domenica 29 novembre 2009

Nord ladrone


Appalti edili e impianti di produzione: così le risorse destinate al Mezzogiorno sono finite nelle tasche dei settentrionali


Maria Rosaria Marchesano
da http://www.denaro.it/




"Ma quale Sud parassita! Se c'è qualcuno che si è arricchito con i soldi dell'intervento straordinario questo è proprio il Nord. E vi dimostro come: Tre anni fa ho impiantato a Calitri, in provincia di Avellino, una nuova azienda per la produzione di un particolare tipo di filato per i jeans.

Ho speso in tutto 65 miliardi di cui 35 mi sono stati assegnati dai fondi che la legge 219 per la ricostruzione aveva stanziato per l'industrializzazione delle aree del cratere. Sapete come li ho spesi quei soldi? Più della metà sono serviti per macchinari e impianti per tessitura, filatura e tintoria acquistati da industrie del Nord, soprattutto lombarde".

Gianni Lettieri è un industriale napoletano a capo di un gruppo con interessi che vanno dal tessile al meccanico con settecento dipendenti e un fatturato complessivo di oltre 200 miliardi. L'etichetta di "assistiti", "mangia-soldi" e "sottosviluppati" con le quali Umberto Bossi e la Lega Nord hanno in questi giorni bollato gli imprenditori meridionali, proprio non gli sta bene.

Così come non sta bene a tutti gli altri imprenditori meridionali che negli ultimi quindici anni avrebbero, secondo la tesi leghista, usufruito delle migliaia di miliardi "sottratti" alle regioni settentrionali ricche e produttive. A smentire il teorema "Nord-produce, Sud-mangia" sono quindi proprio le testimonianze dei protagonisti di storie di fondi destinati al Mezzogiorno e poi ritornati al Nord. In che modo? Per esempio, con l'acquisto di impianti e macchinari: più della metà dei contributi pubblici erogati negli ultimi quindici anni alle imprese meridionali sono stati spesi in regioni come la Lombardia, il Veneto, Il Piemonte, dove appunto si producono i beni produttivi di cui le aree del Mezzogiorno sono sfornite.

Non solo. In molti casi i gruppi industriali settentrionali hanno usufruito direttamente delle risorse finanziarie stanziate dallo Stato aggiudicandosi gli appalti della ricostruzione oppure impiantando stabilimenti produttivi con contributi a fondo perduto. Fatta pari, dunque, a cento lire la somma spesa complessivamente, si può dire che 70 in un modo o nell'altro sono ritornate al Nord e solo 30 sono rimaste nelle aree del Mezzogiorno: una quota minima che, come è stato più volte sottolineato, poteva e doveva essere utilizzata meglio.

Ciò non toglie, però, che si tratta solo di una fetta di quella "pioggia di finanziamenti" in nome della quale la Lega chiede la secessione.

L'AFFARE CRATERE

Uno degli esempi più efficaci della ricaduta al Nord dei fondi stanziati nel Mezzogiorno è rappresentata dalla reindustrializzazione delle aree del cratere. La legge 219 e successivamente la 120 insieme hanno stanziato circa 2900 miliardi per la nascita di nuove realtà produttive e per la delocalizzazione e ristrutturazione di quelle danneggiate. Si calcola che per impianti, macchinari, tecnologie e scorte sono stati spesi complessivamente 1.500 miliardi.

Dove sono finiti questi soldi? Ha comprato impianti per 10 miliardi nel Nord-est Tommaso Iavarone, imprenditore con interessi prevalenti nel settore del legno a capo di un gruppo che fattura oltre 100 miliardi. "La mia azienda - afferma Iavarone - produce semilavorati in legno per serramenti, imballaggi e arredamenti che vengono acquistati in gran parte da ditte settentrionali che prima dovevano rifornirsi all'estero sostenendo maggiori costi".

Un'esperienza simile l'ha fatta la Smada, azienda del gruppo elettromeccanico di Antonio Verderosa, presidente dell'Unione industriali di Avellino (tre imprese in tutto per un volume d'affari di 15 miliardi). "Siamo importatori di know how da varie regioni del Nord - afferma Carmen Verderosa, figlia di Antonio e direttamente impegnata nell'azienda nata con i fondi del dopo sisma con un finanziamento di 4 miliardi - Abbiamo speso e continuiamo a spendere fior di quattrini in Lombardia e Veneto, soprattutto.

