lunedì 23 febbraio 2009

La nuova toponomastica di Gaeta :Piazza Cosmo Ciaramaglia, Viale di Montesecco al posto di Viale battaglione Alpini di Piemonte


Cosmo Ciaramaglia è stato il più grande amico di Antonio Ciano, operaio dell’Avir, scrittore, autore di “Razza Caina” un vero capolavoro, uno spaccato della provincia italiana, di una intensità particolare, oggi introvabile nelle librerie. Ciaramaglia è stato sindacalista della CGIL, comunista, internazionalista, borbonico. Quando vide San Leucio ebbe un soprassalto,

“Ma come!- diceva- e ci voleva Carlo Marx? I Borbone hanno fatto ciò 250 anni fa e la gente non sa niente? Allora dobbiamo divulgare la filosofia della comunità di quella che fu la nostra provincia. Quando vide la grandezza della Reggia di Caserta rimase estasiato e disse a Ciano: ” E furono chiamati reazionari? Dei re che costruirono case popolari, dei re che costruirono palazzi per ricoverare i poveri, che assegnavano terre in uso e mai in proprietà sono stati chiamati reazionari?
E i re che hanno tolto terre alla Chiesa e la demanio, sottraendoli ai cittadini per darli ai liberali sono dei rivoluzionari? Possibile? Qualcosa non quadrava, assieme a Ciano si incamminò alla riscoperta del tempo perduto.
Casa Ciaramaglia era diventata un laboratorio.
Quando fu pubblicato “I Savoia e il massacro del Sud” disse che quel libro avrebbe sconvolto le coscienze, la stessaa cosa scrisse Dario Fertilio sulla terza pagina de ” Il Corriere della Sera”. Dio ha voluto che Manna, Ciaramaglia e Ciano si incontrassero di lì a poco. I loro incontri avvenivano alla trattoria “Masaniello” di Gaeta, lì si elaborava, si piangeva sugli stupri subiti dal Sud, si elaborava, assieme a Lucio Barone, aggregatosi alla compagnia in modo naturale, un progetto politico serio, per dare al Sud la dignità e l’orgoglio della memoria perduta.
La prima cosa da fare era una tv, dovevamo poter irradiare le nostre ragioni ai meridionali. Ciano si inventò la telestreet per dare voce a questo movimento, al nuovo partito che avrebbe dovuto infondere nei meridionali la storia del Sud, la voce del Sud.
Ciaramaglia morì il 21 maggio del 2001, Manna lo segui da presso, Barone lasciò questa terra anche lui. Prima di morire lanciò un sms a Ciano, diceva:Vai avanti, ti guideremo da lassù, il Sud sta risorgendo.
Ciaramaglia fece sorgere un quartiere a Gaeta, con la sua opera di sindacalista; cooperative e case popolari a Monte Tortona, oggi c’è una piazzetta,l’amministrazione comunale l’ha sistemata con fiori, giochi per bambini, panche e luci.
Il presidente della commissione per la Toponomastica ha voluto che la piazza fosse intitolata a Cosmo Ciaramaglia, filosofo e scrittore, operaio e sindacalista, ma uno dei nostri.
Prima di morire scrisse questo capitolo, leggiamolo assieme*.
La commissione ha pure cambiato un’altra strada, lo storico viale della vecchia piazza d’armi borbonica, quello dove il Cap. Romano è solito sfilare con le sue truppe il 13 febbraio di ogni anno, escluso questo.
Ora si chiama come lo avevano chiamato i Borbone ” Viale di Montesecco” e lì, a 200 metri, i piemontesi erano adusi a fucilare i nostri partigiani, chiamati “Birganti”.
Il prossimo anno il Comune programmerà una settimana di eventi, senza togliere niente alle associazioni borboniche. Si proietteranno film sul brigantaggio, sull’invasione piemontese; topere teatrali, convegni, mostre sul brigantaggio. Sarà invitato ufficialmente il “Movimento neoborbonico” e Alessandro Romano, che per Ciano ,è ,e rimane fondamentale per lo sviluppo dell’ìdea meridionalsita, compie un’opera di convincimento da anni.
Siamo sicuri che un giorno la verità verra a galla, quelli che Ciano ha chiamato scribacchini, professorelli di regime, verranno smascherati.
Romano dovrebbe conoscere chi ha scritto quell’articolo velenoso contro Raimondi, è un suo paesano vendereccio, naviga a sinistra a Ventotene e a destra a Gaeta. Intanto Ciano e Raimondi stanno dando onore al Sud con gli atti e con i fatti. Primi in Italia sono stati capaci di portare in Consiglio comunale tematiche scottanti, mai servi dei savoia, nè dei giacobini.

