martedì 31 marzo 2009

«Gomorra è qui, tacere è complice» Il grido di Cavalli


Milano, luglio e un «funerale oscenamente privato», quello dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso con tre colpi calibro 357 magnum, l’11 luglio del 1979.

Parte da qui l’ultimo lavoro di Giulio Cavalli, scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Barbacetto,presentato sabato sera al Nebiolo, la chiusura della giornata di inaugurazione del Centro di documentazione per il teatro civile.
E non poteva esserci occasione migliore per questa prima lettura, che il direttore artistico del teatro di Tavazzano ha portato in scena con l’accompagnamento musicale di Gaetano Liguori, se non una giornata in cui a vincere è stato il sodalizio stretto tra giornalismo e teatro di narrazione.
Da Ambrosoli a Sindona, dalla Banca Rasini all’omicidio Calvi, da Milano all’Expo e l’attacco è duro, frontale, diretto a una città, Milano, «che non se ne accorge», a una regione, la Lombardia, muta, a una popolazione, cieca e complice, perché che «favola comoda è dire che qui la mafia non esiste».

E il ritratto, dipinto nei 50 minuti fitti di nomi, cognomi, fatti, è implacabile per la Milano «tutta aperitivo e presunzione», ma anche per tutti i territori limitrofi che sono diventati la patria ufficiale del «confino» voluto da Cosa Nostra e ‘ndrangheta, perché «le mafie sono diventate brave», non imbracciano più il fucile; i figli giovani e trentenni delle guerre di mafia degli anni Ottanta girano in Suv, fanno la stessa vita degli altri milanesi da aperitivo.

Ma soprattutto le mafie sono diventate grandi.
Hanno capito che per fare cassa, gli affari più sicuri sono quelli di edilizia e appalti pubblici. E allora una lettura può diventare un torrente di nomi e di luoghi, con l’oggettività giornalistica di Barbacetto e il linguaggio poetico di Cavalli: da Buccinasco a Corsico, da Cologno Monzese a Melegnano, da Spino d’Adda a Sant’Angelo Lodigiano, per dire che «Gomorra è anche qui» e il «silenzio è complice».«Ci sono spettacoli che nascono da un’urgenza diverse da quella di raccontare una storia, perché il lavoro che facciamo ci può portare ad incorrere in conseguenza che vanno oltre il palco e attaccano la vita privata - ha spiegato Cavalli in apertura - ; per me è un grandissimo onore lavorare con un professionista che è abituato a parlare, dati alla mano, di un fenomeno che siamo abituati a pensare come lontanissimo da qui».

Sul palco alla fine della lettura anche Gianni Barbacetto, che ha raccolto insieme a Cavalli, il caloroso applauso di Tavazzano.
«Questa lettura è ancora più forte degli articoli da cui proviene - ha commentato il giornalista - ; i fatti sembrano acquistare un senso di verità maggiore. L’informazione è poca cosa, ha le armi spuntate e la ricchezza di questo lavoro è la possibilità di andare nei teatri, incontrare la gente e dire loro la verità».

Fonte:
IL CITTADINO
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Milano, luglio e un «funerale oscenamente privato», quello dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso con tre colpi calibro 357 magnum, l’11 luglio del 1979.

Parte da qui l’ultimo lavoro di Giulio Cavalli, scritto a quattro mani con il giornalista Gianni Barbacetto,presentato sabato sera al Nebiolo, la chiusura della giornata di inaugurazione del Centro di documentazione per il teatro civile.
E non poteva esserci occasione migliore per questa prima lettura, che il direttore artistico del teatro di Tavazzano ha portato in scena con l’accompagnamento musicale di Gaetano Liguori, se non una giornata in cui a vincere è stato il sodalizio stretto tra giornalismo e teatro di narrazione.
Da Ambrosoli a Sindona, dalla Banca Rasini all’omicidio Calvi, da Milano all’Expo e l’attacco è duro, frontale, diretto a una città, Milano, «che non se ne accorge», a una regione, la Lombardia, muta, a una popolazione, cieca e complice, perché che «favola comoda è dire che qui la mafia non esiste».

E il ritratto, dipinto nei 50 minuti fitti di nomi, cognomi, fatti, è implacabile per la Milano «tutta aperitivo e presunzione», ma anche per tutti i territori limitrofi che sono diventati la patria ufficiale del «confino» voluto da Cosa Nostra e ‘ndrangheta, perché «le mafie sono diventate brave», non imbracciano più il fucile; i figli giovani e trentenni delle guerre di mafia degli anni Ottanta girano in Suv, fanno la stessa vita degli altri milanesi da aperitivo.

Ma soprattutto le mafie sono diventate grandi.
Hanno capito che per fare cassa, gli affari più sicuri sono quelli di edilizia e appalti pubblici. E allora una lettura può diventare un torrente di nomi e di luoghi, con l’oggettività giornalistica di Barbacetto e il linguaggio poetico di Cavalli: da Buccinasco a Corsico, da Cologno Monzese a Melegnano, da Spino d’Adda a Sant’Angelo Lodigiano, per dire che «Gomorra è anche qui» e il «silenzio è complice».«Ci sono spettacoli che nascono da un’urgenza diverse da quella di raccontare una storia, perché il lavoro che facciamo ci può portare ad incorrere in conseguenza che vanno oltre il palco e attaccano la vita privata - ha spiegato Cavalli in apertura - ; per me è un grandissimo onore lavorare con un professionista che è abituato a parlare, dati alla mano, di un fenomeno che siamo abituati a pensare come lontanissimo da qui».

Sul palco alla fine della lettura anche Gianni Barbacetto, che ha raccolto insieme a Cavalli, il caloroso applauso di Tavazzano.
«Questa lettura è ancora più forte degli articoli da cui proviene - ha commentato il giornalista - ; i fatti sembrano acquistare un senso di verità maggiore. L’informazione è poca cosa, ha le armi spuntate e la ricchezza di questo lavoro è la possibilità di andare nei teatri, incontrare la gente e dire loro la verità».

Fonte:
IL CITTADINO

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