Sinceramente non capisco proprio perchè al Nord si ostinino a dire che gli stanziamenti per il dopo terremoto non siano serviti per lo sviluppo se i primi a guadagnarci sono stati loro". Dalle industrie lombarde ha acquistato macchinari e attrezzature anche la Palcitric, del gruppo chimico-oleario Palfin dei fratelli Antimo, Francesco e Abele Palma (200 miliardi di fatturato e trecentocinquanta dipendenti).

La Palcitric produce acido citrico (è tra i primi otto produttori mondiali del settore) ed è costata 80 miliardi in tutto con contributo pubblico di 35 miliardi). Diciassette miliardi sono stati investiti per la costruzione dei fabbricati industriali, il resto per impianti di distillazione prodotti, appunto, al Nord.

Imprese mai nate

L'esperienza della Palfin è significativa anche per un altro motivo: il gruppo è tra quelli che ha beneficiato delle risorse stanziate dalla legge 64 per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. "In questo caso - spiega Antimo Palma - quasi tutti i finanziamenti ottenuti, in tutto un'ottantina di miliardi, sono stati investiti in macchinari, provenienti soprattutto da Emilia Romagna e Veneto".

La legge 64, al pari e forse più della 219, rappresenta un altro esempio di ricaduta positiva nelle regioni settentrionali di quanto è stato speso dallo Stato in quelle meridionali. E questo non solo perchè gli imprenditori meridionali hanno fatto crescere enormemente la domanda di beni strumentali ma anche perchè in molti casi i gruppi del Nord hanno aperto nuovi stabilimenti produttivi approfittando dei finanziamenti.

Nell'ultima graduatoria della legge 64 figurano per esempio una cinquantina di aziende milanesi: il salumificio Citterio, le industrie Formenti, la Magneti Marelli, le industrie Poretti, la Riva Calzoni. Numerose sono anche le aziende settentrionali che hanno impiantato stabilimenti con i fondi del dopo terremoto.

Qualche esempio? La Forneria Meridionale del gruppo Barilla di Melfi che produce merendine monodose, ha ricevuto un contributo di 18 miliardi; la Dietalat a Lioni-Nusco di proprietà della Parmalat di Calisto Tanzi (9 miliardi); la Ferrero dolciaria Sud del gruppo Ferrero insediata a Porrara (18 miliardi); la Almec di Avellino passata interamente alla Piaggio dopo una joint venture con imprenditori locali; la Nocera Umbra Sud, gruppo Giglio che opera nel settore immobiliare, finanziario e alimentare, ha percepito 34 miliardi.

Queste sono le inziative ben riuscite, quelle che realmente hanno generato reddito e occupazione. Da una ricerca svolta da Salvatore Casillo, docente di sociologia industriale all'Università di Salerno (vedere intervista) emerge che in diversi casi le imprese non sono mai nate, pur avendo incassato i gruppi di appartenenza i contributi pubblici, come si è visto dalla vicenda della toscana Agrofina finita sott'inchiesta per aver chiesto 120 miliardi e aver cessato poi le attività produttiva o quello dell'Abielle (gruppo Alleanza Farmaceutica) che ha ricevuto diversi miliardi per corsi di formazione professinale che però non ha mai svolto.

INCETTA DI APPALTI

Un capitolo a parte meritano gli appalti del terremoto. Sui centoquarantaquattro consorzi e gruppi che hanno lavorato alla ricostruzione in Campania e Basilicata, costata circa 50 mila miliardi tra infrastrutture, strade, case e impianti industriali, solo settantacinque erano realtà locali. Come dimostra il grafico (pagina 5), a fare man bassa di appalti sono state soprattutto aziende del Lazio (per esempio Condotte), Lombardia (Cogefar, Lodigiani) ed Emilia Romagna (Ccc e Cmc).