A Ponza la strada principale è intitolata a Pisacane, la scuola principale è sempre intitolata a Pisacane, e la piazzetta del Comune è intitolata al Giacobino che lo scribacchino ha elevato in gloria con un libro. A Napoli si dice che “Chiacchiere e tabacchere ‘e legne ‘o banche ‘e napule non se li impegna”.
A Gaeta la giunta Raimondi , con atti di consiglio,fa i fatti.
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Negli ultimi anni, forse per reazione alla politica antimeridionalista di Bossi, forse per il grande divario economico esistente tra Nord e Sud, forse per il fatto che i Savoia volevano rientrare in Italia dall’esilio, forse perché molti scrittori stanno riscrivendo la storia risorgimentale, fatto sta che i Borbone sono ritornati nella memoria storica della gente del Sud e non solo. Nell’anno 2000 centinaia di migliaia di persone si sono recate a visitare le mostre sui Borbone patrocinate da presidenti di regioni e persino dal Capo dello Stato.
Ma chi erano quei Borbone da sempre dipinti come tiranni ed assassini dai derelitti prezzolati di regime?
Meglio di tutti risponde a questa domanda Cosmo Ciaramaglia, scrittore e filosofo:
”I Borbone, per mestiere, facevano i re. Una professione che si tramandavano di padre in figlio con passione e onestà.
Giravano l’Europa alla ricerca di chi avesse bisogno della loro opera e, felicemente, erano approdati nel Regno delle Due Sicilie che ne richiedeva la presenza.
A differenza di tutti gli altri Stati europei, dove i re trovavano sudditi da governare, nel Regno delle Due Sicilie, già Magna Gracia, i Borbone trovarono un popolo fatto di individui, l’uno diverso dall’altro per via della cultura epicurea che avevano nel sangue. Gennaro Esposito poteva essere solo Gennaro Esposito, non assimilabile a Carmine Cacace e, soprattutto, non riducibile a suddito.

Vigeva, inoltre, nel Regno, la triste usanza della solidarietà nei confronti dei poveri e dei derelitti, al fine di preservarne la sopravvivenza e la conservazione della personalità. Tutti individualisti ma tutti solidali.
Non era possibile far morire di fame un povero perché, prima di tirare le cuoia, il povero si sarebbe fatto precedere nell’aldilà da quelli che, a suo giudizio, non gli avevano offerto solidarietà.
Nel Regno erano permesse: la morte per vecchiaia, quella per malattia e quella violenta; la morte per fame la si trovava solo oltre i confini del Regno. I Borbone, tra l’altro, erano affetti da una grave malattia ereditaria. Una malattia progressiva peggiore della sifilide: erano cattolici. Credevano nel Cristo dei vangeli ed erano monarchi. Bella rogna essere amministratori di uno Stato e seguaci della parola di Cristo!
A differenza di quanto può permettersi un papa ( predicare il dettame), uno statista serio è costretto a praticare, ad applicare ciò in cui crede e, quindi, a legiferare in quel senso.
Scoprirono che Cristo era anche figlio di Dio, come ognuno di noi, ed era stato inviato sulla Terra, in alternativa a un secondo diluvio universale, a portare “il messaggio” che Dio avrebbe voluto fosse scoperto dagli uomini con l’aiuto dello Spirito santo.

Ma così non fu.
Cristo, figlio prediletto del Padre, esso stesso Dio, venne nel mondo degli uomini con la “formula magica”, la lieta novella, la verità assoluta.
La formula che racchiude in sé il postulato filosofico, mai acquisito dagli uomini, diceva che tutto era scritto a chiare lettere nella natura. Il postulato recita: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Nel “ te stesso” risiede la prima legge naturale cher sancisce lo spirito di conservazione, l’egoismo che interessa tutti gli elementi presenti al mondo. Nell’ ama il prossimo tuo il segreto svelato dell’interazione cosmocologica a cui tutte le cose sono soggette. L’evoluzione di ogni uomo è meccanicamente dipendente del proprio circostante. Il circostante dell’individuo, che bombarda miriadi di messaggi si di esso, si diparte dal prossimo più prossimo e, via sfumando, coinvolge tutto l’habitat universale. Niente e nessuno può essere scevro dai fenomeni e dalle azioni che gli determinano intorno.

Tutto interreagisce.
Ogni uomo è portato ad erricchirsi, a impadronirsi di novità, nell’evoluzione.
Non c’è miniera che non debba essere sfruttata a proprio uso e consumo; ciò al fine di ascendere a una Dimensione Superiore. Più Divina.
Ma se l’uomo è squisito prodotto del proprio circostante, è nella dinamizzazione e nella ottimizzazione dello stesso la sorgente della propria evoluzione.
Quindi, lavorare alla crescita qualitativa del proprio circostante equivale, pari pari, a lavorare per la propria crescita. L’altruismo è la più alta forma di egoismo. Arare, seminare, far germogliare, per poter cogliere i frutti. Stimolare il benessere e l’esaltazione materiale, intellettiva, culturale e spirituale altrui, per ricevere messaggi vieppiù stimolanti. Senza nobile fatica, ha la meglio il ristagno.
Chi pratica lo zoppo impara a zoppicare, l’uomo delle caverne o lagunare si ammala di atrosi per via della forte umidità; chi scherza col fuoco si brucia.
Per via della “paposcia”, la stragrande maggioranza degli esseri umani, invece di faticare per costruire la propria casa, ha preferito occupare quella del vicino, dopo averlo fatto fuori.
L’ozio è il padre dei vizi. Chi non semina non raccoglie e, se raccoglie, lo fa nel seminato altrui.
Attraverso la sopraffazione e il consumismo, l’uomo è diventato demolitore del proprio circostante. Da cannibale, ha divorato il suo vicino; ha rubato, ha stuprato, ha ammazzato e distrutto intorno a sé e, tra le macerie di quanto consumato, raccoglie messaggi di livello infimo e scende nella dimensione delle sottospecie. Nella società moderna, le fatiche occorrenti per l’ottenimento dell’elevazione globale, vengono delegate a pochi.il religioso codino mangia, beve, fotte e prega. Il laico deve farsi carico di scoprire il vaccino antirabbico, la penicillina, l’antibiotico occorrente al religioso codino che mangia, beve, fotte e prega, quando viene morso da un cane e si ammala.

