mercoledì 5 novembre 2008

Sono le carte di credito la prossima bolla che travolgerà gli Usa


La scorsa settimana Innovest Avisors ha pubblicato un rapporto circa il possibile impatto delle carte di credito sulla finanza e sull’economia Americana.
A partire dagli anni ’90, la domanda USA è stata alimentata da un utilizzo massiccio delle carte di credito.

Visa, American Express e JP Morgan hanno costruito un grandissimo business e hanno alimentato la spese di tutte le famiglie americane. Il ricorso al debito negli Stati Uniti è molto più diffuso che nel Vecchio Continente.

Così pure i meccanismi delle carte di credito sono più complessi e sofisticati.
Le carte che vengono saldate ogni mese per le spese sostenute nel mese precedente sono poco diffuse. Infatti sono di gran lunga più popolari le carte cosiddette revolving. Quest’ultime in buona sostanza corrispondono all’erogazione di una linea di credito che prevede un meccanismo di rientro molto diluito nel tempo. In cambio le società che emettono le carte, fissano tassi di interesse altissimi che sfiorano il 19%.

Le stesse società emittenti inoltre, non effettuano una meticolosa selezione della clientela. Anzi concedono le carte revolving pure a soggetti non in grado di offrire adeguate garanzie o che hanno un rating pessimo.

Avviene persino che alcuni famiglie rifinanzino una carta di credito ricorrendo all’emissione di una nuova e ulteriore carta per coprire il debito contratto in precedenza. Oppure operino una rivalutazione dell’immobile su cui grava un mutuo ed effettuino una compensazione con parte dell’ammontare dovuto per le carte revolving.
In analogia a quanto è avvenuto per i mutui subprime, le società emittenti lucrano sulla propria esposizione verso i clienti: il tasso di interesse applicato è tanto più alto quanto lo è il rischio.
Paradossalmente alle emittenti conviene che i soggetti non estinguano il proprio debito. E’ più redditizio un cliente che dilaziona nel tempo il proprio debito o richiede nuove linee di credito perché gli si potrà applicare un tasso di interesse sempre maggiore. Di conseguenza le stesse emittenti hanno creato un circuito in cui milioni di famiglie sono dipendenti in modo crescente dal debito da cui non possono prescindere per soddisfare le proprie necessità.

Robert Magging docente e ricercatore presso “Il Centro per gli Utenti di Servizi Finanziari” del Rochester Institute of Technology, si è interessato trai primi al fenomeno. Afferma che nel 1990 il debito delle famiglie americane era di 4 mila miliardi di dollari. Oggi raggiunge la soglia dei 13 mila miliardi.

In particolare Magging sottolinea che il debito delle famigli per carte di credito revolving oggi ammonta a 950 miliardi di dollari a fronte dei 239 miliardi dei primi anni ’90.
Magging osserva che tali stime sono approssimative. Poichè i dati non includono i debiti rifinanziati mediante la rivalutazione degli immobili che potrebbero aggirarsi intorno ai 350 miliardi di dollari.
Milioni di famiglie dipendono quindi dalla rivalutazione dell’immobile per sostenere le proprie spese domestiche.
Pertanto la crisi dei subprime morgage che ha fatto crollare il valore degli immobili, impedisce a molte famiglie di accedere a quella liquidità con cui prima del credit crunch rifinanziavano i debiti delle carte di credito.

Milioni di americani rischiano di divenire insolventi.

E di non sostenere più la domanda dei consumi, determinando un netto rallentamento dell’economia e conseguenti perdite di posti di lavoro.
Ma non basta. Le società emittenti hanno ricavato liquidità per alimentare i crediti revolving cartolarizzando enormi masse di debito dei propri clienti. Hanno immesso sul mercato dei capitali titoli cartolari per 365 miliardi di dollari di cui hedge fund e fondi pensione sono stati imbottiti.
Se le stime sono corrette, si sta per abbattere sui mercati una nuova bolla.

Con la differenza che i subprime hanno come collateral beni solidi e tangibili come le case su cui ci si può rivalere.

Mentre le cartolarizzazioni derivanti dal meccanismo delle carte di credito non forniscono nulla di solido su cui rivalersi.
Purtroppo, il Piano Paulson non contempla alcun intervento a sostegno delle carte dei credito e delle relative cartolarizzazioni. I 700 miliardi devono essere già impiegati per fare ripartire il mercato dei commercial papers derivanti dai subpirme morgage.
Eppure il default delle carte di credito non può essere sottovaluto. Il fenomeno impatta ulteriormente sulla finanza globale. E rischia di mettere in ginocchio l’economia americana. Con il coinvolgimento delle altre economie collegate agli USA, inclusa quella Italiana.

