lunedì 12 novembre 2012

Qualcosa di nuovo anzi di antico


Di  Lino Patruno

Scena dei comizi di un tempo. Molti che non ci capivano granché ma sempre pronti a battere le mani callose: sta bene all’onorevole. Però alla fine, quando si cominciava a lasciare la piazza e la scarpa grossa e cervello fine sospettava la fregatura, domandava: ma di ferie ha parlato? Già allora la politica si occupava di cose diverse da quelle che la gente si aspettava.
 Convegno di questi tempi, argomento eterno: il Sud. Non mani callose in sala, ma in gran parte madri e padri i cui figli sono andati a studiare o a lavorare al Nord. Si aspettano di capire se si fa bene a farli, questi figli, visto che il Sud comincia a stare indietro anche nelle nascite mentre era la culla del Paese. E poi se mandarli all’università, visto che tutti dicono di riscoprire i perduti mestieri. E, nel caso, che facoltà scegliere per non essere condannati a inviare curriculum e a fare concorsi a raffica. Insomma, istruzioni per l’uso della vita pratica, ma in verità per il futuro.
 Con tutto il rispetto, si sentono rispondere dal tavolo dei relatori che il problema del Sud è la riforma del capitolo V della Costituzione (quel federalismo contro cui nessuno aveva finora mosso un dito). Un altro dice che il problema del Sud è la demografia, cioè che nessun Paese si sviluppa se non fa figli (ma se li facciamo e se ne vanno?). Un terzo argomenta che al Sud si dovrebbero abbassare i salari, altrimenti non si capisce perché le aziende dovrebbero venirci.
 La questione è che ciascun relatore ha la sua parte di ragione, e di sicuro la sua parte di soluzione. Ma il dramma è che le orecchie vogliono sentire altro, anch’esse con altrettanta parte di ragione. Non si somigliano e non si pigliano. Poi, usciti, uno ti ferma e si discute se si è fatto qualcosa di utile per il Sud. Che fa, commenta, abbiamo parlato. Se quello dei comizi era interessato alle sue ferie, questo sembra scettico fino al cinismo. Evoluzione di una nazione.
 Anche per questo, quando irrompono sulla scena un Grillo e un Renzi, fanno il botto. Entrambi si propongono, in sintesi, di mandare via quelli che ci sono, e da troppo ormai. Rottamare il vecchio. Il primo lo dice a parolacce. Il secondo con l’aria del Topo Gigio saputello. Due personalità non da poco, chiaro, non si tiene avvinta l’Italia se sei una mezza calzetta. Ma tutti due troppo a rischio dello stesso passato che vogliono abbattere.
 Due soli al comando. Grillo con un movimento (partito) personale. Renzi con una corrente nel Pd altrettanto personale. Per capirci: nulla che nasca dal basso, se non ci fossero loro non ci sarebbero neanche i loro sostenitori. E sono loro a dettare linea, argomenti, nomi. Insomma proprio ciò che si è finora rimproverato alla cosiddetta Seconda Repubblica, solo con una ventina d’anni in meno (e Grillo nemmeno quello). Il personalismo, appunto. Il leaderismo. Il padre-padrone, da Berlusconi a Bossi a Di Pietro.
 Ovvio che non bisogna prendersela con B&B&Dp, cioè con i tre, ma con un’Italia che non è riuscita ad esprimere altro. E che prima c’è stata bene, e alla grande anche. Poi ha cambiato idea (e francamente non c’era alternativa) davanti ad arroganze, scandali, ruberie, risse, corruzioni da putrefazione di un impero. Non è detto che dovesse per forza finire così. Ma non sorprende che lo sia, senza controlli né all’interno né all’esterno di partiti lasciati in mani incontrollate, sulla fiducia personale. In anni in cui il carisma del capo ha oscurato il programma delle cose da fare.
 L’inizio della presunta Terza Repubblica somiglia troppo all’inizio della Seconda per stare tranquilli. Sia Grillo che Renzi hanno qualcosa di benvenuto viste le macerie. Forse domani occorrerà ringraziarli. O forse ci accorgeremo dell’ennesimo abbaglio. In ogni caso non bisogna giudicare troppo in fretta. Ma quanto a programma, ad esempio, Grillo vuole che l’Italia non paghi più il suo debito e che esca dall’euro. E Renzi, ad esempio, dice che bisogna pagare meno tasse, cioè dice l’ovvio ma lo dice bene.
 Tanto di eccitante, molto meno di rassicurante. Cosa succede se non paghiamo più il debito? E nessuno vuole e deve pagare tante tasse, giusto: però bisogna dire quando e come e a che prezzo. Il nuovo non è solo l’antitesi del vecchio. E il nuovo è il contrario del futuro se manca un progetto serio. Ciò che è certo, è che il vecchio è talmente indifendibile e impresentabile da affossarsi da solo. E chi ambisce a subentrare passa su una montagna di cadaveri, mica è una Banda Bassotti che va a scassinare forzieri. Anzi la Banda Bassotti l’abbiamo avuto finora.
 Molto meno un problema i cosiddetti grillini (pardon, cinquestellacei) che irromperanno in Parlamento. Nessuno può dire barbari agli altri, meno che mai gli uscenti. E poi, nessuno come Roma sa che si fa presto a dire Lanzichenecchi a quelli che attraverso la porta aperta portano solo aria più pulita. 