Dieci a costruire, novanta a distruggere: una lotta impari. La preghiera, praticata con la paposcia, è la scorciatoia per ottenere il massimo. Dio, che ha sancito essere la preghiera il darsi da fare a favore degli altri, nell’ambito delle leggi della natura, palesemente Divina, forse è sempre meno propenso ad ascoltare i vili mormorii dei cerebrolesi fatti nascere col forcipe delle Scritture Manomesse. L’ignoranza è l’essenza di Grazia. Chi si adopera per la conservazione o la moltiplicazione dell’ignoranza è ignorante. E senza Grazia. La Grazia di Dio è nella strabiliante varietà fenomenologica presente in natura, da cui l’uomo può attingere a piene mani per ottenere la cittadinanza cosmica a cui è destinato. Paposciari di tutto il mondo, datevi una mossa!
Se amare il prossimo come sé stessi” era il dettame dell’altissimo filosofo Cristo, non potevano i Cristiani cattolici Borbone non agire di conseguenza.
Se tutti gli esseri umani, alla pari, sono il prossimo di ognuno, tale parità andava proclamata nei fatti. Perciò, quindi occorreva recuperare nella sfera della dignità tutti i bisognosi, i miseri, i derelitti, gli acciaccati.

La divisione aprioristicamente meritocratica del liberalismo, il privilegio dovuto agli eletti di ebraica scaturigine, le rendite di posizione e quan’altro faceva a cazzotti con il postulato cristiano, dovevano essere, via via, debellati. Le pari opportunità dovevano riguardare anche Gennaro Esposito e Carmine Cacace.
Pane per tutti, istruzione per tutti, assistenza per tutti.
Dio lo vuole, Cristo lo ha detto.
E mentre l’aristocrazia mugugnava, nasceva San Leucio.

San Leucio, la “ città-utopia”, lavorava mirabilmente nel campo dei tessuti. Sete, rasi, fibre varie attraversavano i telai destramente adoperati e formavano coperte fantasmagoriche, lenzuola, tessuti ineguagliabili per fattezza. Una organizzazione industriale in una città di operai con i propri nuclei familiari, tutti forniti di una casa, di un’istruzione primaria, di un’istruzione professionale, di un salario uguale per tutti, di un’assistenza.
Era il comunismo. Era il nemico acerrimo del liberalismo, fondato sulla meritocrazia che premia i migliori.
Per il liberale conta quanto prodotto. Chi solleva un quintale, avendone le capacità, viene pagato per cento chili. Chi ne solleva solo cinquanta, essendo debole, viene pagato per cinquanta e tale compenso gli servirà per curarsi l’ernia prodotta a causa dello sforzo fatto. Filippide percorre, di corsa, 42 chilometri e passa, da solo; avverte i Greci dell’arrivo dei nemici e crepa per l’immane fatica sostenuta. Viene premiato e ricordato in eterno. Se a correre fossero stati in tre: Primeide, Filippide e Panieride, e Primeide fosse giunto per primo, Primeide sarebbe stato lui ad essere osannato e, anche se morti di crepacuore, non avrebbero raccolto felicitazioni gli altri e si sarebbe persa la memoria per Filippide e Panieride.
Il comunismo di San Leucio, accettato dalla Chiesa cattolica, non si sa quanto a malincuore, e vidimato dal Padreterno, rappresentava quanto più mortale per il pensiero e il potere liberal-massonico. Ritornava sulla Terra il messia, nei fatti e, quindi, era indispensabile ricrocifiggerlo.

I rapaci masso-ebraici-anglofrancosardi, sfruttando i laicomassorisorgimentali, partirono, lancia in resta, per fare del Regno terra bruciata.
La bestemmia pronunciata con la realizzazione di San Leucio era troppo grande; quindi: “ aricrucifige”! guai se l’esempio di san Leucio si fosse propagato.
Così come gli alleati, nella seconda guerra mondiale, furono costretti sbarcare sulle coste della Normandia, dacchè si era sentito sentore che Hitler stava per realizzare la bomba atomica, i rapaci alleati liberal-massoni corsero ad invadere la Magna Grecia ribattezzata Regno delle Due Sicilie.
Così. Come sostengono alcuni storici moderni, fu attivato un certo garibaldo, cacciatore per vocazione o bracconiere e arraffatore di prede e bottini in ogni sito terrestre, di qua e di là dell’oceano atlantico. Prodotto della coste liguri, come Colombo, avaro come si conviene in quelle plaghe, fu chiamato a cacciare i Borbone. Dicono, questi ultimi storici, che il famoso avido predone, aureolato dal carbonlaicismo del tempo, di ligure mazziniana fattezza, alla testa di un manipolo di pirati, banditi ed avventurieri assoldati nelle bettole litoranee del Nord e nelle miseropoli piemontesi e lombarde, sostenuto da mezzi e flotte delle Sacre Corone Unite d’Europa e dalle infide colonne liberal-ladroniche, cospicuamente presenti nel Regno da disfare, ingranò la quarta a Quarto, ubriacò le truppe a Marsala e, con le quinte colonne presenti in Sicilia, occupò l’isola, alleggerendola di migliaia e migliaia di contadini scontenti, fatti fucilare. Ciò per mettere in sesto il disegno savoiardo.

