In cinque anni di crisi nell'area centro settentrionale del Paese sono stati creati 12.400 posti di lavoro, nel meridione ne sono stati distrutti 335.500. Il Report Sud di Diste Consulting-Fondazione Curella racconta uno Stato profodamente diviso anche sul fronte dei consumi e dell'economia: nel centro sud la recessione è sempre più profonda
di ROSARIA AMATOFonte: La Repubblica
Ma non c'è solo l'abisso disoccupazione. Tutti i dati degli ultimi dodici mesi esprimono lo sfascio di una parte importante del Paese. Nel 2012 il Pil è sceso del 3,4% a fronte di un calo del 2% nel Centro/Nord. Per l'economia meridionale si tratta della quinta diminuzione consecutiva nell'arco degli ultimi cinque anni, che ha riportato il livello del Pil indietro di oltre il 10%, mentre per l'area centro settentrionale il consuntivo 2012 costituisce una inversione di tendenza, dopo un biennio di parziale recupero delle perdite subite nel 2008/2010, per cui la flessione del Pil rispetto al 2007 ha sfiorato il 6%. È vero che pochi giorni fa il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha lanciato il grido di dolore delle imprese industriali, concentrate soprattutto nel Nord del Paese. Ma il Sud è passato da una posizione marginale alla quasi totale scomparsa della propria industria: "Negli ultimi 5 anni - dice Alessandro La Monica, presidente di Diste Consulting - il ruolo già marginale dell'industria si è ulteriormente assottigliato, scendendo da una quota sul Pil nazionale del 13,7% al 12% e perdendo in termini di valore aggiunto il 20,5%: il nostro manifatturiero è destinato all'estinzione".
Molto più deciso che nel resto del Paese anche il calo dei consumi delle famiglie residenti nel Mezzogiorno, che hanno subito un taglio del 5,5%, "un crollo la cui intensità non ha precedenti negli ultimi sessant'anni", ricorda l'indagine. Per le famiglie centro-settentrionali il calo è stato del 3,6%.
Secondo le stime del Report Sud, per l'anno in corso il Pil dovrebbe calare del 2,2% nel Sud/Isole e dell'1,2% nel Centro/Nord. Ma così la situazione del Mezzogiorno diventa irrecuperabile, denuncia il presidente della Fondazione Curella, Pietro Busetta: "Al di là del fatto contingente, cioè la crisi che dal 2008 ha colpito l'Italia, il tema di fondo è che quest'area non è stata mai adeguatamente considerata, gli interventi sono sempre stati contenuti e limitati rispetto alle emergenze. Nel Mezzogiorno su 21 milioni di abitanti ci sono solo 6 milioni di occupati, compreso il sommerso. Per arrivare non dico agli standard della Finlandia, ma semplicemente al tasso di occupazione dell'Emilia Romagna, dovrebbero lavorare altri tre milioni di persone. Impossibile? Eppure l'ex Germania dell'Est in poco più di 10 anni ha raggiunto standard occidentali".
Il problema del Sud Italia, osserva Busetta, è anche quello della classe dirigente. Tanto che lo studioso avanza una proposta di "tutoraggio" del Mezzogiorno: "Le zone a sviluppo ritardato sono tali perché le classi dirigenti non sono in grado di gestirle. Devono essere guidate. Non è vero che il problema investe allo stesso modo tutta la classe dirigente italiana, non è così, si vede dai risultati: la Lombardia è una delle zone più sviluppate d'Europa, si confronta con la California. La democrazia, certo, comporta anche la libertà di autogestirsi. Io non chiedo una totale sostituzione della classe dirigente meridionale, piuttosto interventi appropriati, che possano destinare le risorse e le spese alle esigenze delle Regioni meridionali. Affidare tutto alla classe dirigente del Sud significa disperdere queste risorse, come è avvenuto finora".
Fonte: La Repubblica
.
