martedì 5 maggio 2009

Quando il debitore è lo Stato: quei “pagherò” che strangolano le aziende


La cooperativa Magnifica faceva assistenza scolastica. La cooperativa Isvar si occupava di riabilitazione per disabili. Adesso sono chiuse. Non ce l’hanno fatta a vivere con i pagamenti dei servizi che arrivavano in ritardo». Sergio D’Angelo, portavoce del cosiddetto terzo settore per la Campania, racconta di queste chiusure con tristezza, ma anche con personale preoccupazione. È il presidente del consorzio Gesco, 35 cooperative di servizio, 2.200 operatori, 70 milioni l’anno di fatturato: un piccolo impero, con spalle sufficienti per resistere. Ma neppure lui può scherzare: «Abbiamo un credito di 14 milioni nei confronti di diverse amministrazioni pubbliche. È stato accumulato a causa dei ritardi nei pagamenti, che qui in Campania arrivano anche a 2 anni. Grazie alle banche riusciamo a pagare gli stipendi. Il tasso di interesse? Intorno al 6 per cento, un onere pesante per chi, come noi, lavora con scarsi margini operativi».
Con la crisi dell’economia e la stretta del credito il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione è diventato un macigno. Industrie grandi e piccole, artigiani, commercianti, cooperative e perfino iniziative non-profit sono in difficoltà. Il
ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, stima che il debito accumulato valga circa 30 miliardi di euro. I calcoli della Confindustria si aggirano intorno ai 70 miliardi. E c’è perfino chi, come la Confcooperative, arriva a indicare una cifra complessiva, compresi i debiti di comuni, regioni, asili, mense, pulizie e servizi sociali vari, che va ben oltre i 100 miliardi.
Il governo è corso ai ripari con alcuni provvedimenti. Altre iniziative sono ancora in corso di definizione, come l’intervento della Cassa depositi e prestiti, che richiede un cambiamento di statuto. Ma le procedure burocratiche ci hanno già messo la zeppa. «Il decreto per la certificazione dei crediti, necessaria per facilitare il confronto con le banche, è in vigore» dice a Panorama Giuseppe Morandini, vicepresidente della
Confindustria. «Va bene, solo che il regolamento di attuazione non c’è. E dunque, nei fatti, nulla si muove».
Per ora, insomma, i ritardi mietono vittime. L’
ufficio studi della Confartigianato ha calcolato in 135 giorni lo slittamento medio dei pagamenti da parte di ministeri, comuni, asl. Secondo la Confcooperative, i ritardi si aggirano intorno ai 300-350 giorni. In molti casi la realtà va oltre. Lo raccontano i numerosi testimoni che si possono incontrare girando per l’Italia, come ha fatto Panorama.
«La mia storia è simile a quella di tante piccole imprese in Sicilia» dice Filippo Ribisi, di Palermo, installatore di impianti elettrici e di sicurezza. L’azienda ha un fatturato annuo di 800 mila euro. Almeno 100 mila sono di crediti nei confronti di varie amministrazioni pubbliche. «Ci sono casi di ritardi di 1 anno nel pagamento delle fatture. Per fortuna la mia azienda è consolidata. Però i problemi con le banche non sono secondari: da noi il denaro costa di più che altrove, siamo intorno al 10 per cento». Se tutto va bene, ovviamente. Perché dice Ribisi che le fatture si possono anche scontare allo sportello: «Se però l’ente non paga nei termini stabiliti, i 90 o i 120 giorni, la banca considera l’operazione come un extrafido. E allora altro che 10 per cento».
Ad aggravare la situazione è stata, secondo l’imprenditore palermitano, la trasformazione delle municipalizzate in società di diritto privato: «Prima l’ente pubblico, se voleva fare un’opera, doveva trovare i fondi. Così, a fine lavoro, potevano esserci ritardi collegati solo ad aspetti burocratici. Adesso la ricerca dei fondi comincia quando si finisce il lavoro e si emette la fattura. Se la liquidità non c’è, bisogna aspettare. Nessuno sa quanto».
