martedì 6 ottobre 2009
Negato il minuto di silenzio alle vittime dell’alluvione. Si è fatto un torto al Paese, non solo alla Sicilia
Quanto dura un minuto? Un battito d’ali o un’eternità. Il tempo si allunga o si accorcia, ti porta indietro o ti trascina avanti. In un minuto puoi vedere la vita scorrere davanti ai tuoi occhi, come un film.
In un minuto puoi accorgerti che non il tuo passato non c’è. Un minuto può costringerti a guardare al futuro, a farci i conti.
Il tempo è il tiranno che hai allevato. Ti lascia senza parole, spacchetta l’esistenza, ti invoglia a vivere con la stessa leggerezza con cui ti suggerisce di farla finita.
Un minuto dedicato a qualcuno o qualcosa perciò può essere niente o regalarti un bene prezioso: smarrirti o accogliere dentro di te l’umanità.
Quando la folla di uno stadio si ammutolisce dopo il fischio di un arbitro che invita al silenzio, tutti gli uomini diventano un solo uomo perché sono accumunati dallo stesso pensiero.
Il minuto di silenzio è una delle poche virtù della folla, una delle poche virtù del calcio. Non è liturgia, rituale senza valore, ma è preziosa occasione di “redenzione”.
Perché?
Permette ai più riottosi di stare insieme agli altri, di condividere con gli altri qualcosa d’importante in quel preciso istante, in quel contesto, in quelle condizioni.
Il minuto di silenzio non affratella, ma ci ricorda di non essere soli al mondo. Ed è una grande cosa.
Coloro che si sono rammaricati per il minuto di silenzio non concesso dalla Federcalcio alle folle degli stadi per ricordare le vittime dell’alluvione nel Messinese, hanno più di una buona ragione per manifestare il loro dissenso.
Il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, se n’è lamentato con i vertici del calcio e ne ha tratto la conclusione che nei confronti delle povere vittime siciliane ci sia stata una smaccata discriminazione, come se i morti siciliani fossero “di serie B”, per restare nel mondo del pallone.
Nei campi di calcio il minuto di silenzio viene regalato alla scomparsa di uomini dello sport, personaggi illustri, vittime di calamità naturali.
Perché questa volta no?
Giusto rammarico, non c’è dell’altro, non solo la discriminazione. Non si è fatto un torto soltanto alla gente di Sicilia, ma alla nazione intera: gli italiani sono stati privati dell’opportunità di sentirsi accanto alla gente disperata.
Non crediamo che il “no” sia stato deciso per sventatezza, ma che sia il sintomo di indifferenza, superficialità, “assenza”. Una deriva cui assistiamo da anni.
L’Italia si sta allontanando dai doveri e dai valori, prevalgono gli egoismi, crescono gli odi, cresce la violenza. Le idee non contano niente e sono diventate il retaggio di una stagione da seppellire, i valori sono stati sostituiti da bisogni concreti. Le bandiere tricolori vengono sbeffeggiate, e c’è chi reclama il pezzo di terra per farne una nazione.
Le parole dei colti vengono ascoltate e lette con fastidio, il culto della personalità, l’edonismo più sfrenato, la violenza verbale e scritta. La scuola, la famiglia, la parrocchia, i partiti, i sindacati sembrano avere abdicato alla loro funzione educativa. Il Grande Maestro – la televisione – ha sostituito ideali e valori con brevi sensazioni, bisogni, insofferenze, piaceri passeggeri e mutevoli.
Ci piace starcene in silenzio davanti al teleschermo piuttosto che regalare un minuto di silenzio all’umanità.
Fonte:Siciliainformazioni
Quanto dura un minuto? Un battito d’ali o un’eternità. Il tempo si allunga o si accorcia, ti porta indietro o ti trascina avanti. In un minuto puoi vedere la vita scorrere davanti ai tuoi occhi, come un film.
In un minuto puoi accorgerti che non il tuo passato non c’è. Un minuto può costringerti a guardare al futuro, a farci i conti.
Il tempo è il tiranno che hai allevato. Ti lascia senza parole, spacchetta l’esistenza, ti invoglia a vivere con la stessa leggerezza con cui ti suggerisce di farla finita.
Un minuto dedicato a qualcuno o qualcosa perciò può essere niente o regalarti un bene prezioso: smarrirti o accogliere dentro di te l’umanità.
Quando la folla di uno stadio si ammutolisce dopo il fischio di un arbitro che invita al silenzio, tutti gli uomini diventano un solo uomo perché sono accumunati dallo stesso pensiero.
Il minuto di silenzio è una delle poche virtù della folla, una delle poche virtù del calcio. Non è liturgia, rituale senza valore, ma è preziosa occasione di “redenzione”.
Perché?
Permette ai più riottosi di stare insieme agli altri, di condividere con gli altri qualcosa d’importante in quel preciso istante, in quel contesto, in quelle condizioni.
Il minuto di silenzio non affratella, ma ci ricorda di non essere soli al mondo. Ed è una grande cosa.
Coloro che si sono rammaricati per il minuto di silenzio non concesso dalla Federcalcio alle folle degli stadi per ricordare le vittime dell’alluvione nel Messinese, hanno più di una buona ragione per manifestare il loro dissenso.
Il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, se n’è lamentato con i vertici del calcio e ne ha tratto la conclusione che nei confronti delle povere vittime siciliane ci sia stata una smaccata discriminazione, come se i morti siciliani fossero “di serie B”, per restare nel mondo del pallone.
Nei campi di calcio il minuto di silenzio viene regalato alla scomparsa di uomini dello sport, personaggi illustri, vittime di calamità naturali.
Perché questa volta no?
Giusto rammarico, non c’è dell’altro, non solo la discriminazione. Non si è fatto un torto soltanto alla gente di Sicilia, ma alla nazione intera: gli italiani sono stati privati dell’opportunità di sentirsi accanto alla gente disperata.
Non crediamo che il “no” sia stato deciso per sventatezza, ma che sia il sintomo di indifferenza, superficialità, “assenza”. Una deriva cui assistiamo da anni.
L’Italia si sta allontanando dai doveri e dai valori, prevalgono gli egoismi, crescono gli odi, cresce la violenza. Le idee non contano niente e sono diventate il retaggio di una stagione da seppellire, i valori sono stati sostituiti da bisogni concreti. Le bandiere tricolori vengono sbeffeggiate, e c’è chi reclama il pezzo di terra per farne una nazione.
Le parole dei colti vengono ascoltate e lette con fastidio, il culto della personalità, l’edonismo più sfrenato, la violenza verbale e scritta. La scuola, la famiglia, la parrocchia, i partiti, i sindacati sembrano avere abdicato alla loro funzione educativa. Il Grande Maestro – la televisione – ha sostituito ideali e valori con brevi sensazioni, bisogni, insofferenze, piaceri passeggeri e mutevoli.
Ci piace starcene in silenzio davanti al teleschermo piuttosto che regalare un minuto di silenzio all’umanità.
Fonte:Siciliainformazioni
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