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La scorsa settimana Innovest Avisors ha pubblicato un rapporto circa il possibile impatto delle carte di credito sulla finanza e sull’economia Americana.
A partire dagli anni ’90, la domanda USA è stata alimentata da un utilizzo massiccio delle carte di credito.

Visa, American Express e JP Morgan hanno costruito un grandissimo business e hanno alimentato la spese di tutte le famiglie americane. Il ricorso al debito negli Stati Uniti è molto più diffuso che nel Vecchio Continente.

Così pure i meccanismi delle carte di credito sono più complessi e sofisticati.
Le carte che vengono saldate ogni mese per le spese sostenute nel mese precedente sono poco diffuse. Infatti sono di gran lunga più popolari le carte cosiddette revolving. Quest’ultime in buona sostanza corrispondono all’erogazione di una linea di credito che prevede un meccanismo di rientro molto diluito nel tempo. In cambio le società che emettono le carte, fissano tassi di interesse altissimi che sfiorano il 19%.

Le stesse società emittenti inoltre, non effettuano una meticolosa selezione della clientela. Anzi concedono le carte revolving pure a soggetti non in grado di offrire adeguate garanzie o che hanno un rating pessimo.

Avviene persino che alcuni famiglie rifinanzino una carta di credito ricorrendo all’emissione di una nuova e ulteriore carta per coprire il debito contratto in precedenza. Oppure operino una rivalutazione dell’immobile su cui grava un mutuo ed effettuino una compensazione con parte dell’ammontare dovuto per le carte revolving.
In analogia a quanto è avvenuto per i mutui subprime, le società emittenti lucrano sulla propria esposizione verso i clienti: il tasso di interesse applicato è tanto più alto quanto lo è il rischio.
Paradossalmente alle emittenti conviene che i soggetti non estinguano il proprio debito. E’ più redditizio un cliente che dilaziona nel tempo il proprio debito o richiede nuove linee di credito perché gli si potrà applicare un tasso di interesse sempre maggiore. Di conseguenza le stesse emittenti hanno creato un circuito in cui milioni di famiglie sono dipendenti in modo crescente dal debito da cui non possono prescindere per soddisfare le proprie necessità.

Robert Magging docente e ricercatore presso “Il Centro per gli Utenti di Servizi Finanziari” del Rochester Institute of Technology, si è interessato trai primi al fenomeno. Afferma che nel 1990 il debito delle famiglie americane era di 4 mila miliardi di dollari. Oggi raggiunge la soglia dei 13 mila miliardi.

In particolare Magging sottolinea che il debito delle famigli per carte di credito revolving oggi ammonta a 950 miliardi di dollari a fronte dei 239 miliardi dei primi anni ’90.
Magging osserva che tali stime sono approssimative. Poichè i dati non includono i debiti rifinanziati mediante la rivalutazione degli immobili che potrebbero aggirarsi intorno ai 350 miliardi di dollari.
Milioni di famiglie dipendono quindi dalla rivalutazione dell’immobile per sostenere le proprie spese domestiche.
Pertanto la crisi dei subprime morgage che ha fatto crollare il valore degli immobili, impedisce a molte famiglie di accedere a quella liquidità con cui prima del credit crunch rifinanziavano i debiti delle carte di credito.

Milioni di americani rischiano di divenire insolventi.

E di non sostenere più la domanda dei consumi, determinando un netto rallentamento dell’economia e conseguenti perdite di posti di lavoro.
Ma non basta. Le società emittenti hanno ricavato liquidità per alimentare i crediti revolving cartolarizzando enormi masse di debito dei propri clienti. Hanno immesso sul mercato dei capitali titoli cartolari per 365 miliardi di dollari di cui hedge fund e fondi pensione sono stati imbottiti.
Se le stime sono corrette, si sta per abbattere sui mercati una nuova bolla.

Con la differenza che i subprime hanno come collateral beni solidi e tangibili come le case su cui ci si può rivalere.

Mentre le cartolarizzazioni derivanti dal meccanismo delle carte di credito non forniscono nulla di solido su cui rivalersi.
Purtroppo, il Piano Paulson non contempla alcun intervento a sostegno delle carte dei credito e delle relative cartolarizzazioni. I 700 miliardi devono essere già impiegati per fare ripartire il mercato dei commercial papers derivanti dai subpirme morgage.
Eppure il default delle carte di credito non può essere sottovaluto. Il fenomeno impatta ulteriormente sulla finanza globale. E rischia di mettere in ginocchio l’economia americana. Con il coinvolgimento delle altre economie collegate agli USA, inclusa quella Italiana.

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