La storia, oggi, sul suo nome tentenna. Garibaldo, nato e cresciuto sulla costa, legato al mare per via del destino, odiava tutti i terragni: contadini, terroni e bifolchi, intenti ad accumulare per sopravvivere e gelosi della terra su cui nascevano, faticavano e morivano lasciando il testimone ai figli. Troppo statici agli occhi del corsaro. Ne fece fucilare tantissimi nel Regno dei Borbone depredato.
Nel nome di una druidica barbarie, aiutò i Savoia a spoliare la Magna Grecia di tutte le sue ricchezze finanziarie, materiali, sociali, spirituali ed artistiche.
Tutto il trasportabile fu trasportato nel Regno dei barbari discendenti di Vercincetorige e l’Italia fu consegnata in blocco ai Galli, Cisalpini e Trans, ai Longobardi e via ordando.Garibaldo fu mandato in pensione, in mezzo al mare. Qualcuno disse che non c’era, al mondo, sito migliore di Caprera per ospitare un caprone come il generale. Altri sostennero che l’operazione doveva servire a dare il là alle famose barzellette che vedono protagonista il naufrago sull’isoletta in mezzo al mare.
Intanto la ferocia savoiarda avviava all’emigrazione di massa, alla diaspora, tutto il popolo del Sud. Si affermava così il grande progetto: “ Dio e Popolo - Pensiero e Azione”: una malazione. Quale Dio, quale Popolo e quale pensiero, sono rimasti misteriosi.
Il “Dio” degli ebrei o quello dei cristiani? Quello del diluvio universale, di Sodoma e Gomorra, dell’occhio per occhio o quello del messia e del Perdono?
Il “Popolo” degli Italici sconfitti e dispersi della Magna Grecia o quello delle orde ottocentesche, autore dell’ultimo sacco di Roma?
Il “Pensiero” che va, sulle ali dorate , a raddrizzare le torri di Sionne o il Pensiero filosofico meraviglioso che va da Talete a Cristo? Ah, saperlo!
Chiusa la miniera laica dei carbonari, i massoni rotolarono come macigni da nord-ovest, per schiacciare le speranze di una Italia umanista. Eppure, quando i venti innovatori della rivoluzione francese erano arrivati a Napoli, si erano vergognati di riconoscersi arretrati rispetto a quanto si era edificato in quell’area geografica.

Dalla vergogna alla rabbia il passo è breve, per gli spocchiosi.
Quei maledetti Borbone si erano infilati in testa l’idea di eliminare i poveri.
Li censivano, poi costruivano in Napoli un chilometrico edificio per gli stessi, al fine di avviarli al reinserimento nella società, con la dignità che era dovuta loro in quanto esseri umani tra gli umani. Borbonismo sì, Borbonismo no.
Monarchi folli, da Campania Felix.
La storia scritta dai vincitori li classificò reazionari.
Dolmen, Menhir e Macigni debellarono anche i cattolici asburgici e l’unità d’Italia fu realizzata sotto il dominio delle province annesse.”.
(Cosmo Ciaramaglia,Meglio che me ne vada, libro postumo. Ibidem, pag…)

Così parlò il filosofo, e noi siamo d’accordo con lui, la pensiamo come lui.
Fonte:ReteSud
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Cosmo Ciaramaglia è stato il più grande amico di Antonio Ciano, operaio dell’Avir, scrittore, autore di “Razza Caina” un vero capolavoro, uno spaccato della provincia italiana, di una intensità particolare, oggi introvabile nelle librerie. Ciaramaglia è stato sindacalista della CGIL, comunista, internazionalista, borbonico. Quando vide San Leucio ebbe un soprassalto,

