martedì 27 ottobre 2009

Cosa Nostra: rifiuti radioattivi, scorie chimiche e morti ammazzati






Di Rino Giacalone - 26 ottobre 2009


Quando andò a sedere per la prima volta davanti ai pm e carabinieri che lo interrogavano, Pietro Scavuzzo, fino ad allora quasi sconosciuto "picciotto" della mafia trapanese, cominciò per giorni e giorni a raccontare della mafia della Sicilia Occidentale, fece i nomi di uomini e indicò affari.
Erano i primi anni ’90, Scavuzzo fece il nome del nuovo «padrino» di Trapani, l'«erede» di Totò Minore, quel Vincenzo Virga che nel marzo del 1994 riuscì a sfuggire via al blitz dei carabinieri, nelle carte giudiziarie si racconta grazie alla soffiata, si dice passata da un «giornalista». Vincenzo Virga era un pensionato, l'Inps gli erogava poco meno di 1 milione e mezzo al mese, quando gli fu setacciato il patrimonio lo trovarono ricco possidente, un portafoglio di 7 miliardi di vecchie lire. Soldi fatti con le imprese e gli appalti. Le confessioni di Scavuzzo condussero all’operazione «Petrov» e poi al processo. Descrisse l’organizzazione, accennò alle affiliazioni «riservate», raccontò degli interessi della mafia, come l’investimento ultramiliardario, mille miliardi, che i boss palermitani assieme a quelli di Mazara volevano fare sull’isola di Manuel, a Malta, e per il quale avevano addirittura raggiunto contatti politici importanti. Ma Scavuzzo parlò anche di altro, di traffico di reflui radioattivi e chimici. Anni dopo un «faccendiere» a disposizione dei servizi segreti, Francesco Elmo, disse le stesse cose. Indicò la zona di Trapani dove quei carichi erano finiti, tra Mazara e Marsala, in cave in disuso. Verbali che non ebbero tanta fortuna, finiti archiviati, perchè Elmo al momento dei sopralluoghi non ruscì ad essere preciso, ma adesso con le indagini che hanno preso vigore in Calabria a proposito delle navi «imbottite» di rifiuti tossici e fatte apposta fondare nei nostri mari, non è detto che delle vicende trapanesi non se ne debba sentire parlare nuovamente. Tra Scavuzzo ed Elmo i contatti non sono stati solo limitati alla circostanza che i hanno raccontato stesse vicende, ma i due alla magistratura trapanese hanno fatto uno stesso nome, di un soggetto rimasto non identificato, un certo Pietro Di Falco, referente secondo loro di questi traffici.

Lo scenario. Pezzi dello Stato avrebbero trafficato con la mafia e organizzazioni criminali per smaltire illecitamente rifiuti tossici, in cambio di far transitare per gli stessi circuiti armi e droga. Elmo avrebbe indicato le cave del trapanese dove questi rifiuti sono finiti, ma i successivi sopralluoghi non diedero risultati circa la presenza di radioattività. Da allora è trascorso un decennio, oggi esistono attrezzature più sofisticate, forse un nuovo «passaggio» potrebbe essere utile, perchè se le zone, come si dice sono quelle dell’entroterra, dove c’erano una volta cave di tufo, si tratta di quelle stesse zone dove negli anni è stata denunciata una certa mortalità dovuta a tumori.
Traffico di scorie chimiche e radioattive che si sarebbe svolto tra la metà degli anni ’80 sino al 1991/93, scorie chimiche che arrivavano trasportati da camion che ufficialmente portavano oli esausti, mentre quelle radioattive venivano trasportate su navi di diversa nazionalità. Una sarebbe stata la «Dures» che riuscì a scaricare al largo di Trapani i rifiuti radioattivi, l’altra sarebbe stata la «River», fatta affondare.

Non è solo l’indagine calabrese che potrebbe fornire nuovi spunti per indagare su queste misteriose vicende trapanesi, ma c’è anche quella (che si incrocia anche con la Calabria) del delitto di Ilaria Alpi, la giornalista Rai ammazzata in Somalia nel 1994. Lei si sarebbe imbattuta in quel traffico di armi e scorie, dall’Italia alla Somalia, via mare e via cielo, del quale ai magistrati trapanesi avrebbe parlato anche Elmo, le armi finivano alle fazioni somale ma anche in Eritrea, Yemen del Sud, Sudan, ai guerriglieri palestinesi. Il traffico di armi avveniva anche con piccoli aerei. Un aeroporto a pochi chilometri da Trapani, quello di Kinisia, sarebbe stato usato per strani atterraggi. Ma questo ce lo racconta un’altra vicenda, quella che fa da sfondo ad un altro delitto, con tanto di firma mafiosa accertata, e che porta al boss Virga, l’omicidio di Mauro Rostagno. È la storia di una cassetta con delle immagini girate da Rostagno mai trovata. E come giocare con delle scatole cinesi, dentro ognuna si trova un morto ammazzato.


