venerdì 21 agosto 2009

La Lega, il Sud e la questione morale


Quasi tutto condivisibile in quest'articolo tratto da Nuova Economia, interessante comunque notare che i temi storici a noi cari sono sempre maggiormente diffusi in rete con dovizia di particolari...


Fa bene Galli Della Loggia a ricordare dalle colonne del Corriere, il rapporto stret­tissimo che inevitabilmente esiste tra sto­ria e politica. L'occasione è il dibattito aperto da qualche settimana su cultura e politica e la risposta alla lettera di un giovane leghista che la redazione del Corriere ha deciso di pubblicare. Questa lettera è ampiamente condivisibile : non ci sono molte ragioni per essere orgogliosi di essere italiani e il ragazzo le espone con pacata chiarezza sostenendo quel federalismo che, se fosse stato fatto centocinquant'anni fa, ci avrebbe risparmiato tanti problemi.

Mancano però alcuni elementi essenziali a proposito di storia e politica, che lo studente leghista non conosce perché nessuno glieli ha mai raccontati. A scuola, infatti, si parla di altro.

Né Galli Della Loggia, contrariamente alle sue abitudini, fa chiarezza su queste omissioni, anzi rivendica orgogliosamente il ruolo propulsore verso la libertà e il progresso che ha avuto in Italia il Risorgimento, pur con tutti i suoi errori e forzature.

Quella che vedete in fotografia si chiamava Michelina Di Cesare e fu una partigiana contro l'invasore piemontese. Dopo aver condotto insieme al suo uomo, Francesco Guerra, ex soldato dell'esercito Napoletano, innumerevoli azioni di guerriglia, nel 1868 fu uccisa insieme ai suoi compagni, in uno scontro a fuoco contro il 27° Fanteria sul Monte Morrone. Il suo corpo nudo e martoriato fu esposto nelle piazze dei paesi della zona, a monito della ferocia della repressione sabauda.

Nessuna città italiana ha dedicato una piazza o una via o una targa alla memoria di una donna che ha combattuto per la sua terra. Già perché Michelina Di Cesare era una brigantessa, e non una combattente. Come le altre decine di migliaia di soldati, contadini, operai, lazzari e quant'altro delusi dalle promesse riforme mancate o fedeli al loro Re ed alla loro patria che nei trent'anni successivi all'Unità d'Italia hanno combattuto e sono morti per la loro causa. Non era una causa giusta, anzi non era nemmeno una causa. Su di loro l'oblio e l'infamia dell'appellativo di briganti, di bestie, di ladri e di assassini. E certe espressioni razziste ancora oggi di gran voga derivano forse dai giudizi sprezzanti che il Generale Cialdini esprimeva tra l'altro in una lettera a Cavour: «Questa è Africa! Altro che Italia! I beduini, a riscontro di questi caproni, sono latte e miele». Per lui i meridionali erano poco meno che umani. Gli spagnoli hanno fatto peggio, hanno impiegato 150 anni per considerare umani gli indios.

Nemmeno i loro parenti potevano ricordarli: essere parente di un brigante significava esserne complice. Bisognava vergognarsi della loro stessa esistenza. Per decenni i meridionali sono stati tutti briganti e ancora oggi è così: dal sud vengono corruzione, latrocinio, illegalità diffusa, insomma la maggior parte dei guai dell'Italia già Sabauda ed ora repubblicana. Bisogna vergognarsi di essere meridionali, soprattutto in certi luoghi del nord, dove il razzismo nei confronti delle genti del sud, grossolanamente accomunati tutti nell'appellativo dispregiativo di meridionali, è più diffuso e nasce proprio da quel periodo. Non è cambiato molto da allora: ogni tanto qualche bello spirito pensa che per risolvere la questione meridionale la cosa migliroe da fare è spedire l'esercito a mettere un po' di ordine. Cambiano i generali e i soldati, ma la sostanza cambia poco.

Ha ragione Gallli della Lggia a ricordare che grazie all'Unità d'Italia in Veneto fu abolito "il processo «statario», in base al quale si era mandati a morte nel giro di 48 ore da una corte marziale senza neppu­re uno straccio di avvocato". Dimentica però che in tutto il sud fu applicata la Legge Pica, che era peggio del processo statario e che grazie ad essa decine di migliaia di persone fuono fucilate senza l'ombra di un processo, suscitando l'indignazione di mezza Europa.

Quindi niente vie e niente piazze per Michelina, né per Guerra né per Tulipano, né per Crocco e gli altri patrioti, ma l'oblio, il disprezzo, l'infamia. E la menzogna.