“Ma come!- diceva- e ci voleva Carlo Marx? I Borbone hanno fatto ciò 250 anni fa e la gente non sa niente? Allora dobbiamo divulgare la filosofia della comunità di quella che fu la nostra provincia. Quando vide la grandezza della Reggia di Caserta rimase estasiato e disse a Ciano: ” E furono chiamati reazionari? Dei re che costruirono case popolari, dei re che costruirono palazzi per ricoverare i poveri, che assegnavano terre in uso e mai in proprietà sono stati chiamati reazionari?
E i re che hanno tolto terre alla Chiesa e la demanio, sottraendoli ai cittadini per darli ai liberali sono dei rivoluzionari? Possibile? Qualcosa non quadrava, assieme a Ciano si incamminò alla riscoperta del tempo perduto.
Casa Ciaramaglia era diventata un laboratorio.
Quando fu pubblicato “I Savoia e il massacro del Sud” disse che quel libro avrebbe sconvolto le coscienze, la stessaa cosa scrisse Dario Fertilio sulla terza pagina de ” Il Corriere della Sera”. Dio ha voluto che Manna, Ciaramaglia e Ciano si incontrassero di lì a poco. I loro incontri avvenivano alla trattoria “Masaniello” di Gaeta, lì si elaborava, si piangeva sugli stupri subiti dal Sud, si elaborava, assieme a Lucio Barone, aggregatosi alla compagnia in modo naturale, un progetto politico serio, per dare al Sud la dignità e l’orgoglio della memoria perduta.
La prima cosa da fare era una tv, dovevamo poter irradiare le nostre ragioni ai meridionali. Ciano si inventò la telestreet per dare voce a questo movimento, al nuovo partito che avrebbe dovuto infondere nei meridionali la storia del Sud, la voce del Sud.
Ciaramaglia morì il 21 maggio del 2001, Manna lo segui da presso, Barone lasciò questa terra anche lui. Prima di morire lanciò un sms a Ciano, diceva:Vai avanti, ti guideremo da lassù, il Sud sta risorgendo.
Ciaramaglia fece sorgere un quartiere a Gaeta, con la sua opera di sindacalista; cooperative e case popolari a Monte Tortona, oggi c’è una piazzetta,l’amministrazione comunale l’ha sistemata con fiori, giochi per bambini, panche e luci.
Il presidente della commissione per la Toponomastica ha voluto che la piazza fosse intitolata a Cosmo Ciaramaglia, filosofo e scrittore, operaio e sindacalista, ma uno dei nostri.
Prima di morire scrisse questo capitolo, leggiamolo assieme*.
La commissione ha pure cambiato un’altra strada, lo storico viale della vecchia piazza d’armi borbonica, quello dove il Cap. Romano è solito sfilare con le sue truppe il 13 febbraio di ogni anno, escluso questo.
Ora si chiama come lo avevano chiamato i Borbone ” Viale di Montesecco” e lì, a 200 metri, i piemontesi erano adusi a fucilare i nostri partigiani, chiamati “Birganti”.
Il prossimo anno il Comune programmerà una settimana di eventi, senza togliere niente alle associazioni borboniche. Si proietteranno film sul brigantaggio, sull’invasione piemontese; topere teatrali, convegni, mostre sul brigantaggio. Sarà invitato ufficialmente il “Movimento neoborbonico” e Alessandro Romano, che per Ciano ,è ,e rimane fondamentale per lo sviluppo dell’ìdea meridionalsita, compie un’opera di convincimento da anni.
Siamo sicuri che un giorno la verità verra a galla, quelli che Ciano ha chiamato scribacchini, professorelli di regime, verranno smascherati.
Romano dovrebbe conoscere chi ha scritto quell’articolo velenoso contro Raimondi, è un suo paesano vendereccio, naviga a sinistra a Ventotene e a destra a Gaeta. Intanto Ciano e Raimondi stanno dando onore al Sud con gli atti e con i fatti. Primi in Italia sono stati capaci di portare in Consiglio comunale tematiche scottanti, mai servi dei savoia, nè dei giacobini.

A Ponza la strada principale è intitolata a Pisacane, la scuola principale è sempre intitolata a Pisacane, e la piazzetta del Comune è intitolata al Giacobino che lo scribacchino ha elevato in gloria con un libro. A Napoli si dice che “Chiacchiere e tabacchere ‘e legne ‘o banche ‘e napule non se li impegna”.
A Gaeta la giunta Raimondi , con atti di consiglio,fa i fatti.
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Negli ultimi anni, forse per reazione alla politica antimeridionalista di Bossi, forse per il grande divario economico esistente tra Nord e Sud, forse per il fatto che i Savoia volevano rientrare in Italia dall’esilio, forse perché molti scrittori stanno riscrivendo la storia risorgimentale, fatto sta che i Borbone sono ritornati nella memoria storica della gente del Sud e non solo. Nell’anno 2000 centinaia di migliaia di persone si sono recate a visitare le mostre sui Borbone patrocinate da presidenti di regioni e persino dal Capo dello Stato.
Ma chi erano quei Borbone da sempre dipinti come tiranni ed assassini dai derelitti prezzolati di regime?
Meglio di tutti risponde a questa domanda Cosmo Ciaramaglia, scrittore e filosofo:
”I Borbone, per mestiere, facevano i re. Una professione che si tramandavano di padre in figlio con passione e onestà.
Giravano l’Europa alla ricerca di chi avesse bisogno della loro opera e, felicemente, erano approdati nel Regno delle Due Sicilie che ne richiedeva la presenza.
A differenza di tutti gli altri Stati europei, dove i re trovavano sudditi da governare, nel Regno delle Due Sicilie, già Magna Gracia, i Borbone trovarono un popolo fatto di individui, l’uno diverso dall’altro per via della cultura epicurea che avevano nel sangue. Gennaro Esposito poteva essere solo Gennaro Esposito, non assimilabile a Carmine Cacace e, soprattutto, non riducibile a suddito.