Fonte:
Antimafia Duemila
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Di Rino Giacalone - 26 ottobre 2009


Quando andò a sedere per la prima volta davanti ai pm e carabinieri che lo interrogavano, Pietro Scavuzzo, fino ad allora quasi sconosciuto "picciotto" della mafia trapanese, cominciò per giorni e giorni a raccontare della mafia della Sicilia Occidentale, fece i nomi di uomini e indicò affari.
Erano i primi anni ’90, Scavuzzo fece il nome del nuovo «padrino» di Trapani, l'«erede» di Totò Minore, quel Vincenzo Virga che nel marzo del 1994 riuscì a sfuggire via al blitz dei carabinieri, nelle carte giudiziarie si racconta grazie alla soffiata, si dice passata da un «giornalista». Vincenzo Virga era un pensionato, l'Inps gli erogava poco meno di 1 milione e mezzo al mese, quando gli fu setacciato il patrimonio lo trovarono ricco possidente, un portafoglio di 7 miliardi di vecchie lire. Soldi fatti con le imprese e gli appalti. Le confessioni di Scavuzzo condussero all’operazione «Petrov» e poi al processo. Descrisse l’organizzazione, accennò alle affiliazioni «riservate», raccontò degli interessi della mafia, come l’investimento ultramiliardario, mille miliardi, che i boss palermitani assieme a quelli di Mazara volevano fare sull’isola di Manuel, a Malta, e per il quale avevano addirittura raggiunto contatti politici importanti. Ma Scavuzzo parlò anche di altro, di traffico di reflui radioattivi e chimici. Anni dopo un «faccendiere» a disposizione dei servizi segreti, Francesco Elmo, disse le stesse cose. Indicò la zona di Trapani dove quei carichi erano finiti, tra Mazara e Marsala, in cave in disuso. Verbali che non ebbero tanta fortuna, finiti archiviati, perchè Elmo al momento dei sopralluoghi non ruscì ad essere preciso, ma adesso con le indagini che hanno preso vigore in Calabria a proposito delle navi «imbottite» di rifiuti tossici e fatte apposta fondare nei nostri mari, non è detto che delle vicende trapanesi non se ne debba sentire parlare nuovamente. Tra Scavuzzo ed Elmo i contatti non sono stati solo limitati alla circostanza che i hanno raccontato stesse vicende, ma i due alla magistratura trapanese hanno fatto uno stesso nome, di un soggetto rimasto non identificato, un certo Pietro Di Falco, referente secondo loro di questi traffici.

Lo scenario. Pezzi dello Stato avrebbero trafficato con la mafia e organizzazioni criminali per smaltire illecitamente rifiuti tossici, in cambio di far transitare per gli stessi circuiti armi e droga. Elmo avrebbe indicato le cave del trapanese dove questi rifiuti sono finiti, ma i successivi sopralluoghi non diedero risultati circa la presenza di radioattività. Da allora è trascorso un decennio, oggi esistono attrezzature più sofisticate, forse un nuovo «passaggio» potrebbe essere utile, perchè se le zone, come si dice sono quelle dell’entroterra, dove c’erano una volta cave di tufo, si tratta di quelle stesse zone dove negli anni è stata denunciata una certa mortalità dovuta a tumori.
Traffico di scorie chimiche e radioattive che si sarebbe svolto tra la metà degli anni ’80 sino al 1991/93, scorie chimiche che arrivavano trasportati da camion che ufficialmente portavano oli esausti, mentre quelle radioattive venivano trasportate su navi di diversa nazionalità. Una sarebbe stata la «Dures» che riuscì a scaricare al largo di Trapani i rifiuti radioattivi, l’altra sarebbe stata la «River», fatta affondare.

Non è solo l’indagine calabrese che potrebbe fornire nuovi spunti per indagare su queste misteriose vicende trapanesi, ma c’è anche quella (che si incrocia anche con la Calabria) del delitto di Ilaria Alpi, la giornalista Rai ammazzata in Somalia nel 1994. Lei si sarebbe imbattuta in quel traffico di armi e scorie, dall’Italia alla Somalia, via mare e via cielo, del quale ai magistrati trapanesi avrebbe parlato anche Elmo, le armi finivano alle fazioni somale ma anche in Eritrea, Yemen del Sud, Sudan, ai guerriglieri palestinesi. Il traffico di armi avveniva anche con piccoli aerei. Un aeroporto a pochi chilometri da Trapani, quello di Kinisia, sarebbe stato usato per strani atterraggi. Ma questo ce lo racconta un’altra vicenda, quella che fa da sfondo ad un altro delitto, con tanto di firma mafiosa accertata, e che porta al boss Virga, l’omicidio di Mauro Rostagno. È la storia di una cassetta con delle immagini girate da Rostagno mai trovata. E come giocare con delle scatole cinesi, dentro ognuna si trova un morto ammazzato.


Fonte:
Antimafia Duemila

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