domenica 18 gennaio 2009

Dall'allarme siccità all'acqua gettata in mare


Di Vittorio B. Stamerra
Un dato su tutti: non piove più allo stesso modo di prima. Oggi le piogge sono meno frequenti di qualche decennio fa, ma sono molto più intense e anche violente. Nubifragi e allagamenti si registrano anche in parti del territorio - anche da noi - una volta ritenute immuni da rischi idrogeologici.
Se prima le emergenze climatiche incidevano sulla stabilità delle zone collinari a rischio smottamento, dove, anche per carenza di finanziamenti, non si faceva mai abbastanza e bene, trascinando irrisolti problemi secolari, ora anche nelle città, nei grandi centri urbani, gli allagamenti si registrano con impressionante frequenza e procurano disagi alla popolazione perché le reti di smaltimento delle acque piovane sono inadeguate di fronte ai processi di espansione urbana e soprattutto al caos climatico di questi ultimi anni.
Lasciamo a chi competono i discorsi «alti»: ai meteorologi catastrofisti (la maggioranza) da una parte, e ai negazionisti (parecchi di meno) dall’altra, che da anni si contendono la previsione sul futuro del pianeta di fronte ai cambiamenti climatici dovuti – su questo pare almeno che siano tutti d’accordo - all’inquinamento atmosferico e all’incapacità dei governi di porvi rimedio. E mentre gli effetti di questo disordine ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti, è sconcertante constatare come il modo di affrontare le emergenze sia sempre lo stesso.
Prendiamo ad esempio le abbondanti piogge che da diverse settimane cadono sulla Puglia, regione da sempre assetata e candidata, secondo i meteorologi catastrofisti alla desertificazione. Un fenomeno che negli ultimi anni si sta verificando con una frequenza che avrebbe già dovuto convincerci a fare qualcosa di profondamente diverso rispetto al passato. Non solo per tutelare la sicurezza dei luoghi e delle persone, che è un atto dovuto, ma per tentare, e qui sta la nuova strategia, di fare di necessità virtù. Facciamo un esempio. Alla fine dello scorso ottobre l’Acquedotto pugliese aveva progressivamente ridotto l’erogazione di acqua perché le riserve negli invasi si stavano drammaticamente assottigliando di fronte a mesi di prelievo in assenza di precipitazioni. Poi, dalla metà di novembre ha cominciato a piovere a tutta forza e l’accumulo di acqua negli invasi è ricominciato a salire sino a superare, notizia di questi giorni, gli stessi livelli di sicurezza. E allora che si fa? Si attivano i sistemi di deflusso e le acque eccedenti sono incanalate altrove, facendole dirigere verso il mare. Insomma i milioni di litri di acqua in più che le piogge ci portano li scarichiamo verso il mare. Un’autentica follia! Una dissennatezza che rischiamo di pagare molto cara. Se già era discutibile questo comportamento quando la meteorologia forniva qualche certezza, quando le stagioni, ogni anno, erano veramente quattro e soprattutto erano autentiche, non virtuali come spesso accade da qualche anno, e si poteva meglio pianificare, oggi questo non può più essere tollerato.
Oltre la messa in sicurezza del territorio (ordinaria necessità), è giunto il momento di investire ingenti risorse per la costruzione di sistemi, invasi o dighe che siano, in grado di trattenere e utilizzare ogni goccia di acqua che arriva dal cielo. Come si faceva una volta, quando, in assenza di acquedotti, nella costruzione delle case si creavano sistemi per la raccolta delle acque piovane. Diremmo addirittura che nella classifica delle opere pubbliche, la scelta in favore dell’acqua deve essere al primo posto delle decisioni dei governi regionali. Nessuno pensi che si tratti di un discorso che riguarda esclusivamente la Puglia, che di acqua ne ha così poca che è costretta a chiederla alle regioni limitrofe e pensa di porvi rimedio, in parte, con la costruzione di dissalatori, ma interessa anche quest’ultime (Campania, Molise e Basilicata) che dalla ricchezza di acqua traggono un congruo vantaggio economico cedendola a chi ne ha più bisogno.
L’acqua è il bene più prezioso che la natura ci ha offerto, tant’è che costituisce ancora una delle questioni più importanti negli scenari geopolitici che caratterizzeranno la vita delle future generazioni. L’acqua dà ricchezza e potere. L’uomo lo sa da sempre. Per l’acqua ha combattuto guerre e fatto rivoluzioni. Con l’acqua ha costruito imperi e floride economie. L’acqua è la vita. Noi in Puglia, da sempre una delle terre più assetate d’Italia, la gettiamo.


Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno del 17/1/2009
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Di Vittorio B. Stamerra
Un dato su tutti: non piove più allo stesso modo di prima. Oggi le piogge sono meno frequenti di qualche decennio fa, ma sono molto più intense e anche violente. Nubifragi e allagamenti si registrano anche in parti del territorio - anche da noi - una volta ritenute immuni da rischi idrogeologici.
Se prima le emergenze climatiche incidevano sulla stabilità delle zone collinari a rischio smottamento, dove, anche per carenza di finanziamenti, non si faceva mai abbastanza e bene, trascinando irrisolti problemi secolari, ora anche nelle città, nei grandi centri urbani, gli allagamenti si registrano con impressionante frequenza e procurano disagi alla popolazione perché le reti di smaltimento delle acque piovane sono inadeguate di fronte ai processi di espansione urbana e soprattutto al caos climatico di questi ultimi anni.
Lasciamo a chi competono i discorsi «alti»: ai meteorologi catastrofisti (la maggioranza) da una parte, e ai negazionisti (parecchi di meno) dall’altra, che da anni si contendono la previsione sul futuro del pianeta di fronte ai cambiamenti climatici dovuti – su questo pare almeno che siano tutti d’accordo - all’inquinamento atmosferico e all’incapacità dei governi di porvi rimedio. E mentre gli effetti di questo disordine ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti, è sconcertante constatare come il modo di affrontare le emergenze sia sempre lo stesso.
Prendiamo ad esempio le abbondanti piogge che da diverse settimane cadono sulla Puglia, regione da sempre assetata e candidata, secondo i meteorologi catastrofisti alla desertificazione. Un fenomeno che negli ultimi anni si sta verificando con una frequenza che avrebbe già dovuto convincerci a fare qualcosa di profondamente diverso rispetto al passato. Non solo per tutelare la sicurezza dei luoghi e delle persone, che è un atto dovuto, ma per tentare, e qui sta la nuova strategia, di fare di necessità virtù. Facciamo un esempio. Alla fine dello scorso ottobre l’Acquedotto pugliese aveva progressivamente ridotto l’erogazione di acqua perché le riserve negli invasi si stavano drammaticamente assottigliando di fronte a mesi di prelievo in assenza di precipitazioni. Poi, dalla metà di novembre ha cominciato a piovere a tutta forza e l’accumulo di acqua negli invasi è ricominciato a salire sino a superare, notizia di questi giorni, gli stessi livelli di sicurezza. E allora che si fa? Si attivano i sistemi di deflusso e le acque eccedenti sono incanalate altrove, facendole dirigere verso il mare. Insomma i milioni di litri di acqua in più che le piogge ci portano li scarichiamo verso il mare. Un’autentica follia! Una dissennatezza che rischiamo di pagare molto cara. Se già era discutibile questo comportamento quando la meteorologia forniva qualche certezza, quando le stagioni, ogni anno, erano veramente quattro e soprattutto erano autentiche, non virtuali come spesso accade da qualche anno, e si poteva meglio pianificare, oggi questo non può più essere tollerato.
Oltre la messa in sicurezza del territorio (ordinaria necessità), è giunto il momento di investire ingenti risorse per la costruzione di sistemi, invasi o dighe che siano, in grado di trattenere e utilizzare ogni goccia di acqua che arriva dal cielo. Come si faceva una volta, quando, in assenza di acquedotti, nella costruzione delle case si creavano sistemi per la raccolta delle acque piovane. Diremmo addirittura che nella classifica delle opere pubbliche, la scelta in favore dell’acqua deve essere al primo posto delle decisioni dei governi regionali. Nessuno pensi che si tratti di un discorso che riguarda esclusivamente la Puglia, che di acqua ne ha così poca che è costretta a chiederla alle regioni limitrofe e pensa di porvi rimedio, in parte, con la costruzione di dissalatori, ma interessa anche quest’ultime (Campania, Molise e Basilicata) che dalla ricchezza di acqua traggono un congruo vantaggio economico cedendola a chi ne ha più bisogno.
L’acqua è il bene più prezioso che la natura ci ha offerto, tant’è che costituisce ancora una delle questioni più importanti negli scenari geopolitici che caratterizzeranno la vita delle future generazioni. L’acqua dà ricchezza e potere. L’uomo lo sa da sempre. Per l’acqua ha combattuto guerre e fatto rivoluzioni. Con l’acqua ha costruito imperi e floride economie. L’acqua è la vita. Noi in Puglia, da sempre una delle terre più assetate d’Italia, la gettiamo.


Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno del 17/1/2009

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