Vigeva, inoltre, nel Regno, la triste usanza della solidarietà nei confronti dei poveri e dei derelitti, al fine di preservarne la sopravvivenza e la conservazione della personalità. Tutti individualisti ma tutti solidali.
Non era possibile far morire di fame un povero perché, prima di tirare le cuoia, il povero si sarebbe fatto precedere nell’aldilà da quelli che, a suo giudizio, non gli avevano offerto solidarietà.
Nel Regno erano permesse: la morte per vecchiaia, quella per malattia e quella violenta; la morte per fame la si trovava solo oltre i confini del Regno. I Borbone, tra l’altro, erano affetti da una grave malattia ereditaria. Una malattia progressiva peggiore della sifilide: erano cattolici. Credevano nel Cristo dei vangeli ed erano monarchi. Bella rogna essere amministratori di uno Stato e seguaci della parola di Cristo!
A differenza di quanto può permettersi un papa ( predicare il dettame), uno statista serio è costretto a praticare, ad applicare ciò in cui crede e, quindi, a legiferare in quel senso.
Scoprirono che Cristo era anche figlio di Dio, come ognuno di noi, ed era stato inviato sulla Terra, in alternativa a un secondo diluvio universale, a portare “il messaggio” che Dio avrebbe voluto fosse scoperto dagli uomini con l’aiuto dello Spirito santo.

Ma così non fu.
Cristo, figlio prediletto del Padre, esso stesso Dio, venne nel mondo degli uomini con la “formula magica”, la lieta novella, la verità assoluta.
La formula che racchiude in sé il postulato filosofico, mai acquisito dagli uomini, diceva che tutto era scritto a chiare lettere nella natura. Il postulato recita: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Nel “ te stesso” risiede la prima legge naturale cher sancisce lo spirito di conservazione, l’egoismo che interessa tutti gli elementi presenti al mondo. Nell’ ama il prossimo tuo il segreto svelato dell’interazione cosmocologica a cui tutte le cose sono soggette. L’evoluzione di ogni uomo è meccanicamente dipendente del proprio circostante. Il circostante dell’individuo, che bombarda miriadi di messaggi si di esso, si diparte dal prossimo più prossimo e, via sfumando, coinvolge tutto l’habitat universale. Niente e nessuno può essere scevro dai fenomeni e dalle azioni che gli determinano intorno.

Tutto interreagisce.
Ogni uomo è portato ad erricchirsi, a impadronirsi di novità, nell’evoluzione.
Non c’è miniera che non debba essere sfruttata a proprio uso e consumo; ciò al fine di ascendere a una Dimensione Superiore. Più Divina.
Ma se l’uomo è squisito prodotto del proprio circostante, è nella dinamizzazione e nella ottimizzazione dello stesso la sorgente della propria evoluzione.
Quindi, lavorare alla crescita qualitativa del proprio circostante equivale, pari pari, a lavorare per la propria crescita. L’altruismo è la più alta forma di egoismo. Arare, seminare, far germogliare, per poter cogliere i frutti. Stimolare il benessere e l’esaltazione materiale, intellettiva, culturale e spirituale altrui, per ricevere messaggi vieppiù stimolanti. Senza nobile fatica, ha la meglio il ristagno.
Chi pratica lo zoppo impara a zoppicare, l’uomo delle caverne o lagunare si ammala di atrosi per via della forte umidità; chi scherza col fuoco si brucia.
Per via della “paposcia”, la stragrande maggioranza degli esseri umani, invece di faticare per costruire la propria casa, ha preferito occupare quella del vicino, dopo averlo fatto fuori.
L’ozio è il padre dei vizi. Chi non semina non raccoglie e, se raccoglie, lo fa nel seminato altrui.
Attraverso la sopraffazione e il consumismo, l’uomo è diventato demolitore del proprio circostante. Da cannibale, ha divorato il suo vicino; ha rubato, ha stuprato, ha ammazzato e distrutto intorno a sé e, tra le macerie di quanto consumato, raccoglie messaggi di livello infimo e scende nella dimensione delle sottospecie. Nella società moderna, le fatiche occorrenti per l’ottenimento dell’elevazione globale, vengono delegate a pochi.il religioso codino mangia, beve, fotte e prega. Il laico deve farsi carico di scoprire il vaccino antirabbico, la penicillina, l’antibiotico occorrente al religioso codino che mangia, beve, fotte e prega, quando viene morso da un cane e si ammala.

Dieci a costruire, novanta a distruggere: una lotta impari. La preghiera, praticata con la paposcia, è la scorciatoia per ottenere il massimo. Dio, che ha sancito essere la preghiera il darsi da fare a favore degli altri, nell’ambito delle leggi della natura, palesemente Divina, forse è sempre meno propenso ad ascoltare i vili mormorii dei cerebrolesi fatti nascere col forcipe delle Scritture Manomesse. L’ignoranza è l’essenza di Grazia. Chi si adopera per la conservazione o la moltiplicazione dell’ignoranza è ignorante. E senza Grazia. La Grazia di Dio è nella strabiliante varietà fenomenologica presente in natura, da cui l’uomo può attingere a piene mani per ottenere la cittadinanza cosmica a cui è destinato. Paposciari di tutto il mondo, datevi una mossa!
Se amare il prossimo come sé stessi” era il dettame dell’altissimo filosofo Cristo, non potevano i Cristiani cattolici Borbone non agire di conseguenza.
Se tutti gli esseri umani, alla pari, sono il prossimo di ognuno, tale parità andava proclamata nei fatti. Perciò, quindi occorreva recuperare nella sfera della dignità tutti i bisognosi, i miseri, i derelitti, gli acciaccati.

