lunedì 23 febbraio 2009

Resti in carcere il serial criminale


Di Bruno Tinti
ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino



Per spiegare le infinite possibilità di evitare il carcere offerte ai condannati per reati anche gravi, racconto spesso una storiella: come si può ammazzare la moglie e non fare nemmeno un giorno di prigione.

Mettendo in fila tutti gli sconti di pena, i permessi, le libertà vigilate, le liberazioni anticipate previste dalla legge, succede che le pene inflitte dai giudici alla fine del processo sono nei fatti almeno dimezzate e spesso annullate.

La legge prevede la possibilità di lavorare all’esterno del carcere dopo 5 anni di pena effettivamente scontata (10 per gli ergastolani); 45 giorni di permesso premio ogni anno dopo almeno un quarto di pena effettivamente scontata (10 anni per gli ergastolani); quando restano solo 3 anni da scontare (e per tutte le pene inferiori a 3 anni), l’affidamento in prova al servizio sociale: il condannato sta fuori del carcere e racconta all’assistente sociale come si sta comportando; gli arresti domiciliari per un massimo di 2 anni (la cosa è un po’ più articolata ma questa è la parte che c’interessa); la liberazione anticipata (la famosa legge Gozzini): uno sconto di 45 giorni ogni 6 mesi; quindi, in realtà, 1 anno sono 9 mesi, 4 anni sono 3 anni, 10 anni sono 7 e mezzo.

Tutto questo si cumula, e così si capisce perché in prigione ci stanno poche persone e per poco tempo.

Fanno eccezione terroristi e mafiosi, schiavisti e sequestratori di persona a scopo di estorsione, associati a delinquere per contrabbando e stupefacenti: per loro niente benefici a meno che non si pentano e collaborino con la giustizia.

Però la Gozzini resta applicabile a tutti, che collaborino o no: basta che in carcere non si comportino male.

Adesso questa straordinaria severità (si chiama certezza della pena) sarà applicata anche agli stupratori, ed è proprio una buona cosa.

Se scomodiamo i principi generali e ci chiediamo perché alcuni condannati debbono essere trattati peggio di altri (il che potrebbe sembrare ingiusto), la risposta è che si tratta di persone certamente pericolose: il mafioso e il terrorista, finché restano tali, aderiscono ad associazioni antagoniste dello Stato; e le persone condannate per gli altri reati che impediscono di godere dei benefici carcerari sono considerate a forte rischio di reiterazione: l’esperienza insegna che molto probabilmente commetteranno altri reati della stessa specie.

Questo punto è molto importante.

La maggiore severità non dipende dalla particolare gravità del reato; per questo c’è già la pena prevista dalla legge: più il reato è grave, più la pena è alta.

Se così non fosse, tanto varrebbe introdurre, per alcuni reati, pene di specie diversa, per esempio la tortura, il che in un Paese civile non si fa.

Sicché impedire agli stupratori di uscire dal carcere prima di aver scontato la pena, come si fa con i mafiosi, i terroristi ecc., non dipende dal fatto che il reato da loro commesso è grave (certo lo è); serve per garantirsi, nei limiti del possibile, che non stuprino ancora.

Tutto bene? Sì, per quanto riguarda la certezza che gli stupratori se ne stiano in prigione quanto gli tocca (ma resta la Gozzini).

No, per quanto riguarda il fatto che questo regime finalmente giusto non è stato applicato a tutte le altre categorie di delinquenti presunti seriali.

La Giustizia spende un sacco di soldi per far funzionare i Casellari Giudiziari: gli uffici che aggiornano i certificati penali.

Sarebbe bene trarne una qualche utilità.

Se una persona è stata condannata più volte per rapina, furto, truffa, guida in stato d’ebbrezza o sotto l’influsso di stupefacenti, omicidio colposo commesso perché ubriaco o drogato, se insomma la previsione che commetterà altri reati dello stesso tipo è fondata, visto che continua a commetterne; per quale motivo non dev’essere assoggettata allo stesso regime oggi previsto per gli stupratori?

Forse che le vittime di questi reati non hanno diritto alla stessa tutela di una persona violentata?

Naturalmente a questo punto si apre un problema: che ne facciamo degli amministratori pubblici condannati per corruzione?

E degli imprenditori condannati per falso in bilancio e bancarotta?

Anche questo tipo di delinquenti provoca dei bei danni; sembrano meno gravi perché non sono sanguinosi, colpiscono tanta gente tutta insieme e quindi senza volto; e, soprattutto, sono un po’ sdoganati dai fulgidi esempi della classe dirigente.

Però chi ti rapina una volta ti porta via il portafoglio o il contenuto della cassa; ma chi fa fallire una società in cui hai investito i tuoi risparmi ti porta via tutto; e chi aggiunge al prezzo dell’appalto la sua tangente impoverisce tutto il Paese.

Forse anche per questa gente dovrebbe valere il principio per il quale, accertato che si tratta di soggetti pericolosi, è bene garantirsi che non ne combinino altre.

Proprio come per gli stupratori.

Eh, magari. Mi accontenterei che non venissero eletti in Parlamento.