L’Italia non è tutta uguale. Ma non si pensi che al Nord si possa brindare ovunque. Anna Villa, presidente della Elleuno, impresa cooperativa che aderisce alla Confcooperative, 2.400 operatori, 64 milioni l’anno di fatturato ottenuto lavorando per 52 strutture pubbliche per larga parte del Nord, è chiara: «Alcune amministrazioni pagano regolarmente. Ora, per esempio, posso portare il caso del comune di Venezia o della asl di Bologna. Molte altre no. Non importa chi ha vinto le elezioni. E qui faccio l’esempio dei comuni di Milano e di Torino».
«Per fortuna» aggiunge Villa «siamo una realtà grande e forte, per cui possiamo rivolgerci al sistema bancario. Però mi chiedo: noi il 27 del mese dobbiamo pagare il personale, compresi i contributi. E stiamo parlando di medici, infermieri, autisti, fisioterapisti, di tutti coloro che servono. Se non offrissimo noi quel servizio, quello stesso personale dovrebbero pagarlo le amministrazioni pubbliche. Non dopo sei mesi, ma ogni mese. Possibile che non lo capiscano?».
Qualche tentativo di rinnovamento si coglie. Maurizio Genesini, manager della Lavanderia Zbm di Arco, nel Trentino, oltre che presidente dell’associazione di settore, racconta del caso Lombardia, dove pure c’è una situazione diversa da ente a ente. «La regione ha canalizzato i pagamenti attraverso la Finlombarda. Le fatture, vistate dalle amministrazioni, passano a questa finanziaria, la quale eroga i soldi. Tutti i fornitori sono sullo stesso piano, non ci sono figli e figliastri. E pur con ritardo, tra 5 e 6 mesi, c’è una situazione gestibile».
Già, perché il problema non sono solo i ritardi, ma anche l’incertezza. Dice ancora Genesini: «Il Lazio ha fatto una cartolarizzazione dei debiti a metà 2008, ma non si sa quando, e se, ce ne sarà un’altra».
Il Lazio è la maglia nera anche secondo un altro colosso della lavanderia industriale, la Servizi ospedalieri del gruppo Manutencoop, 1.200 addetti, 100 milioni di fatturato annuo, quattro stabilimenti in diverse regioni e un credito in arretrato con la pubblica amministrazione che arriva intorno al 70 per cento del giro di affari. Racconta l’amministratore delegato Andrea Gozzi: «Noi registriamo un ritardo medio nei pagamenti di 265 giorni. Ma è, appunto, una media. Nel Lazio i ritardi raggiungono i 400 giorni, oltre i 90 canonici. Seguito a ruota dalle amministrazioni della Calabria con 280 giorni, dell’Abruzzo con 228. Perfino le amministrazioni dell’Emilia-Romagna pagano con 126 giorni. I più regolari sono gli enti del Trentino, che a noi versano il dovuto entro i 90 giorni e della Toscana con 39 giorni, oltre i 90».
«Il problema» racconta Gozzi «è la differenza tra lo slittamento degli incassi dalla pubblica amministrazione e i nostri ritardi nel pagamento dei fornitori. Questi riusciamo a pagarli non oltre i 110 giorni. La differenza che si crea per questa sfasatura di tempi la colmiamo con i prestiti che prendiamo in banca. Costo intorno al 4 per cento».
Dagli artigiani alle coop, dal terzo settore fino ai colossi dell’industria e dei servizi: nessuno sfugge. Pure l’Enel, gigante dell’energia, non fa mistero di vantare crediti da varie amministrazioni pubbliche, dall’Ente acquedotti siciliani al Consorzio di approvvigionamento idrico di terra e lavoro, dalla asl Napoli 1 al comune di Modica. In tutto, circa 500 milioni di euro. Il problema è generale.
Tutte le associazioni imprenditoriali apprezzano per questo gli interventi decisi dal governo e quelli dei quali ancora si discute. Chiedono che si stringano i tempi e che si faccia di più. Ribadisce Morandini: «C’è bisogno di risultati immediati. Noi abbiamo fatto proposte per spezzare in due il problema. L’ipotesi è semplice: fissiamo tempi inderogabili per i pagamenti da oggi in poi. Per il debito facciamo un piano di rientro serio, insieme con le banche. Abbiamo bisogno che quei soldi ritornino subito nelle casse delle imprese. Le banche possono anticiparci i denari, ma senza un piano condiviso gli anticipi vengono considerati un fido personale; e dunque prosciugano il castelletto che ognuno di noi può avere presso le aziende di credito. In un momento come questo non va bene».