La divisione aprioristicamente meritocratica del liberalismo, il privilegio dovuto agli eletti di ebraica scaturigine, le rendite di posizione e quan’altro faceva a cazzotti con il postulato cristiano, dovevano essere, via via, debellati. Le pari opportunità dovevano riguardare anche Gennaro Esposito e Carmine Cacace.
Pane per tutti, istruzione per tutti, assistenza per tutti.
Dio lo vuole, Cristo lo ha detto.
E mentre l’aristocrazia mugugnava, nasceva San Leucio.

San Leucio, la “ città-utopia”, lavorava mirabilmente nel campo dei tessuti. Sete, rasi, fibre varie attraversavano i telai destramente adoperati e formavano coperte fantasmagoriche, lenzuola, tessuti ineguagliabili per fattezza. Una organizzazione industriale in una città di operai con i propri nuclei familiari, tutti forniti di una casa, di un’istruzione primaria, di un’istruzione professionale, di un salario uguale per tutti, di un’assistenza.
Era il comunismo. Era il nemico acerrimo del liberalismo, fondato sulla meritocrazia che premia i migliori.
Per il liberale conta quanto prodotto. Chi solleva un quintale, avendone le capacità, viene pagato per cento chili. Chi ne solleva solo cinquanta, essendo debole, viene pagato per cinquanta e tale compenso gli servirà per curarsi l’ernia prodotta a causa dello sforzo fatto. Filippide percorre, di corsa, 42 chilometri e passa, da solo; avverte i Greci dell’arrivo dei nemici e crepa per l’immane fatica sostenuta. Viene premiato e ricordato in eterno. Se a correre fossero stati in tre: Primeide, Filippide e Panieride, e Primeide fosse giunto per primo, Primeide sarebbe stato lui ad essere osannato e, anche se morti di crepacuore, non avrebbero raccolto felicitazioni gli altri e si sarebbe persa la memoria per Filippide e Panieride.
Il comunismo di San Leucio, accettato dalla Chiesa cattolica, non si sa quanto a malincuore, e vidimato dal Padreterno, rappresentava quanto più mortale per il pensiero e il potere liberal-massonico. Ritornava sulla Terra il messia, nei fatti e, quindi, era indispensabile ricrocifiggerlo.

I rapaci masso-ebraici-anglofrancosardi, sfruttando i laicomassorisorgimentali, partirono, lancia in resta, per fare del Regno terra bruciata.
La bestemmia pronunciata con la realizzazione di San Leucio era troppo grande; quindi: “ aricrucifige”! guai se l’esempio di san Leucio si fosse propagato.
Così come gli alleati, nella seconda guerra mondiale, furono costretti sbarcare sulle coste della Normandia, dacchè si era sentito sentore che Hitler stava per realizzare la bomba atomica, i rapaci alleati liberal-massoni corsero ad invadere la Magna Grecia ribattezzata Regno delle Due Sicilie.
Così. Come sostengono alcuni storici moderni, fu attivato un certo garibaldo, cacciatore per vocazione o bracconiere e arraffatore di prede e bottini in ogni sito terrestre, di qua e di là dell’oceano atlantico. Prodotto della coste liguri, come Colombo, avaro come si conviene in quelle plaghe, fu chiamato a cacciare i Borbone. Dicono, questi ultimi storici, che il famoso avido predone, aureolato dal carbonlaicismo del tempo, di ligure mazziniana fattezza, alla testa di un manipolo di pirati, banditi ed avventurieri assoldati nelle bettole litoranee del Nord e nelle miseropoli piemontesi e lombarde, sostenuto da mezzi e flotte delle Sacre Corone Unite d’Europa e dalle infide colonne liberal-ladroniche, cospicuamente presenti nel Regno da disfare, ingranò la quarta a Quarto, ubriacò le truppe a Marsala e, con le quinte colonne presenti in Sicilia, occupò l’isola, alleggerendola di migliaia e migliaia di contadini scontenti, fatti fucilare. Ciò per mettere in sesto il disegno savoiardo.

La storia, oggi, sul suo nome tentenna. Garibaldo, nato e cresciuto sulla costa, legato al mare per via del destino, odiava tutti i terragni: contadini, terroni e bifolchi, intenti ad accumulare per sopravvivere e gelosi della terra su cui nascevano, faticavano e morivano lasciando il testimone ai figli. Troppo statici agli occhi del corsaro. Ne fece fucilare tantissimi nel Regno dei Borbone depredato.
Nel nome di una druidica barbarie, aiutò i Savoia a spoliare la Magna Grecia di tutte le sue ricchezze finanziarie, materiali, sociali, spirituali ed artistiche.
Tutto il trasportabile fu trasportato nel Regno dei barbari discendenti di Vercincetorige e l’Italia fu consegnata in blocco ai Galli, Cisalpini e Trans, ai Longobardi e via ordando.Garibaldo fu mandato in pensione, in mezzo al mare. Qualcuno disse che non c’era, al mondo, sito migliore di Caprera per ospitare un caprone come il generale. Altri sostennero che l’operazione doveva servire a dare il là alle famose barzellette che vedono protagonista il naufrago sull’isoletta in mezzo al mare.
Intanto la ferocia savoiarda avviava all’emigrazione di massa, alla diaspora, tutto il popolo del Sud. Si affermava così il grande progetto: “ Dio e Popolo - Pensiero e Azione”: una malazione. Quale Dio, quale Popolo e quale pensiero, sono rimasti misteriosi.
Il “Dio” degli ebrei o quello dei cristiani? Quello del diluvio universale, di Sodoma e Gomorra, dell’occhio per occhio o quello del messia e del Perdono?
Il “Popolo” degli Italici sconfitti e dispersi della Magna Grecia o quello delle orde ottocentesche, autore dell’ultimo sacco di Roma?
Il “Pensiero” che va, sulle ali dorate , a raddrizzare le torri di Sionne o il Pensiero filosofico meraviglioso che va da Talete a Cristo? Ah, saperlo!
Chiusa la miniera laica dei carbonari, i massoni rotolarono come macigni da nord-ovest, per schiacciare le speranze di una Italia umanista. Eppure, quando i venti innovatori della rivoluzione francese erano arrivati a Napoli, si erano vergognati di riconoscersi arretrati rispetto a quanto si era edificato in quell’area geografica.