In cinque anni di crisi nell'area centro settentrionale del Paese sono stati creati 12.400 posti di lavoro, nel meridione ne sono stati distrutti 335.500. Il Report Sud di Diste Consulting-Fondazione Curella racconta uno Stato profodamente diviso anche sul fronte dei consumi e dell'economia: nel centro sud la recessione è sempre più profonda
di ROSARIA AMATOFonte: La Repubblica
Ma non c'è solo l'abisso disoccupazione. Tutti i dati degli ultimi dodici mesi esprimono lo sfascio di una parte importante del Paese. Nel 2012 il Pil è sceso del 3,4% a fronte di un calo del 2% nel Centro/Nord. Per l'economia meridionale si tratta della quinta diminuzione consecutiva nell'arco degli ultimi cinque anni, che ha riportato il livello del Pil indietro di oltre il 10%, mentre per l'area centro settentrionale il consuntivo 2012 costituisce una inversione di tendenza, dopo un biennio di parziale recupero delle perdite subite nel 2008/2010, per cui la flessione del Pil rispetto al 2007 ha sfiorato il 6%. È vero che pochi giorni fa il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha lanciato il grido di dolore delle imprese industriali, concentrate soprattutto nel Nord del Paese. Ma il Sud è passato da una posizione marginale alla quasi totale scomparsa della propria industria: "Negli ultimi 5 anni - dice Alessandro La Monica, presidente di Diste Consulting - il ruolo già marginale dell'industria si è ulteriormente assottigliato, scendendo da una quota sul Pil nazionale del 13,7% al 12% e perdendo in termini di valore aggiunto il 20,5%: il nostro manifatturiero è destinato all'estinzione".
Molto più deciso che nel resto del Paese anche il calo dei consumi delle famiglie residenti nel Mezzogiorno, che hanno subito un taglio del 5,5%, "un crollo la cui intensità non ha precedenti negli ultimi sessant'anni", ricorda l'indagine. Per le famiglie centro-settentrionali il calo è stato del 3,6%.
Secondo le stime del Report Sud, per l'anno in corso il Pil dovrebbe calare del 2,2% nel Sud/Isole e dell'1,2% nel Centro/Nord. Ma così la situazione del Mezzogiorno diventa irrecuperabile, denuncia il presidente della Fondazione Curella, Pietro Busetta: "Al di là del fatto contingente, cioè la crisi che dal 2008 ha colpito l'Italia, il tema di fondo è che quest'area non è stata mai adeguatamente considerata, gli interventi sono sempre stati contenuti e limitati rispetto alle emergenze. Nel Mezzogiorno su 21 milioni di abitanti ci sono solo 6 milioni di occupati, compreso il sommerso. Per arrivare non dico agli standard della Finlandia, ma semplicemente al tasso di occupazione dell'Emilia Romagna, dovrebbero lavorare altri tre milioni di persone. Impossibile? Eppure l'ex Germania dell'Est in poco più di 10 anni ha raggiunto standard occidentali".
Il problema del Sud Italia, osserva Busetta, è anche quello della classe dirigente. Tanto che lo studioso avanza una proposta di "tutoraggio" del Mezzogiorno: "Le zone a sviluppo ritardato sono tali perché le classi dirigenti non sono in grado di gestirle. Devono essere guidate. Non è vero che il problema investe allo stesso modo tutta la classe dirigente italiana, non è così, si vede dai risultati: la Lombardia è una delle zone più sviluppate d'Europa, si confronta con la California. La democrazia, certo, comporta anche la libertà di autogestirsi. Io non chiedo una totale sostituzione della classe dirigente meridionale, piuttosto interventi appropriati, che possano destinare le risorse e le spese alle esigenze delle Regioni meridionali. Affidare tutto alla classe dirigente del Sud significa disperdere queste risorse, come è avvenuto finora".
Fonte: La Repubblica
.
Nessun commento:
Posta un commento