E non sono mancate neppure le imprese di costruzione del ricco Nord-est come la Furlanis, Maltauro e Del Favero. E non è finita. Sempre nello studio di Salvatore Casillo viene rivelato che dei 3. 200 miliardi spesi per la costruzione di strade e infrastrutture nelle ventuno aree industriali, solo 50 miliardi sono stati assegnati per lavori svolti da imprese avellinesi, salernitane e potentine mentre la parte del leone l'hanno fatta le costruttrici romane e milanesi.

Ma quello del dopo sisma, si sa, è uno dei capitoli più tristi della storia del Sud sul quale nemmeno l'inchiesta promossa dalla cosìddetta commissione Scalfaro e le recenti indagini di tangentopoli sono riuscite a fare piena luce. Evidentemente storture e malaffare non sono mancati ma non si può dire che alla tavola della spartizione degli appalti il Nord non si sia mai seduto.

Intervento sostitutivo

Che cosa vuol dire tutto ciò? Che le risorse finanziarie per la ricostruzione post-terremoto e le agevolazioni erogate attraverso la legge 64, hanno messo in moto meccanismi di ricaduta e moltiplicatori economici che si sono rivelati un vero affare per il sistema imprenditoriale del Centro - Nord. Come dimostra l'economista Massimo Lo Cicero in uno studio contenuto nel volume "Dal terremoto al futuro" (Electa-Napoli) solo gli incentivi offerti alle vecchie e nuove attività industriali in Campania e Basilicata hanno portato benefici, in termini di maggiore potenziale produttivo, anche nelle altre regioni meridionali (24,7), nonchè nel Centro-Nord (21,7 per cento). Inoltre, dalle cifre sui trasferimenti dallo Stato alle regioni (vedere grafico) si vede che la quota destinata al Sud nell'89 è stata complessivamente più bassa di quella finita nelle regioni centrali e settentrionali. Che significa? Che, come alcuni (pochi) economisti hanno più volte azzardato, l'intervento straordinario nel Mezzogiorno non è stato aggiuntivo a quello ordinario ma sostitutivo e che comunque è stato inferiore a quello ordinario di cui il Nord, che oggi grida alla secessione, ha regolarmente beneficiato.

Fonte:
Cavalieri di Sicilia
Leggi tutto »

Appalti edili e impianti di produzione: così le risorse destinate al Mezzogiorno sono finite nelle tasche dei settentrionali


Maria Rosaria Marchesano
da http://www.denaro.it/




"Ma quale Sud parassita! Se c'è qualcuno che si è arricchito con i soldi dell'intervento straordinario questo è proprio il Nord. E vi dimostro come: Tre anni fa ho impiantato a Calitri, in provincia di Avellino, una nuova azienda per la produzione di un particolare tipo di filato per i jeans.

Ho speso in tutto 65 miliardi di cui 35 mi sono stati assegnati dai fondi che la legge 219 per la ricostruzione aveva stanziato per l'industrializzazione delle aree del cratere. Sapete come li ho spesi quei soldi? Più della metà sono serviti per macchinari e impianti per tessitura, filatura e tintoria acquistati da industrie del Nord, soprattutto lombarde".

Gianni Lettieri è un industriale napoletano a capo di un gruppo con interessi che vanno dal tessile al meccanico con settecento dipendenti e un fatturato complessivo di oltre 200 miliardi. L'etichetta di "assistiti", "mangia-soldi" e "sottosviluppati" con le quali Umberto Bossi e la Lega Nord hanno in questi giorni bollato gli imprenditori meridionali, proprio non gli sta bene.

Così come non sta bene a tutti gli altri imprenditori meridionali che negli ultimi quindici anni avrebbero, secondo la tesi leghista, usufruito delle migliaia di miliardi "sottratti" alle regioni settentrionali ricche e produttive. A smentire il teorema "Nord-produce, Sud-mangia" sono quindi proprio le testimonianze dei protagonisti di storie di fondi destinati al Mezzogiorno e poi ritornati al Nord. In che modo? Per esempio, con l'acquisto di impianti e macchinari: più della metà dei contributi pubblici erogati negli ultimi quindici anni alle imprese meridionali sono stati spesi in regioni come la Lombardia, il Veneto, Il Piemonte, dove appunto si producono i beni produttivi di cui le aree del Mezzogiorno sono sfornite.

