segnalazione ASDS
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