Dalla vergogna alla rabbia il passo è breve, per gli spocchiosi.
Quei maledetti Borbone si erano infilati in testa l’idea di eliminare i poveri.
Li censivano, poi costruivano in Napoli un chilometrico edificio per gli stessi, al fine di avviarli al reinserimento nella società, con la dignità che era dovuta loro in quanto esseri umani tra gli umani. Borbonismo sì, Borbonismo no.
Monarchi folli, da Campania Felix.
La storia scritta dai vincitori li classificò reazionari.
Dolmen, Menhir e Macigni debellarono anche i cattolici asburgici e l’unità d’Italia fu realizzata sotto il dominio delle province annesse.”.
(Cosmo Ciaramaglia,Meglio che me ne vada, libro postumo. Ibidem, pag…)

Così parlò il filosofo, e noi siamo d’accordo con lui, la pensiamo come lui.
Fonte:ReteSud

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ancora una volta bravi Ciano e il Comune di Gaeta.
Circa l'interessante disanima sui Borbone che segue, è certo condivisibile, ma con una precisazione. Le congiure massoniche sono certamente esistite, e provate dalla storia, per quelle giudaiche o ebraiche, invece, la storia ha provato proprio il contrario, cioè che non esistono, e come meridionali oggetto a nostra volta di discriminazione e di "colpe" inesistenti, forse è il caso che da certe espressioni ci si dissoci. Non ne faccio una colpa di chi scriveva in tempi forse meno attenti alle discriminazioni vere o presunte, però oggi farle passare senza commento è, secondo me, inammissibile.

NON MI ARRENDO ha detto...

Caro Carmine,ben venga la tua precisazione se l'articolo di Ciaramaglia , da me ripreso integralmente da Rete Sud, può ingenerare dubbi o confisione, in realtà ritengo che il confine fra ciò che è ammissibile e inammissibile, in questo caso, è legato alla diversa chiave di lettura dello stesso.Mi spiego meglio, la mia interpretazione è che dobbiamo contestualizzare l'articolo di Ciaramaglia nell'ambito in cui l'autore lo ha collocato e cioè in un capitolo sui "I Borbone" come da intestazione. Per cui il riferimento riguarda solo questo periodo storico e le vicessitudini che hanno portato alla caduta del Regno.Non a caso l'autore lega in modo indissolubile massoneria, carboneria, anglofranco sardi ed ebraici ( finanza internazionale).Non certo ebraici /popolo ci mancherebbe.Innegabile il fatto che la rendita di alcuni grandi finanzieri internazionali dal piemonte aumentò in modo esponenziale negli anni dopo l'annessione del regno delle Due Sicilie in virtù degli interessi pagati da questo sui debiti di guerra contratti e non solo.Questo è quanto dice la storia, bisogna prenderne atto senza remore proprio per evitare che alcuni dolorosi passaggi possano ripetersi, senza aprioristiche censure.
Questa è la mia interpretazione per cui non ho ritenuto necessario alcun commento.Bene comunque hai fatto, e ti ringrazio, a specificare il tuo pensiero e quindi ne approfitto per ribadire il fatto, semai ce ne fosse bisogno, che per nessun motivo abbiamo mai fatto ne pensato di fare distinguo in base alla religione , colore della pelle e nazionalità, anzi condanniamo per primi ogni forma di discriminazione,come sempre abbiamo fatto su questo blog.

Anonimo ha detto...

Grazie per la precisazione che ovviamente leggo con soddisfazione. Noto poi anche che precisi (tra parentesi) che per "ebrei" ci si riferiva alla finanza internazionale. Non sarebbe meglio allora chiamarla appunto "finanza internazionale"? Anche all'epoca dei Borbone o di chi scriveva l'articolo? Tra l'altro proprio noi napoletani siamo stati tra le prime vittime della "finanza internazionale" ben prima del 1860 e questa finanza era fiorentina e pisana, non certo ebraica. E poi che la finanza internazionale sia o fosse controllata da ebrei è - come certo sai - una balla colossale, che però chissà perché si continua a ripetere acriticamente sia da destra che da sinistra, ma fortunatamente, grazie alla tua precisazione, non piú da noi, almeno. Continuo sempre a leggervi con interesse.

 
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