Di Stefano Folli
C' e' una data, l' 8 settembre 1943, che pesa ancora sulla storia d' Italia come un macigno insostenibile. E, per la Repubblica che consuma la sua malinconica crisi, quel giorno lontano di cinquant' anni fa, vale come un peccato originale dai contorni oscuri e inquietanti. Certo, il tempo e' passato e sull' 8 settembre si e' scritto molto. La polvere degli anni e' calata sulle passioni e sulle lacerazioni. I protagonisti di allora sono quasi tutti morti (tranne uno: il generale Marchesi, che fu aiutante di Ambrosio e visse tutte le fasi dell' armistizio, compreso il famoso Consiglio della Corona convocato dal Re il giorno fatidico, mentre gia' Radio Londra diffondeva nel mondo la notizia della firma). Ma se gli aspetti militari della disfatta sono stati in buona misura chiariti, cio' non significa che nuovi documenti non siano utili per gettare luce su qualche aspetto ancora in ombra della nostra tragedia nazionale. E' il caso del prezioso lavoro svolto da Elena Aga Rossi, una storica di grande rigore che ha appena pubblicato per l' Ufficio centrale per i Beni Archivistici una raccolta intitolata "L' inganno reciproco, cambiano i fatti e le interpretazioni". Il numero di Panorama ora in edicola da' ampio risalto, in un articolo di Giorgio Fabre, ai documenti trovati dalla ricercatrice.
In particolare risulta non rispondente a verita' che Pietro Badoglio, il successore di Mussolini dopo il 25 luglio, ignorasse prima dell' 8 settembre che gli alleati si preparavano a sbarcare nei pressi di Salerno. Il vecchio maresciallo aveva in seguito sempre negato di sapere dell' operazione alleata, ipotizzando piuttosto uno sbarco a nord di Roma. Di conseguenza, era la tesi di Badoglio, la difesa di Roma risultava impossibile, in mancanza di informazioni certe sulle mosse alleate. Ora il materiale raccolto da Elena Aga Rossi (un resoconto del ministro della Marina De Courten e un promemoria scritto dal comando supremo italiano per il generale Castellano) dimostrano che della decisione alleata di sbarcare a Salerno erano a conoscenza in molti, e certo anche Badoglio.
Del resto non e' la prima volta che il collasso dell' 8 settembre ' 43 e' associato a storie di intrighi e menzogne. Una vicenda in cui gli italiani, in preda al panico, cercano di ingannare tutti, tedeschi e americani. E in cui questi ultimi, insieme agli inglesi, fanno anche loro un po' di doppio gioco, in quanto non si fidano per nulla del nuovo alleato. Ragion per cui "sequestrano" uno degli emissari di Roma, il generale Zanussi, che era venuto a conoscenza delle clausole vere, e draconiane, dell' armistizio che Castellano nelle stesse ore firmava a Cassibile. Riflesso di un contrasto interno al fronte alleato fra il comando inglese e quello americano, quest' ultimo assai piu' scettico circa l' affidabilita' italiana. I documenti anticipati da Panorama adombrano, a questo proposito, anche l' ipotesi che la stessa fuga da Roma di Vittorio Emanuele, del principe ereditario, di Badoglio e dei capi di stato maggiore sia avvenuta con il consenso dei tedeschi, in particolare del generale Kesserling.
Non e' un sospetto del tutto nuovo, per la verita' : gia' in passato e' stato avanzato, senza prove convincenti, per spiegare le ragioni della mancata difesa di Roma. In sostanza si sarebbe trattato di un baratto fra italiani e tedeschi. E' certo eccessivo sostenere che la storia dell' 8 settembre debba essere riscritta alla luce di questo materiale. Anche se di sicuro esso aiuta a capire meglio il senso tragico di quelle giornate. Quella catastrofe "non ha analogie con altre vicende europee", come ha ricordato Renzo De Felice in un' intervista al Corriere del 10 agosto che ha innescato il dibattito. La tesi di De Felice e' che "nel settembre del ' 43 e' la stessa nazione che sprofonda nella voragine e non si risolleva piu' ". Qui e' il vizio d' origine che poi la Repubblica non ha sanato, anche perche' la guerra civile ' 43 45 ha coinvolto solo le minoranze, il grosso della popolazione ne e' rimasto estraneo. Poi, nel dopoguerra, il paese non ha piu' ritrovato una reale identita' nazionale, si e' diviso in varie famiglie politiche oppure si e' racchiuso dentro le "piccole patrie" locali. Qui e' il nocciolo della "questione italiana". Ed e' questo che rende il cinquantenario dell' 8 settembre una data da ricordare soprattutto per i suoi risvolti politici. Certe analisi, che non erano possibili trenta o anche solo dieci anni fa, sono possibili oggi.
A questa riflessione lo stesso De Felice ha dedicato anche le pagine della prefazione scritta per il libro di Aga Rossi, pagine riprese da Panorama. "Se l' Italia rischia . scrive l' autorevole storico ., come suona il titolo di un recentissimo libro sulla sua crisi attuale, di cessare di essere una nazione, la causa prima, ma ancora operante, di cio' va ricercata nella condizione morale evidenziata dall' 8 settembre e nel rifiuto della classe dirigente postfascista di riconoscerlo e, peggio, nel tentativo di parte di essa di spiegarla "storicamente" con argomentazioni di un elitismo che, rifiutando di fare seriamente i conti col vissuto collettivo, ha in qualche caso sfiorato i confini di una sorta di razzismo moralistico". In cosa consiste l' esame di coscienza che De Felice reclama, sull' esempio di quello avviato in Francia da Marc Bloch dopo il crollo del giugno ' 40? Lo ha gia' spiegato lui stesso proprio nella conversazione col Corriere: si tratta di riconoscere che la Resistenza si e' rivelata troppo fragile come evento "fondante" della Repubblica, proprio perche' ha interessato una porzione esigua della popolazione.
Si tratta anche di ammettere che le classi dirigenti post belliche non hanno saputo incarnare un ideale liberal nazionale di tipo risorgimentale. Scomparsi, per la loro intrinseca debolezza, gli azionisti, sconfitti in buona misura i laici, l' Italia si divide fra democristiani, comunisti, socialisti. "E la Dc vince perche' e' il partito che nel suo complesso ha avuto meno a che fare con la Resistenza o con la R.S.I.". Il successo della Lega, in un' Italia che si e' rivelata una nazione debole e malata, era forse scritto nel codice genetico dello Stato repubblicano. Ne' la classe politica, salvo eccezioni, ha saputo o voluto porre rimedio alle lacune quando era in tempo. Ora l' anniversario dell' 8 settembre e' l' occasione per ritrovare il filo di una riflessione meno ovvia e scontata. Renzo De Felice ha gettato il suo sasso nello stagno. Altri studiosi sul suo esempio si sforzano di rileggere la storia del cinquantennio. Fra loro Gian Enrico Rusconi, che ha posto con lucidita' in un recente saggio per il Mulino l' interrogativo cruciale: se cessiamo di essere una nazione... Che forse puo' essere rovesciato cosi' : se abbiamo gia' cessato da tempo di esserlo abbiamo qualche possibilita' di diventarlo? Solo in questo caso il grande trauma nazionale dell' 8 settembre sarebbe superato e con esso le terribili contraddizioni che hanno segnato la storia italiana dall' Unita' in poi.
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