Non solo. In molti casi i gruppi industriali settentrionali hanno usufruito direttamente delle risorse finanziarie stanziate dallo Stato aggiudicandosi gli appalti della ricostruzione oppure impiantando stabilimenti produttivi con contributi a fondo perduto. Fatta pari, dunque, a cento lire la somma spesa complessivamente, si può dire che 70 in un modo o nell'altro sono ritornate al Nord e solo 30 sono rimaste nelle aree del Mezzogiorno: una quota minima che, come è stato più volte sottolineato, poteva e doveva essere utilizzata meglio.

Ciò non toglie, però, che si tratta solo di una fetta di quella "pioggia di finanziamenti" in nome della quale la Lega chiede la secessione.

L'AFFARE CRATERE

Uno degli esempi più efficaci della ricaduta al Nord dei fondi stanziati nel Mezzogiorno è rappresentata dalla reindustrializzazione delle aree del cratere. La legge 219 e successivamente la 120 insieme hanno stanziato circa 2900 miliardi per la nascita di nuove realtà produttive e per la delocalizzazione e ristrutturazione di quelle danneggiate. Si calcola che per impianti, macchinari, tecnologie e scorte sono stati spesi complessivamente 1.500 miliardi.

Dove sono finiti questi soldi? Ha comprato impianti per 10 miliardi nel Nord-est Tommaso Iavarone, imprenditore con interessi prevalenti nel settore del legno a capo di un gruppo che fattura oltre 100 miliardi. "La mia azienda - afferma Iavarone - produce semilavorati in legno per serramenti, imballaggi e arredamenti che vengono acquistati in gran parte da ditte settentrionali che prima dovevano rifornirsi all'estero sostenendo maggiori costi".

Un'esperienza simile l'ha fatta la Smada, azienda del gruppo elettromeccanico di Antonio Verderosa, presidente dell'Unione industriali di Avellino (tre imprese in tutto per un volume d'affari di 15 miliardi). "Siamo importatori di know how da varie regioni del Nord - afferma Carmen Verderosa, figlia di Antonio e direttamente impegnata nell'azienda nata con i fondi del dopo sisma con un finanziamento di 4 miliardi - Abbiamo speso e continuiamo a spendere fior di quattrini in Lombardia e Veneto, soprattutto.

Sinceramente non capisco proprio perchè al Nord si ostinino a dire che gli stanziamenti per il dopo terremoto non siano serviti per lo sviluppo se i primi a guadagnarci sono stati loro". Dalle industrie lombarde ha acquistato macchinari e attrezzature anche la Palcitric, del gruppo chimico-oleario Palfin dei fratelli Antimo, Francesco e Abele Palma (200 miliardi di fatturato e trecentocinquanta dipendenti).

La Palcitric produce acido citrico (è tra i primi otto produttori mondiali del settore) ed è costata 80 miliardi in tutto con contributo pubblico di 35 miliardi). Diciassette miliardi sono stati investiti per la costruzione dei fabbricati industriali, il resto per impianti di distillazione prodotti, appunto, al Nord.

Imprese mai nate

L'esperienza della Palfin è significativa anche per un altro motivo: il gruppo è tra quelli che ha beneficiato delle risorse stanziate dalla legge 64 per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. "In questo caso - spiega Antimo Palma - quasi tutti i finanziamenti ottenuti, in tutto un'ottantina di miliardi, sono stati investiti in macchinari, provenienti soprattutto da Emilia Romagna e Veneto".

La legge 64, al pari e forse più della 219, rappresenta un altro esempio di ricaduta positiva nelle regioni settentrionali di quanto è stato speso dallo Stato in quelle meridionali. E questo non solo perchè gli imprenditori meridionali hanno fatto crescere enormemente la domanda di beni strumentali ma anche perchè in molti casi i gruppi del Nord hanno aperto nuovi stabilimenti produttivi approfittando dei finanziamenti.

Nell'ultima graduatoria della legge 64 figurano per esempio una cinquantina di aziende milanesi: il salumificio Citterio, le industrie Formenti, la Magneti Marelli, le industrie Poretti, la Riva Calzoni. Numerose sono anche le aziende settentrionali che hanno impiantato stabilimenti con i fondi del dopo terremoto.