Perché i veri ladri sono stati quelli che hanno rapinato le risorse del sud gettandolo nella miseria e nella disperazione, da quelle finanziarie che erano venti volte quelle del Piemonte, a quelle industriali, agricole, umane. Perché gli assassini erano i Cialdini, i Cadorna, i Negri che hanno ordinato e perpetrato massacri vergognosi e che tuttora vengono onorati e ricordati nelle loro città come uomini d'onore che hanno fatto l'Italia.

Perché i corruttori erano nelle file di quei massoni piemontesi che hanno corrotto l'intero stato maggiore dell'esercito borbonico per non farlo combattere contro Garibaldi. Che era uno che credeva all'Unità d'Italia e non allo stupro ed al massacro di intere nazioni e che quando provò ad opporsi fu preso a fucilate dai bersaglieri sull'Aspromonte.

Perché in tutto il mezzogiorno furono premiati dai piemontesi l'ipocrisia, il conformismo, il tradimento, la corruzione e la vigliaccheria.

E su queste basi etiche è stata fondata l'Unità d'Italia nel sud. E cosa poteva venirne fuori se non una società dominata dal formalismo, dall'ipocrisia, dalla falsità, dalla vigliaccheria, dalla corruzione? Nella quale le persone per bene vengono considerate stupide perché i comportamenti delinquenziali sono premiati? Nella quale il coraggio, la determinazione, l'amore per la patria, vengono esecrati e disprezzati?

E allora se davvero vogliamo fare l'Unità d'Italia, occorre ripartire da qui, dal restituire dignità ed onore a chi si è battuto per la patria ed esecrazione a chi ha tradito, si è fatto corrompere, ha corrotto, ha rubato, ha ucciso senza giustificazione alcuna.

Il problema nel Mezzogiorno non è economico: le risorse della gente del sud sono sovrabbondanti, ci sono sempre state e sono maggiori che nel nord. Il problema è morale, e la questione morale nel mezzogiorno parte da queste cose elementari.

Per dire a tutti che il vento è cambiato, occorre partire rimettendo in piedi il rapporto tra etica e politica, occorre riprendere la memoria di quei fatti e di quelle persone. Cominciando ad esempio a smetterla di definirli briganti. L'occasione è in arrivo, ci sono i festeggiamenti per i 150 anni dall'unità d'Italia. La dignità, è questo il valore che deve essere restituito alle genti del Sud, la dignità e la memoria.

Perché si può ingannare qualcuno per sempre, e tutti per un po' di tempo. Ma non si può ingannare tutti per sempre.

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Quasi tutto condivisibile in quest'articolo tratto da Nuova Economia, interessante comunque notare che i temi storici a noi cari sono sempre maggiormente diffusi in rete con dovizia di particolari...


Fa bene Galli Della Loggia a ricordare dalle colonne del Corriere, il rapporto stret­tissimo che inevitabilmente esiste tra sto­ria e politica. L'occasione è il dibattito aperto da qualche settimana su cultura e politica e la risposta alla lettera di un giovane leghista che la redazione del Corriere ha deciso di pubblicare. Questa lettera è ampiamente condivisibile : non ci sono molte ragioni per essere orgogliosi di essere italiani e il ragazzo le espone con pacata chiarezza sostenendo quel federalismo che, se fosse stato fatto centocinquant'anni fa, ci avrebbe risparmiato tanti problemi.

Mancano però alcuni elementi essenziali a proposito di storia e politica, che lo studente leghista non conosce perché nessuno glieli ha mai raccontati. A scuola, infatti, si parla di altro.

Né Galli Della Loggia, contrariamente alle sue abitudini, fa chiarezza su queste omissioni, anzi rivendica orgogliosamente il ruolo propulsore verso la libertà e il progresso che ha avuto in Italia il Risorgimento, pur con tutti i suoi errori e forzature.

Quella che vedete in fotografia si chiamava Michelina Di Cesare e fu una partigiana contro l'invasore piemontese. Dopo aver condotto insieme al suo uomo, Francesco Guerra, ex soldato dell'esercito Napoletano, innumerevoli azioni di guerriglia, nel 1868 fu uccisa insieme ai suoi compagni, in uno scontro a fuoco contro il 27° Fanteria sul Monte Morrone. Il suo corpo nudo e martoriato fu esposto nelle piazze dei paesi della zona, a monito della ferocia della repressione sabauda.