Fonte:
Panorama
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La cooperativa Magnifica faceva assistenza scolastica. La cooperativa Isvar si occupava di riabilitazione per disabili. Adesso sono chiuse. Non ce l’hanno fatta a vivere con i pagamenti dei servizi che arrivavano in ritardo». Sergio D’Angelo, portavoce del cosiddetto terzo settore per la Campania, racconta di queste chiusure con tristezza, ma anche con personale preoccupazione. È il presidente del consorzio Gesco, 35 cooperative di servizio, 2.200 operatori, 70 milioni l’anno di fatturato: un piccolo impero, con spalle sufficienti per resistere. Ma neppure lui può scherzare: «Abbiamo un credito di 14 milioni nei confronti di diverse amministrazioni pubbliche. È stato accumulato a causa dei ritardi nei pagamenti, che qui in Campania arrivano anche a 2 anni. Grazie alle banche riusciamo a pagare gli stipendi. Il tasso di interesse? Intorno al 6 per cento, un onere pesante per chi, come noi, lavora con scarsi margini operativi».
Con la crisi dell’economia e la stretta del credito il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione è diventato un macigno. Industrie grandi e piccole, artigiani, commercianti, cooperative e perfino iniziative non-profit sono in difficoltà. Il
ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, stima che il debito accumulato valga circa 30 miliardi di euro. I calcoli della Confindustria si aggirano intorno ai 70 miliardi. E c’è perfino chi, come la Confcooperative, arriva a indicare una cifra complessiva, compresi i debiti di comuni, regioni, asili, mense, pulizie e servizi sociali vari, che va ben oltre i 100 miliardi.
Il governo è corso ai ripari con alcuni provvedimenti. Altre iniziative sono ancora in corso di definizione, come l’intervento della Cassa depositi e prestiti, che richiede un cambiamento di statuto. Ma le procedure burocratiche ci hanno già messo la zeppa. «Il decreto per la certificazione dei crediti, necessaria per facilitare il confronto con le banche, è in vigore» dice a Panorama Giuseppe Morandini, vicepresidente della
Confindustria. «Va bene, solo che il regolamento di attuazione non c’è. E dunque, nei fatti, nulla si muove».
Per ora, insomma, i ritardi mietono vittime. L’
ufficio studi della Confartigianato ha calcolato in 135 giorni lo slittamento medio dei pagamenti da parte di ministeri, comuni, asl. Secondo la Confcooperative, i ritardi si aggirano intorno ai 300-350 giorni. In molti casi la realtà va oltre. Lo raccontano i numerosi testimoni che si possono incontrare girando per l’Italia, come ha fatto Panorama.
«La mia storia è simile a quella di tante piccole imprese in Sicilia» dice Filippo Ribisi, di Palermo, installatore di impianti elettrici e di sicurezza. L’azienda ha un fatturato annuo di 800 mila euro. Almeno 100 mila sono di crediti nei confronti di varie amministrazioni pubbliche. «Ci sono casi di ritardi di 1 anno nel pagamento delle fatture. Per fortuna la mia azienda è consolidata. Però i problemi con le banche non sono secondari: da noi il denaro costa di più che altrove, siamo intorno al 10 per cento». Se tutto va bene, ovviamente. Perché dice Ribisi che le fatture si possono anche scontare allo sportello: «Se però l’ente non paga nei termini stabiliti, i 90 o i 120 giorni, la banca considera l’operazione come un extrafido. E allora altro che 10 per cento».
Ad aggravare la situazione è stata, secondo l’imprenditore palermitano, la trasformazione delle municipalizzate in società di diritto privato: «Prima l’ente pubblico, se voleva fare un’opera, doveva trovare i fondi. Così, a fine lavoro, potevano esserci ritardi collegati solo ad aspetti burocratici. Adesso la ricerca dei fondi comincia quando si finisce il lavoro e si emette la fattura. Se la liquidità non c’è, bisogna aspettare. Nessuno sa quanto».
L’Italia non è tutta uguale. Ma non si pensi che al Nord si possa brindare ovunque. Anna Villa, presidente della Elleuno, impresa cooperativa che aderisce alla Confcooperative, 2.400 operatori, 64 milioni l’anno di fatturato ottenuto lavorando per 52 strutture pubbliche per larga parte del Nord, è chiara: «Alcune amministrazioni pagano regolarmente. Ora, per esempio, posso portare il caso del comune di Venezia o della asl di Bologna. Molte altre no. Non importa chi ha vinto le elezioni. E qui faccio l’esempio dei comuni di Milano e di Torino».