Qualche esempio? La Forneria Meridionale del gruppo Barilla di Melfi che produce merendine monodose, ha ricevuto un contributo di 18 miliardi; la Dietalat a Lioni-Nusco di proprietà della Parmalat di Calisto Tanzi (9 miliardi); la Ferrero dolciaria Sud del gruppo Ferrero insediata a Porrara (18 miliardi); la Almec di Avellino passata interamente alla Piaggio dopo una joint venture con imprenditori locali; la Nocera Umbra Sud, gruppo Giglio che opera nel settore immobiliare, finanziario e alimentare, ha percepito 34 miliardi.

Queste sono le inziative ben riuscite, quelle che realmente hanno generato reddito e occupazione. Da una ricerca svolta da Salvatore Casillo, docente di sociologia industriale all'Università di Salerno (vedere intervista) emerge che in diversi casi le imprese non sono mai nate, pur avendo incassato i gruppi di appartenenza i contributi pubblici, come si è visto dalla vicenda della toscana Agrofina finita sott'inchiesta per aver chiesto 120 miliardi e aver cessato poi le attività produttiva o quello dell'Abielle (gruppo Alleanza Farmaceutica) che ha ricevuto diversi miliardi per corsi di formazione professinale che però non ha mai svolto.

INCETTA DI APPALTI

Un capitolo a parte meritano gli appalti del terremoto. Sui centoquarantaquattro consorzi e gruppi che hanno lavorato alla ricostruzione in Campania e Basilicata, costata circa 50 mila miliardi tra infrastrutture, strade, case e impianti industriali, solo settantacinque erano realtà locali. Come dimostra il grafico (pagina 5), a fare man bassa di appalti sono state soprattutto aziende del Lazio (per esempio Condotte), Lombardia (Cogefar, Lodigiani) ed Emilia Romagna (Ccc e Cmc).

E non sono mancate neppure le imprese di costruzione del ricco Nord-est come la Furlanis, Maltauro e Del Favero. E non è finita. Sempre nello studio di Salvatore Casillo viene rivelato che dei 3. 200 miliardi spesi per la costruzione di strade e infrastrutture nelle ventuno aree industriali, solo 50 miliardi sono stati assegnati per lavori svolti da imprese avellinesi, salernitane e potentine mentre la parte del leone l'hanno fatta le costruttrici romane e milanesi.

Ma quello del dopo sisma, si sa, è uno dei capitoli più tristi della storia del Sud sul quale nemmeno l'inchiesta promossa dalla cosìddetta commissione Scalfaro e le recenti indagini di tangentopoli sono riuscite a fare piena luce. Evidentemente storture e malaffare non sono mancati ma non si può dire che alla tavola della spartizione degli appalti il Nord non si sia mai seduto.

Intervento sostitutivo

Che cosa vuol dire tutto ciò? Che le risorse finanziarie per la ricostruzione post-terremoto e le agevolazioni erogate attraverso la legge 64, hanno messo in moto meccanismi di ricaduta e moltiplicatori economici che si sono rivelati un vero affare per il sistema imprenditoriale del Centro - Nord. Come dimostra l'economista Massimo Lo Cicero in uno studio contenuto nel volume "Dal terremoto al futuro" (Electa-Napoli) solo gli incentivi offerti alle vecchie e nuove attività industriali in Campania e Basilicata hanno portato benefici, in termini di maggiore potenziale produttivo, anche nelle altre regioni meridionali (24,7), nonchè nel Centro-Nord (21,7 per cento). Inoltre, dalle cifre sui trasferimenti dallo Stato alle regioni (vedere grafico) si vede che la quota destinata al Sud nell'89 è stata complessivamente più bassa di quella finita nelle regioni centrali e settentrionali. Che significa? Che, come alcuni (pochi) economisti hanno più volte azzardato, l'intervento straordinario nel Mezzogiorno non è stato aggiuntivo a quello ordinario ma sostitutivo e che comunque è stato inferiore a quello ordinario di cui il Nord, che oggi grida alla secessione, ha regolarmente beneficiato.

Fonte:
Cavalieri di Sicilia

Nessun commento:

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India