Nessuna città italiana ha dedicato una piazza o una via o una targa alla memoria di una donna che ha combattuto per la sua terra. Già perché Michelina Di Cesare era una brigantessa, e non una combattente. Come le altre decine di migliaia di soldati, contadini, operai, lazzari e quant'altro delusi dalle promesse riforme mancate o fedeli al loro Re ed alla loro patria che nei trent'anni successivi all'Unità d'Italia hanno combattuto e sono morti per la loro causa. Non era una causa giusta, anzi non era nemmeno una causa. Su di loro l'oblio e l'infamia dell'appellativo di briganti, di bestie, di ladri e di assassini. E certe espressioni razziste ancora oggi di gran voga derivano forse dai giudizi sprezzanti che il Generale Cialdini esprimeva tra l'altro in una lettera a Cavour: «Questa è Africa! Altro che Italia! I beduini, a riscontro di questi caproni, sono latte e miele». Per lui i meridionali erano poco meno che umani. Gli spagnoli hanno fatto peggio, hanno impiegato 150 anni per considerare umani gli indios.

Nemmeno i loro parenti potevano ricordarli: essere parente di un brigante significava esserne complice. Bisognava vergognarsi della loro stessa esistenza. Per decenni i meridionali sono stati tutti briganti e ancora oggi è così: dal sud vengono corruzione, latrocinio, illegalità diffusa, insomma la maggior parte dei guai dell'Italia già Sabauda ed ora repubblicana. Bisogna vergognarsi di essere meridionali, soprattutto in certi luoghi del nord, dove il razzismo nei confronti delle genti del sud, grossolanamente accomunati tutti nell'appellativo dispregiativo di meridionali, è più diffuso e nasce proprio da quel periodo. Non è cambiato molto da allora: ogni tanto qualche bello spirito pensa che per risolvere la questione meridionale la cosa migliroe da fare è spedire l'esercito a mettere un po' di ordine. Cambiano i generali e i soldati, ma la sostanza cambia poco.

Ha ragione Gallli della Lggia a ricordare che grazie all'Unità d'Italia in Veneto fu abolito "il processo «statario», in base al quale si era mandati a morte nel giro di 48 ore da una corte marziale senza neppu­re uno straccio di avvocato". Dimentica però che in tutto il sud fu applicata la Legge Pica, che era peggio del processo statario e che grazie ad essa decine di migliaia di persone fuono fucilate senza l'ombra di un processo, suscitando l'indignazione di mezza Europa.

Quindi niente vie e niente piazze per Michelina, né per Guerra né per Tulipano, né per Crocco e gli altri patrioti, ma l'oblio, il disprezzo, l'infamia. E la menzogna.

Perché i veri ladri sono stati quelli che hanno rapinato le risorse del sud gettandolo nella miseria e nella disperazione, da quelle finanziarie che erano venti volte quelle del Piemonte, a quelle industriali, agricole, umane. Perché gli assassini erano i Cialdini, i Cadorna, i Negri che hanno ordinato e perpetrato massacri vergognosi e che tuttora vengono onorati e ricordati nelle loro città come uomini d'onore che hanno fatto l'Italia.

Perché i corruttori erano nelle file di quei massoni piemontesi che hanno corrotto l'intero stato maggiore dell'esercito borbonico per non farlo combattere contro Garibaldi. Che era uno che credeva all'Unità d'Italia e non allo stupro ed al massacro di intere nazioni e che quando provò ad opporsi fu preso a fucilate dai bersaglieri sull'Aspromonte.

Perché in tutto il mezzogiorno furono premiati dai piemontesi l'ipocrisia, il conformismo, il tradimento, la corruzione e la vigliaccheria.

E su queste basi etiche è stata fondata l'Unità d'Italia nel sud. E cosa poteva venirne fuori se non una società dominata dal formalismo, dall'ipocrisia, dalla falsità, dalla vigliaccheria, dalla corruzione? Nella quale le persone per bene vengono considerate stupide perché i comportamenti delinquenziali sono premiati? Nella quale il coraggio, la determinazione, l'amore per la patria, vengono esecrati e disprezzati?

E allora se davvero vogliamo fare l'Unità d'Italia, occorre ripartire da qui, dal restituire dignità ed onore a chi si è battuto per la patria ed esecrazione a chi ha tradito, si è fatto corrompere, ha corrotto, ha rubato, ha ucciso senza giustificazione alcuna.

Il problema nel Mezzogiorno non è economico: le risorse della gente del sud sono sovrabbondanti, ci sono sempre state e sono maggiori che nel nord. Il problema è morale, e la questione morale nel mezzogiorno parte da queste cose elementari.

Per dire a tutti che il vento è cambiato, occorre partire rimettendo in piedi il rapporto tra etica e politica, occorre riprendere la memoria di quei fatti e di quelle persone. Cominciando ad esempio a smetterla di definirli briganti. L'occasione è in arrivo, ci sono i festeggiamenti per i 150 anni dall'unità d'Italia. La dignità, è questo il valore che deve essere restituito alle genti del Sud, la dignità e la memoria.

Perché si può ingannare qualcuno per sempre, e tutti per un po' di tempo. Ma non si può ingannare tutti per sempre.

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