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Di  Lino Patruno

Scena dei comizi di un tempo. Molti che non ci capivano granché ma sempre pronti a battere le mani callose: sta bene all’onorevole. Però alla fine, quando si cominciava a lasciare la piazza e la scarpa grossa e cervello fine sospettava la fregatura, domandava: ma di ferie ha parlato? Già allora la politica si occupava di cose diverse da quelle che la gente si aspettava.
 Convegno di questi tempi, argomento eterno: il Sud. Non mani callose in sala, ma in gran parte madri e padri i cui figli sono andati a studiare o a lavorare al Nord. Si aspettano di capire se si fa bene a farli, questi figli, visto che il Sud comincia a stare indietro anche nelle nascite mentre era la culla del Paese. E poi se mandarli all’università, visto che tutti dicono di riscoprire i perduti mestieri. E, nel caso, che facoltà scegliere per non essere condannati a inviare curriculum e a fare concorsi a raffica. Insomma, istruzioni per l’uso della vita pratica, ma in verità per il futuro.
 Con tutto il rispetto, si sentono rispondere dal tavolo dei relatori che il problema del Sud è la riforma del capitolo V della Costituzione (quel federalismo contro cui nessuno aveva finora mosso un dito). Un altro dice che il problema del Sud è la demografia, cioè che nessun Paese si sviluppa se non fa figli (ma se li facciamo e se ne vanno?). Un terzo argomenta che al Sud si dovrebbero abbassare i salari, altrimenti non si capisce perché le aziende dovrebbero venirci.
 La questione è che ciascun relatore ha la sua parte di ragione, e di sicuro la sua parte di soluzione. Ma il dramma è che le orecchie vogliono sentire altro, anch’esse con altrettanta parte di ragione. Non si somigliano e non si pigliano. Poi, usciti, uno ti ferma e si discute se si è fatto qualcosa di utile per il Sud. Che fa, commenta, abbiamo parlato. Se quello dei comizi era interessato alle sue ferie, questo sembra scettico fino al cinismo. Evoluzione di una nazione.
 Anche per questo, quando irrompono sulla scena un Grillo e un Renzi, fanno il botto. Entrambi si propongono, in sintesi, di mandare via quelli che ci sono, e da troppo ormai. Rottamare il vecchio. Il primo lo dice a parolacce. Il secondo con l’aria del Topo Gigio saputello. Due personalità non da poco, chiaro, non si tiene avvinta l’Italia se sei una mezza calzetta. Ma tutti due troppo a rischio dello stesso passato che vogliono abbattere.
 Due soli al comando. Grillo con un movimento (partito) personale. Renzi con una corrente nel Pd altrettanto personale. Per capirci: nulla che nasca dal basso, se non ci fossero loro non ci sarebbero neanche i loro sostenitori. E sono loro a dettare linea, argomenti, nomi. Insomma proprio ciò che si è finora rimproverato alla cosiddetta Seconda Repubblica, solo con una ventina d’anni in meno (e Grillo nemmeno quello). Il personalismo, appunto. Il leaderismo. Il padre-padrone, da Berlusconi a Bossi a Di Pietro.
 Ovvio che non bisogna prendersela con B&B&Dp, cioè con i tre, ma con un’Italia che non è riuscita ad esprimere altro. E che prima c’è stata bene, e alla grande anche. Poi ha cambiato idea (e francamente non c’era alternativa) davanti ad arroganze, scandali, ruberie, risse, corruzioni da putrefazione di un impero. Non è detto che dovesse per forza finire così. Ma non sorprende che lo sia, senza controlli né all’interno né all’esterno di partiti lasciati in mani incontrollate, sulla fiducia personale. In anni in cui il carisma del capo ha oscurato il programma delle cose da fare.
 L’inizio della presunta Terza Repubblica somiglia troppo all’inizio della Seconda per stare tranquilli. Sia Grillo che Renzi hanno qualcosa di benvenuto viste le macerie. Forse domani occorrerà ringraziarli. O forse ci accorgeremo dell’ennesimo abbaglio. In ogni caso non bisogna giudicare troppo in fretta. Ma quanto a programma, ad esempio, Grillo vuole che l’Italia non paghi più il suo debito e che esca dall’euro. E Renzi, ad esempio, dice che bisogna pagare meno tasse, cioè dice l’ovvio ma lo dice bene.
 Tanto di eccitante, molto meno di rassicurante. Cosa succede se non paghiamo più il debito? E nessuno vuole e deve pagare tante tasse, giusto: però bisogna dire quando e come e a che prezzo. Il nuovo non è solo l’antitesi del vecchio. E il nuovo è il contrario del futuro se manca un progetto serio. Ciò che è certo, è che il vecchio è talmente indifendibile e impresentabile da affossarsi da solo. E chi ambisce a subentrare passa su una montagna di cadaveri, mica è una Banda Bassotti che va a scassinare forzieri. Anzi la Banda Bassotti l’abbiamo avuto finora.
 Molto meno un problema i cosiddetti grillini (pardon, cinquestellacei) che irromperanno in Parlamento. Nessuno può dire barbari agli altri, meno che mai gli uscenti. E poi, nessuno come Roma sa che si fa presto a dire Lanzichenecchi a quelli che attraverso la porta aperta portano solo aria più pulita. 



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