mercoledì 4 giugno 2008

Le ipocrisie della Fao


Di Massimo Serafini


ROMA. Più che l’impennata dei prezzi delle derrate alimentari che inseguono il rialzo continuo di quello del petrolio, mettendo alla fame interi continenti, desta allarme il fatto che, per risolvere il problema, siano stati chiamati, al vertice Fao di Roma, proprio i maggiori responsabili del disastro: le imprese multinazionali delle sementi e dei fertilizzanti. A che serve, chiedo, discutere con questi personaggi dell’intreccio strettissimo che lega insieme la crisi alimentare i cambiamenti climatici in corso? Solo a peggiorare entrambi i problemi. Meglio sarebbe stato che i capi di stato confluiti a Roma, indesiderabili compresi, si fossero misurati con coloro che negli stessi giorni stanno dando vita, sempre a Roma, al controvertice: i produttori delle piccole aziende contadine di tutto il mondo. Avrebbero potuto apprendere che non basta stabilire e dare centralità al collegamento fra fame nel mondo e cambio di clima se non si mette contemporaneamente in discussione l’egemonia liberista sulle politiche agricole e su quelle necessarie a ridurre le concentrazioni di CO2 in atmosfera. Ha ragione il presidente Napolitano a sostenere che il mercato non può risolvere né il problema della fame né quello del cambio di clima. Peccato non si sia accorto che stava rivolgendo la sua esortazione proprio ai responsabili del disastro alimentare e climatico che sconvolgono il pianeta, quelli che possiedono i mercati delle derrate agricole e che sulla crisi si stanno arricchendo. Da questi interlocutori verrà un’unica risposta: un po’ di elemosina in più, per coprire la diffusione degli OGM come antidoto alla fame e del nucleare per ridurre i gas serra. In questo quadro è evidente che la stessa scelta delle agroenergie, biocarburanti compresi, è ambientalmente e socialmente insostenibile. Dal controvertice i contadini di tutto il mondo, in rappresentanza delle piccole aziende locali, hanno ribadito che la crisi alimentare che ha portato alle rivolte per il pane, non è un problema di quantità, ma essenzialmente di distribuzione iniqua e speculativa. E’ questo meccanismo perverso, da cui si alimentano le stesse ricche sovvenzioni agli agricoltori europei, a determinare la crisi del pane, proprio perchè strangola le piccole agricolture locali e familiari. La soluzione del problema è proprio ripartire da queste aziende e renderle protagoniste di una straordinaria riforma agraria che riporti il campo coltivato all’agricoltura biologica, un’agricoltura più decentrata e locale e quindi più democratica e partecipata. E’ peloso e francamente un po’ ipocrita l’ennesimo appello ai paesi ricchi, del presidente dell’Onu e di tanti capi di stato, perché destinino fondi contro la fame, se poi queste risorse continueranno a essere distribuite secondo le priorità stabilite dalle multinazionali delle sementi e dei fertilizzanti.Al contrario è l’agricoltura progettata al controvertice quella da sovvenzionare e da sostenere con nuove regole, l’unica che non influisce sul cambio di clima, anzi che contribuisce ad abbattere le emissioni e a consentire un uso in filiere corte delle agroenergie e dei biocarburanti. Un’agricoltura che si sposa perfettamente con un modello energetico distribuito e partecipato, basato sulle fonti rinnovabili e sull’uso razionale dell’energia, l’unico concretamente in grado di fermare i cambiamenti climatici. C’è ancora molto da fare per affermare entrambi questi modelli , ma essi convincono sempre più donne ed uomini di essere l’unica strada da percorrere per garantire un futuro.
http://www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=13813
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Di Massimo Serafini


ROMA. Più che l’impennata dei prezzi delle derrate alimentari che inseguono il rialzo continuo di quello del petrolio, mettendo alla fame interi continenti, desta allarme il fatto che, per risolvere il problema, siano stati chiamati, al vertice Fao di Roma, proprio i maggiori responsabili del disastro: le imprese multinazionali delle sementi e dei fertilizzanti. A che serve, chiedo, discutere con questi personaggi dell’intreccio strettissimo che lega insieme la crisi alimentare i cambiamenti climatici in corso? Solo a peggiorare entrambi i problemi. Meglio sarebbe stato che i capi di stato confluiti a Roma, indesiderabili compresi, si fossero misurati con coloro che negli stessi giorni stanno dando vita, sempre a Roma, al controvertice: i produttori delle piccole aziende contadine di tutto il mondo. Avrebbero potuto apprendere che non basta stabilire e dare centralità al collegamento fra fame nel mondo e cambio di clima se non si mette contemporaneamente in discussione l’egemonia liberista sulle politiche agricole e su quelle necessarie a ridurre le concentrazioni di CO2 in atmosfera. Ha ragione il presidente Napolitano a sostenere che il mercato non può risolvere né il problema della fame né quello del cambio di clima. Peccato non si sia accorto che stava rivolgendo la sua esortazione proprio ai responsabili del disastro alimentare e climatico che sconvolgono il pianeta, quelli che possiedono i mercati delle derrate agricole e che sulla crisi si stanno arricchendo. Da questi interlocutori verrà un’unica risposta: un po’ di elemosina in più, per coprire la diffusione degli OGM come antidoto alla fame e del nucleare per ridurre i gas serra. In questo quadro è evidente che la stessa scelta delle agroenergie, biocarburanti compresi, è ambientalmente e socialmente insostenibile. Dal controvertice i contadini di tutto il mondo, in rappresentanza delle piccole aziende locali, hanno ribadito che la crisi alimentare che ha portato alle rivolte per il pane, non è un problema di quantità, ma essenzialmente di distribuzione iniqua e speculativa. E’ questo meccanismo perverso, da cui si alimentano le stesse ricche sovvenzioni agli agricoltori europei, a determinare la crisi del pane, proprio perchè strangola le piccole agricolture locali e familiari. La soluzione del problema è proprio ripartire da queste aziende e renderle protagoniste di una straordinaria riforma agraria che riporti il campo coltivato all’agricoltura biologica, un’agricoltura più decentrata e locale e quindi più democratica e partecipata. E’ peloso e francamente un po’ ipocrita l’ennesimo appello ai paesi ricchi, del presidente dell’Onu e di tanti capi di stato, perché destinino fondi contro la fame, se poi queste risorse continueranno a essere distribuite secondo le priorità stabilite dalle multinazionali delle sementi e dei fertilizzanti.Al contrario è l’agricoltura progettata al controvertice quella da sovvenzionare e da sostenere con nuove regole, l’unica che non influisce sul cambio di clima, anzi che contribuisce ad abbattere le emissioni e a consentire un uso in filiere corte delle agroenergie e dei biocarburanti. Un’agricoltura che si sposa perfettamente con un modello energetico distribuito e partecipato, basato sulle fonti rinnovabili e sull’uso razionale dell’energia, l’unico concretamente in grado di fermare i cambiamenti climatici. C’è ancora molto da fare per affermare entrambi questi modelli , ma essi convincono sempre più donne ed uomini di essere l’unica strada da percorrere per garantire un futuro.
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