Fonte:
La Stampa del 19 febbraio 2009
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Di Bruno Tinti
ex Procuratore della Repubblica Aggiunto di Torino



Per spiegare le infinite possibilità di evitare il carcere offerte ai condannati per reati anche gravi, racconto spesso una storiella: come si può ammazzare la moglie e non fare nemmeno un giorno di prigione.

Mettendo in fila tutti gli sconti di pena, i permessi, le libertà vigilate, le liberazioni anticipate previste dalla legge, succede che le pene inflitte dai giudici alla fine del processo sono nei fatti almeno dimezzate e spesso annullate.

La legge prevede la possibilità di lavorare all’esterno del carcere dopo 5 anni di pena effettivamente scontata (10 per gli ergastolani); 45 giorni di permesso premio ogni anno dopo almeno un quarto di pena effettivamente scontata (10 anni per gli ergastolani); quando restano solo 3 anni da scontare (e per tutte le pene inferiori a 3 anni), l’affidamento in prova al servizio sociale: il condannato sta fuori del carcere e racconta all’assistente sociale come si sta comportando; gli arresti domiciliari per un massimo di 2 anni (la cosa è un po’ più articolata ma questa è la parte che c’interessa); la liberazione anticipata (la famosa legge Gozzini): uno sconto di 45 giorni ogni 6 mesi; quindi, in realtà, 1 anno sono 9 mesi, 4 anni sono 3 anni, 10 anni sono 7 e mezzo.

Tutto questo si cumula, e così si capisce perché in prigione ci stanno poche persone e per poco tempo.

Fanno eccezione terroristi e mafiosi, schiavisti e sequestratori di persona a scopo di estorsione, associati a delinquere per contrabbando e stupefacenti: per loro niente benefici a meno che non si pentano e collaborino con la giustizia.

Però la Gozzini resta applicabile a tutti, che collaborino o no: basta che in carcere non si comportino male.

Adesso questa straordinaria severità (si chiama certezza della pena) sarà applicata anche agli stupratori, ed è proprio una buona cosa.

Se scomodiamo i principi generali e ci chiediamo perché alcuni condannati debbono essere trattati peggio di altri (il che potrebbe sembrare ingiusto), la risposta è che si tratta di persone certamente pericolose: il mafioso e il terrorista, finché restano tali, aderiscono ad associazioni antagoniste dello Stato; e le persone condannate per gli altri reati che impediscono di godere dei benefici carcerari sono considerate a forte rischio di reiterazione: l’esperienza insegna che molto probabilmente commetteranno altri reati della stessa specie.

Questo punto è molto importante.

La maggiore severità non dipende dalla particolare gravità del reato; per questo c’è già la pena prevista dalla legge: più il reato è grave, più la pena è alta.

Se così non fosse, tanto varrebbe introdurre, per alcuni reati, pene di specie diversa, per esempio la tortura, il che in un Paese civile non si fa.

Sicché impedire agli stupratori di uscire dal carcere prima di aver scontato la pena, come si fa con i mafiosi, i terroristi ecc., non dipende dal fatto che il reato da loro commesso è grave (certo lo è); serve per garantirsi, nei limiti del possibile, che non stuprino ancora.

Tutto bene? Sì, per quanto riguarda la certezza che gli stupratori se ne stiano in prigione quanto gli tocca (ma resta la Gozzini).

No, per quanto riguarda il fatto che questo regime finalmente giusto non è stato applicato a tutte le altre categorie di delinquenti presunti seriali.

La Giustizia spende un sacco di soldi per far funzionare i Casellari Giudiziari: gli uffici che aggiornano i certificati penali.

Sarebbe bene trarne una qualche utilità.

Se una persona è stata condannata più volte per rapina, furto, truffa, guida in stato d’ebbrezza o sotto l’influsso di stupefacenti, omicidio colposo commesso perché ubriaco o drogato, se insomma la previsione che commetterà altri reati dello stesso tipo è fondata, visto che continua a commetterne; per quale motivo non dev’essere assoggettata allo stesso regime oggi previsto per gli stupratori?

Forse che le vittime di questi reati non hanno diritto alla stessa tutela di una persona violentata?

Naturalmente a questo punto si apre un problema: che ne facciamo degli amministratori pubblici condannati per corruzione?

E degli imprenditori condannati per falso in bilancio e bancarotta?

Anche questo tipo di delinquenti provoca dei bei danni; sembrano meno gravi perché non sono sanguinosi, colpiscono tanta gente tutta insieme e quindi senza volto; e, soprattutto, sono un po’ sdoganati dai fulgidi esempi della classe dirigente.

Però chi ti rapina una volta ti porta via il portafoglio o il contenuto della cassa; ma chi fa fallire una società in cui hai investito i tuoi risparmi ti porta via tutto; e chi aggiunge al prezzo dell’appalto la sua tangente impoverisce tutto il Paese.

Forse anche per questa gente dovrebbe valere il principio per il quale, accertato che si tratta di soggetti pericolosi, è bene garantirsi che non ne combinino altre.

Proprio come per gli stupratori.

Eh, magari. Mi accontenterei che non venissero eletti in Parlamento.

Fonte:
La Stampa del 19 febbraio 2009

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