«Per fortuna» aggiunge Villa «siamo una realtà grande e forte, per cui possiamo rivolgerci al sistema bancario. Però mi chiedo: noi il 27 del mese dobbiamo pagare il personale, compresi i contributi. E stiamo parlando di medici, infermieri, autisti, fisioterapisti, di tutti coloro che servono. Se non offrissimo noi quel servizio, quello stesso personale dovrebbero pagarlo le amministrazioni pubbliche. Non dopo sei mesi, ma ogni mese. Possibile che non lo capiscano?».
Qualche tentativo di rinnovamento si coglie. Maurizio Genesini, manager della Lavanderia Zbm di Arco, nel Trentino, oltre che presidente dell’associazione di settore, racconta del caso Lombardia, dove pure c’è una situazione diversa da ente a ente. «La regione ha canalizzato i pagamenti attraverso la Finlombarda. Le fatture, vistate dalle amministrazioni, passano a questa finanziaria, la quale eroga i soldi. Tutti i fornitori sono sullo stesso piano, non ci sono figli e figliastri. E pur con ritardo, tra 5 e 6 mesi, c’è una situazione gestibile».
Già, perché il problema non sono solo i ritardi, ma anche l’incertezza. Dice ancora Genesini: «Il Lazio ha fatto una cartolarizzazione dei debiti a metà 2008, ma non si sa quando, e se, ce ne sarà un’altra».
Il Lazio è la maglia nera anche secondo un altro colosso della lavanderia industriale, la Servizi ospedalieri del gruppo Manutencoop, 1.200 addetti, 100 milioni di fatturato annuo, quattro stabilimenti in diverse regioni e un credito in arretrato con la pubblica amministrazione che arriva intorno al 70 per cento del giro di affari. Racconta l’amministratore delegato Andrea Gozzi: «Noi registriamo un ritardo medio nei pagamenti di 265 giorni. Ma è, appunto, una media. Nel Lazio i ritardi raggiungono i 400 giorni, oltre i 90 canonici. Seguito a ruota dalle amministrazioni della Calabria con 280 giorni, dell’Abruzzo con 228. Perfino le amministrazioni dell’Emilia-Romagna pagano con 126 giorni. I più regolari sono gli enti del Trentino, che a noi versano il dovuto entro i 90 giorni e della Toscana con 39 giorni, oltre i 90».
«Il problema» racconta Gozzi «è la differenza tra lo slittamento degli incassi dalla pubblica amministrazione e i nostri ritardi nel pagamento dei fornitori. Questi riusciamo a pagarli non oltre i 110 giorni. La differenza che si crea per questa sfasatura di tempi la colmiamo con i prestiti che prendiamo in banca. Costo intorno al 4 per cento».
Dagli artigiani alle coop, dal terzo settore fino ai colossi dell’industria e dei servizi: nessuno sfugge. Pure l’Enel, gigante dell’energia, non fa mistero di vantare crediti da varie amministrazioni pubbliche, dall’Ente acquedotti siciliani al Consorzio di approvvigionamento idrico di terra e lavoro, dalla asl Napoli 1 al comune di Modica. In tutto, circa 500 milioni di euro. Il problema è generale.
Tutte le associazioni imprenditoriali apprezzano per questo gli interventi decisi dal governo e quelli dei quali ancora si discute. Chiedono che si stringano i tempi e che si faccia di più. Ribadisce Morandini: «C’è bisogno di risultati immediati. Noi abbiamo fatto proposte per spezzare in due il problema. L’ipotesi è semplice: fissiamo tempi inderogabili per i pagamenti da oggi in poi. Per il debito facciamo un piano di rientro serio, insieme con le banche. Abbiamo bisogno che quei soldi ritornino subito nelle casse delle imprese. Le banche possono anticiparci i denari, ma senza un piano condiviso gli anticipi vengono considerati un fido personale; e dunque prosciugano il castelletto che ognuno di noi può avere presso le aziende di credito. In un momento come questo non va bene».

Fonte:
Panorama

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